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Quarto Interludio

Pokémon Adventures ITA. Qui troverete tutto ciò che un vero Pokéfan ha bisogno. Inoltre, per tutti i lettori di questa fan fiction, su Facebook abbiamo aperto un gruppo, in cui potete sbizzarrirvi facendo domande sulla nostra storia e sul mondo dei Pokémon in generale. Lo potrete trovare qui, appena vedremo la vostra richiesta l'accetteremo senza remore.
Ricordo inoltre che le uscite sono sempre il lunedì, per quello che concerne il racconto in se, mentre un sabato si ed uno no verranno pubblicati dei consigli utili.
Ebbene. Questo è uno degli ultimi interludi.
La storia di Rachel e Zack richiede più tempo per essere compresa, ma ogni cosa, ha bisogno delle fondamenta. E senza gli interludi non ci sarebbe comprensione per la storia.
Prima. Oggi tocca a lei.
E a voi.
Stay Ready! Go!


“Il bosco Memoria è così silenzioso...” osservò Prima, nascosta da mille scialli attorno al capo. Non potevano rischiare che la riconoscessero.
“Già. È un posto molto tranquillo per rilassarsi” rispose Sandra, guardandola per poco, per poi tornare a mantenere lo sguardo fisso su qualunque cosa si muovesse nel bosco.
“Una volta che questa storia sarà finita, verrò tutti i giorni a rilassarmi qui”
“Spero tu possa farlo davvero. Sei stanca?”
“Un pochino...”
“Siamo quasi arrivati”
“I tuoi genitori saranno propensi ad ospitarci?”
“Non lo so. Non li vedo da dieci anni, circa. Ma non credo che rinnegheranno la loro figlia maggiore in questo modo”
“Lo spero proprio...”
Prima sospirava, sotto il caldo impellente della copertura che Sandra le aveva magistralmente propinato. Abra fluttuava a meno di un metro dietro le loro spalle, e di tanto in tanto faceva qualche capriola su se stesso.
“Ha voglia di divertirsi” giustificò Prima, allo sguardo interrogativo di Sandra.
Camminarono per ancora dieci minuti, quando videro la prima canna fumaria, e di conseguenza il fumo che usciva da una casa.
“Siamo arrivati”
Uscirono dalla folta coltre di fogliame e dopo pochi passi i loro piedi calpestavano dei ciottoli.
“Eccoci. Questa è Nuovaluce” sorrise Sandra.
Nuovaluce era un paesino non molto grande, e sembrava che lì gli effetti della grande guerra non fossero proprio arrivati. Le case erano fatte di pietra, non superavano i due piani, e componevano piccoli quartieri. Erano tanti agglomerati di case, che si affacciavano su di una piazza, con al centro una grande fontana.
Era piccola. Ma ridente.
Si stava bene. Sembrava un classico paesino di montagna. L’aria era fresca, il sole caldo, e sullo sfondo c’era il monte Trave.
“Ottimo” sorrise Prima.
Le urla giocose dei bambini nella piazza, mentre giocavano e si inseguivano, aumentava le loro speranze di vivere una vita normale.
Prima voleva scrollarsi da dosso il peso di essere l’oracolo. Cioè, voleva ancora essere l’oracolo, ma non voleva che la gente lo sapesse. Storse il labbro, ma ora come ora Arceus aveva già preso la sua decisione. Non poteva più cambiare le cose, quindi nessuno avrebbe avuto nessun vantaggio dal sapere che lei potesse parlare con Arceus. Anzi. Sarebbe stato scomodissimo per lei, che aveva vissuto tutta la sua vita, o quasi, in un posto dove i segreti non esistevano, e adesso aveva bisogno di diventare la migliore tra le bugiarde.
Sandra invece non l’avrebbe mai ammesso, ma voleva vivere la vita di una qualunque bella donna quale lei era. Trovare un uomo, e magari avere dei bambini. Ma doveva accudire Prima. Un po’ le pesava, ma in queste condizioni, l’oracolo non poteva non avere bisogno di lei.
Era importante che le stesse vicino.
Camminavano spedite, cercando di assecondare il passo di Prima, che pregna, ogni tanto si fermava a prendere fiato.
“Tutto ok?”
“Si...” ansimava. “Andiamo”
“Ok. Comunque siamo quasi arrivati. La casa dei miei genitori è proprio dietro questa curva.
Prima sorrise, vedendo la fedeltà e l’assiduità con cui quella donna dai capelli lunghi e ricci la seguiva ovunque in ogni suo piano bislacco.
Girarono quella curva, e si fermarono. Prima poggiò la mano al muro di pietra di quella casa, fermandosi a recuperare il fiato, mentre Sandra, lentamente e non senza qualche remora, si avvicinava al grande portone di legno.
Guardò Prima, poi sospirò. E bussò.
Pochi secondi, il cuore di Sandra stava prendendo le sembianze di una pallina da flipper prima che il flipper stesso andasse in tilt, e mentre la circolazione del sangue aumentava, le gambe cominciavano a tremare.
“Stai tranquilla” sorrise Prima. “Ti amano”
Fu proprio quando quella porta si aprì, che Sandra fece un passo indietro. Era un passettino, niente di che, ma doveva guardare per intero colei che aveva davanti.
Sua madre.
Quella inclinò di poco la testa sul lato sistemandosi gli occhiali e quei maledettissimi ricci che le cadevano davanti agli occhi.
“Sandra?”
“Mamma” scoppiò in un pianto silenzioso la ragazza, che si avvinghiò al collo della sua ormai anziana madre come fa un bambino piccolo appena uscito da scuola.
“Sandra... pensavo fossi morta” disse quella, quasi rassegnata mentre la stringeva, e sentiva sotto le sue mani sua figlia diventata donna.
“Possiamo entrare? Qui c’è una mia amica”
“È incinta” osservò la donna.
“Abbiamo bisogno di un posto dove stare”
“Entrate pure”
Prima camminava con fatica, ma Sandra la andò ad aiutare subito, prendendole una mano.
Entrarono in casa di Sandra.
Qui e li giravano Pokémon di tutte le razze e specie. Quasi tutti di piccola taglia.
Prima era in grado di vedere con una sola occhiata due Chatot, un Caterpie, un Budew, ed uno Psyduck.

Non era molto illuminato, come ambiente, il pavimento era di legno, come i mobili ed il tavolo. Un grosso pentolone era stato messo a scaldare con qualcosa dentro, ma da dov’erano non riuscivano a capirne il contenuto.
“Chi è la tua amica?” chiese la più anziana, poi, dopo essersi accomodata al tavolo principale.
Sandra guardò Prima. Nel suo sguardo c’era preoccupazione. Poi Sandra annuì.
Prima levò gli scialli, e mostrò il volto.
La donna spalancò la bocca.
“Che Arceus mi perdoni... ma che diavolo sta succedendo?!” chiese leggermente alterata.
“Signora... mi chiamo Prima, e sono...”
“So benissimo chi sei! Ma dovevi essere morta anche tu!”
“Beh, non è così”
“Mamma, ci serve un posto dove stare. Prima è incinta, sta quasi per dare alla luce la sua creatura, ed abbiamo vissuto in una caverna per quasi tutta la durata della sua gravidanza. Ha bisogno di vezzi ed affetto. E qualche comodità. Siamo venute qui, a piedi, scendendo da una montagna ed attraversando il bosco, da sole. Siamo impaurite. Ed affamate...”
“Oh... ragazze, scusatemi. È che non mi aspettavo di trovarvi qui. Comunque io mi chiamo Flavia” sorrise la donna più anziana, offrendo la mano a Prima, che l’accettò volentieri.
“Non si preoccupi signora” sorrise quella.
“Sandra. Portala di la, nella stanza accanto, e falle mettere qualcosa di più comodo. Tra un po’ vi servirò un po’ di zuppa”
“Grazie mamma” sorrise la figlia. Prese Prima per mano ed andarono nell’altra stanza.
Flavia si alzò e portò le mani ai fianchi. Sorrise, e poi sbuffò. Non si finisce mai di essere madri.

L’ospitalità di Flavia era deliziosa. Era una donna amorevole, piena di cure, ma soprattutto sola, che non aveva aspettato altro momento per riempire il vuoto lasciato dalla morte del marito con i Pokémon, compagni di una vita.
“E così papà è morto...”
Sandra guardava il fuoco del camino scoppiettare, seduta per terra, mentre sua madre pelava delle patate.
“Già. E’ morto qualche anno fa, mentre progettavano la costruzione del ponte per Sabinia”
Sabinia era un’isola non molto lontana da Adamanta.
“Lavorava ancora per quel ponte?”
“Già. Era il suo sogno costruire quel ponte. Far entrare nuove persone, nuovi Pokémon, e dare a noi la possibilità di uscire. Di scappare”
Sandra abbassò lo sguardo.
“Ebbene, ora è scappato anche lui”
“Quanti anni aveva?”
“Beh, aveva l’età di un uomo che aveva visto il mondo attorno a se. Nonostante tutto sapeva che sarebbe potuto succedere qualcosa da un momento all’altro”
“Capisco... e tu... come fai a tirare avanti?”
“Grazie a Martino. Il giovane figlio di un collega di tuo padre. Ogni giorno mi porta qualcosa da mangiare. È un ragazzo d’oro. E invece... tu?”
“Io cosa?”
“Insomma... Olimpia venne a prenderti quando avevi otto anni. Mi ricordo” sorrise. “Avevi già questi lunghi boccoli” disse, prendendoli in mano. “Te ne andasti, e non avemmo più notizia di te”
“Vuoi sapere quello che facevo al tempio?”
“Se vuoi dirmelo”
“Beh... era... un posto particolare. C’erano molte regole da seguire. Ad esempio non potevamo parlare con Prima senza che lei ci avesse rivolto la parola. Potevo stare solo con le vergini, al massimo potevo accennare qualche parola ad Olimpia, ma sempre tenendo il capo chino”
“Oh. Deve essere stato davvero dura”
“Beh... neanche tanto. L’unica cosa che ti metteva in difficoltà erano i templari. Non potevamo avere alcun tipo di contatti con loro. E quelli che stavano a guardia del tempio... insomma, mi parlavano. Ed ero costretta a scappare a testa bassa, perché non volevo correre il rischio di inquinare la mia virtù”
“Capisco. Non è stato facile”
“Ma è stato formativo”
“Forse qualche volta ti sarà sembrata brutta la questione... la nostra scelta è stata dettata dall’amore che proviamo per te. Io e tuo padre ci siamo privati di vederti, per donarti una vita regolare che non avesse il cancro della povertà e delle preoccupazioni ordinarie. Che sono tanto deleterie. E sono felice di vederti ora. Sei viva, e... sei bellissima”
“Ti ringrazio, mamma. Di tutto”

Una mattina di dicembre pioveva. La pioggia batteva forte sui ciottoli delle strade e sulle tegole delle case, ed il sole sembrava bel lungi dal voler uscire dal suo letto di nuvole.
Un urlo squarciò il silenzio, tagliandolo di netto.
“È ora!”
La voce di Prima era forte, ed un gran dolore le si radicò in tutto il corpo.
Sandra saltò giù dal letto, con gli occhi spalancati. Ringraziò Arceus, perché se Prima avesse dovuto partorire in quella grotta non avrebbe saputo quali pesci prendere.
Flavia si alzò con calma. Prima la vide entrare nella sua stanza con una pentole ed una benda di lino.
“Calmati. È la tua creatura che sta nascendo”
Prima sorrise leggermente, mentre si contorceva per il dolore.
Sandra entrò in stanza, preoccupata ed impacciata.
“Che devo fare?” domandò alla madre.
“Imbevi d’acqua questa benda e tienila sulla sua fronte. Ricambiala ogni cinque minuti. Dobbiamo tenere bassa la sua temperatura”
“Abra può aiutare in qualche modo?”
“No. Non possiamo neanche addormentarla. Abbiamo bisogno che Prima spinga, per farlo uscire. A proposito... credi che sia un maschio o una femmina?” chiese poi all’oracolo.
“È uguale. Se sarà maschio lo chiamerò Timoteo”
“E se sarà femmina?”
“Non lo so” e poi urlò di nuovo.
Sandra le posa la benda sulla fronte, mentre le stringeva la mano sinistra. Le carezzava il volto, asciugandole il volto sudato e bagnato dall’acqua che trasudava dalla benda.
Flavia si posizionò tra le sue gambe.
“Ok. Ci siamo. Prima, ora devi spingere”
Lo fece. Ed urlò. Faceva male. Un male assurdo.
“Dai, so che è doloroso, ma immagina la pace che proverai quando avrai il tuo Timoteo tra le braccia!”. Flavia la incitava, mentre Sandra sentiva Prima stringere la sua mano, come per avere maggiore energia da immettere nella spinta.
Ancora. Altre spinte.
Di nuovo.
Ad un certo punto Prima lasciò la mano di Sandra, ed afferrò il letto sotto di se, urlando più forte di tutte le altre volte.
Una vocina nuova si espanse nella stanza. Il torace di Prima, in precedenza compresso per lo sforzo, si rilassò. Sandra le carezzò la testa, ridendo, e le cambiò la benda. Prima accasciò la testa sul guanciale, e si abbandonò ad un meritato riposo in dormiveglia, mentre Flavia sciacquava il neonato e lo schiaffeggiò sulle natiche. Il nascituro pianse, attivando la respirazione.
Sandra prese di nuovo la mano di Prima, sorridente, ma in lacrime. “Prima... è nato”
“No, Sandra. È nata. Ecco qui” fece Flavia, poggiando la bambina sul grembo della madre.
Prima cercò dentro di se la forza di aprire gli occhi e di sorridere. La trovò.
“Cosa provi?” chiese Sandra.
“Pace”
“Hai pensato a un nome?”
Prima abbassò il capo. La bambina era stupenda, dai tratti delicati e dagli occhi grandi. Lo stesso sguardo di Timoteo era sul volto della bimba.
“Beatrice. Sarà Beatrice” disse con un ultimo accenno di forza della donna, prima di porgere la bambina a Sandra e cadere in un sonno profondo.


Nestore guardava il tempio, o quello che ne rimaneva. Dalle sue stanze, il monte Trave era davvero lontano. Era passato quasi un anno, ma il dolore ed il risentimento per quell’unica battaglia che non dovevano perdere gli infilzavano lo stomaco con tanti piccoli spunzoni di ferro appuntiti.
“No” disse. Ormai lo ripeteva da ore, giorni, mesi. Tirò un pugno nel muro e sospirò.
La mano gli doleva. La testa bassa, sotto il peso della corona. La prese e la gettò sul suo letto.
Non doveva finire così.
No. Ora Adamanta sarebbe stata solo il passato. E via per la conquista di nuove terre. Per la conquista di nuove ricchezze.
Avrebbe posseduto Arceus. Il Pokémon più importante di tutti, il più forte, quello che tutto può.
Si era dovuto accontentare di quegli inutili Pokémon che aveva.
Li fece uscire dalle sue Poké Ball.
Persian stava li, e lo guardava.
“Siete... inutili. Voi Pokémon siete inutili. E deboli!” prese ad urlare. Persian, dal canto suo, non capiva niente.
Ma lo sentiva ostile.
Non si sarebbe mai sognato di attaccarlo. No. Nestore era lo stesso bambino che giocava con lui quando era un Meowth.
“Se non fosse stato per la vostra debolezza avrei vinto la guerra! Ora sarei il re del mondo!”
Persian si leccò la zampa.
Nestore aveva il volto contrito, la rabbia fluiva dentro e fuori dal suo corpo come se fosse un fiume in piena.
Riprese la Poké Ball di Persian e lo fece rientrare. Provava tanto odio in quel momento.
Levò il mantello e lo lasciò cadere ai suoi piedi. “Wilma!” urlò.
Pochi secondi dopo entrò nella stanza del re una donna di mezz’età, i capelli neri, pittati di candido qua e la. Il volto smagrito e scavato. Gli occhi erano l’unico elemento di luce di quella donna che aveva perso l’estro della femminilità.
“Si, mio re?”
“Prendi le mie Poké Ball. E distruggile”
“Ehm... non credo di aver capito bene...”
“Devi distruggere le Poké Ball. E basta”
“Ed i Pokémon all’interno?”
Nestore abbassò il volto.
Wilma deglutì. Le sembrò di avere della sabbia in gola.
“Vuole che uccida i suoi Pokémon?”
“È difficile?”
“Io.. .io non credo di poter fare una cosa del genere”
“Peccato. Perché è la fine che faranno tutti i Pokémon del mio regno. Devono pagare per la loro inutilità e per la loro debolezza”
Wilma non disse nulla.
“Ora vai”

Prima camminava per casa, con in braccio Beatrice. Sandra sorrideva, mentre tagliava degli ortaggi. Le sarebbe piaciuto provare quelle sensazioni. Lo spirito di maternità spingeva dentro di lei.
Flavia rientrò in casa, e guardò la scena. Prima alzava in aria Beatrice, le chiedeva se sapesse quanto bella fosse, e la vedeva ridere.
Quella bambina era uno splendore.
“Ciao” disse poi la più anziana.
“Oh, salve Flavia” rispose la neomadre.
Con difficoltà poggiò un pesante sacco sul tavolo.
Sandra, curiosa, andò ad aprirlo. “Ancora carote?”
Flavia fece spallucce, e si avvicinò a Prima. “Vuoi che la tenga un po’ per te?”
“Sarebbe fantastico... posso chiudere la porta?” chiese, mentre passava sua figlia a Flavia, come fossero due corridori col testimone.
“No, aspetta. Martino sta portando altri due sacchi”
“Martino?” chiese Sandra.
“Si, te l’ho detto. È il ragazzo che ci aiuta a tirare avanti”
Dalla porta entrò Martino. Le larghe spalle erano cariche di due pesanti sacchi, ma non sembrava curarsene. Il sorriso splendente sottendeva il naso dritto. Gli occhi castani, molto chiari, quasi gialli, ed i capelli rossi, lunghi fino alle spalle. Alto ed atletico.
Prima guardava Sandra. E voleva chiederle di chiudere la bocca.
“Oh, grazie Martino. Volevo presentarti mia figlia. Sandra. E questa è... mia nipote... la figlia di mia sorella. Si chiama... Frida”
Martino sorrise, e fece un cenno col capo.
“Non sapevo che avessi una figlia che ti somigliasse così tanto, Flavia. E soprattutto così bella”
“Grazie” risposero all’unisono madre e figlia.
“Allora vado... ciao signore”
Prima sorrise. Ma qualcosa non andava.
Lo sentiva.
Spingeva da dentro.
Inciampò, riuscendo a mantenere l’equilibrio.
Poi urlò.
Flavia strinse Beatrice, che prese a piangere per lo spavento. Sandra invece era abituata a quelle manifestazioni, quindi prontamente lasciò cadere il coltello sul tavolo, e corse a pochi passi dall’oracolo.
La luce si espanse dal corpo di Prima. La donna cominciò a fluttuare a mezzo metro da terra.
“Mamma! Le tende!” urlò Sandra.
Già. Non potevano rischiare che qualcuno vedesse la luce. D’altronde stavano cercando di nascondere Prima.
Flavia corse a chiudere le tende.
“Prima... cerca di contenere le urla” fece ancora Sandra.
Ma Prima non sentiva più niente.
Prima era immersa nella sua visione.
Luce. Tanta luce. Tutto bianco.
Arceus non c’era. Non parlava.
Ma una scena era chiara davanti ai suoi occhi, secondo dopo secondo.
Era un uomo. Un uomo, e c’era il fuoco.
Si.
Cercava di iperscrutare, ma non riusciva a intravedere nulla. Immaginava che l’uomo, dalle spalle muscolose e scoperte, stesse ravvivando il fuoco.
Poi si girò. Non lo conosceva.
Aspettò alcuni secondi. Vide prendere una sacca. Era bianca.
Pane?
No. Svuotò il sacco sul fuoco. Erano Poké Ball.
Prima spalancò la bocca. Poi il bianco tornò a riempire la sua vista.
Arceus. Era li.
“Ecco come l’umanità apprezza il mio creato. Il responsabile soffrirà terribili sofferenze durante il mio giudizio”
“Si, mio Arceus. Mi perdoni, mio Arceus”
E poi il bianco scomparve. Prima lentamente scese verso il pavimento, e si abbandonò alle braccia di Sandra.
Aprì lentamente gli occhi, l’unico rumore era lo scoppiettare del fuoco del camino, e le urla di pianto di Beatrice.
“Cosa ha detto?” chiese la vergine, mentre la portava nella stanza da letto.
Prima si stese, e sospirò.
“Arceus... mi... mi ha fatto vedere...”
“Cosa?”
“Una scena”
“Che scena?”
“Qualcuno ammazzava dei Pokémon”
“...ok...”
“Ha detto che provvederà da solo a punire il responsabile. Ma voleva farmi capire come l’umanità ha sbagliato nei suoi confronti”
“...va bene. Ora riposati e non pensarci. Pretendere che gli uomini facciano il giusto è utopia”

Il tramonto aveva dipinto il cielo di chiazze rosa. Un po’ di vento spostava le cime degli alberi, ma tutto sommato il sole splendeva chiaro sul promontorio.
Un ragazzino aveva il volto in lacrime.
“Si... non ti lascerò morire...”
Camminava lentamente lungo la salita, tenendo tra le mani la sua Poké Ball.
Il suo Pokémon. Il suo unico Pokémon. Era poco più di un bambino, e non aveva ancora imparato a catturare altri Pokémon, ma in quel momento pensò che fosse stata una fortuna.
Dover abbandonare una cosa che ti sta tanto a cuore deve essere difficilissimo. Figurarsi a farlo più di uno.
Arrivò su quel promontorio. Una ringhiera di ferro battuto divideva la strada, dove i più romantici venivano la sera a guardare le stelle, e la scarpata.
Tirò la sua Poké Ball, da cui ne uscì uno Starly.
Quello sbatté le ali, e si andò a poggiare sulla ringhiera. Vide il volto affranto del suo allenatore ed inclinò il capo.
“Allora... domani verranno gli scagnozzi del re Nestore nel nostro quartiere. Cercheranno ovunque, e metteranno la nostra casa sottosopra. Cercheranno te. Se ti trovassero ti porterebbero in una stanza, e ti getteranno sul fuoco con tutta la Poké Ball. E morirai”
Starly continuava a fissare il suo allenatore. Una lacrima rigò il viso del ragazzino.
“Ed io non voglio che tu muoia. Vorrei vederti un giorno diventare grande. E forte. Uno Staraptor. Sarai bellissimo, con le piume lucide, e le ali lunghe. Sarai fortissimo. E per far sì che questo accada, ora devi andare via”
Lo sconforto lo investì come un tir e le lacrime trovarono il via libera per scendere in tutto il loro vigore.
“Vai! Vai via!”
Starly si alzò in volo, sbattendo velocemente le ali. Guardava piangere il suo allenatore. Aveva capito. E avrebbe voluto ringraziarlo.
Il giovanotto sentì l’uccello gracchiare, e poi una folata di vento, che lo aiutò nel salire nell’aria, e spiccare il volo verso mete lontane.
“Ecco... sei andato via...” piangeva il ragazzo. Si girò, in lontananza vedeva il castello del re Nestore.
Era furioso con lui.
Ed urlò.
“Che tu sia maledetto!”
La voce del giovanotto si espanse lungo la valle, e viaggiò velocemente fino a sparire velocemente.
La notte era scesa, ormai. Il buio era pesante, e non tutto era semplice da mettere a fuoco.
Poi un forte sibilo.
E del vento. Tantissimo vento.
Vento molto forte. Il ragazzino fu costretto a stringersi alla ringhiera. Qualcosa stava succedendo, e la curiosità, anche quella volta, ebbe la meglio sulla paura di morire.
Alzò gli occhi al cielo, e vide una cosa che non aveva mai visto.
Un drago. Un enorme drago verde, con delle linee luminose sul corpo, che velocemente si muoveva verso il castello di Nestore. A poco meno di 100 metri una forte luce uscì dalla sua bocca, ed il castello fu letteralmente distrutto.
Il ragazzo impallidì, l’esplosione prodotta fu terribile.
Il drago verde ruggì rabbioso, poi partì ancora più veloce, in verticale, verso l’alto.
E sparì. La notte era scesa.
Starly era scappato via.
Ma il castello non c’era più. E Nestore era morto.

 

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