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Tredicesimo capitolo - 13


In questi giorni così succosi, per via delle notizie sulla nuova generazione, non mettere mi piace a Pokémon Adventures ITA sarebbe veramente da incoscienti. Oltre a tutte le news e ad uno staff cordiale e presente, troverete immagini bellissime, ed anche l'omonimo manga, tradotto interamente in italiano.
In questi giorni così caldi, noi di Pokémon Courage stiamo facendo il massimo per farvi vivere questa storia come un'esperienza indimenticabile. Ringraziamo sia io, che Rachel Aori, per tutto il supporto ed il calore con cui ci sostenete.
Qualcosa bolle in pentola per voi.
Oggi grande capitolo. A me piace molto, ma...è logico =)
Ad ogni modo vi auguro buona lettura, e vi aspetto sabato con la consueta uscita della rubrica CONSIGLI UTILI.

Stay ready.
                 Go!
                      Andy Black.





La lunga corsa in sella al suo Pokémon l’aveva stremata. Lentamente Rachel, con gli occhi offuscati e il passo incerto, si fece strada all’interno della Grotta delle Lanterne. Wizard procedeva al suo fianco e Pupitar si muoveva agile per sondare il terreno della grotta, cercando un posto che fosse abbastanza sicuro per passarvi la notte. Zorua e Litwick erano al sicuro nelle loro sfere, dove sarebbero stati al sicuro.
Una volta arrivati in un posto che il Pokémon terra reputava sicuro la ragazza si lasciò scivolare a terra e si abbandonò al pianto.
La notte dall’interno della grotta sembrava più nera del solito. La ragazza si trovava a poco più di una decina di metri dall’entrata e da lì poteva osservare una parte della volta celeste.
La luce soffusa che si spandeva dai cristalli della grotta creava ancora più contrasto con l’oscurità del cielo. Non che Rachel potesse notarlo. I suoi occhi erano ricoperti da lacrime e il suo pianto non sembrava volersi arrestare.
Era arrivata ad un livello superiore a quanto potesse sopportare, non voleva più avere niente a che fare con nessuno. Dopotutto, non sapeva nemmeno più a chi o cosa potesse credere. Le parole di Ryan avevano scavato a fondo nel suo petto, gelandole il cuore in modo assoluto, come i ghiacciai perenni che nemmeno il sole più potente poteva sciogliere. Come nemmeno Zack poteva sciogliere. Dopotutto anche Zack aveva la sua parte di colpa in tutta quell’assurda situazione. Colpa non inferiore a quella che aveva lei stessa.
“Ma che diamine mi ero messa in testa?” parlava tra i singhiozzi, senza riuscire a controllare la propria voce, né tantomeno i propri pensieri.
“Salvare il mondo... come no. Chi me lo dice che non si sono sognati tutto? Dopotutto anche Mia, che doveva essere l’Oracolo, non è in grado di fare niente!” non riusciva a fermare la valanga di parole che, spezzate dal pianto, uscivano dalle sue labbra.
“Ho vagato in lungo e in largo, ho rischiato di morire per colpa di quell’incosciente, con un falso proposito. Su questo, Ryan aveva ragione. Non era mai stata abile nel capire le persone che aveva di fronte, non era mai stata in grado, fin da piccola, di capire cosa gli altri pensassero o volessero davvero. Non era nemmeno mai stata in grado di capire che la famiglia con cui viveva non era la sua vera famiglia. Cosa pretendeva?
Rise. Di sé stessa e delle sue fragili convinzioni.
Appoggiò la nuca al muro e guardò il soffitto della grotta, che era illuminato dal bagliore degli innumerevoli cristalli ed era reso caleidoscopico dalle lacrime che non ne volevano sapere di abbandonare i suoi occhi.
“Ma chi diamine voglio incolpare... ho fatto tutto da sola” lo disse chiudendo gli occhi, e cercando di abbandonarsi al sonno.
“E tuttavia, non posso che continuare su questa strada”.




Il malumore continuava a crescere, come se qualcuno innaffiasse la pianta del dispiacere.
E a testa bassa, il giorno dopo Ryan era costretto a sorbirsi la paternale di Lionell.
“E così te la sei lasciata scappare...” faceva quello. Ryan guardava i palmi delle mani, poi le scarpe, e si concentrava su ogni dettaglio che potesse cogliere con quel colpo d’occhio.
La scrivania, i piedi della sedia, le scarpe di Lionell, la moquette grigia, polverosa, al di sotto di quelle.
“Scusa, Lionell”
“Non devi scusarti. In fondo hai combattuto contro l’allenatore più forte di Adamanta, no?”
“Si...”
“Come mai perdi? Cosa ha lui che non hai tu? Cosa ti manca rispetto a lui?”
E quella domanda, che inoltre si stava ponendo da giorni infiniti, gli stava trapanando lo sterno. Ancora un po’ ed avrebbe finito per distruggere tutto.
“Non lo so...”
Ed era vero. Non lo sapeva. Cioè, aveva solo dei Pokémon, niente di che, e per altro non erano più forti dei suoi.
Feraligatr, per non parlare di Gallade e Flygon, ma anche Bisharp. Il suo team era forte, allenato, e ben concentrato, ma ad ogni battaglia aveva dovuto deporre le armi.
C’era un piccolo dettaglio, che era il legame che Zack aveva con i suoi Pokémon. Loro avevano viaggiato assieme, avevano vissuto tante avventure, ed avevano lottato contro le avversità.
Per Ryan, oltre a Gallade e Flygon, al secolo un Trapinch, i suoi Pokémon erano tutti nuovi. E questo non aiutava a crescere il legame, né tra di loro come Pokémon, né tra loro e l’allenatore.
Zack aveva probabilmente catturato tutti i suoi Pokémon tanto tempo addietro, e probabilmente li aveva fatti anche evolvere.
Era difficile riuscire ad instaurare un legame più forte di quello.
“Ti servono Pokémon più forti?” chiese con delicatezza innaturale Lionell, che fece alzare velocemente la testa al ragazzo.
“Beh...io ho quattro Pokémon...per completare la squadra me ne servirebbero altri due”
“Dimmi cosa ti serve e vedrò di fartelo avere, allora...l’importante è che mi riporti mia figlia”
“Beh...avrei bisogno di un Pokémon alto, molto alto. E di un tipo elettrico”
“Ne parlerò con Marianne”
Ryan si mostrò riconoscente a quella generosità.
“Allora? Spiegami un po’ cos’è successo” Lionell si sistemò meglio sulla sedia.
“Beh...eravamo arrivati sulla cima del Monte Trave. Nevicava molto. E Zackary Recket e Rachel erano assieme ad un’altra ragazza, una biondina. Hanno cercato di evocare Arceus”
“Hanno evocato Arceus?!”
“Si...no...loro credono che quella ragazza sia il tramite per Arceus”
“Ah...credono questo?”
“Si”
“...va bene. Ora vai. Chiederò per quei Pokémon che vuoi”
“Ti ringrazio, Lionell”
“Ciao”
Ryan si alzò ed uscì da quell’ufficio, rimanendo quel misterioso uomo a rosolare nella sua aura oscura.

Il giorno seguente la sorprese ancora addormentata, senza sacco a pelo e rannicchiata vicino al corpo possente di Wizard. Pupitar aveva vegliato sul suo sonno finché le forze lo avevano sostenuto e poi a sua volta si era abbandonato all’incanto di Morfeo. Il calore della grotta le aveva permesso di resistere al clima invernale e quando pian piano iniziò a svegliarsi si rese conto di avere le gambe appena infreddolite.
I primi istanti li impiegò per capire dove fosse. Un mal di testa incredibile stringeva una morsa sui suoi pensieri e le lacrime seccatesi nella notte le avevano arrossato gli occhi. Si guardò intorno, cercando di ricordare cosa fosse successo la sera precedente e come mai fosse sola.
Poi ricordò.
Strinse i denti, soffocando l’istinto di piangere che la stava per assalire, e si alzò in fretta. Wizard e Pupitar, svegliatisi di soprassalto la fissarono allarmati. Rachel si girò verso di loro, le bastò guardare le loro espressioni per capire quello che doveva avergli fatto passare. Si abbassò nuovamente, abbracciandoli.
“Grazie. Vi ringrazio davvero. Scusatemi” il suo tono era stanco, ma sincero. I due Pokémon le si strinsero vicino, restando per qualche istante tutti e tre uniti.
Rachel sentiva il calore del corpo di Zebstrika e il freddo della corazza di Pupitar contro il suo petto. Erano tutto ciò che le era rimasto. I suoi Pokémon erano gli unici che non le avevano voltato le spalle, fino ad allora.
“Siamo insieme da davvero poco tempo, ma grazie, grazie di cuore”
Si staccò dai due, guardandoli poi negli occhi.
Probabilmente è vero, aveva fatto delle scelte sbagliate, aveva tentennato e forse aveva riposto la sua fiducia nelle persone sbagliate. Ma non tutto ciò che quel viaggio aveva portato era stato un errore. Se non si fosse mossa non avrebbe mai trovato dei Pokémon come loro, disposti a combattere per lei e disposti a proteggerla contro tutto e tutti.
Non c’era niente da rinnegare in ciò che aveva fatto.
Si alzò di nuovo, stavolta più lentamente e guardò Wizard negli occhi.
“Te la senti di fare un’altra cavalcata?”
Il Pokémon annuì, e quindi si rimisero in marcia.
Il freddo pungente della giornata la rendeva partecipe della natura selvaggia che stava attraversando.
Per evitare di poter incontrare Zack o di essere nuovamente rintracciata da Ryan, aveva deciso di muoversi al di fuori delle grandi città, passando per piccoli paesini, prove tangibili di quel periodo in cui la regione era ancora divisa in feudi. Non aveva una destinazione precisa e vagava, così come facevano i suoi pensieri.
Stava scappando di nuovo da tutti, ma poco a poco quell’idea la spaventava sempre meno. Avrebbe trovato una soluzione.
Intanto però doveva allontanarsi da tutti i posti in cui era stata e dove qualcuno poteva riconoscerla. E doveva farlo in fretta.
Era abbastanza sicura che Zack avrebbe fatto rapporto ad Alma, ora che Ryan non li inseguiva più. Mia non riusciva ad entrare in contatto con Arceus e dovevano capirne il motivo, quindi si sarebbero di nuovo rivolti ad un esperto.
Che fosse Fuji o chicchessia per lei non aveva importanza. Col destino del mondo in bilico non avrebbero certo perso tempo a cercarla.
“Ti getteranno via non appena avranno ciò che cercano, ossia il cristallo e la persona per utilizzarlo, puoi starne certa”
Scacciò con rabbia le parole che Ryan le aveva detto quel giorno, quando lo avevo rincontrato per la prima volta. Non poteva fidarsi nemmeno di lui.
Nonostante tutte le parole pronunciate da Ryan finora avevano trovato un lieve fondo di verità nei fatti, c’era qualcosa in lui che la disturbava. Quello sguardo, quell’atteggiamento. C’era qualcosa in lui che adesso la spaventava. Ma non riusciva in ogni caso ad ignorare le parole che le aveva detto.
“Ho trovato la tua famiglia”
Era vero? E se sì, dove? Come?
Cercava di liberarsi di quelle parole, ma erano un tarlo fisso.
In più c’era un altro tarlo che le rodeva la mente. Chi diavolo era Emily White? Zack si era rifiutato di rispondere alle domande e avevano iniziato a combattere subito dopo. Non aveva avuto il tempo di chiedere. Di sapere.
Continuava a spronare Wizard, nel tentativo di mettere quanta più strada possibile fra lei ed i suoi pensieri.

Senza riuscirvi davvero del tutto, ma trovando sollievo nel paesaggio che la circondava. Gli alberi le sfrecciavano accanto, spogli e carichi di neve. Il cielo era di un azzurro pallido, poco più intenso del colore dei suoi occhi. E la neve era bianca e abbagliante.
Stranamente non si sentiva fuori posto. Non si sentiva soffocare. Forse bastava solo questo, non pensare al passato, concentrarsi sull’attimo e smettere di affannarsi su domande che non potevano comunque trovare risposta.
“Tempo al tempo” bisbigliò.
Non poteva continuare a pressarsi così, doveva mettere in pausa la sua mente e ricominciare a respirare.
Distrarsi.
Poi con uno stato d’animo più sereno sarebbe tornata a riflettere sui suoi problemi.
Se lo doveva. Prese in mano la Pokéball di Zorua. All’interno il suo Pokémon riposava placido. Voleva proteggerlo. Proteggere lui e il resto dei suoi Pokémon. Da se stessa, dagli avversari, dal futuro. E da quella maledetta profezia, indipendentemente dal fatto che fosse vera o meno.

Ryan aveva finito gli allenamenti fisici, ed era tornato nella sua stanza. Entrò in bagno, mentre Gallade fluttuava dormiente a mezz’aria.
Tensione e stanchezza. La testa gli stava scoppiando.
La maglietta sudata volò via. L’avrebbe alzata dopo. Si fermò davanti allo specchio, mentre si guardava meglio.
I capelli biondi, arruffati, scarmigliati, scombinati, spettinati, sudati e chi più ne ha più ne metta avevano bisogno di una leggera sfoltita: stavano crescendo.
Mise una mano tra quei fili dorati, e li spostò tutti sulla destra, mostrando l’occhio sinistro.
Rosso.
Si era sempre chiesto come mai i suoi occhi fossero rossi, e sua padre ebbe la costanza ogni volta di rispondergli “genetica” senza spiegargli effettivamente cosa essa fosse.
Poi studiò, e guardò diverse foto. Sua madre aveva questo strano colore d’occhi.
Ed aveva dei capelli lunghi, molto gradevoli. Profumavano. Ricordava quando affondava il naso nei suoi capelli, e si addormentava.
Era piccolo, sua madre lo teneva in braccio e gli cantava quella tenera ninna nanna.
Abbassò lo sguardo al suo fisico. Una fitta schiera di addominali era ben ordinata sotto i pettorali sodi. L’allenamento aveva dato i suoi frutti, le sue braccia e le sue gambe si erano rinforzate, come ogni suo muscolo del resto.
Sentiva la necessità di lavarsi. Slacciò la cintura, e lasciò cadere pantaloni e boxer, rimanendo completamente nudo.
Aprì l’acqua, necessitava di calore, perché dopotutto era quasi Natale, e subito dalla doccia cominciò ad uscire parecchio vapore.
Tornò allo specchio, aspettando che il getto della doccia raggiungesse la giusta temperatura, e si fissò meglio.
Era decisamente cambiato. Da quel gracile ragazzo che era, ora era diventato muscoloso, ben piazzato.
“Barba...” disse tra sé e sé. Non si radeva da quattro giorni, e sottili spilli cominciavano ad uscire dal suo volto. Prese una lametta usa e getta, e senza utilizzare la schiuma grattò via quel principio di barba. Stava per mettere il dopobarba quando poi il rumore del getto d’acqua nello doccia lo persuase: lo avrebbe fatto dopo.
Lentamente mosse ossa e muscoli fino alla cabina doccia, e vi entrò, lasciandosi possedere dal calore dell’acqua. Ci voleva proprio. Quella accarezzava le sue linee dure, mentre nuvole di vapore si levavano verso il soffitto.
Abbassò la testa, l’acqua ci picchiava sopra. Ryan aveva voglia che quel getto lavasse tutti i suoi cattivi pensieri.
Dov’era? Che stava facendo lì?
Non sapeva nemmeno il motivo per cui lui stesse aiutando Lionell, quando poteva benissimo fare tutto da solo.
L’acqua scivolava generosa verso il suo petto, carezzava gli addominali e terminava cadendo lungo le gambe.
Forse non era poi così verso che poteva fare tutto da solo. Lionell gli aveva messo a disposizione persone, mezzi, Pokémon per riuscire ad eccellere in quella missione, e l’esito era sempre stato negativo.
Si stava convincendo che Zackary Recket avesse vinto Rachel, anche se lei era fuggita da entrambi.
Lei preferiva stare con Zack.
Lei non voleva più avere nulla a che fare con lui.
Fu quello il momento in cui le lacrime si mischiarono all’acqua della doccia, che purificava le sue carni, donandogli un po’ di caldo sollievo dalle spade dell’inverno.
Le lacrime erano solo il primo passo.
Si scoprì letteralmente a piangere, poggiato con la testa contro il muro, e le mani su, a proteggerla, ad evitare l’acqua, quel getto che voleva cancellare tutto e che irrimediabilmente portava nello scarico tutte le frustrazioni che stava piangendo.
Il vapore continuava ad aumentare.
Chiuse gli occhi, li riaprì. L’acqua creava un caleidoscopio di colori davanti il suo sguardo. Le mani riportarono tutto all’ordine iniziale, quando vide la porta della doccia aprirsi.
“Rachel...”
Quella sorrise, mentre il vapore la copriva quasi integralmente. La sua caviglia nuda si posò sul piatto della doccia, e le sue mani cercavano appoggio sulle braccia muscolose del ragazzo per non scivolare.
“Rachel...che ci fai qui?”
“Ryan”
Era nuda, ma poco gli importava. Ryan la portò sotto il getto con sé per poi stringerla. Sentiva i seni della ragazza compressi sul suo petto.
La cosa stava diventando un tantino strana.
In fondo Ryan sapeva che Rachel non fosse davvero sua sorella, ma comunque gli faceva strano trovarsela nuda davanti.
“Non lasciarmi” fece sinuosa e sensuale la ragazza.
“Come?”
“Non lasciarmi andare”
La ragazza aveva i capelli bagnati, legati sulla testa, e guardava in alto, in corrispondenza delle labbra di Ryan. Non si era mai reso conto di quanto quella fosse femminile. Di quanta carica erotica fosse piena la sua voce.
“Rachel...” qualcosa lo frenava. Lei non era lì, e lui lo sapeva. Quel corpo, quella voce, il suo odore, tutto quello non era reale.
Eppure sentiva i suoi occhi bruciargli la pelle, e le sue mani arpionargli le carni.
Alla fine, se la follia lo stava prendendo davvero, che male c’era nel farsi soggiogare in quel modo?
Avvicinò le labbra, lentamente, e partì un conto alla rovescia mentale prima che le sue labbra toccassero quelle della bella moretta.
Poi successe, e la strinse, facendola sua con un abbraccio.
“Ryan...” disse lei, una volta chiuso quel legame. Ancora una fastidiosa goccia davanti l’occhio, ancora un caleidoscopio di colori, e quando fece per pulirsi gli occhi, davanti Ryan aveva solo vapore.
Quello aguzzò la vista. La cabina era chiusa, l’acqua entrava normalmente nello scarico ed il vapore si era attaccato alle porta della doccia.
Lei non era lì.
“No!” urlò Ryan, battendo il pugno contro il muro, con forza.
Rachel non c’era. Rachel viveva un’altra vita, nella sua testa, dove giocava un ruolo che in realtà non avrebbe mai potuto giocare, in una commedia alla quale non si sarebbe mai presentata a fare il provino.
Eppure sentiva ancora le sue mani ancorate alle sue braccia, al suo petto, al suo collo.
Sentiva il suo profumo.
Il suo sapore sulle labbra.
Ryan chiuse l’acqua, grondante, ed uscì dalla cabina, asciugandosi con un asciugamano, avvolgendoselo successivamente attorno alla vita.
Infilò le ciabatte ed entrò nella stanza. Gallade era in piedi, e fissava Ryan con attenzione. Aveva captato le sue sensazioni, e non riusciva ad esprimere un giudizio.
Rachel era sua sorella.
No, non lo era. Ma avevano fatto finta che lo fosse per tanti anni.
Il gioco era durato per troppo tempo, tanto è vero che in quella recita ognuno si era adeguato al proprio personaggio.
Ryan diede un colpo di spugna a quella situazione, e si stese sul letto, aspettando che il sole di mezzogiorno gli asciugasse i capelli.
Davanti agli occhi riviveva confuso quelle scene, senza sapere se gli piacessero o se gli facessero ribrezzo, e proprio quando quella bellissima Rachel lo stava baciando, qualcuno bussò alla porta.
Senza neanche rispondere, Ryan si alzò, ed aprì la porta, con il torace nudo ed un asciugamano a dividere le sue intimità dal mondo esterno.
“Ryan...ti stavi lavando?” Marianne era lì. Non aveva la divisa, e gli faceva strano.
Non aveva mai notato avesse un seno così grande.
“No, sono appena uscito dalla doccia”
“Oh, allora ok”
“Entra”
Marianne indossava un maglioncino a collo alto ed un jeans, sopra ad un paio di sneakers.
“Come mai non hai la divisa?” chiese Ryan.
“Sto uscendo dall’Omega Center. Sto raggiungendo casa dei miei”
“Oh, mi fa piacere”
“Si, Lionell mi ha concesso un pomeriggio di permesso, devo andare a trovare mia madre. Intanto mi ha detto di darti queste”
Dalle tasche tirò fuori due Poké Ball.
“Uno è un Manectric...credo tu conosca il Pokémon”
“Certo” rispose Ryan, guardando le sfere, e poi le mani ben curate di Marianne.
“L’altro è un Tyranitar. Il Pokémon alto che hai richiesto”
Il pensiero di Ryan si proiettò al Pupitar di Rachel.
“Ti ringrazio, Marianne”
“Figurati...anzi...dovresti coprirti. Capisco che vuoi fare colpo sulle reclute mostrando il fisicaccio, ma non puoi permetterti di ammalarti. Dobbiamo cercare tua sorella”
“Non è mia sorella” rispose cupo lui.
Marianne distolse per un momento lo sguardo dallo sguardo sanguigno del ragazzo, perdendosi in quella griglia di addominali. Poi scosse il capo, lo salutò con un bacio sulla guancia e se ne andò sculettando.

Rachel era esausta ed era quasi sera quando arrivò a Solarea. Era andata quanto più a nord gli zoccoli di Wizard le permettessero di andare.
La silenziosa città era immersa in una luce dorata che dal Golfo Libero si spandeva per le colline innevate. Attorno a lei tutto era dorato e abbagliante. Un mondo che si sfumava in innumerevoli colori, ombre, illusioni e giochi di luce. Si avviò in città a piedi, permettendo al suo Pokémon esausto di riposare. Avrebbe evitato il centro medico. Non le dava sicurezza e in più non c’era motivo per soggiornarvi. Aveva qualche spiccio ed era in grado di pagarsi una pensione per la notte. Niente sacco a pelo o scomodità che non avrebbero causato altro che pensieri infausti nella sua mente. Passeggiava per le vie di quel posto sconosciuto, riprendendo le sue vecchie abitudini e lasciando uscire Zorua e Litwick dalle sfere.
Il piccolo Pokémon Candela le volteggiava attorno, giocando con i riflessi dell’acqua che affiancava il lungomare della città.
Era tutto così rilassante. Si sedette su una panchina. Non aveva mangiato nulla dal pranzo precedente, ma non aveva appetito. Sospirò, accarezzando ritmicamente il pelo di Zorua. Dopodiché, con una calma esasperante si rialzò, iniziando a cercarsi un alloggio per la nottata e un posto dove mangiare.
La mattina dopo avrebbe riflettuto nuovamente sul suo piano d’azione, ma per quella giornata poteva bastare.

Il sole di quel mattino splendeva forte su Solarea. Rachel si svegliò, salutando Zorua e Litwick, mentre il sole debole di dicembre baciava la sua carnagione candida.
Si alzò, e si levò il pigiama, decidendo di meritarsi una bella doccia. Si spogliò, aprendo l’acqua, e legò i capelli sulla testa.
Un brivido le attraversò il corpo nella sua intera quanto poca lunghezza, il freddo pungeva come tanti piccoli spilli.
Gli occhi azzurri riflettevano ansia e paura dallo specchio, mentre fissavano i riccioli che aveva vicino al collo. Le ricordavano l’infanzia, in qualche strano modo.
Pronunciò labbra, screpolate dal freddo, notando quanto piccolo fosse il suo viso. Il naso, soprattutto, era davvero minuscolo.
Se avesse dovuto salvare qualcosa di quel volto erano le sopracciglia. Perfette ali di gabbiano, e rideva a pensarci.
Poi entrò nella doccia, godendo del caldo piacere che le scivolava sulla pelle.
Il rimorso di aver abbandonato il progetto per salvare miliardi di persone la perseguitò per un po’, giusto il tempo di insaponarsi. In fondo credeva nelle capacità di Zack, e sapeva che, eventualmente quella profezia fosse risultata veritiera, lui avrebbe fatto il massimo, fino al compimento della missione.
Sospirò. Nonostante ce l’avesse a morte con lui, doveva ammettere che con i Pokémon era un mago.
La doccia finì, si asciugò ed uscì, rivestendosi.
Zorua era acciambellato sul cuscino, cercando di reperire quanto più calore possibile dal letto di Rachel. Litwick invece la vide e le si gettò addosso. Le regalò un sorriso.
Si avvicinò alla finestra, e si accorse con piacere che la neve non scendeva.
E fu allora che le venne quella malsana idea. Doveva lasciare Adamanta. Andare via. Magari a Sinnoh, o a Unima. Zack e Ryan l’avrebbero persa di vista, e lei avrebbe potuto incominciare una nuova vita, amando chi voleva, dicendo di essere chi voleva.
Doveva solo tornare a casa sua e farsi una valigia, insomma, qualcosa di più consistente di uno zaino con quattro magliette e due mutande buttate alla meno peggio.
Aveva bisogno di un cambio d’abiti.
“È il momento di andare” sospirò, facendo rientrare i suoi Pokémon nella sfera, e pagando il conto, per poi mettere piede nella piazza principale di Solarea.
Questa era a pochi metri dal porto, quattro panchine attorno ad una statua di Timoteo, con attorno circoli per vecchietti, un bar dalla cattiva nomea ed il circolo del libro di Solarea.
Poco distante dalla piazza c’era il porto. Lì, parecchie navi partivano per varie mete.
Il mare era una tavola celeste, arrabbiata ed impetuosa, e questo un po’ la frenava.
Cioè... non era molto amica del mare. Preferiva camminare piuttosto che nuotare. O volare.
Diciamo che l’avere qualcosa sotto i piedi la calmava.
Si avvicinò al botteghino del porto, dove abitualmente vendevano i biglietti per i traghetti e le navi. C’era un po’ di fila, molti dovevano attraversare semplicemente il Golfo Libero ed andare dall’altra parte, ad Edesea, altri ancora, come Rachel, abbandonare quella regione piena di errori e distrazioni umane.
Arrivò il suo turno. Una prorompente e pettoruta ragazza aveva l’occhio poco lucido, ed aspettava che Rachel dicesse ciò di cui avesse bisogno.
“Voglio partire”
“Dove vuole andare?” la voce era calma, quasi dormiente.
“Lontano. Un biglietto di sola andata per il posto più lontano che avete dove porta?”
“Groenlandia”
Rachel spalancò gli occhi. Già aveva abbastanza freddo così.
“Ehm... troppo lontano”
“Unima ti piace?”
“C’è di meglio, ma mi accontento”
“Quando deve partire?”
Rachel rifletté. Timea non era poi così distante, ed in groppa a Wizard non ci avrebbe messo più di un giorno. “Domani?”
“Perfetto. Il pagamento è anticipato, ed il biglietto è di sola andata... la MN Oceana partirà domani alle 9 del mattino al molo 43”
“Il viaggio quanto dura?”
“Quattro giorni. Unima è lontana”
“Immagino. Ok, grazie” Rachel pagò, e mise il biglietto nello zaino, in un posto sicuro, dove era sicura di non poterlo perdere.
Poi sospirò. Pestava gli ultimi passi sul suolo di Adamanta, e nonostante sapesse di dover rimanere lì, e lottare per il bene dell’umanità e di tutte le altre creature, voleva andare via. Adamanta era troppo piccola, l’avrebbero rintracciata subito.
Si guardò attorno, mentre capì di essere terribilmente affamata. Entrò nel bar, sorridendo a forza al barista. In quella città tutti sembravano essere stanchi e sfatti, come se il tempo li avesse logorati. Prese un paio di tramezzini, accorgendosi che aveva finito ufficialmente gli ultimi spiccioli rimasti. Non gli rimaneva null’altro che quello che aveva in quel momento.
E non valeva molto.
Mangiò subito un tramezzino, tenendone un altro per il viaggio. A Primaluce, una volta tornata a casa, avrebbe chiesto la gentilezza a Jacob, il ragazzo del supermercato, di lasciargli prendere delle provviste.
“Dirò che passerà Ryan a pagarle” sorrise malignamente lei. Nonostante fosse buona di natura, spesso si sorprendeva a pensare di rubare qualcosa che magari aveva davanti agli occhi.
Mise anche il tramezzino in borsa e cominciò ad avviarsi lungo il corso principale di Solarea, per raggiungere velocemente Primaluce. Sulle panchine del lungomare parecchie persone, anziani specialmente, cercavano baci ed attenzioni da un sole poco gentile, che stava sulle sue.
Poi si fermò a guardare il mare.
Era agitato, sì, e le faceva paura. Ma diamine quanto era bello e romantico.
Tutto andava avanti, e poi tornava indietro, mentre a largo le onde si cullavano tra di loro, accelerando nel momento opportuno, per poi infrangersi contro le mura dei moli del porto e contro le chiglie delle navi.
Il vento, ricco di aria salubre, portava al naso odori speciali, che chi viveva lì stentava a riconoscere, ormai assuefatto da quello e dalla brezza, che le spettinava i capelli. Il giubbino le si strinse addosso, e qualche goccia di mare le baciò il viso.
Proprio alle sue spalle c’erano antichi palazzi.
“Deve essere fantastico vivere qui...” disse tra sé e sé, quando poi vide quelle costruzioni disintegrarsi lentamente dal basso, ed infrangersi come bicchieri di plastica schiacciati con la mano.
Le urla della gente, tra feriti e semplici impauriti, riuscirono per un momento a coprire il sussurro del mare, che intanto si infrangeva sempre più violento contro le navi.
La marea cominciava ad alzarsi.
Un altro terremoto.
Pareva che Arceus, Groudon o qualunque cosa provocasse quei terremoti la stesse perseguitando. Il suo primo impulso fu quello di mettersi sul dorso di Zebstrika ed allontanarsi celermente da lì, facendo finta che nulla sia successo.
Poi ragionò velocemente.
L’indomani, con la città in quelle condizioni, la MN Oceana sarebbe potuta partire?
Sospirò, cercandola tra i moli. Non la vedeva.
“Allora partirà. Non c’è, e non avrà subito danni”
Il mare cominciava ad accorciarsi, a ritirarsi, e parecchi Krabby e Magikarp comparvero sul fondale ricco di conchiglie e qualche Clamperl.
Stava per mettere mano alla Poké Ball di Zebstrika, quando poi la sua coscienza gli mise una mano sulla spalla.
Stava per abbandonare quelle povere persone in difficoltà, e la maggior parte di loro erano tutti anziani.
Doveva aiutarli. Almeno accertarsi che non ci fosse nessuno tra le macerie.
Sospirò, arrabbiata con sé stessa dopo essersi resa conto di essere troppo puntigliosa su quelle cose, e corse verso le macerie.
“Pokémon! Aiutatemi!” urlò Rachel, facendo uscire Zebstrika, Pupitar, Zorua e Litwick. Anche se non potevano fare granché, ogni aiuto in quel momento poteva risultare essenziale per la vita di qualche povero sventurato sotto qualche pezzo di pilastro o fila di mattoni e cemento.
Rachel si gettò a capofitto in quel caos di fumo, acqua e mattoni, prendendo a scavare a mani nude.
Cercava di sentire le voci di aiuto di qualcuno che cercasse soccorso, ma il mormorio del mare e quello meno nascosto della gente impaurita tutta attorno a sé la distraeva, e cercava quindi di farsi spazio tra le macerie a mani nude, molto lentamente.
“Così non ci riuscirai mai” la disturbò una voce femminile.
“Almeno ci sto provando” Rachel rispose sgarbatamente, fermandosi e girandosi.

Una ragazza magra, dal fisico atletico e dai capelli castani, mossi, con qualche colpo di sole qua e là, sostava in piedi. Aveva in mano un elastico per capelli, probabilmente prima che il terremoto colpisse si stava sistemando la coda.
Indossava una tuta nera, di quelle strette per fare jogging, scarpe bianche per il medesimo uso ed un top bianco. Con quel freddo.
Era straordinariamente bella. E forse un po’ incosciente.
“Calmati...” fece tranquilla quella, aprendo il borsello che aveva a tracollo. Ne cacciò cinque sfere, e le lanciò.
Fuori quattro Pokémon massicci e possenti. Un Rhydon, un Seismitoad un Exploud ed un Electivire prendevano con forza i pezzi di calcinacci e cemento persi alla rinfusa sul lungomare della città.
“Aiuto!” sentì Rachel. Proveniva da sotto le macerie. Si allarmò, e corse a scavare, mentre le sue mani chiedevano pietà. Anche la bella ragazza sprezzante della temperatura la raggiunse, ed insieme presero a scavare, e tirarono fuori un uomo ferito, con la testa rotta in vari punti ed il naso fratturato, oltre ad altre dozzine di ossa.
Pochi minuti dopo i soccorsi stavano accorrendo con pale e picconi, mentre ambulanze e pompieri avevano riempito la zona. Rachel sospirò, aveva fatto il suo dovere, e fece entrare nelle sfere i suoi Pokémon.
Fece per andarsene quando una mano le strinse la spalla.
“Hey...”
Era ancora la ragazza.
“Ah... sei tu. Che c’è?”
“Volevo presentarmi... mi chiamo Milla”
“Milla? Mi sembra di averti già vista, sai?”
“Sono una capopalestra, infatti. Volevo ringraziarti per il tuo aiuto... questi terremoti sono terribili”
“Un momento... tu sei Milla, la capopalestra di Miracielo... che ci fai qui a Solarea?”
“Ero qui di passaggio... stavo correndo”
“Mica avrai cominciato a correre da Miracielo?!”. Non erano propriamente vicine.
“No, tranquilla” sorrise lei.
Questo spiegava molte cose. Milla era una maestra della concentrazione, e niente poteva scalfire il suo autocontrollo. Nemmeno il freddo o la stanchezza.
“Fortuna che mi trovavo a passare qui...” sorrise la giovane. Rachel le sorrise, chiedendosi perché la bellezza non fosse stata equamente distribuita a tutti
“Mi sa che non abbiamo ancora finito...” la voce rude e forte di un uomo interrusse i pensieri di Rachel.
Milla e Rachel si girarono, vedendo uomo, sulla cinquantina, con le mani nelle tasche.
“Ah... Rupert...” Milla sembrava lo conoscesse. “Sei accorso inutilmente. Fortunatamente ero io qui”
“No, Milla... non abbiamo finito, te lo ripeto”
Rachel fissava quell’uomo, rimanendone affascinata. Nonostante fosse di molto più grande di lei, trovava fosse davvero bello. I capelli bianchi, pettinati ed ordinati sulla testa, erano dello stesso colore della barba, ispida, sul suo volto. Una polo a stento riusciva a contenere il fisico allenato di quello, e Rachel rimase a fissare per più di dieci secondi gli ampi bicipiti di quello.
“Che succede, Rupert?”
“Succede che il mare si è ritirato”
“Si è ritirato... bassa marea, no?” Milla osservava la spiaggia ed i Pokémon sul bagnasciuga, ora più vasto che mai.
“No. Almeno non dopo un terremoto. L’acqua si è ritirata”
“Si è ritirata?” domandò Rachel.
“Si... l’epicentro del terremoto è stato individuato a pochi chilometri dalle rive di Edesea”
“...è un maremoto?” chiese ancora, la giovane.
Milla annuì. “L’acqua si è ritirata per poi ritornare. Solarea sarà colpita da un’onda gigantesca”
Rupert guardava il volto contrito di Rachel, quindi sorrise.
“Non ti spaventare, ragazzina... è per questo che l’Associazione della Lega Pokémon ha voluto che i capipalestra intervenissero”
E nonostante questo la tensione continuava a salire. Non avrebbe mai fatto in tempo ad allontanarsi da Solarea senza essere maciullata da ciò che le onde avrebbero trascinato nella loro cavalcata.
Milla si voltò di scatto. “Eh?!”
“Si. Non ti è arrivato il messaggio?”
“Io veramente mi trovavo qui per combinazione”
Rachel stava connettendo lentamente tutte le giunture di quel discorso. “...quindi, Milla è la capopalestra di Miracielo... e tu? Anche tu sei un capopalestra?”
Rupert la guardò, con i suoi occhi azzurri, e le sorrise, facendola sciogliere.
“Si, angelo. Sono il capopalestra di Edesea”
“Oh... bella città” fece lei, con gli occhi a cuoricino.
“Non è il momento per le adulazioni, Rachel... dobbiamo prepararci” fece Milla.
“Dobbiamo?! Ma sei impazzita?!”
“Non è difficile. Hai dei Pokémon e tanta forza di volontà”
Rachel guardava Milla confusa. Quella si spiegò.
“Ti ho visto che stavi per andare via. Invece sei tornata, ed hai fatto ciò che era giusto. Tu sei buona. Non puoi abbandonare Solarea in questo momento”
Le parole della ragazza la toccarono nel profondo. Allora Rachel sorrise leggermente, ed annuì. “Ok. Lo faccio”
Rupert sorrise, e le fece un piccolo applauso, cosa che lenì di poco quel macigno che stava crescendo nel suo stomaco.
Milla si avvicinò all’uomo, e guardò il mare. In lontananza non riuscivano ancora a scorgere nulla.
“Chi altro verrà?” chiese seria.
“Robbie non c’è. La sua palestra è chiusa da mesi. Rimane Trevor. Ah, e tua sorella Stella”
“Figurati se si degnerà di presentarsi...”
“Mi sa che non fosse nemmeno qui ad Adamanta”
“Che capipalestra incoscienti... non riescono a fare un lavoro così semplice”
“Ovvero?”
“Stare seduti ed aspettare qualcuno che venga a sfidarli”
Rupert sorrise, mentre guardava Rachel che quasi tremava.
“Ragazza... ho detto che puoi stare calma”
“Non aver paura” aggiunse Milla.
“Sei con noi. Non preoccuparti di nulla. Inoltre ai capipalestra interessa di preservare il territorio di...” il telefono squillò, interrompendo Rupert. Quello lo prese e rispose.
“Pronto...”
Milla guardava l’orizzonte sospirando. Il sole era stata improvvisamente coperto dalle nuvole, ed il vento cominciò a salire velocemente. I capelli assecondarono tutti il soffio di quello, mentre lo sguardo gli andava incontro, lottandoci.
“Cosa... cos’è quello?” chiese Rachel, confusa, vedendo una sagoma scura nel cielo avvicinarsi sempre di più.
Rupert  attaccò al telefono. “Era Trevor... dice che si trova ad Hoenn. Ha parlato con Stella, brevemente, ed anche lei sembra essere lì”
“Uhm... siamo solo noi tre?” chiese Milla.
“A quanto pare”
Ed intanto il vento aumentò vorticosamente, fino a che la sagoma nera nel cielo fu ben distinguibile.
“È un... Pidgeot” disse Rachel, confusa.
“Oh... c’è Kendrick” sorrise Milla.
“E chi è?”
"È uno dei Superquattro, Rachel” rispose Rupert.
Il Pidgeot sbatteva più velocemente le ali quanto più arrivava verso il terreno, alzando parecchia polvere. Il tipo aveva una maschera nera, tutt’un pezzo, ed i capelli a spazzola. Scese poi dal Pokémon dalle lunghe piume gialle con un balzo veloce.
Rachel lo fissò meglio. Era elegantissimo.
Aveva un lungo soprabito nero, caldo, ed un paio di scarpe dello stesso colore, laccate.
“Ciao Kendrick” fece Rupert.
Quello fece un cenno con la testa, quindi guardarono tutti dritti verso il mare.
Il mare si stava avvicinando.


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