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18° Capitolo

Buonasera a tutti, ecco a voi un nuovo capitolo dell'avventura di Back to the Origins! Ricordo come sempre di visitare la pagina Pokémon Adventures ITA, dove potrete trovare le scan dell'omonimo manga! Vi ricordo anche del nostro profilo su EFP, dove man mano verrà ricostruita l'avventura. In ogni caso, stasera potrete leggere il 18° Capitolo, per cui non mi dilungo oltre e vi auguro buona lettura!



L’orologio segnava chiaramente che erano le sette del mattino. Rachel aveva dormito quasi tutto il tempo, se si tolgono quei piccoli istanti in cui si risvegliava e si riaddormentava.
Alla fine, il riposo quella mattina era stato quasi nullo. Si sentiva stanca, sfibrata, e soprattutto delusa da quella situazione.
Zack l’aveva persa. Come se fosse una semplice posta in palio di una scommessa.
E non si era degnato di combattere per riaverla.
“...no ...non è andata così”. Lei lo sapeva, e se lo ripeteva. Zack aveva sicuramente fatto il massimo per non perderla.
Si impose di smettere di pensare al peggio riguardo Zack, e di farsi forza.
Doveva seguire Lionell, quello che si era presentato in quello stravagante modo (ciaosonotuopadrepuoichiamarmipapàanchesenoncisiamomaivisti) e cercare di fermare quella brutta situazione.
Aveva sentito che anche Kyogre si era svegliato. Non era per niente una buona cosa.
Ora sarebbe ricominciata una battaglia di incredibile ferocia, ad Hoenn. Sperava che non mietessero troppe vittime, quei due.
Le sembrava incredibile quanta potenza potessero sprigionare i Pokémon.
Se questi avessero avuto dei tratti prettamente umani, come l’ambizione e la vendetta sarebbe stata la fine.
Lo smoderato senso di potere che deriva da queste caratteristiche, porta gli uomini ad abbeverarsi dalle peggiori acque che esistono. Essi smettono di calcare le strade del bene e dell’altruismo, del vivere in comunità che ha spinto l’uomo a diventare sedentario, per la realizzazione personale, che al giorno d’oggi viene vista come obiettivo da perseguire con ogni mezzo ed a qualsiasi costo.
Gli uomini sono essere impotenti, che più di calci e pugni non riescono a dare.
I Pokémon invece hanno poteri straordinari. Se Groudon, per esempio, o Kyogre, avesse voluto controllare il mondo, non avrebbe avuto difficoltà a togliere di mezzo i suoi nemici. Eruzioni vulcaniche e terremoti, nemici naturali degli inutili uomini, capaci solo di trastullarsi nelle comodità.
Ad un certo punto Rachel capì Arceus, e se non fosse coinvolta lei stessa, ed i suoi cari, all’interno di quella profezia maledetta, avrebbe lasciato fare. L’umanità aveva bisogno di una bella pulita.
Si alzò dal letto, continuando a rimuginare sulla questione e riflettendoci capì che gli uomini che sfruttava i poteri dei Pokémon potevano essere cattivi.
Quindi non c’era nessun vantaggio nel fatto che gli esseri umani non avessero forze superiori, in quanto capaci di sfruttare quelle dei propri Pokémon.
“Basta seghe mentali...”
Si spogliò, ed entrò nella doccia. L’acqua calda era confortevole, e sembrava levarle da dosso tutta l’angoscia che si era portata in quelle ore addosso.
Voleva Zack. Voleva lui accanto, voleva stringerlo, voleva baciarlo ancora, e farci l’amore.
Le immagini di quella notte gli passarono davanti agli occhi veloci come un treno in corsa. Avrebbe voluto saltarci sopra, su quel treno, prendere il mezzo che la portasse sui binari dei ricordi, e perdersi in quel posto dove tutto ciò che accade è già accaduto.
Sì, magari per poter cambiare qualcosa. Magari non avrebbe lasciato combattere Zack in quella sfida, magari sarebbe andata direttamente a Sinnoh, per catturare Dialga.
Poi si chiese come avrebbe fatto, lei, a catturare Dialga.
“Sono una semplice ragazzina...” si disse, frastornata dal rumore dell’acqua.
Una semplice ragazzina con un potere speciale. Una semplice ragazzina che poteva parlare con Arceus.
Ok, non era una semplice ragazzina. Ma non sarebbe mai riuscita a catturare Dialga.
Nel suo cervello succedevano cose del genere, prima che fosse uscita da quella doccia buia e calda, e che si infilasse un asciugamano attorno al corpo. I capelli ancora bagnati, lo specchio di nuovo pieno di condensa.
Casa di Alma, ricordava bene una situazione analoga. Stesso sconforto, ma minore peso addosso.
Sentì bussare alla porta, i suoi piccoli piedi calpestarono il pavimento della sua stanza, per poi aprire leggermente la porta, giusto per vedere chi fosse.
“Hey... posso?”
“Ryan”
“Come stai?” chiese quello, guardando la ragazza da quel piccolo spiraglio tra la porta ed il muro.
“Non molto bene”
“Posso fare qualcosa?”
“No. Non puoi fare molto”
“Posso entrare?”
“Sono nuda. Mi sto vestendo”
“Oh... ok. Allora mi raggiungi tu dopo?”
“Non credo di avere voglia di parlarti, Ryan”
Quello portò le mani ai fianchi ed abbassò il volto, sospirando. “Sei ancora arrabbiata con me?!”
“Si, Ryan. Sono ancora arrabbiata con te”
Quindi Rachel sbatté la porta, e chiuse a chiave.
Mentre Ryan si vide costretto ad andare via, lei decise di passare un po’ di tempo con sé stessa, cercando di riuscire a capire qualcosa.
Non che avesse molte speranze di riuscirci...

Ryan tornò ad ampie falcate verso la sua stanza. La tensione e l’ansia in lui stavano crescendo veloce, pareva quasi che un diavolo si fosse impossessato di lui.
La rabbia saliva, la voglia di rompere tutto cresceva.
Percorreva il corridoio, quel corridoio vuoto e freddo, illuminato dai neon bianchi, ed ogni passo rimbombava come fossero nella valle dell’eco, forte, ritornava all’orecchio, quasi per ricordargli di non smettere di camminare, di continuare.
I passai sempre più veloci, iniziò praticamente a correre, arrabbiato con sé stesso e con il mondo, quando arrivò davanti ad una porta e la spalancò.
Era la zona allenamento.
Zona allenamento che a quell’ora era naturalmente vuota.
Si levò la giacca della divisa e la maglietta, e a petto nudo iniziò a boxare contro il sacco.
“No!” urlava, mentre colpiva freneticamente il sacco a mani nude. Il dolore imperversava dalle sue mani alla sua schiena, lasciava tracce di sangue sul suo avversario, che inerme incassava tutti i colpi e le maledizioni che gli lanciava quello.
Gli occhi erano rossi e spiritati, qualche venuzza si intravedeva qua e là attorno all’iride, mentre stringeva i denti così forte al punto da temere che si spezzassero.
Nella sua testa c’era lo sguardo di Rachel. Il disprezzo nei suoi occhi e tanta, ma tanta voglia di non essere in quella situazione. E nonostante non avessero questa parentela stretta, si ripeteva di averla sempre trattata come una sorella, e di averla amata in quanto tale.
Dopo la morte dei genitori aveva provveduto a farla crescere, e la stava addestrando per la partenza con Zorua ed i Pokémon.
Se solo non avesse letto quella dannatissima lettera.
Se solo non avesse incontrato quello stronzo. Zackary Recket. Il sacco aveva la sua faccia, il suo sorriso, il suo corpo, ed in quel momento lo stava colpendo giusto in volto.
Le parole della ragazza, poi, non gli lasciavano scampo. Se n’era innamorata, e nulla avrebbe potuto fare in modo che Zack uscisse dalla sua vita, per riportare Rachel in quella casa ormai sgangherata per via dei terremoti, e tornare a vivere la loro semplice e morigerata vita di orfani.
Sempre l’uno accanto all’altro.
Zackary Recket. Era stato lui.
Colpiva il sacco, ancora, e ancora ed ancora. Nulla lo placava, nemmeno il pensiero che ora sua sorella non vagasse più in giro per la regione, in balia di ogni pericolo.
Ora era in una stanza di quel corridoio polveroso, vuoto e freddo, ma c’era una porta a dividerli. Una porta che Rachel non voleva aprire.
“Stronzo!”
I colpi stavano ormai facendo male, e le nocche erano spaccate da ben cinque minuti, ma gli occhi di Ryan erano chiusi, e non avevano intenzione di aprirsi.
“Ryan...”
Marianne era entrata lì, ancora in pigiama. I capelli ricci erano spettinati e senza un senso compiuto. Gli occhi piccoli, le labbra gonfie per il sonno ed i seni che prepotenti erano velati unicamente dalla camicetta da notte.
La ragazza gli andò vicino, e gli afferrò la mano.
Immediatamente Ryan si fermò.
Quella alzò gli occhi e guardò il ragazzo, poi tornò alla mano. Insanguinata, immobile, dolorante.
Marianne portò ancora lo sguardo agli occhi di Ryan, pieni di rabbia omicida, mentre ansimava pesantemente per lo sforzo a freddo.
Successivamente i suoi occhi verdi furono riempiti dalla vista del sacco insanguinato e ammaccato dalle botte del ragazzo.
Ryan e Marianne si guardarono ancora, ma stavolta gli occhi del ragazzo erano pieni di lacrime, e tutta la sua verve sembrò essere scomparsa, tanto che le energie lo abbandonarono e lui svenne, senza forze.

Gli occhi del ragazzo si riaprirono lentamente. Il solito faro bianco ad accecare gli occhi del ragazzo.
“Che...” i dubbi nella testa di Ryan si moltiplicavano come virus mentre cercava di capire dove fosse e se fosse ancora vivo. Quei fari bianchi lo avvicinavano molto all’idea di paradiso che si era creato. Almeno, pensò, avrebbe conosciuto Arceus.
“Ryan... ti sei svegliato, finalmente” Linda era li davanti, sorridente. Marianne accanto a lei, il volto stanco e apprensivo, mentre cercava di riprendersi da quel forte shock.
Il ragazzo si alzò, e passò da steso a seduto, molto lentamente. O almeno ci provò, in quanto le forze lo avevano abbandonato.
“Dove... dove sono?” si chiese.
“Siamo in viaggio, Ryan. Siamo sul boeing privato di Lionell” rispose Linda.
“E Rachel? Dov’è Rachel?”
“Rachel è nella stanza accanto, con Lionell. Stanno parlando”
“Io... io devo parlarle... devo scusarmi”
“Devi scusarti per cosa?” chiese Marianne, fermandolo sul letto. Le mani tastavano il petto riluttante di quello, che, senza forze, non riusciva ad opporre la resistenza necessaria all’alzarsi.
“Sono stanco...” fece lui.
“Lo so. Dormi da sei ore” disse Linda.
Ryan la guardò. Era molto rilassata, pareva l’opposto di Marianne in tutto e per tutto.
Indossava la divisa dell’Omega Group, che le stava davvero aderente sui fianchi e sui seni, ed enfatizzava nel ragazzo tutti i pensieri eticamente non corretti ma che ogni uomo dall’età della pubertà fa su di una donna a lui gradita.
E nonostante avesse già allontanato quella donna attraente e dallo sguardo ammiccante, non avrebbe disdegnato nel dare uno sguardo a quello che quella stretta tuta copriva.
“Riposati. Domani saremo a Sinnoh” disse Marianne. La premurosa Marianne. Non se n’era accorto, lui, gli teneva la mano, gliela stringeva, quasi per fargli sentire la presenza di qualcuno accanto.
Linda guardò la mano di Ryan stretta a quella di Marianne, ed inarcò un sopracciglio. Poi voltò le spalle ed uscì fuori da quella stanza, sbattendo la porta.
“Ti mangia con gli occhi”
“Lo so” sorrise Ryan, dolorante e stanco per via del riposo forzato.
“Accanto a te però vedo una donna buona. Quella ha tutta l’aria di volerti controllare”
Ed intanto il modo di fare della ragazza avvenute ore prima continuavano a vorticare nella testa del ragazzo. “Già...”
“Ad ogni modo ora pensiamo ad Arceus. Dobbiamo far finire questo pandemonio”
“Già”
“Sinnoh è bellissima”
“Già”
“La nostra meta è il Monte Corona”
“Già”
“Lì troveremo Dialga... e non rispondermi ancora in quel modo, mi stai facendo innervosire”
“Voglio andare da Rachel” fece lui, cercando di alzarsi, ma fu spinto ancora verso il lettino dalla fortissima mano d’incudine di Marianne. Pareva fosse in una pressa, e che tutti gli sforzi che facesse risultassero nulli.
“Devi riposare. Più tardi Rachel verrà di qua. Non costringermi a legarti al lettino”
“In quel caso fai entrare Linda” sorrise sfrontato Ryan.
“Non penso ti convenga... comunque ora riposa. Io vado di là. Per qualunque cosa chiamami ed io ci sarò”
“Grazie Marianne”

Il pomeriggio passò così velocemente che il sole cadde oltre l’orizzonte come se la gravità lo avesse attirato nelle profondità del mare.
Nonostante ciò, nella stanza di Zack e Mia, era sempre buio.
La fame ed il sonno avevano lentamente rosicchiato la volontà del ragazzo, che ora era riverso sul pavimento, come un bicchiere d’acqua rovesciato.
Mia accanto a lui, gli teneva la mano, impaurita, ma sveglia. Tenere Zack accanto la rassicurava molto, ma se lui dormiva, lei non riusciva ad emularlo. Si sentiva in dovere di badare al buio che avevano intorno.
Come se qualcosa fosse potuto cambiare.
Purtroppo per lei, i litri di lacrime versate non servivano a niente. Aveva sete, e la scorta d’acqua era finita.
Aveva perso la cognizione del tempo. Qualche ora prima era abbastanza sicura fossero le quattro del pomeriggio.
Qualche passo che rimbombava nel corridoio, di tanto in tanto, li ridestava dal loro torpore, come se fossero attaccati alla lenza, tirati fuori e poi rilanciati più lontano.
La voglia di uscire da lì era diventata troppa.
“Mia...” disse Zack, con la voce compressa, mentre si raddrizzava sul pavimento. Era avvitato per terra, con le gambe in una direzione ed il torace in un’altra.
“Zack...”
“Come stai?”
“Ho sete. E sonno”
“Dormi. Tra un po’ verranno a portarci il pasto... spero”
“E se non vengono?”
“Verranno. Verranno sicuramente. Rachel non ci farà morire”
“È stata Rachel a metterci qui dentro?”
“No, non è stata lei. Tranquilla”
“Ho sete, Zack”
“Tra un po’ verranno”
“Ho sete. Ho tanta sete”
“Non pensarci”
“Ed ho sonno”
“Dormi pure. Sono qui accanto a te”
“Dobbiamo uscire da qui”
“Lo so... e lo faremo”

Rachel aprì la porta della stanza dove Ryan riposava. Non era molto grande, era l’infermeria. Non c’era nessuno, tranne che un addetto che pareva dormire da parecchio tempo, steso su di un divanetto. Ormai la sera era scesa, e lei aveva preso il coraggio a due mani per porlo al centro del suo petto.
Rachel Cuordileone era ora riluttante ad avvicinarsi al lettino di quello che un tempo disegnava con orgoglio come suo fratello, in quei disegni senza un perché, su ogni membro della famiglia.
Sorrise, pensò che disegnasse davvero bene. Ma ora non era importante.
Ora voleva capire come stesse Ryan.
La ragazza con le tette grosse ed i fianchi generosi era silenziosa, pareva guardasse in cagnesco la mulatta riccia, che parlava con Lionell in maniera entusiastica del sarcasmo utilizzato da Ryan durante la prima conversazione dopo lo svenimento.
Per Lionell era importante che Ryan partecipasse all’operazione, perciò non rimase nella base dell’Omega Group. Era vitale che un allenatore del suo calibro partecipasse dalla sua parte in quel contesto.
Non sapeva chi si sarebbe trovato di fronte, e contare su Ryan era un grosso vantaggio.
Rachel avanzava lentamente in quella cabina stretta e buia, illuminata da qualche freddo neon bianco qua e là, lasciando in penombra il paziente.
La ragazza si avvicinò così tanto da riuscire a vedergli il volto. Gli occhi erano aperti, fissavano il cielo fuori dai finestrini, e le nuvole, ora solo striature nere in lontananza, donavano un po’ di vivacità alla tavola opaca che era la notte.
Quella notte.
A Rachel faceva sempre un po’ impressione guardare gli occhi di Ryan. Soprattutto quando non se lo aspettava, per lei era difficile non sobbalzare. Non era abituata agli occhi rossi.
Nessuno aveva gli occhi rossi nella vita reale. Twilight era solo un film, ed un libro di successo.
E mentre rimuginava sulle questioni più sciocche che riuscisse a trovare, Rachel vide la testa del ragazzo muoversi. Voltarsi verso di lui.
Ryan sorrise dolcemente.
“Sei venuta... volevo parlarti”
“Ciao. Come stai?”
“Stanco. Ho sonno”
“Hai avuto una brutta crisi di nervi. O un esaurimento nervoso. Insomma, devi rilassarti”
Ryan sorrise. “Ci proverò”
“Riprenditi. Ero venuta a vedere come stavi”
“Sto bene, sto bene, tranquilla. Quello che volevo, te lo ripeto, era parlarti”
“Di che volevi parlarmi?”
“Mi spiace per tutta questa situazione... questa strana situazione. Ora so che tu mi vedi come un mostro, e forse ho sbagliato a non dirti tutta la verità fin dall’inizio, ma la verità è che per me, dirti che non eri mia sorella era come mentire a me stesso. Perché anche se non sei mia sorella, io ti ho sempre vista come tale, e mai finirò di farlo. Sei la persona con cui sono cresciuto, quella che conosce tutti i miei segreti, quella con cui sognavo di partire, per diventare un allenatore. E se sono rimasto a casa, dopo la morte di mamma e papà, è solo perché c’eri tu, che avevi bisogno di qualcuno accanto...” terminò con un attimo di dolcezza quello.
Rachel lo fissava con gli occhi languidi.
“No, Ryan... non funziona così...”
“Rachel, mettiamo la parola fine a questi sproloqui inutili. Smettiamola davvero. Voglio solo stare bene con te e tornare a casa nostra”
“Io voglio che tu sappia che i sacrifici che tu hai fatto per me sono importanti. Voglio che tu sappia che non lo do per scontato. Mi hai praticamente cresciuta, quando mamma e papà sono andati via. Ma per me è un dolore troppo grande. Ed il sapere che Lionell è il mio vero padre non mi ha dato sicurezze”
“Come mai dici questo?”
“Perché è uno sconosciuto per me. E mi ha messo alle calcagna persone alquanto ambigue”
“Eh?!”
“Cioè... non capisco perché agiate come un’agenzia segreta quando poi alla fine siete una società privata. Ma questo è insignificante rispetto all’interrogativo principale: perché rapite le persone?”
“Io non lo so, e personalmente non mi interessa. Voglio solo che tu sappia che io e te, una volta finita questa situazione, torneremo a vivere come prima”
“Ryan... io voglio stare con Zack. Voglio viaggiare con lui, andare via. Io lo amo”
“Non sai quanto mi feriscano queste parole”
“Riposa ora... credo sia meglio”
Rachel carezzò la guancia del ragazzo, sapendo che forse non avrebbe dovuto farlo, unicamente per non dare troppo peso ad un gesto che in un altro contesto sarebbe davvero stato un messaggio di chiarimento e riappacificazione, e poi andò via.
Ryan sentì la porta chiudersi, e pensò alle parole di Rachel.
Zack. Io lo amo. Lei amava Zack.
E lui sembrava quasi un pretendente geloso.

Gli occhi rimanevano chiusi. Tanto, nel buio che cosa avrebbero potuto vedere? L’unica cosa che manteneva Mia e Zack ancora nel mondo reale erano i loro respiri.
Zack sentiva quello di Mia, Mia quello di Zack, ed entrambi si facevano forza mentre la fame li attanagliava e rubava tutte le energie necessarie a vivere.
“Mia...”
“...”
“Mia... ci sei?”
“...sì...”
“Come stai?”
“Male...”
Zack la strinse di più al suo petto, con le poche energie rimaste, e le baciò la testa, per tranquillizzarla. Quella posò il volto sul braccio del ragazzo, che pochi minuti dopo si bagnò delle lacrime cristalline di quella.
Zack le sentì, quasi come se facessero rumore, se ne accorse, pareva fossero luminose, scintillavano per quanto fossero preziose.
E nel buio della stanza e della sua mente l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che Mia non meritava nulla di quella situazione.
La sua gentilezza, la sua benevolenza, erano state mal ripagate dal destino, che ora se n’era approfittato in malo modo, e la teneva rinchiusa in quella stanza, stretta tra due braccia amiche, che necessitavano due braccia amiche a loro volta.
Zack cercava di fare forza a Mia, ma in realtà era un muro di foglie. Era tutta facciata. Voleva donare sicurezza a quella ragazza fragile e ferita, ma se qualcuno avesse provato a buttarlo a terra si sarebbe infranto in mille pezzi come un vecchio specchio polveroso.
Poi il cigolio di una porta, probabilmente quella del corridoio, li fece sobbalzare.
“Si mangia...” sorrise Mia.
“Ho pregato Arceus perché succedesse”
“Zack... dobbiamo riuscire ad andare via”
“Hai ragione”

Tre membri del Team Omega erano pronti a servire il pasto ai due prigionieri.
Erano in tre, perché anche senza forze, quei due avrebbero potuto crear danni.
E a Lionell i danni non piacevano. Meglio evitare i danni. Quel lavoro era ben pagato, e a loro piaceva fare quello che facevano. Loro salvavano il mondo, anche se usavano metodi poco ortodossi.
Uno di loro portava due bottiglie d’acqua. Queste erano state in frigorifero tutta la giornata, ed anche col freddo dicembrino Mia e Zack si sarebbero accontentati della temperatura. Questo tipo era molto magro, lungo, naso grande, occhi piccoli, capelli rasati e sorriso arcigno.
Guardava quello che portava il vassoio con la cena dei due. Quello era invece tutto il contrario dell’altro. Basso, tarchiato, con i capelli lunghi alle spalle e la barba incolta, nera. Gli occhi verdi, il naso piccolo e la fronte perennemente sudata. Davanti a loro c’era il responsabile di quell’operazione giornaliera, ovvero il tenente Magnus. Era un armadio a quattro ante, bandana in testa, volto granitico che filtrava ogni emozione e la traduceva in rabbia.
Uno di quei tipi che ad incontrarlo per strada ti fa cambiare direzione.
Camminavano, i loro stivali schioccavano all’unisono sul pavimento traslucido della base.
“Siamo arrivati” disse il secco. Magnus bussò, poi infilò la chiave nella serratura e lasciò che il secco ed il corto entrassero a dare rifocillamento ai due prigionieri.

Non appena il primo entrò, quello con l’acqua, Zack, nascosto dietro di lui, accanto alla parete, prese la sedia sulla quale era legata Mia, e gliela sbatté in testa. Gli occhi di Mia si accesero in un lampo, non appena videro il corto ed il tenente Magnus accendere la luce per analizzare la situazione.
Magnus vide i due prigionieri stropicciarsi gli occhi per via della luce, che il tenente accese tramite un telecomando che aveva in mano. Poi c’era Arnold, il secco, per terra, con la testa aperta ed il sangue che fuoriusciva, esanime.
“Che cazzo succede qui?!”
Zack aprì gli occhi, e maledisse il momento in cui gli avevano levato le Poké Ball. In quella situazione Growlithe gli sarebbe stato veramente d’aiuto.
Mia sembrava spaesata, Zack si mosse lentamente, con sempre la sedia fra le mani, andando a farle da scudo.
Quella gli toccava le braccia, un modo per capire che aveva lui davanti, e che era protetta, al sicuro. La cosa non la rassicurava tanto, però. Infatti Zack a stento riusciva a stare in piedi.
E siccome l’effetto spinaci \ braccio di ferro non esiste, non avrebbe neanche potuto ingoiare un po’ di cibo, per poi sentirsi più forte.
Zack aveva sonno.
Mia era impaurita ed era stanca. E quello strano uomo alto come due persone si avvicinava minaccioso.
Zack stringeva forte la sedia. Aveva paura. Sapeva che anche se avesse colpito quel tizio più di una volta avrebbe solo rotto la sedia, mentre quello lo avrebbe preso e malmenato ripetutamente.
Se non ammazzato.
Si guardò attorno. Nulla. Il nulla più assoluto. C’era solo mia alle sue spalle, non poteva utilizzare nulla come arma ed in più c’era il tizio corto e chiatto vicino alla porta, che avrebbe caricato a sua volta se avesse visto che qualcosa non andava.
“Forse non avete capito la gerarchia dei ruoli... noi siamo quelli che vi fanno mangiare. Tu hai voglia di morire” disse a Zack l’abnorme.
“Voglio vedere la luce del sole”
“La vedrai. Dalla tua tomba”
Il corto sorrise, mentre quello grosso si avvicinava ancora di più. Meno di un metro pensava a dividerli, e Zack pensò che fu quello il momento di provare a colpirlo. Si diede lo slancio con un colpo di reni, allungò braccia e gambe, saltò, per provare a colpire con la sedia il suo avversario.
Fu un colpo molto violento. Il grosso rallentò per un momento il suo passo lento ed inesorabile, mentre la sedia si fece in dodicimila pezzi, quasi fosse di cristallo.
Ora c’erano cinquanta centimetri tra i due, non c’era un’arma che potesse proteggerlo ed aveva Mia stretta alla schiena.
“Mia... allontanati”
“Zack. Che vuoi fare?”
“Non posso fare niente. Ma stai lontana da lui”
Il volto di Zack pareva contrito. Probabilmente sarebbe morto, pensò.
Poi accadde l’impensabile. Qualcosa prese a camminare per una parete. Era un Ariados.
Un Ariados bello grosso. Il grosso lo guardò in silenzio, indeciso sul da farsi, mentre quello, pochi secondi dopo creò velocemente una ragnatela molto resistente tra i due ragazzi e i due ceffi.
“Che cazzo sta succedendo?!”
La voce del grosso rimbombò nella stanza vuota come se stessero parlando in un pozzo.
Ariados prese a sparare bombe viola.
“Attenzione!” urlò il corto. “È un Fangobomba!”
“Lo so! Vai Exploud!”
Un grosso Exploud fece la sua comparsa li dentro.
“Ariados! Usa Ragnatela!” urlò qualcuno.
“Ma... ma questa è la voce di Trevor!” sorrise Zack.
Ariados produsse un’altra grande ragnatela. In questo modo si sarebbe potuto spostare molto più velocemente.
“Exploud!” urlò il grosso. “Usa Granvoce!”
“No!” urlò Mia, tappandosi le orecchie come meglio poteva. E mentre le orecchie del corto sembravano essere state lese dal forte attacco, mentre Zack e Mia se le proteggevano alla meno peggio, il tenente pareva non averne bisogno. Il bello degli attacchi sonori è che difficilmente falliscono. Ariados ricadde sul pavimento, ma poi si riprese, rimettendosi in bilico sulla parete alle sue spalle.
Zack guardava attentamente.
D’improvviso delle liane legarono velocemente il corto, e lo tirarono via. Quello lanciò un urlo disperato. Da quello capì che le liane appartenessero ad un Pokémon piuttosto lontano.
“Ariados! Vai con Limitazione!”
Delle ragnatele furono sparate ad alta velocità su Exploud. Ariados riuscì a bloccargli il braccio destro al corpo, ma l’avversario, con quello sinistro, si liberò.
“Iper Raggio Exploud!”
Avrebbe probabilmente distrutto la parete.
“Chiudiamola” fece un’altra voce. D’improvviso entrò nella stanza un Blaziken, che colpì con un forte Calciardente Exploud, prima che potesse far partire l’attacco. Quello rimase a terra.
D’improvviso nella stanza entrarono Trevor e Robbie.
“Ragazzi!”
“Ariados” fece Trevor, il suo proprietario. “Usa le tue ragnatele per bloccare sia Exploud che il suo allenatore”
“Già. Blaziken, guarda che non venga nessuno” disse invece l’altro.
“Ragazzi!” sorrise Zack.
“Chi sono?” chiese invece Mia.
“Sono Trevor, capopalestra di Plamenia e Robbie, capopalestra di Palladia!”
Trevor sorrise, mentre il suo Ariados compieva il grosso del lavoro. Trevor era un uomo abbastanza particolare. Un grosso paio di occhiali, doppi, si appoggiavano sul suo naso disarmonico. Era grosso, con una grande gobba. I capelli erano neri, lunghi fino alle spalle, mentre gli occhi, dietro quei grossi fondi di bottiglia, si erano ridotti a due piccoli puntini.
Fisicamente era alto, e magro.
Era il re dei Pokémon Coleottero ed Erba, e almeno ad Adamanta nessuno ne sapeva più di lui.
“Che fine ha fatto quell’altro?” domandò Zack, rivoltò proprio a Trevor.
“Venusaur lo ha tenuto legato, poi lo ha addormentato”
“Oh. Il tuo Venusaur. Come sta?”
“Ottimamente direi. È in forma”
Zack sorrise, e guardò Mia. Era confusa. Lei fissava stranita Robbie.
Robbie era l’altro capopalestra. Probabilmente il più forte nel gruppo dei Gym Leader.
Era un uomo di statura normale, abbastanza tonica la sua muscolatura.
Aveva viaggiato molto ed aveva molte cicatrici sulle braccia e sulle gambe, ma un maglioncino di lana caldo ed un jeans, quel giorno, coprirono tutto.
I capelli castani tirati all’indietro, una piccola coda sulla testa, ma davvero quasi inesistente. La barba incolta sul viso, castana anche questa, gli davano un’aria davvero vissuta. Gli occhi azzurri, le labbra carnose ed il naso normale completavano il quadro.
Robbie era un ragazzo di poche parole. Quasi di nessuna.
Quando Ariados ebbe finito, Blaziken aprì un varco nella ragnatela con un piccolo attacco di fuoco, permettendo a Zack e Mia di uscire. I due si mantenevano a stento in piedi.
“Ragazzi. Come state?” chiese Robbie.
“Stanchi. Abbiamo bisogno di nutrirci. E di bere”
Trevor si abbassò e prese da terra le due bottiglie d’acqua. Le distribuì ai due, che bevvero velocemente metà del contenuto in pochi sorsi.
“Ora andiamo via”

I ragazzi recuperarono i loro Pokémon ed uscirono dalla base. Si ritrovarono al centro di Timea, Stella era lì ad aspettarli.
“Ragazzi... meno male. Non vi ho visti tornare e mi sono preoccupata” fece la bella. Trevor sorrise.
“Meno male, Stella. Stavolta non sapevo davvero in che modo uscirmene da questo guaio” sospirò il Campione.
“Ci ha chiamati allarmata. Eravamo entrambi di ritorno da Hoenn, ma la situazione lì è davvero complicata. E siccome abbiamo saputo che qui non è migliore abbiamo deciso che ci voleva aiuto anche qui, che è casa nostra. Quindi siamo tornati” disse Trevor.
“Appena ci ha detto che eri nei guai, e che non ti aveva visto tornare dalla base dell’Omega Group ci siamo attivati” fece invece Robbie.
Zack sorrise. Di solito, quando era a Timea passava sempre a trovare Stella. Quella, non vedendolo tornare, dopo quella sceneggiata in mezzo alla piazza, si era spaventata, pensando che forse sarebbe potuto essere successo qualcosa.
“E Rachel dov’è? Già è finita?!” chiese stupita la bella capopalestra.
“Rachel è in viaggio verso Sinnoh. Lei è Mia, una cara amica. Dobbiamo raggiungerla”
“Va bene. Cerca di non finire più nei guai” lo avvertì Robbie.
“Sarò anche il Campione. Ma senza Pokémon sono un semplice essere umano. Ragazzi, mi spiace, ma ora devo tornare velocemente ad Edesea”
“Ok. Per qualunque evenienza fai un fischio” disse Trevor.
“Cercherò di fermare questi cataclismi. Ma voi occupatevi della regione. E salutatemi tanto Milla e Rupert”
“Sarà fatto”
Salirono poi su Braviary, e partirono, direzione casa di Alma.

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Ciao ragazzi! Finalmente è arrivato il momento di leggere come va a finire l'avventura, ambientata nel recente passato di Zack, in cui sfida la Lega Pokémon di Adamanta. Come semrpe troverete tutte le informazioni sui nostri blog ed altro sulla pagina Facebook Pokémon Adventures ITA , dove DOVETE passare! Troverete di tutto! Martedì prossimo uscirà il nuovo capitolo del manga di Pokémon Back To the Origins! Non mancate! Andy $ Ok. L’ultima porta era stata chiusa. Ora l’unica cosa da fare era calmarsi un attimo e rilassarsi. Quella giornata aveva regalato fin troppe emozioni. Una piccola anticamera buia, poco illuminata, precedeva un lungo corridoio, che si concludeva con un’enorme porta dorata. Zack decise di tirar fuori tutti i suoi Pokémon. Gyarados, Torterra, Lucario, Braviary ed Absol. E Growlithe, naturalmente. Tutti lì, tutti fermi, tutti in   ansia, tutti in attesa che qualcosa fosse accaduto. Aspettavano che le parole uscissero dalla bocca di

Lily by KomadoriZ71 - Periegesi di Hoenn - Brunifoglia

Brunifoglia “ Comunità rurale ricca di orticelli ” Brunifoglia era una modesta cittadina nata tra le montagne, situata a Nord-Est di Hoenn. Attraversata da un'unica via principale che collegava il Percorso 113 al Percorso 114, era caratterizzata da paesaggi rurali che la rendevano differente e particolare rispetto alle altre città della regione. Il territorio era fertile e argilloso grazie alle acque del lago, l'unico ecosistema in grado di ospitare Pokémon come Barboach, Whiscash e Lombre. Anche il Monte Camino era in grado di caratterizzare l'ambiente circostante, il Percorso 113 era rinomato per la cenere vulcanica che scendeva dal cielo e ricopriva il suolo con un leggero manto grigiastro. I bambini che non avevano il timore di affrontare gli Skarmory selvatici, erano abituati a inoltrarsi nella vegetazione per dedicarsi alla raccolta della cenere e portarla del vetraio che abitava nelle vicinanze. Brunifoglia era abitata esclusivamente da fami

Quindicesimo Capitolo - 15

Salve ragassuoli, mi dispiaccio ogni volta per il ritardo nella pubblicazione, e mi rendo conto che sta diventando un disagio. Ecco perchè, dalla settimana prossima, per problemi di lavoro, la fan fiction sarà pubblicata il MARTEDì. Chiedo ancora scusa, e spero di non aver recato disagio. Ringrazio tutti quelli che hanno messo mi piace alla pagina   Pokémon Adventures ITA . Vedere il seguito crescere ogni giorno di più è una grande soddisfazione. Sei su EFP? Vieni a recensirci anche lì!  Andy Black, autore su EFP Ricordo sempre che il nostro progetto, Pokémon Courage ha bisogno di sostegno da parte vostra...niente soldi, tranquilli, basta solamente un po' di partecipazione. Siamo davvero così pochi a leggere questa bellissima storia? Entrate anche voi a far parte della famiglia di Pokémon Courage . Ho finito con le raccomandazioni. Cominciamo. Stay Ready...Go! Andy $   “Rachel...sei davvero tu?” chiese sgomento Ryan, quasi commosso. Zorua fece un