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Special!

Ciao a tutti e buon sabato. Qui vi parla Andy Black.
Ho grosse, grosse, grosse novità in serbo per voi.
Innanzitutto, però, vorrei ringraziarvi per il seguito quasi fantascientifico avuto da questa fan fiction che abbiamo scritto, e la cosa ci fa immensamente piacere. Abbiamo cominciato a marzo, ed in pochi mesi abbiamo superato le 10500 visualizzazioni, andando anche oltre, e questo non può che rendere lo staff di Pokémon Courage orgoglioso del lavoro svolto.
Ad ogni modo, qui c'è ancora qualcosa da leggere.
Ed una sorpresa...
Forse era nell'aria, probabilmente si, ma ci siamo messi in contatto con una mangaka bravissima, che si chiama Laila (questa la sua pagina dove potrete vedere le sue opere) , con cui ci siamo accordati.
Noi le davamo una storia. Lei l'ha trasformata in un fumetto. Di seguito qualche pagina, giusto un antipasto. Martedì 8 Ottobre avrete a disposizione l'intero prologo, e così via tutti i capitoli, una settimana sì ed una no.
Ne saranno contenti i fan di Pokémon Adventures ITA, che avranno l'opportunità di leggere ancora un altro manga.
Vi esorto, infine, a passare su Pokémon Courage, e ad iscrivervi. Troverete notizie, curiosità, e tutte le novità sulle nostre storie. Probabilmente, ad Ottobre ci saranno un paio di One shot, tra cui la fatidica finale tra Zack ed il Campione della Lega.
Seguiteci.
Ed ora leggiamo un piccolo trafiletto scritto da me e Rachel Aori riguardo un altro finale che non abbiamo preso in considerazione.
Prima. E Timoteo.

Stay Ready.
Go!


































 










































Due finali. Nel primo i nostri eroi non hanno cambiato il corso della storia.



La vita di una foglia è la metafora del tempo che passa.
Inizialmente è solo un germoglio. Una meravigliosa gemma, che debole è rinchiusa su se stessa, per proteggersi da quel mondo esterno, infame, rumoroso, fastidioso.
Mortale.
Poi la foglia cresce, ed il germoglio si apre, mostrandosi in tutto il suo splendore. La gemma diventa una foglia verde, viva, profumata, e piena di lineature.
Sfida il mondo, conscia della sua forza.
L’autunno passa una mano di rosso su tutto, e la foglia si tinge del colore della passione.
La forza di prima non c’è più, ma c’è più poesia, e già il fatto di essere sull’albero dimostra lo spirito di cui è dotata.
Non più così forte. Ma più bella.
E capita poi che quel sottile legame che la teneva ferma al ramo si spezzi.
La foglia si libra, negli ultimi atti di quella commedia, prima di poggiarsi delicatamente sull’erba secca, e morire.
Il tempo è relativo. Quindi anche la vita.
Mentre una foglia può essere ancora nella prima fase, è possibile che qualcuno sia più avanti.
Le vite della gente prendono strade diverse, si ramificano tra di loro, proprio come le radici di un albero.
Mentre qualcuno invecchia, qualcun altro cresce. E mentre qualcuno cresce, qualcun altro nasce.
Un po’ contorto forse, ma nessuno è mai riuscito a spiegare la vita a parole proprie.
Opinioni su opinioni, ciò che è certo è che il tempo passa.
I pavimenti delle strade di Nuovaluce, quella mattina, furono calcati da una vecchia donna.
Quella si girava, tranquilla, con i capelli lunghi, bianchi, legati in una treccia. Gli occhi vispi cercavano la piazza. Non ricordava per bene le strade, tutte le esperienze che avevano segnato la sua pelle avevano in un certo senso marcato anche i suoi ricordi.
Era giustificata, dopotutto era anziana.
Il sole di Adamanta le baciava la pelle, un toccasana per i suoi reumatismi. La pecca di vivere in città troppo umide.
Nuovaluce invece sembrava perfetta.
Avrebbe cercato qualcosa li.
Poco dietro di lei, un Alakazam camminava tranquillo, guardando con attenzione tutto quello che succedeva.
“Eccola” sentì l’anziana nella sua testa. Era Alakazam che stava comunicando con lei.
Intendeva la piazza; era lì, davanti ai suoi occhi. La statua del grande eroe Timoteo era ancora in piedi, forse un po’ più ingiallita dell’ultima volta che l’aveva vista.
In fondo erano passati più di quarant’anni.
Prima abbandonò quel paesino vestita come una vecchia e ci ritornò con tale abbigliamento.
I suoi lenti passi erano carichi di voglia, assaporava tutto ciò che faceva, concentrandosi al massimo su ogni cosa. Il leggero vento che distoglieva il calore dalla sua pelle, la luce forte del sole, le case, i loro tetti, i soliti bambini che giocavano a ricorrersi al centro della piazza, e poi ancora le persone, il mercato, i passi di Alakazam, gli uccelli che volavano ed Houndour che abbaiava.
La casa era vicina.
“Ci siamo quasi” ripeteva Alakazam, nella sua testa, affiancandola quando era stanca. Si fermavano a riposare, guardando la gente passare.
Qualcuno la fissava, soprattutto i più anziani, per poi passare avanti.
Girarono l’angolo, e si fermarono.
“Ecco qui la casa”
Prima bussò alla porta, in legno. Era sempre la stessa.
Quel rumore le portò il sorriso in volto, e dei ricordi nella testa dolcissimi. La gravidanza, la nascita, e poi la paura.
Sentiva dei passi oltre quella porta, e poi il cigolio della maniglia.
“Salve” disse Prima, sorridente.
“Salve... cosa posso fare per voi?”. Era una donna. Mora, capelli lunghi, occhi azzurri ed un bel sorriso.
Indosso portava una veste semplice, fatta di stracci.
Ma era bella. Molto bella.
“Signorina, salve. Cerco Sandra”
“Oh...” lo sguardo della più giovane si incupì, e sotto quello più intrepido dell’anziana decise di farla accomodare in casa.
“Mia madre... Sandra... è spirata qualche tempo fa”
Prima storse un labbro, prima che le lacrime le si formassero negli occhi.
“Come è successo?”
“Era anziana... Arceus l’ha presa e portata con se, probabilmente è stato meglio così... ma vi prego, sedetevi. Siete stanca. Mi spiace non potervi offrire nient’altro che un misero bicchiere d’acqua”
Lo prese e lo poggiò sul tavolo. “È di fonte. Mio marito stesso è andato a raccoglierla”
“Andrà più che bene, ti ringrazio” disse Prima, sorridente, ma ancora scossa dal pianto.
La giovane le porse un fazzoletto, e lei lo prese.
“E tu come ti chiami?” chiese Prima.
“Io mi chiamo Beatrice”
“Hai un nome perfetto”
“Mia madre lo scelse perché si beò della mia nascita”
“Lo credo bene. Sei bellissima”
“E voi? Non mi pare di avervi mai vista da queste parti”
Prima sorrise amaramente.
“Vengo da molto lontano. Ero qui per stare un po’ con lei. Sai, siamo cresciute insieme”
“Come vi chiamate?”
Prima si allarmò un po’, ma Alakazam venne in suo aiuto, suggerendogli il nome Anita.
“Anita”
“Avete un nome bellissimo”
“Grazie tesoro. Quanti anni hai?”
“Trentanove, compiuti da poco”
“Sei una donna bellissima. Assomigli a tuo nonno”
Beatrice sorrise. “Avete risolto uno dei misteri della mia vita. Non ho mai saputo a chi dei miei genitori assomigliassi. Ed i nonni, tranne la madre di mia madre, non li ho mai visti”
“Assomigli al padre di tua madre” storse leggermente la bocca Prima.
Beatrice sorrise di nuovo, stavolta inclinando la testa, e scoprendo leggermente la scollatura. Tra i suoi seni maturi splendeva l’argento di una collana.
Prima cercò di assottigliare lo sguardo. Si, era il cuore d’argento che le aveva lasciato prima che partisse.
“E tuo marito dov’è?”
“Ora sta lavorando... vende il grano”
“Ah, davvero?”
“Si. Mia madre, con i suoi risparmi, comprò per me l’appezzamento di terra qui accanto, e mio marito e mio padre cominciarono a lavorare il grano... a proposito, quella monella di mia figlia dovrebbe essere li fuori, a far danni”
“Hai una figlia?” sgranò gli occhi Prima, sorridendo quasi come un ebete.
“Si. Ha otto anni” disse quella, asciugandosi il sudore con il grembiale, per poi avvicinarsi ad una porta che quarant’anni prima non c’era. La aprì, inondando la penombra della casa di luce, e poi si affacciò fuori.
Era bellissima.
Prima si rispecchiava in lei, da giovane.
“Rachele!” urlava. “Vieni qui ed esci dal granaio!”
“Si, mamma” sentì poi una voce delusa.
Beatrice si fece da parte, e fece spazio ad una graziosa bambina, molto somigliante alla madre nel volto.
“Fai ciao ad Anita”
Quella scosse la mano.
“Ciao bella bimba. Ti chiami Rachele?”
Quella annuì, nascondendo le mani dietro la schiena. Timida. Poi si voltò verso la madre.
“Mamma, posso giocare con Pidgey?”
“Si. Ma sta attenta”
“Si!” urlò, mentre correva di nuovo fuori.
Beatrice sorrise, poi portò le mani ai fianchi. “I bambini...”
“Sono la gioia della vita” rispose velocemente Prima.
“Voi avete figli?”
“Si. Ma non ci vediamo da tantissimo tempo”
“Oh... vi mancherà molto, allora”
“Non sai quanto, piccola”
Beatrice sorrise, mostrando le fossette sul volto. Come quelle di Timoteo. Se solo avesse saputo chi fossero i suoi genitori, probabilmente non avrebbe vissuto facendo la casalinga e la contadina.
O forse avrebbe vissuto anche peggio, con qualcuno che cercava di ucciderla per il semplice crimine di essere nata dai genitori sbagliati.
Intanto canticchiava, e puliva la casa, spensierata.
“Sai, Beatrice... ti vidi che eri poco più che una neonata... hai sempre vissuto qui, a Nuovaluce?”
“Si, non sono mai voluta andare via da qui. In fondo ho conosciuto i miei amici qui, ho studiato...”
“Hai studiato?!” fece Prima, sgomenta
“Si, i miei genitori hanno fatto tantissimi sforzi per permettermi di imparare tante cose... è anche grazie a questo che abbiamo cominciato a coltivare il grano”. Sandra e Martino erano stati fenomenali.
“Quindi ve la vedete bene, con i soldi”
“Beh, relativamente. Ci sono tante spese, senza contare che anche io voglio far studiare Rachele, magari dandole uno spunto che non vada sull’agricoltura. Tutto quello che sappiamo sulla coltivazione del grano posso insegnargliela io, o suo padre. Mi piacerebbe diventasse un’ancella”
“Ho capito. Almeno vivrebbe in un posto regale”
“Si. Avrebbe da fare parecchie cose... ma... beh, imparerebbe a far tutto, cucinare, lavare, cucire... sarebbe una buona moglie ed una buona madre”
“Come te”
Beatrice arrossì e mosse leggermente il capo. “Non esagerate, signora. Faccio solamente il mio dovere di moglie e di madre”
“E già questo ti rende speciale”
“Perché lo dite?”
“Mia cara Beatrice... forse oggi nessuno capisce il ruolo che hai, ma col tempo sono sicura che chiunque riuscirà ad apprezzare il lavoro che noi donne facciamo. Gli uomini si sono sempre presi il merito per tutto, anche quando non dovevano prenderlo, o quando dovevano condividerlo, perché questa società non è stata creata nel modo giusto. Qualcosa cominciò a cambiare già quando Arceus in persona decise che il suo oracolo dovesse essere una donna. Gli uomini non potevano entrare nel tempio, sai?”
“...veramente non lo sapevo”
“Quello che tu fai qui non è per niente scontato. E se tuo marito è in grado di vendere il pane, e lavarsi, e stringere sua figlia e mangiare qualcosa, è perché ci sei tu qui. Sei piccolina, ma sei la rotella più importante di questo ingranaggio;
Sei una moglie, e soddisfi i piaceri di tuo marito, carnali e non che siano. Lo prepari alla difficile giornata di lavoro, lo aiuti talvolta, lavori il pane e dai da mangiare a lui e a sua figlia. Ti prendi cura di lui. Ed anche se lui non lo riuscirà ad ammettere, sappi che senza di te lui sarebbe perso. Tu sei la persona più importante qui dentro, sappilo;
Sei anche una madre, e stai preparando alla vita una piccola e bellissima bambina. Nella tua testa stai cominciando a costruire il suo futuro, la vuoi far studiare, vorresti che viva meglio di come abbia fatto tu, perché lei è parte di te. Ed anche quando tua figlia ti sarà lontana, sappi sempre che c’è un legame indissolubile tra di voi, come il cordone ombelicale che vi teneva unite, anche a migliaia di chilometri di distanza. E non si spezzerà mai e poi mai. Lei ti amerà sempre, e sono sicuro che anche tu lo farai.
Detto questo, segui il consiglio di una vecchia donna. Nel momento in cui ti sentirai giù, sappi sempre che c’è qualcuno che ti ama. Sempre. E vivi con la consapevolezza di avere degli obblighi, i più importanti, perché senza di te, questa casa sarebbe solo mattoni e cemento. Ora invece c’è amore”
Beatrice sorrideva, mentre una lacrima le adornava il viso. “Grazie” fece, per poi correre a stringere la vecchia anziana.
“La mamma piange”. Rachele era sull’uscio, nascosta a metà dal montante destro della porta, con il volto contrito.
Beatrice lasciò la stretta da Prima e sorrise dolcemente, allargando le braccia verso Rachele. Quella sorrise, e corse dalla sua mamma, che la strinse sui seni.
“Ti amo, piccola mia”
“Anche io, mamma”
Prima si alzò, sorridente. Era il potere della suggestione che spesso chi è più saggio di noi ci sa trasmettere, e quella volta credette di aver fatto il massimo. Aveva motivato Beatrice, sua figlia, a diventare una donna migliore.
Senza sapere che in realtà lei lo fosse. Beatrice non sapeva tante cose.
Non sapeva che in lei c’era il potere.
Non sapeva che in lei c’era il cristallo.
Non sapeva che in lei c’era la possibilità di cambiare questo mondo.



Nel secondo invece sì.






Il caldo sole di giugno le illuminava il volto.
Prima era seduta su alcune scatole, intenta a godersi il tepore e la luce che l’inverno e la burrascosa primavera appena passata le avevano negato.
Il ritmico battere del martello sulla legna scandiva il passare del tempo, così come il gocciolare dell’acqua che riempiva l’abbeveratoio lì vicino. Erano passati sei anni dall’evocazione di Arceus e nonostante tutto, nella mente del giovane oracolo sembravano essere passati secoli da quell’avvenimento. Nuovaluce, il paesino isolato e sulla costa dove l’aveva condotta Sandra. Del suo villaggio natale, dopo il passaggio degli Ingiusti, non erano rimaste tracce,  ma lì sembrava che la vita potesse continuare come se niente fosse mai accaduto, come se tutto il suo passato, il suo essere stata l’oracolo di un cristallo ormai scomparso, fosse stato tutto un lungo, lunghissimo, sogno.
Desiderava, Prima, che fosse davvero stato tutto un sogno, e che quella vita pacifica che conduceva adesso fosse l’unica realtà esistente.
Entrò nell’officina dove Timoteo stava lavorando altro legno. Dava le spalle alla porta, ma la donna immaginava il suo sguardo attento, mentre maneggiava il ciocco che aveva davanti. Ieri sera avevano notato che la ciotola da portata più grande che avevano si era rotta, e lui si era subito offerto di crearne un’altra. Beatrice lo osservava. I grandi occhi azzurri osservavano attentamente i movimenti dell’uomo e la bambina sobbalzava ogni qualvolta il padre desse un colpo troppo forte al ciocco.
La donna li osservò per un po’, prima di manifestare la sua presenza.
“A che punto siamo con il lavoro?”
L’uomo smise di maneggiare il legno, mentre la bambina saltava giù dal suo sgabello, anche quello costruito dal Timoteo, per correrle incontro. Prima la prese in braccio, mentre quella le si aggrappava al collo e iniziava a toccarle i lunghi capelli castani. Timoteo le guardò per un istante prima di rispondere.
“Oh, a buon punto, in serata sarà anche levigata a potremo già usarla, se continuo così”
Si massaggiò le mani, allentando un po’ la tensione. Se avesse voluto avrebbe potuto lasciare il grosso del lavoro ai suoi Pokémon, ma non ne sentiva il bisogno. Dopotutto era qualcosa che gli piaceva.
“Sei diventato davvero efficiente”
Si congratulò Prima, divertita dall’orgoglio che l’uomo stava iniziando a sviluppare verso le sue creazioni. Quello mise le mani sui fianchi, sospirando alle parole della moglie.
Prima mise a terra la bambina, che tornò a concentrare la sua attenzione sul manufatto del padre, prendendo alcuni riccioli di legno che l’uomo aveva tolto durante la levigatura.
Prima si concesse di dire che non erano cambiati troppo. Certo, le cicatrici di quella battaglia erano rimaste sia nei loro cuori che sul volto di Timoteo, dove i colpi ricevuti da Adamo quella notte e poi dai seguaci di quell’uomo abietto si erano trasformati in una serie di lunghe linee bianche che gli attraversavano la pelle.
Però, ironia della sorte, era stata proprio quella battaglia a dare la salvezza futura.
Ripensò per un istante a coloro che in quel tempo non erano ancora nati. Timoteo intuì i suoi pensieri, e sospirò malinconico.
“Se vuoi mostrar loro la tua gratitudine, continua a vivere. Se vogliamo dimostrare di aver apprezzato il loro aiuto non dobbiamo far altro che continuare, col sudore della nostra fronte, a creare il futuro.”
Uscì fuori, ammirando il cielo e osservando il Bosco Memoria che poco più avanti iniziava ad infoltirsi e ad ombreggiare la terra.
Ripensò alla sua spada ed alla sua armatura, ancora custodite sotto un telo in quella stessa officina, come promemoria per il futuro. Il suo futuro. E quello della sua famiglia, della moglie che amava con tutto sé stesso e della bambina che da quell’amore era nata. Se davvero era loro intenzione ricambiare quei ragazzi del loro aiuto, allora avrebbero dovuto fare di tutto per lasciare il mondo in cui vivevano un luogo migliore rispetto a quello di sei anni prima. Un mondo rifiutato dallo stesso dio che lo aveva creato. Era quello il giuramento che aveva fatto.
Sospirò, staccando gli occhi dal cielo e passandosi una mano fra i corti capelli d’ebano. Si girò, tornando nel suo laboratorio e riportando la sua attenzione sulla ciotola, ancora un abbozzo ma che in poche ore sarebbe diventata uno strumento utile. Ne vendeva anche, di utensili. Alcune volte creava giocattoli per i bambini del paese. Altre volte oggetti utili per i suoi Pokémon.
Prima lo osservava spesso. Il suo sguardo si faceva attento e meticoloso. Osservava ogni sfaccettatura delle sue creazioni, rigirandosele fra le mani e tastandole per verificarne la resistenza e la levigatura. Eppure nonostante tutto continuava anche ad allenarsi assieme ai suoi Pokémon, esercitandosi con bastoni o con qualche spada di legno che creava appositamente. Non voleva più toccare la sua spada e d’altronde lei stessa pregava ogni giorno Arceus affinché non ce ne fosse bisogno. Non sapeva se senza il Cristallo lui fosse in grado di ascoltare la sua voce, ma ad ogni modo avrebbe affidato alla speranza le sue preghiere. 





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