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Decimo Capitolo - 10

Salve a tutti! Dopo questo periodo di pausa siamo di nuovo in pista!
Benissimo, vi ricordo di passare su Pokémon Adventures ITA! Per il resto, appuntamento a sabato con la nuova ship!
Inoltre vi ricordo che abbiamo ancora una raccolta aperta, che è Home... Ma zia Rachel ci sta lavorando.
Lo zio Andy invece continua a stendere questa storia, che lo sta rendendo orgogliosissimo! A presto!
Passate su EFP! Back to the Origins ha bisogno di recensioni per diventare la storia più recensita del Fandom Pokémon! Aiutateci a farla diventare grande se vi piace!

Andy $





Stella e Robbie se n’erano andati, ringraziando di cuore i giovani per l’aiuto dato. Ormai nel tardo pomeriggio avevano terminato le provviste d’emergenza.
“Il nostro lavoro qui è finito” sorrise Stella, tronfia e piena di se.
“Grazie per il vostro lavoro, a nome della Lega Pokémon di Hoenn” fece Fiammetta, stringendo le mani ad entrambi.
Crystal pensò fosse un comportamento molto forzato, quello della rossa. In realtà non era così formale.
Martino si guardava attorno, scrutando bene Petalipoli nel vespro, arrossita da un sole acceso in via di dismissione, almeno per quel giorno.
Tante piccole casette nascevano sulle rive di due laghetti naturali. La zona ne era totalmente sparsa. Edifici principali e case padronali più grandi erano disposte sul versante nord. La via centrale, mattonellata, era circondata da spiazzali d’erba.
La zona sud era la parte residenziale. Martino convenne che sarebbe impazzito nel vivere in un posto come quello: troppo tranquillo, poca azione. Le sue batterie si stavano scaricando, ma Pichu prese a suonare una bella melodia, ravvivando gli animi di tutti.
“Dov’è Silver?” chiese poi Crystal, mentre salutava con la mano i due forestieri che si accingevano ad andare via.
“L’ho visto andare verso la spiaggia. Lascialo stare... So che vuoi sapere che ha, ma è semplice. Vuole stare da solo!” esplose Martino.
Crystal si inibì, quindi guardò l’orologio e si chiese dove dannazione fosse Gold in quel momento.

Aveva levato le scarpe. Non voleva andare sulla sabbia e ritrovarsi poi dopo una spiaggia all’interno delle sue Fred Perry.
Non amava il mare. Gli dava fastidio sentire la pelle azzeccaticcia per via della salsedine, e la sabbia tra le dita dei piedi.
Era un tipo da piscina. O da montagna, insomma. Il mare preferiva guardarlo da lontano.
Quella volta però gli fece bene andare verso la distesa rosea, colorata di dolce dal sol morente.
“Fuori...” fece, sospirando, affondando i piedi nella sabbia asciutta e fredda.
Grovyle e Poochyena si presentarono davanti a lui.
La situazione fu particolare.
Grovyle non riuscì a sostenere lo sguardo di Silver, e lo abbassò subito. Era un Pokémon orgoglioso, e l’essersi fatto prendere dalla paura gli aveva decisamente abbattuto l’umore. Si mise fermo, mani conserte e capo chino.
Poochyena invece guardò schivo dapprima il suo Allenatore. Silver spostò lo sguardo da Grovyle al canide e gli sorrise, porgendogli una piccola bacca. Quello spalancò gli occhi, ed ingenuamente convinta da quello zuccherino, si avvicinò alla mano del fulvo.
Con il muso toccò il palmo del ragazzo, e quindi brandì tra i denti il frutto. Silver sorrise, e carezzò la testa del Pokémon, per poi sollevarlo dalla pancia, posandolo sulle sue gambe.
Era una femmina. Stava cercando di trovare un contatto con quel Pokémon. Tutto questo sotto gli occhi mortificati di Grovyle.
Alzò lo sguardo, fissandolo: non si era mosso di un millimetro, né aveva cambiato il suo atteggiamento.
“Grovyle” fece.
Il Pokémon alzò il viso, e vide la mano del suo allenatore contenente una Baccarancia. Più indietro il suo sorriso comprensivo.
“Posso capire la tua paura. Tutti abbiamo paura di qualcosa”
Grovyle prese la bacca, infilandola in bocca. “Anche Feraligatr ha avuto paura. E capirai che lui è molto più esperto di te. Questo che ti fa capire?”
Gli occhi di Grovyle guardavano quelli di Silver, dolci, come il suo sorriso. Comprensivi.
“Questo ti fa capire che non importa quanto forte tu sia, o a che stadio sia arrivata la tua evoluzione. Tu avrai sempre paura di qualcosa, ed anche io ne ho...”
Grovyle fu attratto dal discorso. Non parlavano la stessa lingua, ma capiva ciò che gli veniva detto.
“Sai Grovyle... Anche io ho paura. Ho paura di fallire. E di rimanere da solo”. Guardò il mare, affondando una mano nella sabbia e tirandola su. Il vento disperse la discesa di quella che sembrava una clessidra di pochi secondi.
Silver ripensò alle ultime parole, ma poi sorrise. “In realtà sto combattendo quest’ultima paura. Crystal...” arrossì, divenendo più paonazzo di quanto in realtà sarebbe potuto sembrare.
“... beh, Crystal mi ha fatto capire che con me ci vuole stare. Mi ha fatto capire che alla fine di quest’avventura staremo assieme... Ma non è il caso di parlare di questo ora. Poochyena, Grovyle, ora fate parte del mio team. E voi vi dovete fidare di me, come io mi fido di voi”
Grovyle si sedette accanto a lui, e tutti e tre presero a fissare il mare.

I passi si facevano stanchi.
Vivere una vita piena di avventure probabilmente lo avrebbe fatto morire almeno dieci anni prima.
Ma sarebbe morto con soddisfazione.
In fondo non gli interessava di vivere gli ultimi dieci anni della sua vita chiuso in un ospizio.
No, meglio morire d’infarto durante una maratona di quindici ore di sesso.
Sorrise pensandoci, Gold.
In quel momento, però, più di ogni altra cosa, avrebbe apprezzato un po’ di riposo.
Il Monte Argento era freddo. Dopo la sua battaglia contro Red l’unica cosa da fare era prendersi un paio di giorni di pausa. Quindi aveva spento il Pokégear e si era recato ad Ebanopoli, per un paio di giorni di relax nelle acque termali.
Magari avrebbe dimenticato Yellow. Quella ragazza, la sua semplicità e quella bellezza essenziale lo avevano decisamente indisposto verso il mondo.
La sua vacanza però era finita, ed era arrivato il momento di tornare a casa.
Questa, a Borgofoglianova, che condivideva con Crystal e Silver, era proprio a pochi metri da lui. Le luci erano spente nonostante il sole stesse per tramontare. Crystal sarebbe tornata a casa di lì a poco, mentre quel bacchettone di Silver si stava sicuramente allenando da qualche parte, nei suoi “posti segreti” o almeno come li chiama lui.
Salì gli scalini che dividevano il mondo esterno dalla sua casa, con unica divisione solo la porta di legno.
Rimase un attimo ad indugiare nella sua borsa per cercare le chiavi. Le gettava sempre alla rinfusa, poi, quando gli servivano, non le trovava mai. Levò il cappello, mettendo la visiera in bocca. Cercava con le dita tra un mare di strumenti inutili ed utili, quando il Pokégear squillò.
Sbuffò, sempre col cappello in bocca, quindi lasciò perdere la ricerca delle chiavi per poter rispondere.
“Pronto” disse, con voce atona e stanca.
“Gold?” l’interlocutore era maschile.
“Chi sei?”
“Green”
Gold guardò bene il numero del Pokégear. Non lo riconosceva. “Da quanto tempo...” 
“Già, ci siamo visti pochi giorni fa, lo so. Non importa adesso. Credo sia più importante che tu ora mi ascolti”
“Che succede?” chiese poi serio il ragazzo, sentendo la voce di Green ricca di preoccupazione.
“Qualche giorno fa Articuno si è risvegliato, attaccando Fucsiapoli con i suoi potenti attacchi di ghiaccio. Con l’aiuto di Blue sono riuscito a fermarlo. Poi è stata la volta di Moltres...”
“Moltres?”
“Sì, la leggendaria fenice”
“Sì, so chi è Moltres. È che si è alzata in volo proprio mentre stavamo lottando io e Red”
“Poi mi racconterai com’è andata. In ogni caso un vasto incendio causato dal Pokémon ha colpito proprio ieri il Bosco Smeraldo, ferendo ed uccidendo Pokémon e persone”
“Manca Zapdos...”
“Esattamente” sospirò Green. “Zapdos si è svegliato circa sei ora fa. Ora è a Lavandonia”
“Ottimo. Cosa vuoi esattamente da me?”
“Mi serve l’aiuto di un allenatore capace per sconfiggere Zapdos e riportare la pace a Kanto”
“Conta su di me, sto venendo”
“Ti aspetto a Biancavilla”
“Parto subito”
Ora. La questione era molto semplice, e si basava tutta sulle coincidenze e sul tempo.
Già, poiché se la telefonata fosse avvenuta appena dieci minuti dopo, Gold sarebbe entrato in casa ed avrebbe letto il biglietto lasciatogli da Crystal, che gli intimava di raggiungerla subito ad Hoenn.
Invece non indugiò nemmeno un secondo, lasciò perdere la ricerca delle chiavi, chiamò Togebo e si gettò a capofitto sul Pokémon, destinazione Biancavilla.
La città degli eroi.

“Hey... Sil”
Il fulvo sentì la voce di Crystal, e si voltò. Grovyle riposava steso qualche metro più in là, mentre Poochyena stava dormendo sulle gambe del ragazzo, mentre una mano passava sistematicamente nel pelo grigio e morbido del Pokémon.
“Chris” sorrise lui, con una mano sul Pokémon ed una puntellata nella sabbia.
“Ti vedo felice” si accomodò di fianco a lui.
“Felice è una parola grossa”
“Prima eri più strano”
“Lo so. Il tumulto di cose che ci sta succedendo mi sta destabilizzando”
“Eppure bisogna resistere. Molta gente è morta, e se non cattureremo Groudon al più presto succederà ancora”
“Lo so bene”
L’uno di fianco all’altro, sulla sabbia fresca ed il mare che danzava per loro, lui gli prese la mano, finendo di carezzare Poochyena. Lei sorrise ed arrossì, guardandolo.
“È strano”
“Lo so, Chris. Non ho idea del motivo per cui io abbia... Hai capito no?” sorrise.
Chris annuì. In effetti era strana la situazione. I due avevano vissuto assieme per anni, nel totale silenzio delle proprie emozioni. Era bastato, si faceva per dire, cambiare regione, lontana centinaia e centinaia di chilometri, per far sì che a lui entrasse nel cuore a lei.
E viceversa.
“Martino e Fiammetta stanno parlando con Norman” fece la ragazza.
“Chi sarebbe?”
“Il Capopalestra di Petalipoli. Inoltre è il padre di Ruby”
“Oh... Ottimo...”
“Non ho avuto voglia di entrare e parlare con lui. C’era anche sua moglie Carol, nella palestra”
Intanto il sole era sceso totalmente oltre la linea dell’orizzonte, e la luce della luna cominciava ad invadere il cielo.

“Scendi qui Togebo!” urlò Gold, cercando di tenersi il cappello senza cadere dal suo Togekiss.
Biancavilla non era cambiata molto da quando era stato lì, a casa di Green. Le solite casette, due o tre erano in riva al mare, ghiaia nei vialetti ed erba ben tagliata nei giardini. A pochi metri c’erano la casa natale di Blue, quella di Green e la casa della madre di Red.
Gold ci atterrò proprio davanti. Il buio era già sceso nella valle dove la città era sorta, ed il ragazzo pensò proprio al Campione imbattuto della Lega di Kanto e Johto.
Red.
Era un Allenatore dalla straordinaria qualità. Univa la strategia ad una potenza incredibile espressa dai sei Pokémon che possedeva nella cintura. La grinta che aveva, la voglia di vincere, l’unione d’intenti con i Pokémon che allenava, tutto lo spingeva ad essere la leggenda.
A Gold bruciava. Aveva perso contro di lui, in una battaglia all’ultimo sangue, per l’onore di Yellow.
La storia era strana, particolare, ma Red e Yellow erano fidanzati, da parecchio anche. E poi, in un momento di debolezza, il ragazzo dagli occhi rossi era scivolato dentro Blue, promessa sposa di Green.
Gold sorrise, la cosa gli sembrava una di quelle soap opera argentine.
Tornò a ricapitolare mentalmente l’accaduto. Yellow lo vide fuggire, rimanendo con l’anima bruciata da quella situazione. Espresse le sue turbe emotive al ragazzo dagli occhi dorati, e lui, annerito nell’anima, perché la sua anima si sporcò di cenere nel lottare contro i propri istinti, fu costretto ad ascoltare la ragazza piangere il suo Red, innamorandosi poco a poco di lei.
Stupido. Un gran stupido, lui era solo tale.
Per vederla sorridere si era offerto di cercarlo, e dopo una nottata passata a tormentare Green con le sue paranoie, si era ritrovato a scalare il Monte Argento per cercarlo.
Che sonora batosta che ricevette... Ma neppure tanto. Erano arrivati all’ultima sfida, uno contro uno, tuttavia Saur era imbattibile.
La sconfitta gli fece capire che aveva bisogno di riposo. E così andò ad Ebanopoli.
Neppure il tempo di tornare che Green, lo stesso Green che in quel momento aspettava con le mani nelle tasche del camice sulla cima della collina dell’osservatorio, lo aveva telefonato.
E poi beh... Sappiamo com’è andata.
“Gold!” fece quello, agitando la mano nel buio. Un minuto dopo i due si stavano stringendo la mano.
“Green. Che succede?”
“Dobbiamo andare immediatamente a Lavandonia”
“Dio mio, no! Lavandonia no!”
Green sorrise a mezza bocca, entrando nell’osservatorio. Scaffali a parete erano ricchi di libri, molti redatti stesso dal Professor Oak. Altri erano stati stesi da Elm, altri ancora da tal Rowan.
In fondo macchinari tecnologici e fotografie si contendevano il posto con una grande finestra ed un enorme tavolo.
Margi stava leggendo un enorme tomo con gli occhiali sulla punta del naso ed una matita tra le labbra. I capelli erano legati con una bacchetta e tenuti alti. Sensuale.
“Ma ciao...” sorrise Gold.
“Smettila e ascolta me adesso. Abbiamo bisogno della massima concentrazione possibile per...”
“Un momento, Blue dov’è?!”
Margi alzò gli occhi per poi riabbassarli velocemente, presa dalla lettura.
“Si trova a Lavandonia, adesso, e cerca di combattere contro Zapdos”
“Non nominare quel posto, ti prego!”
Green levò il camice e lo gettò sul tavolo, accanto a sua sorella, quindi prese una sacca e la mise in spalla.
“Non la nominerò più. Tra poco la vedrai”
Gold lo seguiva mentre camminava frettolosamente per l’osservatorio.
“Mi raccomando, Margi” fece, aprendo la porta. Non la guardò nemmeno, ma piazzò una Pokéball tra le mani di Gold.
La sorella alzò in segno di saluto, pur sapendo che non sarebbe nemmeno stata vista. Poi la porta sbatté, lasciandola da sola.
“Ciao fratellino...”

“Allora, è molto semplice. Lavandonia...”
“Non dirlo!”
“Manco fosse Voldemort...”
“Non devi dire neanche quello!”
“Smettila di fare il ragazzino, Gold! C’è in ballo la vita di tante persone!”
Quello si scusò con un gesto del capo, quindi con le mani gli fece segno di andare avanti.
“Lavandonia è sotto i fulmini. Blue è sotto i fulmini. Combatte contro Zapdos ed ha bisogno di riposarsi”
“Due domande” fece quello, seguendo il passo lungo del ragazzo. “La prima è: da quanto tempo lotta?”
“Sono due giorni che fronteggia ininterrottamente Zapdos”
Gold alzò un sopracciglio. “Gagliarda la sorella... Beh, la seconda domanda. Che cazzo ci dovrei fare con questa Pokéball?”
Green sorrise quasi impercettibilmente. “È Pidgeot. Ti porterà in volo a Lav...” poi il suo sguardo incrociò quello di Gold. “... Lì”
“Ma ho Togebo. Non serve”
“Senti. Togekiss ha volato fino a qui, è stanco. Inoltre Charizard non potrebbe portare due persone adulte addosso. Si stancherebbe troppo”
“Ok, ok. Andiamo a Lavandonia”
Green tirò fuori Charizard. “Hai detto Lavandonia”
“Io posso”

Fiammetta sospirò. Le toccava, Norman era un suo collega, almeno prima che lei desse le dimissioni, e Ruby, suo figlio, era stato rapito, anche se lui non lo sapeva. Pensava che il figlio fosse solo scomparso. Anche le più grandi disgrazie possono sembrare dei piccoli problemini davanti alle catastrofi, e quindi era meglio che l’uomo soffrisse per un male minore. Sanguigno com’era avrebbe messo a ferro e fuoco tutta Hoenn, o quello che ne rimaneva.
Accompagnata da Martino, bussò con le nocche alla porta della palestra.
Sospirò, aspettando che qualcuno andasse ad aprire.
La totalità delle palestre, tranne quella di Petalipoli, aveva subito un cambiamento strutturale e tecnologico nel tempo. Durante gli anni, Norman si era impuntato contro questo processo di cambiamento, tant’è vero che le porte automatiche lì non c’erano.
Quello che aveva davanti era solo un portone blindato, che nascondeva rimpianti e parole non dette di un padre troppo duro e severo.
La porta s’aprì, Caroline, la madre di Ruby, aveva il volto funereo.
“Fia-Fiammetta, non ti aspettavo” fece, leggermente sorpresa dalla presenza della ragazza. Caroline, la donna di mezz’età, una bellissima cinquantenne per altro, fissava con gli occhi chiari la rossa, mentre le rughe attraversavano inquiete ed impietose la sua pelle, un tempo diafana, ora macchiata dai segni del tempo. I capelli castani, tinti, erano acconciati alla meno peggio: Fiammetta capiva che non riusciva a trovare né il tempo né la motivazione per rendersi presentabile. E fu così che la donna aprì indossando un abitino che soleva tener su per casa, molto corto, abbinato ad un paio di ciabatte. Stava di fatto che fosse vestita in quel modo in Palestra, e non a casa sua.
“Ero nei paraggi. Lui è Martino, un Pokémon Ranger. Assieme a lui stiamo cercando di catturare Groudon”
“Salve signora” chinò il capo il giovane, in segno di saluto e di rispetto.
“Norman dov’è?” chiese poi la rossa.
“Nel suo studio. Non esce da due giorni. Oggi è uscito per mangiare, poi si è richiuso lì”
“Posso incontrarlo?”
Carol guardò Fiammetta, e la limpidezza dei suoi occhi. Poi annuì, abbozzando un sorriso. “Gli farà bene stare a contatto con te”
La donna lasciò entrare i due, e poi chiuse la porta. La Palestra si sviluppava in una sequenza di stanze, fino a raggiungere quella di Norman. Tuttavia varcarono una soglia sulla cui porta c’era scritto “RISERVATO”, subito sulla sinistra. Martino asciugò le mani sui pantaloni, immaginando di doverla stringere a Norman.
Insomma, già era addolorato per la scomparsa del figlio, doveva anche stringere una mano sudaticcia? No, non era il caso. Per niente.
Bloccò il suo processo di masturbazione mentale, quindi entrò nella stanza. Norman era silenzioso, mentre guardava gli ospiti entrare.
Il suo studio era una stanzetta, con varie fotografie, una scrivania, una libreria, una bacheca ed un televisore. Norman manteneva tra le mani il telecomando, mentre faceva zapping tra i programmi di telegiornale.
“Tesoro... Fiammetta ti è venuta a trovare”
“La vedo. Grazie amore”
Carol annuì in fretta, quindi si dileguò, lasciando i due soli con il marito.
Fu imbarazzante quella sequenza di secondi silenziosi, palleggiandosi il senso del dovere della prima parola.
Battuta iniziale all’impacciatissima Fiammetta.
“Norman... Come stai?”
Quello sorrise, sarcasticamente.
“Come dovrei stare?”
“Domanda un po’ sciocca in effetti...” osservò Martino.
“E questo chi è?”
“Martino, da Oblivia. Sono un Ranger”
“Ah... Bene... Non solo il mondo sta finendo, non solo mio figlio è scomparso, ora mi ritrovo davanti anche uno stupido Ranger!” borbottò lui.
“Ma che diamine vuole questo?!” chiese il ragazzo a Fiammetta.
“Lascialo perdere, Martì. Anzi, vai e lasciami un po’ da sola con lui”
Dopo un secondo lungo qualche settimana, in cui Martino aveva fatto pensieri da pervertito, annuì ed uscì, sbattendo la porta.
“Ranger... Che tipacci...” borbottò ancora l’uomo.
“Non trattarlo male, Norman, è qui per aiutarci”
“Dov’è Ruby?”
Fiammetta spalancò gli occhi, colta alla sprovvista.
“Che dovrei saperne?”
“Non tornava mai a casa, ed io non lo vedevo da anni... ma non passava un giorno, e dico un giorno soltanto, in cui non chiamava la madre. Il terzo giorno che non si faceva sentire...” i suoi occhi, già piccoli, si strinsero e diventarono due linee. Un rivolo sapido cadde dalle sue palpebre, fiancheggiando lo zigomo, e quindi un urlo.
“Santo cielo!” Il telecomando che aveva tra le mani venne scaraventato sul muro accanto alla ragazza, trasformandosi in un milione di pezzi di plastica neri.
Fiammetta non riuscì a trattenere un urlo. “Norman, cazzo! Calmati!”
Quello guardò contrito la ragazza. I capelli sulla sua testa, di solito ben pettinati a formare quel casco di capelli corvino. Il volto squassato dal passaggio molesto della fame e dell’insonnia, con le labbra violacee e gli occhi scavati, che acuminavano ancor di più gli zigomi barbuti.
Le iridi ardevano.
“Calmarmi?! E perché mai?! Dove cazzo sta mio figlio?!” urlò contro la rossa.
“Ma io che diamine dovrei saperne?!”
Norman sbatté gli occhi un paio di volte e poi mutò espressione in viso.
“Scusami... Non è un tuo problema giustamente”
Fiammetta sospirò. “Non è così. Voglio aiutarti a trovare Ruby”
“Anche Sapphire non si trova più...”
Fiammetta sospirò ancora, quindi annuì.
“Non posso pensare ad una fuga d’amore. In qualche modo sarei riuscito a ritrovarli e...”
“Norman. Fermati e rilassati. Mantieni la calma e dai forza a tua moglie”
Lui fissò la bella ragazza per qualche secondo, quindi calò il sipario delle palpebre per qualche secondo per poi annuì. “Hai ragione”
“Certo. Rilassati adesso. Dormi un po’, e domani vai a cercare i ragazzi”
“Magari sarò fortunato” disse tra sé e sé.
“Magari sì. Magari sarai fortunato”
Norman annuì di nuovo. “Hai ragione. Devo partire”. Si sollevò velocemente dalla sua seduta, e si guardò attorno. Aprì un armadio in legno. Sette scaffali, ognuno dei quali conteneva sei pedicelli, a mantenere altrettante Pokéball.
Prese le prime sei, probabilmente i Pokémon da guerra, e al sol pensiero di tale definizione Fiammetta sorrise di nascosto. Poi uscì dalla stanza. Si sentì cigolare la porta blindata, e poi il rumore della stessa, sbattuta dall’uomo.
“Norman!” urlava Caroline, facendo un paio di passi verso la finestra. L’uomo però non si girava. La donna mutò la propria espressione, non riuscendo più a trattenere il pianto, quindi si voltò verso la giovane. “Ma che gli hai detto?!”
Fiammetta fece spallucce, portando le mani ai fianchi, sospirando. Quindi si voltò.
La scrivania dell’uomo. L’aggirò per poi aprire tutti cassetti.
Carol la guardava sconvolta. “Cosa fai?!”
“Tranquilla, Carol... Mi servono...”
Si morse la lingua, cercando con la mano qualcosa che non poteva vedere. Alzò gli occhi al cielo, e quindi sorrise. “Eccole”.
Tirò fuori due medaglie. “Mi servono queste”
“Ma...”
“Tranquilla”
“Ok...” fece lei, acquietandosi. Fiammetta le si avvicinò, la strinse in un abbraccio compassionevole, poi recuperò Martino, seduto su di una sedia a fissare le foto che aveva di fronte, nella sala d’aspetto, quindi uscì.

Gold volava su Pidgeot. L’enorme volatile con un battito d’ala solcava il cielo ampio e scuro. Stavano sorvolando proprio in quel momento Zafferanopoli. Da lontano erano in grado di vedere densi ammassi di nuvole accumularsi nei pressi di un’enorme ed alta costruzione.
“La Torre Pokémon...” sussurrò Gold. Era già a conoscenza del fatto che non fosse più un cimitero, e che da qualche anno a quella parte fosse diventato un centro di trasmissione radiofonica.
Tuttavia era scettico riguardo la pulizia spirituale presente in quel posto. Fortemente convinto dell’esistenza dei fantasmi, credeva nella loro rabbia.
Ora, senza casa, quelli avrebbero vagato senza meta né pace per l’eternità.
E Lavandonia era il posto dove mangiare anime corrotte.
Rabbrividì il ragazzo, sistemandosi il cappellino sulla testa, mentre le mani affondavano nel piumaggio morbido e delicato del Pokémon di Green.
Quest’ultimo viaggiava poco dietro il suo amico, su Charizard. Ogni battito d’ali emetteva uno strano schiocco, con conseguente movimento d’aria. Il crepitio si perdeva espandendosi nel vuoto del cielo serale.
Abbassò la testa, guardando Zafferanopoli. I terremoti che stavano colpendo le varie regioni, oltre agli attacchi dei tre uccelli leggendari, avevano messo le persone in allerta. Nessuno calpestava le mattonelle ben disposte della città gialla. Il vento soffiava forte, l’aria costringeva Gold a chiudere gli occhi e a mantenere il cappello con una mano, mentre con l’altra stringeva forte Pidgeot.
Le nuvole nere su Lavandonia s’impastavano tra di loro, formando un banco denso e scuro, dal quale ritmicamente vari fulmini scaricavano l’energia fino al pavimento.
Un urlo poi.
“Zapdos...” sussurrò Green, preoccupato per Blue.
“Dobbiamo fare presto!” urlò Gold, voltandosi e perdendo il cappello, subito afferrato dall’amico che lo seguiva. Green annuì, quindi sospirò.
Un enorme uccello giallo volteggiava attorno alle grandi antenne della Torre Radio di Lavandonia. Le ali erano ispide, il becco puntuto e lungo. I fulmini si scagliavano sul suolo, raggiunti qualche secondo dopo da rombi incredibili di tuono.
Arrivarono lì pochi minuti dopo. Blue stringeva i denti, ma aveva evidenti ferite ed ustioni provocate dagli attacchi del Pokémon.
“Siete arrivati, finalmente”

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