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Capitolo Tredicesimo - 13

Salve a tutti, gente. Oggi è fuori il capitolo 13 di Hoenn's Chrysis. Spero che la storia vi stia piacendo. Le visualizzazioni nel blog attestano che forse è così, e di questo sono più che fiero.
Mi scuso per i ritardi nelle pubblicazioni ed anche per la poca lunghezza dei capitoli, ma purtroppo sono praticamente da solo, Rachel è giustamente in vacanza, dopo tanto studio e lavoro sul manga ed io sto lavorando parecchio, quindi devo scrivere di notte, ma le mie palpebre, dopo 12 ore di lavoro, perdono sempre contro la forza di gravità.
Ok, lasciando perdere le chiacchiere, sabato esce un nuovo capitolo della nostra raccolta di shipping, mentre se scrollate con il mouse nelle uscite, oppure andate qui, potrete andare a leggere il pezzo di _beatlemania is back per il progetto Soulwriters Team.
Mi raccomando, serve il vostro supporto su EFP, siamo praticamente il primo gruppo di scrittura.
Detto ciò mi dileguo e vi lascio alla lettura.
Spero sia piacevole.

A presto!

Andy




Marina


Era pieno pomeriggio, ma il sole era ormai tramontato da un pezzo. Le lampade esterne erano accese ed il brusio che proveniva dal boschetto appena fuori il paese riempiva le orecchie di Gold.
Si era addormentato di colpo, vestito, ed era rimasto immobile, steso sulla schiena. Aprì gli occhi, mentre i lampioni illuminavano il suo volto di luce gialla. Lo stomaco brontolava.
"... Porca puttana..." sussurrò, rimettendosi in piedi. Le gambe si stavano abituando a reggere il suo peso, quando lo stomaco fece un'altra chiamata. L'orologio a parete segnava chiaramente come le 17 fossero passate già da sei minuti.
17:06.
"Cazzo! Hoenn! Oak! Crystal!" scattò repentinamente in avanti, correndo velocemente. Aprì il frigo, prese l'ennesimo wurstel e poi si catapultò fuori, sbattendo la porta.
Sette passi, fatti tutti di corsa, e poi lanciò la sfera di Togebo in aria.
"Olivinopoli, e pure in fretta!"
Il battito delle ali del Pokémon volante producevano uno schiocco nell’aria non indifferente, anche se il rumore del vento riempiva le orecchie del ragazzo.
Avventure, tante avventure. Poco tempo per fermarsi, per rilassarsi un po’, e lo stress che, nonostante tutte le melliflue pause, cresceva esponenzialmente.
Non riusciva a fermarsi. La sua vita era un viaggio continuo, di vento tra i capelli, di acqua tra le dita dei piedi, di vestiti bagnati, di urla, di sorrisi, di denti e pugni chiusi.
Di strategie, di piani, di doveri.
Di donne.
Amava le donne. E non nel senso tradizionale della frase, con il quale s’inquadra un individuo maschio eterosessuale piuttosto preso da una o più relazione interpersonali fisiche ed emozionali con un altro individuo del sesso opposto.
No, assolutamente no. Lui le donne le venerava, le adorava, le stimava per la loro bellezza. Sorrideva per via dei loro sguardi, dei loro movimenti, delle loro occhiatacce. Sorrideva anche per via dei loro sorrisi.
Senza nemmeno parlare dei privilegi che otteneva una volta entrato nelle loro grazie.
Dopo tre ore di volo, in cui avevano sorvolato Fiorpescopoli, Azalina e parte di Fiordoropoli, era atterrato ad Olivinopoli.
Da lontano il grande faro illuminava costantemente il mare con sprazzi di luce. La M/N GIULIA era attraccata al molo nove, ed orde impazzite di persone si spintonavano a vicenda con l’intento di prendere i posti migliori.
“Scendiamo qui” fece Gold a Togebo, e lo vide abbassare la quota d’altitudine con delicatezza. Mentre ciò avveniva però uno Staraptor tagliò loro la strada, scendendo in picchiata alla massima velocità.
“Ma che cavolo fai?!” urlò Gold, dall’alto del suo Pokémon. Mise bene a fuoco l'enorme Pokémon Volante e vide che qualcuno lo stava conducendo.
Una macchia blu. Solo quello era riuscito a mettere a fuoco Gold.
"Inseguilo!"
Togekiss scese in picchiata, e velocemente raggiunse lo Staraptor che stava ormai frenando la propria discesa. Quello era un esemplare imponente di Pokémon. Il piumaggio, lucido ma scuro allo stesso tempo, dimostrava le molteplici attenzioni che il suo allenatore gli prestava. L'apertura alare era abnorme.
Quello era un Pokémon fuori dal comune.
Quando Togekiss lo raggiunse, Gold mise meglio a fuoco il volto del pilota avversario. Era una ragazza.
I capelli castani erano portati indietro dal vento. Magra, molto magra, la ragazza aveva la carnagione olivastra, abbronzata (cosa un po' insolita a dicembre) e le labbra belle rosa; di tanto in tanto le umettava con la lingua dato che il vento che prendeva in faccia durante il volo grandi quantità d'aria. Proprio per questo motivo indossava un paio di pratici occhialini da aeronauta.
Gold gettò un occhio anche all'abbigliamento di quella. Pantaloncini corti, con quel freddo, a tenere scoperte le gambe snelle, e sopra una maglietta bianca con gilet rosso.
Arrivarono a terra, toccando le mattonelle bianche di Olivinopoli. Gold era furibondo.
"Dannazione, cocca, ma che ti dice la testa?!"
Quella si girò, dapprincipio inarcando le sopracciglia, poi curvandole. "Guidi come una femminuccia!"
Gold guardò per un momento Togebo e respirò per un paio di volte, calmo. "Se non fossi una donna ti prenderei a testate sulle gengive"
"La vuoi finire di parlare?! Sembri la versione bianca di Lil Wayne così vestito"
"Stai parlando dei miei vestiti?! Tu sembri appena uscita da Tron!"
La ragazza spalancò gli occhi e poi abbassò lo sguardo sul vestiario. "Questa è la divisa ufficiale dei Ranger di Oblivia" fece, con meno arroganza. "Io almeno ho un lavoro e qualcosa da fare! Tu sei un nullafacente sicuramente!"
Gold non riuscì a nascondere un ghigno. "Tsk. Tu hai questo?" fece, e cacciò il Pokédex dalla tracolla che aveva sulle spalle.
"Sei un Dexholder... Beh, tu hai questo?" chiese, mostrando lo Styler di cattura.
"A casa ne ho almeno tre che non uso..."
"Ma sicuramente non saranno avanzati tecnologicamente come questo"
Gold stava ringhiando senza accorgersene. Un Pokémon Ranger ostinato e cocciuto gli stava facendo venir voglia di far provare qualche attacco a Togebo. Ma poi lasciò perdere. "Lasciami in pace..." sussurrò, facendo rientrare il Pokémon alato nella sua sfera. Ripose il Pokédex e chiuse la tracolla, cominciando a dirigersi verso la zona portuale. Le luci sul lungomare illuminavano praticamente tutti i pontili, gran parte dei quali erano vuoti. La M/N GIULIA aspettava maestosa attraccata al molo numero nove, mentre la fila al botteghino sembrava non terminare mai.
La fila... Gold odiava la fila. Doveva per forza essere costretto a farlo, tipo quando Silver era pesantemente ammalato, e Crystal doveva badare a lui.
“Vai a prendere le medicine in farmacia” gli diceva la ragazza.
“Ma c’è fila!”
“Silver sta male! Che m’interessa della fila?!”
E così il ragazzo passava ore ed ore ad aspettare il suo turno, tra due vecchiette, una davanti ed una indietro, che gareggiavano su quale delle due l’osteoporosi si fosse accanita di più.
In quel momento era distratto, Gold. Il rumore del mare ed il pensiero che Silver e Crystal sarebbero potuti essere in pericolo lo rendevano piuttosto teso.
“Comunque mi chiamo Marina...” fece una voce di ragazza alle sue spalle. Il giovane si girò, quindi rivide il Ranger di prima.
“Gold...” rispose, girandosi ed alzando le cuffiette alle orecchie. Marina sbuffò, e lo colpì con uno schiaffo alla spalla sinistra.
“Sei anche maleducato, vero?”
“Che caspita vuoi da me?” chiese quello, con calma surreale.
“Il Professor Oak mi ha dato mandato di partire per Hoenn... e mi ha avvertito che anche tu avresti dovuto navigare con me verso l’isola”
“E che dovresti fare tu, precisamente, ad Hoenn?” levò una cuffietta, mentre 50 Cent pompava Pilot in quell’altra.
“Sicuramente ho molta più utilità di te. Devo placare i Pokémon selvatici”
“Con il tuo anellino?” ghignò lui.
“Il mio anellino ti potrebbe mandare al manicomio...”
“Oh, beh... Sicuramente” sorrise Gold, mostrando la dentatura smagliante. Il solito pervertito che non era altro.
“... Ma... Non in quel senso! Sei proprio un maiale!”
Sospirò dopo una risata, il ragazzo, quindi rialzò la cuffia. Pilot era appena finita e cominciava Sing About Me di Kendrick Lamar. Quella canzone lo rilassava parecchio.
La fila era più scorrevole di quello che credeva. Dopo pochi minuti mancavano tre persone, poi sarebbe toccato a lui. Intanto si perdeva tra le note, cercando di stendere un freestyle tra quelle note, con pessimo esito.
Non era un rapper. Tuttavia qualche incastro di rime gli usciva, e si esaltava parecchio quando accadeva.
Quando finalmente toccò a lui, fu in grado di mettere a fuoco il viso dell’operatore del servizio navale che gli avrebbe venduto i biglietti per la partenza per Hoenn. I capelli pettinati da una parte erano castani, e le occhiaie spesse e profonde. Gli occhi si erano ridotti a due fessure, diventando totalmente inespressivi. Si stringeva nella sciarpa di lana mentre la sua carnagione bianca lattiginosa quasi si confondeva con lo sfondo del muro alle sue spalle.
“Per dove?” domandò solo.
Marina lo spostò di peso, mettendosi davanti a lui. Quello spalancò gli occhi: quella pulce lo stava infastidendo oltremodo. Convinto a riprendersi il suo posto le si avvicinò minaccioso.
“Senti, Puffetta, non so con chi tu abbia avuto a che fare dove vivi ma qui ti posso assicurare che le tipe come te le...”
Marina sbuffò, tendendo la mano verso la bocca del ragazzo. Afferrò le labbra con le dita, chiudendole come se avesse utilizzato delle mollette, quindi respirò velocemente, pressata dallo sguardo ansiogeno dell’operatore.
“Due per Hoenn, sola andata...”
“Alghepoli o Selcepoli?” chiese quello, flemmatico.
“È uguale”
“Selcepoli è finito”
“Mi dia Alghepoli” inarcò il sopracciglio Marina. Gold spalancò gli occhi. Quella stava prendendo il biglietto anche per lui. Forse era il caso di calmarsi. Fece un passo indietro e si risistemò i vestiti, stendendoli per bene sul corpo asciutto.
Dopo aver pagato, Marina gli si avvicinò e gli porse il biglietto.
“Fai presto! Dobbiamo salire!”
“Sì, Puffetta, adesso salgo”
Caricò lo zaino in spalla e salì sul pontile della Motonave.

Mangiò qualcosa sul ponte, seduto a guardare il mare in un’alquanto improbabile stato di quiete, mentre Marina camminava a zonzo qui e lì, esplorando la piccola navetta. Viaggiavano da abbastanza tempo, e ormai il buio era assurdo. Solo le lampadine sul ponte illuminavano un po’ attorno, ma per il resto si trovavano in mare aperto, sulla prua di quella motonave, e non riusciva a capire se fossero più vicini ad Hoenn o a Johto.
Gold continuava a sentire musica, con il vento che lo investiva sul volto e lo faceva lacrimare. Si chiedeva per quale dannatissimo motivo fosse dicembre ed avesse caldo.
“A dicembre fa freddo” disse, tra sé e sé.
“E oggi fa caldo”
“Marina, non sei obbligata a rispondere ad ogni cosa che dico”
“Oh, fidati. Odio i gradassi come te”
“Non so cosa c'entri... in ogni caso non mi conosci neppure”
“Infatti...” storse il labbro quella, sedendosi vicino a lui. Le loro cabine erano attigue, Oak ne aveva prese due stavolta.
In caso contrario Gold avrebbe dormito sul pavimento con tutte le probabilità, ma si sarebbe svegliato nel cuore della notte per aprire la valigia della ragazza ed odorare le sue mutandine.
Invece ognuno sarebbe stato sul proprio letto, nella propria stanza. Tuttavia erano soli, a guardare il mare mentre il faro di chissà che posto si illuminava a sprazzi, avvertendoli di come gli scogli fossero duri.
“Io vado a dormire...” fece Marina, stufa di litigare ma anche dello strano silenzio dell’allenatore, rinchiuso nelle sue cuffiette. Staraptor era poggiato alla ringhiera, e riposava, immobile, con gli occhi chiusi.
Gold continuava a fissare dritto.
“Ho detto che vado a dormire!” fece, dandogli uno spintone.
Gold spalancò gli occhi, riempiendoli di rabbia. Scattò all’in piedi e la bruciò con lo sguardo.
“Ma che diamine vuoi?!” urlò, facendo svegliare Staraptor che, d’istinto, attaccò con alcune beccate il ragazzo.
Risultato?
Marina rideva e Gold urlava alla ragazza di far fermare quel pollo troppo cresciuto.

Un cerotto sul braccio. Alla fine si era ridotto tutto a quello, il dannatissimo Staraptor continuava a dormire sulla ringhiera, ma di tanto in tanto apriva un occhio e fissava Gold, temendo vendette trasversali.
Staccò le cuffiette e stese le gambe. Il calore non accennava a diminuire, ed il suo orologio gli mostrava quanto fosse chiaramente tardi.
Il ragazzo non brillava di simpatia. L’utopia della tranquillità non lo affascinava, tuttavia avrebbe voluto saggiarne il sapore, bagnarvi le labbra e leccarvi le gocce.
Alla fine non aveva bisogno di sedentarietà, non necessitava di routine.
Il suo volto si stava scavando, e intanto le occhiaie sul suo viso sembravano tatuate.
Si chiedeva che piega stava prendendo la sua vita. Più di vent’anni, molti dei quali passati a fare il ragazzino, senza responsabilità né voglia di migliorare.
Senza voglia di crescere.
Lui era un eterno bambino. La cosa non lo disturbava né lo rendeva fiero, ma era stanco delle tirate d’orecchi dei suoi coinquilini. Vedeva i suoi amici crescere, e lui si ostinava a rimanere com’era. Forse era sbagliato, ma non si voleva arrovellare più di tanto. Tuttavia la cosa lo disturbava un po’ ed il fatto che la cosa lo disturbasse lo... disturbava.
Perché stava pensando così tanto?
Perché stava ancora lì? Perché stava così? Perché non era ancora andato a dormire?
Si alzò, sbuffando, lui non poteva essere malinconico. Non esisteva che il suo muso si protendesse poco oltre il normale alloggio che i suoi genitori avevano progettato quando era ancora un girino.
Infilò le cuffiette in tasca ed andò un po’ a zonzo, passeggiando. Il rumore del mare cullava i suoi pensieri, che viaggiavano dalla paura del futuro fino al fatto che Marina tutto sommato malaccio non fosse.
Antipatica ed ingestibile.
Ma non malaccio.
Arrivò a poppa e la cosa gli strappò un sorriso.
La luna illuminava tutto, bella, bianca e vivida, quasi incandescente per il calore che c’era, e che per altro costrinse Gold a levare il berretto dalla testa. Passò una mano tra i capelli umidi, ed una sagoma ombrata apparve davanti ai suoi occhi.
Era poggiata sulla punta della ringhiera sulla prua. Era abbastanza voluminosa, ma sembrava leggera, quasi ondeggiasse in corrispondenza col vento.
“Che diamine... che diamine sei?” chiese quello, incuriosito. Il suo istinto lo chiamava, gli urlava a pieni polmoni che quello era un Pokémon. Prese il Pokédex, e lo puntò verso l’ombra.

 

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