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Capitolo Trentunesimo - 31

Salve a tutti! Fuori il capitolo numero 31 di Hoenn's Crysis. Vi ricordo che per avere un migliore quadro generale sulle nostre storie potete visionare la pagina principale del blog, ovvero questa, in modo da fare un rapido recognize! Nella pagina "One Shot e Short Stories" potete trovare molte vicende che fanno sempre parte del ciclo di Pokémon Courage. Inoltre ricorda che la carissima Black Lady, admin della pagina Svignettiamo, sta disegnando proprio questa storia. Siamo ancora agli inizi, ma perché non correte sulla sua pagina a dare un'occhiata?! Ecco i bozzetti degli studi di Silver.

 


Alto calibro



“Sì, Crystal, siamo a Porto Alghepoli. Abbiamo incontrato Igor, il Generale del Team Magma e ci ha fatto un discorso molto filosofico sulle loro intenzioni” sospirava Silver mentre, seduto sul divano nel salotto di Ester, aveva in mano l’Holovox. Crystal appariva bluette agli occhi del fulvo, che riusciva lo stesso a vedere negli occhi puri di quella preoccupazione ed al contempo determinazione.
“Gold come sta?” chiedeva quella, mentre un’interferenza attraversò velocemente l’ologramma della sua figura.
“Penso bene. È mezz’ora che è chiuso in una stanza con Ester. Ho preferito rimanere qui fuori e contattarti”.
“Che dolce...” sorrise lei. “E invece tu? Come stai?”.
“Mah... Sono stato meglio”.
“Siamo vicini alla soluzione, ne sono sicura! Tra qualche minuto partiremo per Ceneride e cattureremo Groudon!”.
Silver annuì, passando una mano nei lunghi capelli rossi. “Sicuramente ce la farai. Ci vedremo lì, sicuramente e...”.
Ester aprì la porta ed uscì nel grande salone, arredato in maniera classica. Camminava leggermente sul suo parquet in noce, quasi sembrava si muovesse come i suoi Pokémon, fluttuando, evitando di emettere qualsiasi rumore.
Silver la guardò e salutò Crystal, interrompendo la conversazione. Si alzò e la guardò negli occhi.
“La situazione è più grave del previsto. Ci vorrebbe più riposo, meno stress, ma capisco che questo contesto sia  impegnativo per lui”.
“Basterebbe il semplice riposo per fargli passare quello che gli sta capitando?!” chiese esterrefatto Silver, avvicinandosi a lei.
Ester sorrise. “No. Il riposo diminuirebbe la velocità di espansione di quella macchia”.
“A proposito... cos’è?”.
Ester guardò per un momento le nuvole nere al di fuori della sua finestra, credendo che quei giorni così uggiosi e pesanti non passassero più. “Come le cellule si ammalano formando tumori, così anche l’anima viene inquinata. E purtroppo non c’è modo di pulirla definitivamente, o almeno, io non la conosco”.
Dei passi si fecero largo ed Ester e Silver si voltarono.
Gold a petto nudo guardava entrambi col volto affranto; Silver fissava l’enorme croce sul petto che intanto si era ingrandita. Né la Superquattro di Hoenn né tantomeno il ragazzo dai capelli rossi vollero esprimersi in alcun modo dopo aver visto il viso di Gold, che fece una sola, unica e semplice domanda.
“Ester... Non puoi fare nulla quindi?”.
Silver non aveva mai sentito la voce del ragazzo con quell’accezione pietosa. Provava compassione per lui e, nonostante vivesse in lui un mostro ricolmo di rabbia e rancore ogni qualvolta il moro nominasse Crystal, compatire un amico era la cosa peggiore per lui.
La donna si voltò stanca, battendo le palpebre con lentezza e condendo il tutto con un sospiro denso di fatica e paura. “No. Posso cambiare le erbe nel tuo sacchetto, aggiungerci qualche frammento di cristallo... ma ciò vorrebbe dire che dovrei levartelo dal collo e nella situazione in cui sei adesso proveresti un dolore atroce...”.
“Addirittura?” chiese il diretto interessato, abbassando la testa e guardando il contenitore e quello strano fumo nero che vi si addensava all’interno.
“Non basta questo?” aggiunse.
“A quanto pare no. A quanto pare chi ti ha fatto questa maledizione è davvero preparato”.
“Quella biondina... Così giovane e già così... stronza...” disse lui, tra i denti stretti.
Silver storse il labbro, rendendosi conto di quanto fosse strano che anche Ester, una specialista dei Pokémon Spettro, fosse impotente contro le capacità di una donna giovane come Christine.
Ragionò e capì che se le abilità e le volontà di queste persone, di questi geni, fossero stati messi al servizio del bene comune, il mondo sarebbe stato un mondo migliore.
Si sorprese di aver fatto un pensiero del genere e lo cacciò via dalla mente, tornando a guardare Ester che si umettava le labbra, concentrata sull’imperiosa croce viola sul petto di Gold.
“Non saprei che altro fare, ora come ora... È tutto complicato, capitemi. Sto cercando di mantenere Porto Alghepoli al sicuro ma è difficile con tutti questi cataclismi...”.
“Arceus, ti prego, fai finire tutto questo” sussurrò il fulvo, prima di sbuffare stanco.
“Che ha detto Crystal?” chiese poi Gold, mentre si rivestiva.
“Niente. Chiedeva notizie di Fiammetta e più in generale sulla missione”.
Il ragazzo uscì dalla stanza con la zip della giacca aperta. Spostò i capelli con la mano, cercando di trovare un ordine nel disordine, puro caos organizzato che dall’interno della sua testa attraversava il cranio.
“Beh? Le hai detto che troverò al più presto Fiammetta e la porterò in salvo?” sorrise, ottimista come sempre.
Ester sorrise di cuore sentendo quelle parole: reputò Gold come un giovane pieno di buone qualità. La ragazza andò a riempire un bicchiere d’acqua e ne offrì uno anche ai due.
Silver declinò l’offerta, Gold l’accettò.

“Carina Ester, vero?” chiedeva il moro di Borgofoglianova, i cui occhi fissavano la superficie increspata del mare che riuscivano a vedere dal promontorio ovest di Porto Alghepoli. Silver guardava la vita e la rabbia che esprimeva quel tesoro grigio dai fondali sabbiosi; si dimenava, il mare, trascinava le sue onde qui e lì, sospinto dal vento capriccioso e dai moti che avevano voglia di giocare. Sulla battigia si tuffavano onde scure e stanche che, lente, si asciugavano e ritornavano sotto le proprie coperte, lasciando solchi con unghie di schiuma.
“Hey! Mi rispondi?! Ah, non puoi, scusa, dimenticavo! Crystal s’arrabbierebbe!” lo schernì Gold.
Silver si girò e lo bruciò con lo sguardo, almeno prima che quello dagli occhi d’oro non sorridesse e prendesse a guardare avanti. Il bicchiere di vetro che gli aveva dato Ester conteneva fresca acqua limpida che il moro sorseggiava a piccoli sorsi, come fosse un whiskey parecchio invecchiato, con qualche chicco di caffè, o in alternativo, delle placchette di cioccolato fondente.
Non sembrava per niente turbato dal fatto che una strana maledizione gli stesse mangiando l’anima, anzi, pareva molto rilassato.
“Ed ora? Qual è la prossima mossa, Generale Aristarco?”.
“Ti  ho detto mille volte di non chiamarmi così”.
“Aristarco de Ebetis, è un nome fantastico per te. Proprio azzeccato, oserei dire”.
Silver sbuffò nuovamente e con gli occhi pesanti voltò lo sguardo dall’altra parte, infilando le mani fredde in tasca. Avrebbe voluto rompergli il muso con un pugno. Sì, e poi qualche calcio sui denti, giusto per gradire.
“Oh cazzo...” sentì sussurrare poi. Il fulvo si voltò e vide Gold con gli occhi spalancati ed una strana smorfia preoccupata sul viso.
“Che succede?” chiese Silver, con la sua solita flemma, ma Gold era già partito a correre verso sud, con il bicchiere d’acqua stretto nella mano destra, il cui contenuto strabordava ad ogni passo.
Dopo una cinquantina di metri si fermò ed urlò.
Magma!”.
Silver guardò interdetto la scena: Gold tirò indietro la mano con il bicchiere e la lanciò come poche volte aveva fatto Babe Ruth, cogliendo sul volto una stupitissima recluta del Team Magma.
“Che diamine...” Silver cominciò ad avvicinarsi di corsa verso il suo compagno d’avventura che si era avventato come un avvoltoio sulla preda.
“Parla! Dove...”.
Pugno.
“... Avete...”.
Pugno.
“Rinchiuso”.
Pugno.
“Fiammetta!”
Pugno di chiusura e tentativo di dimenarsi poi abortito dalla presa di Silver.
“Calmati, stupido! Se lo ammazzi non ci dirà più niente!” esclamò proprio quest’ultimo, afferrando Gold per la testa, poggiando i pollici sulle tempie del ragazzo e facendo aderire le proprie fronti.
“Lasciami!” fece leggermente più calmo il moro, divincolandosi. Si avvicinò nuovamente al giovane ragazzo vestito di nero, con quella M fiammante sul petto, e si accovacciò.
“Allora Ciccio, ho una gran voglia... Ma che voglia, un gran bisogno, ecco, di tirarti un calcio in faccia. E diciamo che dopo qualche cazzotto sei ridotto male, ma male male male. Ecco perché tu adesso ti alzerai e mi condurrai da Fiammetta Moore”.
La Recluta aveva poco più di vent’anni ad occhio e croce, ed il suo viso era totalmente sporco di sangue, fluito abbondante dal naso.
“Hey, hai sentito che ha detto il pazzo qui?!” esclamò Silver, col suo solito tono neutro, a braccia conserte, dietro le spalle di Gold. “Devi dirigerci verso Fiammetta Moore”.
Tuttavia gli occhi del giovane uomo sembravano sempre più persi.
“Silver, amico mio... Questo non capisce”.
“Sarà straniero”.
“Probabile” sorrise Gold. “O forse vuole solo i miei calci sui denti, perché è un lurido masochista, terrorista e rapitore di Capopalestra formose e presto in debito con il sottoscritto”.
“Dannazione, Gold... Una volta tanto che stavamo facendo le cose per bene...” Silver storse le labbra e portò le mani ai fianchi.
“Non so fare il poliziotto cattivo, lo sai” sorrise l’altro allargando il compasso delle labbra quanto più possibile. “Capisci ciò che dico?” chiese poi alla Recluta, che annuì silenziosa.
“Benissimo. Vuoi un calcio sui denti?”.
La risposta fu ovviamente un no, espresso scuotendo la testa.
“Sai vero che se io non ti do il calcio sui denti tu mi aiuterai, giusto?”.
Annuì stentatamente, la Recluta. Ma tanto bastò a Gold per permettergli di afferrarlo con forza per il collo del maglione e sollevarlo con forza in piedi.
“Dove dobbiamo andare?” chiese Silver, avvicinandosi ulteriormente.
La Recluta parlò per la prima volta dopo l’assalto subito. Alzò un dito tremante verso ovest e scandì lentamente le sue parole.
“S-siamo... s-siamo in una grotta. P-poco d-dopo Forestopoli”.
“Andiamo!” esclamò il più impulsivo dei due, tirandolo per il braccio sottile, trascinandolo con forza.

“Crystal”.
La voce di Silver era disturbata dal vento e la ragazza vedeva l’immagine del ragazzo distorta.
“Non si vede un granché...” sospirò lei, imbracciando lo zaino.
“Siamo in cammino. Gold ha malmenato una Recluta del Team Magma e adesso ci sta conducendo verso la loro base”.
“Gold ha fatto a botte?!”.
Silver sospirò. “Sì... Gold ha fatto a botte...”.
Marina, che era accanto a Crystal, vide l’immagine del ragazzo e guardò in volto la ragazza, sorridendole quasi in maniera derisoria.
Silver vide Crystal voltare un attimo il viso verso sinistra, incuriosita, quindi riprese la conversazione.
“Ok, Silver, vi raggiungiamo. Dove si trova il posto?”.
Silver sospirò nuovamente e alzò gli occhi, distogliendoli dalla comunicazione olografica.
“La Recluta dice poco dopo Forestopoli”.
“La conosco!” sentì urlare a qualche metro dalla donna dagli occhi di Cristallo: era la voce di Alice, che intanto passò nervosamente alle spalle della ragazza.
Un’altra interferenza tagliò in due il voltò di Crystal che sorrise dolcemente al ragazzo, prima di interrompere la comunicazione.
“Dobbiamo andare assolutamente lì!” urlava Alice, spalancando la porta della palestra ed uscendo fuori, affondando i piedi nell’erba umida; a Forestopoli pioveva quasi sempre, tuttavia la coltre di rami e foglie, che faceva da tetto ed impediva ai cittadini di quella città intagliata negli alberi di vedere il cielo e le stelle, servivano anche da grondaia. Adriano le corse vicino, afferrandole il braccio destro mentre quella cercava di salire la scala di corda che l’avrebbe portata verso il ponte principale della città.
“Fermati” fece, con quella voce calda ed avvolgente. Alice si voltò prontamente, perdendosi per un attimo in quegli occhi del colore del mare. Ricordò per un attimo quei brevi momenti che aveva passato stretta tra le sue braccia, quando quella mano carezzava la sua pelle.
“Adriano... Dobbiamo andare subito...”. Gli occhi di Alice erano diventati grossi laghi profondi in cui il Capopalestra di tipo Acqua affondava senza alcuna speranza di affiorare nuovamente in superficie. Ma a lui piaceva, ed un piccolo sorriso nacque spontaneo ed innocente sul suo volto.
“Non c’è tempo. Ceneride è in pericolo, e sai bene che Ceneride va protetta”.
“La Grotta dei Tempi...” aggiunse Rocco, che li raggiunse lentamente. “Non possiamo permettere che qualcuno vi metta piede altrimenti saremo tutti in serio pericolo”.
Alice sbuffò e saltò giù dal quarto piolo, atterrando con eleganza e leggiadria, quindi si avvicinò ai due.
“No, ragazzi, ormai è già tutto pregiudicato! Dobbiamo riuscire ad evitare il peggio per la nostra gente! In più Fiammetta è pur sempre una Capopalestra e può darci una mano”.
“Anche Fosco è stato rapito dal Team Magma, Alice, ma non dobbiamo perdere la calma. Non possiamo farlo”.
Adriano guardò prima il suo amico fraterno negli occhi e poi si tuffò in uno sguardo languido fissando Alice. “So che per te è difficile, ma... Hey, se il Professor Oak ha inviato qui ad Hoenn questi ragazzi vuol dire che sono abili. Potranno benissimo andare alla base Magma, ricongiungersi con gli altri due ed espugnarla”.
“Si tratta di Fiammetta, Adriano! Quella ragazza è troppo giovane per...”.
“Alice” tuonò Rocco. “L’hai detto tu, poco fa: lei è una Capopalestra, e resisterà. Ci sono migliaia di persone che stanno rischiando la propria vita e noi non possiamo dare differenti importanze alle vite della gente; quella di Fiammetta è preziosa come quella della nipote di Adriano, come quella di mio padre, come quella della signora che vive su quell’albero e così via. Crystal” disse poi, voltandosi verso i ragazzi. “Da questo momento ci dividiamo. Hai la responsabilità della missione; mi raccomando. E voi, Ranger, coadiuvatela”.
“Certo!” esclamarono grintosi i due fratelli.
“Ottimo. Alice, dobbiamo andare ora”.
E fu così che un Pelipper, un grosso Swellow cromatico ed uno Skarmory si levarono da Forestopoli, bucando la volta fogliata.
 
Fiammetta aprì lentamente gli occhi. Le sembrava di aver dormito per settimane, a testa in giù e con le mani legate; in realtà non erano passate nemmeno ventiquattr’ore dal momento in cui Andy l’aveva cinta per la vita, tirandola via con sé, nel cielo che precedeva il buio della sera.
Provò a muovere le mani, le dita c’erano ancora tutte, o almeno così le sembrava.
Fu costretta a richiudere gli occhi non appena la luce dei neon ronzanti provarono a pungere le fiammeggianti iridi della rossa, come spilli infuocati.
Schiuse le labbra con una fatica immane e mosse il piede destro. Si era appena resa conto del fatto che avesse i capelli sciolti, e molti le erano finite davanti agli occhi, dandole fastidio e procurandole solletico al naso. Abbassò la testa quanto più potesse e si guardò: era ancora vestita totalmente.
Quello non era un maniaco. Oppure era un maniaco silenzioso, dato che non si era accorta di nulla da quando, in volo verso un posto sconosciuto, era stata colpita e messa fuori combattimento.
“Sei sveglia...”.
Fiammetta alzò la testa e combatté contro l’istinto di chiudere gli occhi, fissando in volto Andy, il Magmatenente. Era seduto in maniera scomposta su di una sedia in legno consunta. Non aveva indosso il maglione scuro, quello con la emme rossa sul petto, era rimasto invece solo con una maglietta intima bianca. I capelli erano spettinati e quegli occhi verdi fissavano la Capopalestra in tutta la sua fragilità.
“Do... ve mi hai... portata...” chiese Fiammetta, con la bocca impastata. Deglutì con estrema difficoltà, riconoscendosi davvero spossata.
“Sei nella nostra base. Sei incatenata alla parete” fece Andy.
“La...sciami”.
Andy sorrise. “Io non ho alcun bisogno di tenerti qui, piccola mia. Cioè, mi piacerebbe davvero tanto poter fare cose con te che non potrei fare ma Zoe dopo ucciderebbe me e te, e non è il caso”.
“Perché... io?” chiese poi.
“Il progetto iniziale era quello di levare da mezzo chiunque avesse minato alla sicurezza dell’operazione. Tu, gli altri Capipalestra... I Superquattro, il Campione. Beh, avere a che fare con i Superquattro è davvero complicato, tranne che per Fosco che è stato un po’... Come dire? Pollo? Me lo concederà” sorrise il biondo, girando il volto verso sinistra.
Fiammetta seguì il suo sguardo, e vide un Fosco malmenato ed incatenato, ancora incosciente, legato con catene in acciaio arrugginito; il volto era emaciato e livido, ed il suo corpo si manteneva unicamente grazie alle catene, totalmente tese in avanti. Sangue scuro come la notte colava in una feritoia nel pavimento, di mattonelle bianche spesso spaccate e sporche. Tuttavia quel candore mal si accostava alla copertura in pietra del muro.
“Fosco...” sospirò Fiammetta.
“Ecco...” Andy si alzò e raggiunse il Superquattro; Fosco pareva essere spento e a niente valsero le urla sconnesse della rossa quando il cattivo gli alzò il volto, quello non si svegliava.
“È inutile urlare qui...” e dopo aver pronunciato quelle parole, il biondo colpì con un violento schiaffo il volto dello specialista di tipo Buio.
“No...” cominciò a piangere la donna.
Andy si avvicinò a lei, baciando le sue forme con gli occhi ed cominciando ad accarezzarle il volto.
Fu quello il momento in cui gli occhi di Fiammetta si svuotarono totalmente, cominciando a proiettare un film nella sua mente.

Era piccola, davvero piccola, e le immagini si susseguivano l’un l’altra tra di loro, sfocate e poco definite. Ricordava una luce rossa, calda. Poi vide il fuoco, e ancora vide Torkoal. Ricordava sua madre e suo e poi ricordò il volto di suo nonno mentre, nella Palestra, lottava ed allenava i suoi Pokémon. Gli aveva chiesto di imparare, di insegnarle come essere forte, e con Torkoal aveva iniziato il duro allenamento. Aveva vissuto sul Passo Selvaggio, il fianco della montagna che collegava Cuordilava alla cima del Monte Camino, da sola, per una settimana. Lì aveva continuato ad allenarsi e si era convinta a superare le proprie paure; entrò nel Cammino Ardente e portò a termine l’obiettivo che si era prefissata, ovvero catturare un altro Pokémon.
Così fu, al suo team si unì uno Slugma, e poi un altro ancora. E poi il nonno cominciò a renderla parte della palestra, dandole il ruolo di Allenatore Ostacolo nella Palestra durante le sfide ufficiali. Si era resa conto che, con suo nonno alle spalle, era diventata più sicura, più forte.
Fu per quel motivo che suo nonno le consegnò le chiavi della Palestra, rendendola automaticamente la Capopalestra più giovane di tutta Hoenn, almeno fino a che non furono nominati, qualche anno dopo, Tell e Pat. Le cose in palestra andavano, certo, non nel migliore dei modi, ma lei vedeva spesso i suoi avversari crollare. E quando suo nonno andò via cominciò il suo calvario: non credeva di esser diventata responsabile di tutte quelle persone, di tutte quelle vite.
Non ci riusciva, non ne era capace. Non sapeva come fare.
E poi successe che il Team Idro la rapirono, assieme a Sapphire Birch, e la chiusero in una cabina della funivia che serviva per salire sul Monte Camino, riempiendola d’acqua.
Provando ad ucciderla.
Lei, in quel momento, si era sentita una vera e propria nullità; totalmente inutile, totalmente vulnerabile, incapace di proteggere nessuna di quelle persone che, dopo l’eruzione avvenuta qualche anno dopo, appena qualche minuto prima di conoscere Crystal e Silver, cominciarono a dubitare di lei, del suo nome.
Lo stesso nome di suo nonno.
Non poteva permettere che il nome di suo nonno fosse compromesso. Ne andava del suo onore.
Fu così che decise di partire, per tornare protagonista, come quando c’era lui alle sue spalle ad aiutarla, a mostrarle la retta via.
Prese la scelta di partire con gli specialisti, di diventare la soluzione di un grosso problema, di abbandonare Cuordilava.
Ma di tornare più forte di prima.
Doveva essere forte.
Doveva smettere di piangere e cominciare a prendersi le proprie responsabilità.

“Io sono una Capopalestra” disse, con tono fermo, fissando dritta negli occhi il suo avversario.
“È proprio per questo che ti tengo qui. Anche se sei la meno abile c’è sempre un motivo se distribuivi medaglie a Cuordilava” sorrise Andy, a pochi centimetri dal suo volto.
“Liberami immediatamente”.
“Non posso. Anche se vorrei tanto” sorrise ancora lui carezzandole il viso con il dorso della mano. Questa scese lentamente, saggiando il calore del collo di quella ed un po’ più giù, poco prima dei seni.
“Uccidimi allora”.
“Non ti farò del male...” gli occhi di Andy si spalancarono, ma il suo sorriso continuava a vivere fiero sul volto. “Io non ti farò nulla. Non potrei mai fare nulla ad una donna bella come te”.
“Beh, se non mi uccidi allora sarai nei guai”.
Andy abbassò il volto, mantenendo sempre il sorriso stampato, quindi diventò improvvisamente serio; i suoi occhi furono accesi da una scintilla di follia pura.
L’uomo afferrò per il collo la donna e la tirò a sé, stringendo. Gli occhi di Fiammetta si spalancarono, le catene tintinnavano in base al movimento della donna.
“Tu non sei nelle condizioni di decidere!” ringhiò quello, poggiando la fronte contro quella della bella, sentendo il respiro frammentato di quella venire esalato a fatica. “Sei incatenata al muro, accanto a te c’è un uomo praticamente quasi morto”.
“Non fa differenza. Crystal e gli altri verranno qui e ti romperanno le ossa. Soprattutto Gold” sorrise poi.
“Smettila!” urlò poi Andy, la cui voce rimbombò per alcuni secondi tra le pareti della stanza, prima di disperdersi. Tuttavia riverberava ancora nella testa della rossa, faticando a sedimentarsi.
“Come perdi la calma facilmente...” ed un sorriso le apparve sul volto. “Non sembravi così accorato quando ti ho incontrato sul Monte Camino, anzi... parevi posato. Calmo, con tutto sotto controllo”.
“È ancora tutto sotto controllo! Tutto!” urlava quello, con gli occhi spalancati.
“Non controlli più i nervi! Come puoi dire una cosa del genere?!”
“È incredibile come tu, che sei sottomessa a me in questo momento, ti possa permettere di parlare in simili toni! Potrei ammazzarti anche adesso!”. Le tempie del biondo pulsavano, irradiando sangue al cervello e dandogli una strana espressione sul volto; pareva un toro durante una corrida.
“Fallo! Avanti!” lo schernì lei, ridendogli in faccia.
Fu quello il momento in cui Andy le diede un violento ceffone sulla guancia destra. Questo rimbombò nelle orecchie dei presenti, ridestando un debolissimo Fosco, che aprì gli occhi e provò a muovere le labbra, incrostate di sangue rappreso.
“... F... er... mo...” provò a dire, con voce codarda e fuggiasca.
Andy si voltò come se avesse visto un fantasma e gli si avvicinò lentamente: sotto gli occhi spalancati di Fiammetta gli afferrò la nuca con la mano destra ed il mento con quella sinistra, facendogli ruotare rapidamente la testa, spezzandogli il collo.
Fosco era morto.
“No!” urlò Fiammetta. E fu un urlò lungo, profondo, pieno di terrore ed angoscia.
Andy sorrideva compiaciuto. “È questo che voglio. Voglio la tua paura”.
Si avvicinò poi a Fiammetta, un rivolo di sangue rubino colava dalla sua bocca dove il sapore metallico del liquido ematico era diventato l’unica stimolo al gusto che provava; la lingua rimestava saliva e sangue, che continuava ad accumularsi.
L’uomo era a pochi centimetri dal volto di Fiammetta, sentiva l’odore dolce e delicato della pelle di quella e le si avvicinò al collo, baciandolo delicatamente. La donna era paralizzata.
Sentì la lingua dell’uomo trascinarsi leggermente verso l’alto e poi lo vide a meno di dieci centimetri dal suo volto.
“Potresti unirti a noi...” fece quello, tornando ad esprimersi con parole allusive che si trascinavano dietro intere situazioni.
Fiammetta lo guardava negli occhi e si decise: sputò un grosso grumo di sangue e saliva sul volto dell’uomo e poi s’espanse subito il rumore invadente di un allarme in sottofondo.
“Sono qui...” sorrise lei.
Andy aveva gli occhi spalancati e terrore e stupore si erano uniti nel suo volto, lordato dallo sputo dell’ex Capopalestra, creando un’espressione unica.
“Te l’avevo detto che sarebbero venuti a romperti le ossa”.

“Crystal... Siete arrivati finalmente” fece Silver, seduto nell’erba alta, in modo da non farsi individuare dalle eventuali Reclute del Team Magma.
La Catcher ed i due Ranger si abbassarono repentini, avvicinandosi a Silver, e pure a Gold, che intanto malmenava la povera Recluta, in cerca di ulteriori informazioni.
Silver accolse Crystal in un abbraccio e la strinse forte a sé, inebriandosi del suo profumo pungente.
Marina e Martino si guardarono e poi allungarono la vista verso l’ingresso del Grottino Solare.
Era lì che tenevano Fiammetta, ne erano tutti sicuri.

 


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