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Cyber Witch - Gli improperi di un meccanico

Buongiorno a tutti! È incredibile l'affluenza di gente che sta visitando il blog in questi giorni! Finalmente, dopo mesi di calma (immagino sia anche la scuola al termine), ritorniamo ai grandi numeri di un tempo! Sarà per il fumetto di HC, disegnato da Black Lady? Oppure per la sorpresa organizzata da Laila, che ha disegnato il fumetto di una shot di qualche tempo fa, "Nessuna scelta", prequel di Back to The Origins, che potrete già leggere sulla sua pagina o scaricare dal blog sabato prossimo? Sono grato per l'affetto che avete mostrato per Hoenn's Crysis, e più in genere per il progetto di Courage. Come vedete, vogliamo espandere il progetto, aumentare il numero di fruitori e di pubblicazioni! Se volete sottoporre una vostra opera per la pubblicazione sul blog non resta che contattarci sulla pagina Pokémon Adventures ITA.
Cerchiamo qualità, non quantità, lo sapete. Quindi, disegnatori e scrittori, se volete, noi siamo qui.
In ogni caso oggi Cyber Witch ci regala l'ennesima HotSummerShipping (Gold x Marina Ranger).
Tema Steampunk, lo adoro. A presto!






{ steampunk!AU | lime }
Le imprecazioni di Marina erano meravigliose, ne infilava qualcuna in ogni frase, come fossero intercalari. Sapphire, le poche volte che saliva a bordo per vedere come se la cavavano i ragazzi, rideva sempre. Blue, invece, storceva il naso alla sua volgarità, senza però dire propriamente niente.
Delle volte basta una serie di sfortunati eventi.




Attenzione: è presente un linguaggio scurrile,
se la mamma non vi ha ancora insegnato le parolacce non leggete!

 

Gli improperi di un meccanico
ovvero: di come le bestemmie facciano funzionare tutto meglio



 
 




 
Marina non era una di quelle ragazze che vestivano di pizzi e merletti. Non era nemmeno una di quelle ragazze che, solitamente, prendevano il tè alle cinque con i pasticcini. E, se proprio doveva dirla tutta, non era sicuro nemmeno che Marina fosse una ragazza.
Marina viveva nel vapore e nella sporcizia, costantemente qualche macchia di grasso sul volto, i capelli corti nascosti da una bandana gialla e grigia. Le gambe magre ed energiche erano sempre scoperte dalla salopette nera, una cintura di cuoio che, ai suoi tempi d’oro, doveva essere stata marrone e una chiave inglese usurata dal tempo ma in ottime condizioni fra le sue mani agili e piccoline.
Gold si divertiva a scendere nella sala macchine ad osservare la minuta ragazza muoversi agilmente fra macchinari dei quali non avrebbe mai capito il nome e ingranaggi unti di grasso nero, che prontamente finiva sul corpo della giovane.
Marina gli diceva che era un intralcio e che là sotto aveva solo bisogno di Noah – il piccolo Quilava che aveva adottato –. Poi gli diceva che doveva tornarsene ai piani alti e a quel punto Gold rideva, perché i piani alti a cui si riferiva lei erano tutt’altro che alti. Tutta questione di prospettiva, si diceva il moro.
Di solito arrivava verso mezzogiorno, quando Marina era più occupata, solo per darle fastidio e per mangiarle qualcosa in faccia. E anche per vederle il fondoschiena, doveva ammetterlo. Le natiche di Marina fasciate dai pantaloncini corti erano una vera opera d’arte e Gold, da bravo intenditore, apprezzava le opere d’arte.
Quel giorno aveva trovato la ragazza piegata in avanti, la testa in mezzo agli ingranaggi di una delle caldaie principali, mentre frugava in cerca di qualcosa. Il flusso di vapore nella stanza era diminuito, rendendo più semplice al ragazzo osservarle i glutei.
Non appena Marina tirò fuori la testa da quell’ammasso di molle e altre cose che Gold non avrebbe ben saputo identificare, il ragazzo le sorrise, mostrando i denti regolari. I capelli, nonostante fossero stati portati indietro quella mattina, erano sfuggiti alla pettinatura ordinata e aveva un ciuffo ribelle che gli ricadeva davanti agli occhi. La camicia, rigorosamente fuori dai pantaloni, era giallognola, probabilmente di seconda mano, le maniche arrotolate fino ai gomiti e un gilet bluastro slacciato la copriva. I pantaloni marroni e le scarpe altrettanto monotone.
Sulla testa aveva anche gli occhiali da aviatore, tanto simili a quelli che anche Marina portava appesi al collo, solamente che le lenti di quelli della ragazza erano più scure.
Marina si portò le mani ai fianchi, spostando il peso da una gamba all’altra, la sua inseparabile chiave inglese nella mano sinistra.
«Cosa vuoi?» urlò, sopra il rumore dei pistoni e degli ingranaggi che copriva la sua voce. Gold si avvicinò ancora, osservando divertito il sopracciglio di Marina che si alzava perplesso.
In quei sette anni che si conoscevano si erano toccati si e no quattro volte, due delle quali erano state molto – forse troppo a parere della ragazza – intime.
«Ti vogliono ai piani alti» rispose, chinandosi verso la giovane, le mani in tasca.
Marina incrociò le braccia, il sopracciglio sempre alzato. Con la chiave inglese picchiò la testa di Gold, girandosi nuovamente verso ciò che la ragazza, molto affettuosamente, chiamava i suoi bambini.
«Di’ a quel cazzo di Ruby che non mi interessa se l’acqua è troppo fredda, i miei bambini – Gold sospirò, ridacchiando fra sé e sé – non lavoreranno troppo solo per dare soddisfazioni a quel damerino. Già nessuno vuole farmi cambiare i pistoni, mentre per lui ah beh, ovvio, che devo far surriscaldare il sistema centrale per lui» si lamentò, percuotendo la superficie di rame di una delle macchine più grande. Aveva una serie di sensori le cui lancette ballavano.
«FeeFee è un fottuto Milotic, non credo se ne interessi se l’acqua non è proprio tropicale» continuò, pulendosi le mani su uno straccio oramai nero.
Gold si massaggiò la testa nel punto leso, anche se non gli aveva dato una forte botta gli faceva abbastanza male.
«Non è per quello, anzi Ruby non c’entra niente» il ragazzo seguì la giovane, facendosi largo in quegli spazi angusti. Vide Noah uscire da una fessura fra due ingranaggi, il muso sporco di grasso e gli occhi assonnati, probabilmente il fracasso che avevano fatto – paradossale considerando il rumore che c’era sempre là sotto – lo aveva svegliato. La giovane salutò il Pokémon, senza guardarlo, e quello tornò a dormire.
Marina era minuta e slanciata, scommetteva che se l’avesse presa e messa in controluce avrebbe potuto farle una radiografia.
«E allora perché dovrei andare lassù?» chiese ancora la giovane, fermandosi di botto in mezzo alla sala e facendo scontrare Gold contro la sua schiena. Il giovane non perse l’occasione per darle una palpata, provocando l’ira nella ragazza ed un calcio ben sferrato.
«Questioni private»
«Che questioni private?»
«Se sono questioni private non posso saperle, Mari» spiegò semplicemente il giovane, allontanandosi dalla ragazza.
«E chi ti avrebbe incaricato di venire fino a qua per darmi questa notizia»
«Marina, non fare il dito in culo come tuo solito, sali e basta» sbuffò il ragazzo, prendendo la giovane per un polso e trascinandola verso l’uscita della sala macchine.
 Marina gli picchiò di nuovo in testa con la chiave inglese, inciampando quasi  nei suoi stessi piedi.
«Non mi toccare, maniaco» gridò la giovane, facendo cadere la sua chiave inglese che tintinnò a terra.
«Non fare la scema, forza» la trascinò per tutta la scalinata in ferrò, a Marina piaceva il rumore dei suoi stivali sulla superficie d’acciaio.
Alla fine la ragazza cedette, accostandosi al giovane che, tranquillamente, sorrideva mentre camminava con le mani nelle tasche dei pantaloni.
Marina si diede un’occhiata nel vetro di una porta e riuscì a scorgere una strisciata di nero sul naso, che tentò inutilmente di far sparire con le mani. Le gambe lunghe e slanciate erano anch’esse sporche e probabilmente l’unica parte del suo corpo che non era insozzata di grasso era quella coperta dalla salopette nera. Marina non ricordava nemmeno di che colore fosse quando l’aveva comprata, se l’avessero già cucita con la stoffa scura o se invece fosse di un'altra tonalità.
«Dovrai anche pulirti» il moro ruppe il silenzio, aprendo una porta che dava sull’esterno. Stavano navigando nei mari occidentali di Hoenn, sperando di raggiungere lo scalo di Bluruvia entro pochi giorni.
«Perché mai?» borbottò la ragazza, restia a dialogare con Gold.
«Vivi talmente tanto là sotto che perdi pure la cognizione del tempo? È domenica, oggi. E poi non pensavo mica che ti fossi affezionata alle macchie di grasso» rise, schernendola.
«Non mi sono affezionata alle macchie di grasso! È che è inutile per un meccanico che vive nella sala macchine pulirsi, tanto subito dopo mi dovrò sporcare di nuovo»
«Ma che ragionamento è?»
«Uno troppo complesso affinché tu possa capirlo, stupido» brontolò Marina, incrociando le braccia al seno pressoché inesistente.
«Comunque ti vuole Green, mi ha detto che è importante»
«Se è importante non capisco perché abbia incaricato te di venirmelo a dire» la ragazza gli fece la linguaccia, superandolo sopra il ponte di dritta.
Fu un bene che Marina non l’avesse potuto vedere in viso, perché l’espressione che aveva sul volto era colpevole.
In effetti Green non aveva incaricato lui di andare a chiamare Marina, ma il suo amico Silver. Gold, quel giorno, avrebbe dovuto calarsi per togliere i denti di cane, nonostante fosse domenica. Nessuno voleva mai farlo, dato che era noioso e sporco. E soprattutto pericoloso, considerando che nei mari nei quali stavano navigando i Tentacruel non erano dei più simpatici.
Persino Marina non era esclusa da quel trattamento barbaro che Green donava con un sorrisetto sadico sulle labbra, ma di solito mollava tutto nelle mani di suo fratello Martino, perché la ragazza non si sarebbe mai allontanata dalle caldaie che portavano avanti la nave.
«Perché quello, Blue, non se la scolla di dosso e io ero l’unico che passava da quelle parti»
«Maniaco»
«Perché devi sempre pensare male di me?!» si lamentò il moro, alzando gli occhi al cielo.
Era terso, un giorno come un altro, nulla di particolare né di eclatante, eccezion fatta per la fuoriuscita della ragazza dalla sala macchine.
«Perché ti conosco» rispose semplicemente la ragazza.
Quando Marina salì le scale di legno che portavano al ponte di prua Gold non poté evitare di lanciare un’occhiata al suo fondoschiena, sospirando triste perché quel ben di Dio veniva rinchiuso  in quella stanza piena di vapore e fuliggine.
Per un momento l’immagine di Marina sudata e piegata in avanti gli balenò in testa e Gold quasi si strozzò con la sua stessa saliva, cercando di non portare avanti quella fantasia.
La cabina di Green era proprio davanti a loro, la porta di vetro e legno, decorata con arabeschi di rame.
Entrarono insieme, scontrandosi per chi dovesse entrare per primo. Green era in piedi davanti alla sua scrivania, Blue che carteggiava con espressione seria sul volto.
Green aveva posato con nonchalance una mano sul fianco della castana, mentre osservava attento le linee tracciate dalla ragazza. Blue era una di quelle ragazze che Gold avrebbe definito in via d’estinzione. Belle da fare paura. Portava sempre una camicia con gli orli in pizzo e i pantaloni a vita alta, chiusi da sei bottoni d’oro. Green non le faceva mancare nulla.
Si schiarirono la voce, destando i due giovani. Il castano alzò lo sguardo, lanciando un’occhiata a Blue, che prese compasso e matita e si allontanò dalla cabina in silenzio.
«Gold, puoi andare anche tu» il moro aveva percepito nel tono di voce del giovane un accenno di rimprovero, perché sapeva che in quel momento sarebbe dovuto stare sotto il sole cocente a togliere quei dannati denti di cane.
Uscì dalla cabina, dando un’ultima occhiata in tralice al fondoschiena di Marina, per poi sospirare. Green gli avrebbe dato una lezione e quelle natiche fantastiche non le avrebbe mai più riviste.

Marina uscì dalla cabina di Green un’ora dopo, il volto corrucciato e le mani strette a pugno.
Non possiamo più permetterci altri pezzi, dovrai arrangiarti con ciò che hai. Ora va’ a pulirti, stasera è riunione” le aveva detto, concludendo il suo lunghissimo discorso.
Ah, certo, non possiamo più permetterci due fottuti pistoni, mentre le bluse in seta per Blue possiamo permettercele si grattò la testa, ancora coperta dalla bandana gialla e grigia che portava per tenersi i capelli indietro.
Marina pestò i piedi fino alla cabina che in teoria avrebbe dovuto condividere con le ragazze, ma nella quale non entrava quasi mai. Il suo letto era tuttavia libero e le sue coperte erano pulite. Pensava che Crystal, ordinata come fosse, le cambiasse la biancheria anche quando lei il letto non lo usava mai.
Andò dritta verso l’armadio in fondo alla stanza, aprendo un cassetto e tirando fuori della biancheria pulita e una camicia linda. Da un altro cassetto afferrò i collant neri e i pantaloncini marroni. Doveva persino vestirsi bene, per una stupida riunione.
Prese un pettine d’osso e del sapone dal cassetto di Crystal, sbuffando sonoramente quando la camicia le cadde di mano. Uscì dalla stanza, andando direttamente al bagno che dovevano condividere tutti i membri dell’equipaggio.
Vi entrò spingendo con la schiena la porta, dato che entrambe le mani erano occupate. Posò i vestiti sopra uno scaffale fissato malamente, aprendo il rubinetto della vasca da bagno.
Quello si attardò a far uscire l’acqua, facendo borbottare ancora Marina. Mentre si toglieva i vestiti, rimanendo nuda nella stanza illuminata, provò a chiudere e riaprire il rubinetto, ottenendo sempre lo stesso risultato. Si avvolse un asciugamano infeltrito attorno al corpo, le ossa del bacino che quasi volevano bucarlo.
Spinse un poco più in là la vasca da bagno in rame, più che altro una bacinella, scoprendo i tubi che avrebbero dovuto portare l’acqua.
Se solo avesse avuto con sé la sua chiave inglese o i suoi attrezzi avrebbe potuto fare qualcosa, mentre ora doveva rivestirsi e chiedere al fratello di sistemare la caldaia per l’acqua.
«Cazzo» borbottò, tirando su il sapone che era caduto nella vasca. Quando sentì la porta aprirsi si strinse d’istinto l’asciugamano al seno, anche se da coprire c’era ben poco.
«Oh, Marina, finalmente ti vuoi dare una lavata» scherzò Gold, incredibile come il ragazzo fosse ovunque ci fosse anche una ragazza denudata.
«Porca troia, esci di qua!» gridò Marina, indietreggiando verso la vasca.
Gold alzò un sopracciglio.
«Devo prendere le cime»
«E che ci fanno delle cime in bagno? Gold, per tutti i santi, esci di qua» urlò, stringendosi ancora di più l’asciugamano al petto.
«Ma Marina, le cime! Dammi le cime e me ne vado» il moro si avvicinò, Marina cercava una via di fuga, ma la vasca da bagno dietro di lei la fece sbilanciare, facendola cadere al suo interno. Sbatté la nuca sul bordo di rame.
«Tutto bene?» domandò il ragazzo, seriamente preoccupato.
«Vattene!» Marina si rannicchiò nella vasca, il volto imbronciato. Quella giornata diventava sempre più orribile.
«Le cime»
«Prendi quelle cazzo di cime e vattene, Gold!» Marina era quasi sull’orlo delle lacrime, tanta era la frustrazione.
Gold si chinò davanti a Marina, che aveva le ginocchia al petto, cercando di coprirsi come meglio poteva con l’asciugamano grigio ed infeltrito.
«Oi, che hai?»
«Niente, porca vacca, va tutto perfettamente bene! Non vedi? Tutto una meraviglia!» sbottò la ragazza, alzando il volto e rendendosi conto solo in quel momento che il viso di Gold era troppo vicino al suo. Si ricordava chiaramente di aver baciato il ragazzo, una sera di sei mesi prima, aveva preso come scusa la troppa birra bevuta, in realtà era stato solamente perché le labbra umide d’alcool di Gold erano qualcosa di altamente attraente.
Gold sapeva di cenere, ed era sempre caldo, continuamente a contatto con Exbo, nonostante Green gli proibisse di farlo girare troppo per la nave.
«Già, vedo. Vedo fin troppo bene» ridacchiò il moro, allontanandosi un po’ per lanciare un’inequivocabile occhiata alle gambe di Marina, ancora sporche.
La ragazza gli mise il piede in faccia, spingendo affinché si allontanasse dalla vasca da bagno. Gold afferrò la caviglia di Marina, spostandola di lato e facendo scivolare ancora di più la ragazza nella vasca, quasi togliendole del tutto l’asciugamano.
Lasciò un bacio umidiccio sull’osso sporgente della caviglia, posandola poi di nuovo affinché la gamba di Marina penzolasse dal bordo della vasca.
«Potrei abituarmi alla Marina svestita» sorrise il moro, piegandosi di nuovo fino a dare un bacio sulle labbra alla ragazza, che scioccata osservava Gold avvicinarsi con gli occhi aperti, tanto dorati da sembrare i bottoni dei pantaloni di Blue.
Non appena il moro si staccò dalle labbra di Marina, quella tentò di alzarsi, per seguire il giovane che stava tentando di rimettersi in piedi.
«Cosa stai facendo?» gli chiese, inginocchiata nella vasca, mentre prendeva con le mani le guance del ragazzo per baciarlo ancora.
«Io? – un altro bacio – dovrei chiederlo a te»
«Allora cosa mi – Marina morse il labbro inferiore del ragazzo – stai facendo?» continuò, tirando verso di sé il giovane, rinunciando una volta per tutte a tenere su l’asciugamano.
«Non lo so – Gold si slacciò velocemente il gilet e la camicia, facendo sicuramente saltare qualche bottone – ma qualsiasi cosa sia mi piace» si sfilò anche le scarpe, cercando di scavalcare il bordo della vasca, non senza faticare.
L’asciugamano di Marina finì da qualche parte nel piccolo bagno, mentre la ragazza, stesa supina contro la superficie fredda di rame, afferrò l’orlo dei pantaloni di Gold, tirando un po’ per farli calare.
Intanto nessuno dei due sembrava così desideroso di smettere di baciarsi, avendo come risultato solamente un ingarbuglio di mani e gambe che si intrecciavano.
Gold afferrò Marina per le natiche, la ragazza avvolse le gambe attorno alla vita e le mani percorsero la schiena muscolosa fino ad allacciarsi dietro al collo del giovane. Il moro la portò su, facendola sedere cavalcioni su di lui, le mani sempre premute contro i suoi glutei sodi.
Le ginocchia di Marina strusciavano contro il metallo ed iniziavano a fare male, ma non le interessava in quel momento, troppo presa nel baciare il ragazzo, le mani che tiravano indietro i capelli mori del giovane e che poi scendevano fino alla schiena. Si scostò un poco, afferrando la cintura di Gold per slacciarla, senza staccarsi dalla bocca del ragazzo.
«Ma come siamo intraprendenti»
«Vuoi stare un po’ zitto, cazzo?»
Le imprecazioni di Marina erano meravigliose, ne infilava qualcuna in ogni frase, come fossero intercalari. Sapphire, le poche volte che saliva a bordo per vedere come se la cavavano i ragazzi, rideva sempre. Blue, invece, storceva il naso alla sua volgarità, senza però dire propriamente niente.
Scalciando e scivolando anche i pantaloni di Gold fecero la stessa fine dell’asciugamano di Marina, lasciandoli nudi nella vasca vuota.
Gold si portò addosso Marina, prendendola per i fianchi, le mani che accarezzavano le ossa del bacino troppo sporgenti.
«Sei magrissima...» le sussurrò, scendendo con una scia di baci fino alle clavicole, le baciò un seno sospirando, allungandosi fino a raggiungere il rubinetto della vasca.
«Che vuoi fare? » disse Marina ansimando, stringendo convulsamente le gambe attorno alla vita di Gold.
«Beh, pensavo fosse ovvio» rise, strattonando un po’ la valvola dell’acqua calda.
«Già che ci siamo mi lavo anche io con te» continuò il ragazzo.
«Aspetta» Marina si staccò da Gold, voltando solamente il busto verso il rubinetto. Smanettò un po’, lanciando qualche imprecazione che avrebbe fatto accapponare la pelle anche ad uno scaricatore di porto, e dopo qualche secondo l’acqua calda uscì dal rubinetto.
Ora, avvolta dal tepore dell’acqua, le ginocchia non facevano tanto male. Gold quasi non sentiva Marina addosso e la stringeva a sé talmente forte da farle quasi male.
Quando l’acqua aveva quasi riempito totalmente i loro corpi, già ansimavano l’uno dentro l’altra, Marina che a tentoni cercava di fermare il flusso dell’acqua, riuscendoci solamente trascinando con sé Gold, che non aveva intenzione a lasciarla andare.
Con i loro movimenti fecero fuoriuscire un po’ d’acqua, bagnando il pavimento. Ancora non si erano stancati di cercare le labbra del compagno, Marina che sembrava quasi voler affogare Gold mentre lo spingeva in giù per sovrastarlo. Da parte sua, il moro, si difendeva come poteva, affondando di più, stuzzicando il collo della ragazza e stringendo a sé il corpo ossuto che tanto lo faceva dannare.
Marina boccheggiò un attimo senza fiato, inarcando la schiena e stringendo gli occhi, segnando la fine dell’amplesso per la ragazza. Gold godette del tepore che il corpo della giovane aveva ancora per un po’, prima di posare la schiena contro il bordo della vasca, lasciando che Marina si sedesse davanti a lui.
Si guardarono qualche secondo, prima che la ragazza, allungando i piedi fino a toccare le gambe di Gold, non affondò nell’acqua, fuoriuscendone qualche secondo dopo, le mani che tentavano di togliersi le gocce intrappolate nelle ciglia.
Aveva le labbra gonfie, dalle quali scivolava un po’ di acqua sporca del loro sudore.
«Sei uno stronzo» sussurrò Marina, guardandosi la pelle raggrinzita dei polpastrelli, mentre si portava le ginocchia al petto, in un improvviso quanto stupido atto di pudore.
«Tu invece sei più carina senza le macchie di nero sulla faccia» rise Gold, appoggiando le braccia sui bordi della vasca, piegando la testa all’indietro, il pomo d’Adamo che saliva e scendeva ogni volta che il ragazzo deglutiva.
Marina ne osservò i tratti mascolini, tirando su con il naso.
«Di me ti piace solo il culo, Gold, non fare il coglione» borbottò la ragazza, perdendo il suo spirito mordace.
«Beh, il tuo fondoschiena è senz’altro il tuo punto forte, per il resto sei tutta pelle e ossa, ma io non ho mai detto che pelle e ossa non sia il mio tipo» Gold tirò su la testa, osservando Marina che aveva distolto lo sguardo.
«Ed è il tuo tipo?»
Gold soffocò una risata.
«No, per niente» scosse la testa, chinandosi in avanti per prendere le mani di Marina.
«Però tu lo sei, anche se non hai una quarta di seno non importa» le sorrise, per la prima volta dolce e rassicurante. Marina alzò un sopracciglio.
«Che ne hai fatto del Gold che conosco io? Chi sei tu?» chiese sospettosa, fingendo che quel commento non le avesse ridato il buon umore.
«In realtà sono il suo gemello cattivo e voglio conquistare questa nave partendo dalla sala macchine, ecco perché ti ho sedotta–
Marina scoppiò a ridere prima ancora che Gold finisse la sua frase.
«Di’ piuttosto che è stato il mio fondoschiena a sedurti» lo schernì la ragazza.
Nonostante fossero rimasti ammollo per un bel po’ la giovane era ancora sporca di grasso. Gold rise, assieme a Marina, portandola verso di sé e mollandole un bacio sulla scapola.
«Mari? »
«Che vuoi?»
Le mani di Gold erano strette davanti alla pancia della giovane, che aveva preso il sapone per pulirsi prima di tutto le gambe.
«Ti andrebbe di lavare anche me?» ridacchiò Gold, scendendo di più con le mani.
«Maniaco»

«Finalmente siete venuti!» cinguettò Crystal, saltando sulla sua sedia felice.
Gold si portò una mano al volto, tentando di fermare la risata per l’evidente doppio senso nella frase della ragazza.
Marina diede uno scappellotto a Gold, che aveva ancora i capelli umidi. Si sedette vicino al fratello, passandosi le mani sulle cosce avvolte dai collant neri.
«Che è successo? Mari, che hai sulla mascella?» le chiese Martino, abbassando un po’ il colletto.
La ragazza lanciò uno sguardo intimidatorio a Gold, che chiacchierava amabilmente con Crystal.
«È un livido?» continuò.
«Già, un livido...»

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