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Capitolo Quarantesimo - 40 pt. 2

Previously on Hoenn's Crysis
Lentamente, Groudon aveva terminato la sua uscita dall’acqua, creando un ampio isolotto su cui dominare il mare. Kyogre invece sostava immobile, in attesa che Igor gli impartisse qualche ordine.
“Che cosa credi di fare?” domandò quello, serio. “Sei nel mio elemento. Non riuscirai ad importi”.
Miriam prese a ridere con prepotenza. “Prosciugherò il tuo elemento partendo proprio da qui! E quell’orca maledetta rimarrà con la pancia sul fondale!”.
“Non riuscirai a fare nulla di tutto ciò”.
Gli sguardi che si scambiavano quei due erano fautori di quei cataclismi, e la rabbia che bruciava nei loro petti, che aveva fatto di loro degli omicidi, non si conteneva più.
“Io ti ucciderò, Miriam. Fosse l’ultima cosa che faccio” sussurrò l’uomo, guardando gli occhi purpurei della donna.
“Groudon!” urlò lei, all’improvviso. “Spacchiamo la terra sotto di lui! Andiamo con Eruzione!”.



 

Teste di cuoio pt.2


Poco prima.

Alice era atterrata sulla parte alta dell’isola. Lì c’era una piccola casetta, dalle pareti bianche e le finestrelle rivestite con legno marrone, come il tetto.
Da lì su era in grado di vedere benissimo quel che succedeva in mezzo al mare, e Groudon che era totalmente fuori dall’acqua, su di un atollo solitario; il mare era agitatissimo tutt’intorno a lui ma pareva fosse spaventato dalla sua potenza, andando a ruotare attorno all’isolotto per poi proseguire verso la costa su cui due grandi Gyarados si scontravano in una danza omicida.
Adriano restava esanime sulla schiena di Altaria mentre la Capopalestra di Forestopoli saltò giù dal Pokémon.
Ricordava benissimo quella terrazza, quella casetta e quella notte che vi aveva passato, appena sei anni prima.
Abbassò la testa e bussò con le nocche alla dura porta di legno massiccio dell’abitazione.
Si voltò nuovamente, lei, mentre la pioggia non accennava a diminuire sopra la sua testa; e la cosa era strana, perché appena sette metri alla sua destra il sole era carico di calore.
Bussò nuovamente, stavolta con più nervosismo, arrivando a prendere a pugni la porta senza rendersene conto.
“Lenora! Apri! Veloce, sono Alice!”
Solo il rumore della pioggia, oltre quello del respiro di Alice, ed il resto era un insieme di emozioni e sentimenti contrastanti tra di loro, dove la paura la faceva da padrone.
“A-Alice?” sentì domandare la donna dai capelli color lilla.
“Lenora! Ho Adriano qui con me! Apri!” batté ancora i pugni sulla porta la donna.
“Corro!” urlò quell’altra, dietro l’uscio che si aprì pochi secondi dopo, cigolando.
Lenora era la sorella di Adriano, e le somigliava in tutto e per tutto. Gli occhi del colore del mare limpido, la carnagione chiara ed i capelli di quella strana tonalità celeste, oltre al fisico mingherlino; la donna, in particolare, li aveva spesso acconciati in una lunga treccia.
“Come sta?!” chiese immediatamente quella, guardando dietro le spalle di Alice cercando di fissare suo fratello e rimanendo scandalizzata alla vista di Groudon e Kyogre.
“Dobbiamo fare presto...” fece Alice, afferrandole il polso e tirandola verso Altaria. Adriano era esanime, tra le morbide ali del Pokémon.
“Cielo!” urlò Lenora, ed il suo viso mutò in un’espressione di terrore mista a dolore.
“È vivo, non preoccuparti. Ha avuto soltanto un brutto shock... Dobbiamo portarlo dentro”.
Insieme, quindi, aiutata dai Pokémon, afferrarono l’uomo per le spalle e le caviglie e lo portarono dentro casa.
Questa era molto piccola e semplice, arredata con elementi in legno in stile vecchia baita.
Lo portarono nell’unica stanza da letto che avevano, mentre con sforzo si facevano spazio tra i mobili caduti per via del terremoto, che aveva costretto la donna a dover accendere diverse candele per l’appartamento, dato che l’energia elettrica non arrivava più.
La stanza comprendeva un armadio di legno massiccio ed una coppia di lettini ad una piazza.
Su quello sotto la finestra vi era Orthilla, con il volto squassato dalle lacrime, pallido ed impaurito; era avvolta in una coperta marrone, infeltrita.
“Zio...” disse, sconvolta.
“Tranquilla” le intimò Alice, poggiando Adriano sul letto, con l’aiuto di Lenora. Alice prese fiato per un attimo, mentre la sorella dell’uomo, assieme a sua figlia, s’avvicinarono a stringerlo e a dargli calore.
“È morto?!” domandò Orthilla, con le lacrime a rigarle il viso.
“No” disse Alice. “Prendetevi cura di lui. Io ora devo andare a risolvere questa brutta situazione...”.
“Stai attenta... Non morire” fece la più grande tra i tre, mentre guardava suo fratello.
“Ancora deve nascere qualcuno che possa uccidermi” fece, voltando le spalle.
Orthilla aveva il respiro irregolare, aveva paura; sobbalzò quando sentì la porta di casa sua sbattere.

E poi...

“Attaccalo!” urlò Silver, vedendo Mightyena ruzzolare indietro.
Saliva l’ansia, la pressione aumentava sempre di più e la rabbia veniva covata all’interno dei loro cuori; Silver, in particolare, s’abbeverava degli sguardi dell’avversario per accrescere la propria determinazione.
Era odiandolo che lo rispettava, ed era rispettandolo in quel modo che doveva necessariamente dare il meglio di se stesso.
“Mightyena, attaccalo al collo con Sgranocchio!” urlò Andy, furibondo.
Il Pokémon si gettò con le mascelle spalancate, avvinghiandosi al collo di Sceptile, affondando i denti nella morbida carne.
“No! Sceptile!” urlò Silver, senza aspettarsi quella contromossa.
“Forza!” ribatteva invece Crystal, lì presente assieme a Zoe ad assistere allo scontro tra i due uomini.
“Sbranalo!” sorrise avvinto dallo scenario di una sua possibile vittoria.
Sceptile si abbassò, spinto dalla forza del Pokémon di Andy, che dal canto suo lo tirava sempre più giù, fino a farlo stendere per terra.
Silver lo sentiva, sapeva che in quel modo Sceptile non avrebbe resistito; difatti sangue verdastro prese a scorrere lungo le mattonelle della terrazza.
Devo farlo.
Nella sua testa tutto veniva ricondotto al suo polso, che portava il braccialetto con la Megapietra del suo Pokémon, portatagli dal Professor Platan.
Vai...
E sfiorò col dito la pietra, vedendo improvvisamente il suo Pokémon illuminarsi. La coda s’allungò, le spalle s’allargarono; Sceptile divenne più grosso.
Si alzò all’in piedi che ancora brillava per via della Megaevoluzione e Mightyena era ancora appeso al suo collo.
Lo stupore negli occhi di Silver e Crystal era rilevante, l’unica emozione che riusciva a trasparire in quel momento. La luce pian piano sparì, lasciando spazio alla figura slanciata di MegaSceptile, pronto a lottare, pregno di nuova linfa vitale.
“Ottimo! Ora vai con Fendifoglia!” urlò il fulvo, stringendo i denti. Le taglienti fronde ai lati dei suoi polsi lacerarono nuovamente il collo di Mightyena, lasciandolo allo stremo delle forze.
Andy sentiva il sangue nelle sue tempie che pompava, come se il cuore si fosse spostato nella sua testa. Da lì sentiva ogni battito, vedendo tutto al rallentatore, pioggia compresa; Silver guardava Crystal, che sostava pochi metri avanti a Zoe con lo sguardo apprensivo. E poi c’era Zoe, con la faccia che aveva quando l’aveva conosciuta: persa, spaesata. Smarrita, come se non possedesse nulla di tangibile se non rimpianti.
Stava perdendo, vedeva chiaramente Mightyena che lentamente perdeva coscienza mentre MegaSceptile era pronto ad attaccare nuovamente non appena il suo Allenatore glielo avesse ordinato.
Il battito del suo cuore lo ridestò, la pioggia prese a scendere nuovamente alla solita velocità e la rabbia di star assistendo alla dipartita dei suoi sogni e dei suoi desideri lo sfibrava mentalmente. La soluzione c’era, lo sapeva, ma non la trovava.
Era importante per lui che Silver e Crystal fossero spazzati via come foglie nel vento; un problema in meno da gestire. Dopodiché si sarebbe occupato degli Idrotenenti e poi avrebbe fatto il possibile per spalleggiare Miriam. Avrebbero ammazzato Ivan e prosciugato il mare.
Il nuovo ordine si sarebbe stabilito subito dopo, ed avrebbero cominciato a costruire nuove grandi fortezze, sfruttando umani e Pokémon; nei suoi occhi splendeva la brama di poter diventare il re di quel nuovo mondo.
Sentiva già sotto le sue dita la morbida pelle delle cosce di Miriam, e, ironia della sorte, sarebbe stata proprio Zoe a permettergli di voltarle le spalle. Sì, aveva capito la chiave.
“Zoe!” urlò. “Forza, abbattiamo il nostro avversario!”.
Accorato, Andy, si voltò velocemente verso la donna, con ancora lo sguardo vitreo, vuoto, fisso sul mare alle spalle di Crystal.
“Zoe!” urlò.
“Sceptile, forza, usa...”.
“Fai presto! Svegliati, dannata puttana!” urlò quello, avvicinandosi a lei e spingendola a terra.
“Lasciala stare!” fece poi Silver, avventandosi su di quello. Zoe guardava terrorizzata la scena da terra, mentre Andy lasciava partire un pugno dritto sul muso di Silver, abbattendolo.
Ed in Crystal crebbe la rabbia. Nuovamente, quella sensazione strana, ricca di paura e di potenza incontrollata che le scorreva nelle vene, simile ad adrenalina ma più forte.
Come se fosse benzina e nel suo cuore una piccola scintilla avesse fatto prendere fuoco a tutto.
E lei non lo sapeva, non lo sapeva nessuno, ma quella pietra nera che aveva raccolto qualche giorno prima prese a brillare, e più lei si arrabbiava e più la pietra riluceva nel suo zaino.
La furia della donna fu repentina e, non appena Silver toccò il pavimento, avendo incassato il possente destro del Magmatenente, gli si scagliò addosso, urlando come un’ossessa.
“Tu la pagherai!” sbraitò lei, e prese a ringhiare, proprio come un animale feroce. Un grande salto colse inaspettato il Magmatenente, che si voltò verso di lei, pronto a ricevere un enorme calcio in pieno volto.
Andy ricadde per terra due metri dietro mentre Zoe e Silver spalancarono gli occhi.
“Non farai più del male a nessuno!” urlò Crystal, avventandoglisi contro. E la differenza fisica tra i due, davvero tangibile, era la cosa che più aveva lasciato sconvolto il fulvo.
Forse era quella che giustificava lo stupore che provava, assieme a Zoe, nel vedere il biondo finire K.O. con un solo calcio dritto in volto.
Crystal gli si gettò a cavalcioni addosso, prendendo a colpirlo con una raffica di pugni, senza fermarsi mai, condendo tutto con grida di rabbia.
“A nessuno!” ripeteva lei, non fermandosi nemmeno quando i primi schizzi di sangue presero ad imbrattargli la maglietta.
Silver e Zoe le si avventarono addosso, cercando di fermarla. “Calmati! Così lo ammazzi!” urlò il fulvo, prendendola per le braccia; le ritrasse immediatamente: erano bollenti.
Zoe se n’era resa conto a sua volta. “Il sangue le sta bruciando nelle vene...” osservò.
“Già. Beh, forza e coraggio!” esclamò buttandosi su di lei, ignorando l’incandescenza della sua pelle e tenendola premuta contro il pavimento in pietra battuto dalla pioggia.
“Ce l’abbiamo fatta!” urlava Silver. “È tutto finito! È tutto a posto! Abbiamo vinto e lui ha perso! Sto bene! Sto bene!”.
Crystal aveva gli occhi spalancati mentre affannava vistosamente, cercando di inspirare quanta più aria possibile.
“Stai... stai bene?” domandò, fissandolo dritto negli occhi.
I palmi delle mani del ragazzo, a premere le mani insanguinate della moretta sul terreno, il suo corpo a premere quello tonico e bollente di Crystal sul pavimento bagnato, le gambe a intrecciarsi tra di loro. “Calmati. Sto bene... Solo un graffio”.
Il volto di Crystal, prima furibondo, s’incrinò, riempiendosi di lacrime. “Sei solo l’ultima persona a cui il Team Magma ha fatto del male... Miriam. Miriam la deve pagare”.
“E la pagherà” s’inserì Zoe.

I due Gyarados s’attaccavano con furia omicida, intrecciando i corpi serpentiformi e muscolosi a formare una lunga catena di squame azzurre e sangue.
Marina guardava inorridita la scena, mentre Xander, il suo avversario, sorrideva ad ogni colpo che i due s’infliggevano. Come se fosse una sorta di combattimento tra cani, ma in proporzioni enormemente sballate: ogni singolo movimento di quei due enormi Pokémon sfaldava parte della spiaggia, alzando ampi sbuffi di sabbia.
“Ranger! Che speranza hai! Donna e pure Ranger! Con i Pokémon non avete alcuna speranza!”.
Fiammetta s’avvicinò a Martino, fissando inorridita i Gyarados. “Ma che diamine dice, questo cretino?”.
“Maschilista...” sospirò, ipnotizzato dalla scena che aveva davanti agli occhi.
“Adesso gli faccio vedere io! Talonflame!” urlò lei, concentrata sull’avversario. Il suo Pokémon entrò in campo, rinvigorito dai raggi solari che investivano quella parte dell’isola.
“Dobbiamo dare fastidio a Xander! Mi raccomando, non toccare il Gyarados di Marina!”.
Quello s’avviò come una furia contro il suo avversario. Martino si voltò, cercando di fare una rapida ricostruzione degli eventi.
“Scusa, ma tu che ci fai qui?”.
“Lunga storia”.
“E Rocco?”.
“Sta dando qualche Pozione ai suoi Pokémon. Ha intenzione di dirigersi verso il centro del problema”.
Martino si voltò verso di lei, incredulo. “Vuoi dire che vuole attaccare direttamente Igor e Miriam?!”.
“Già. Invece Gold? Come se la sta cavando?”.
“Gold sta... Credo bene... È lì, davanti...”.
“Ma sta strisciando per terra!”.
Martino sospirò, cercando di tirare fuori dallo stomaco quel demone d’ansia che stava covando da ormai un bel po’ di tempo. “Dobbiamo dividerci, ma non lascio da sola mia sorella”.
“Io sto lottando qui. Tu dovresti andare ad aiutare Gold!” gli urlò Fiammetta, spintonandolo. Il buon senso lo investì e, dopo aver annuito in maniera poco convinta, prese a correre verso il ragazzo dagli occhi dorati.
Marina, dal canto suo, vide il Talonflame di Fiammetta avventarsi contro il volto del Gyarados avversario, con gli artigli, e poi suo fratello che scappava, qualche metro affianco.
“Dove vai?!” gli urlò, terrorizzata. Non avrebbe mai potuto riuscire a sconfiggere un avversario della cattiveria e della preparazione di quello che stava fronteggiando, almeno non senza il sostegno morale di suo fratello. Fratello che in quel momento scappava in avanti.
Passò sotto gli occhi di Xander che, sorridente, allargò il braccio che manteneva la mazza ferrata.
“Dove credi di andare?” chiese quello. Gli occhi di Martino si spalancarono. Vide il braccio dell’uomo caricare il colpo e quindi, subito dopo, rilasciarlo.
“Dannazione!” fece quello, gettandosi per terra e schivando il colpo. Sferrò poi, dal basso, un potente calcio alle caviglie dell’uomo, che a sua volta lo evitò saltandolo con agilità.
“Non puoi fare nulla contro di me!”.
“Martino!” urlava Marina da dietro ma Fiammetta la interruppe.
“Dobbiamo approfittare di questa distrazione, Marina! Dobbiamo abbattere quel Gyarados! Talonflame, punta agli occhi!”.
E così fece. Marina tuttavia rimaneva preoccupata. “È mio fratello, Fiammetta! Non posso fare finta di nulla!”.
“Migliaia di persone, Marina! Migliaia di persone possono essere salvate, soltanto se rimani concentrata! Adesso!”.
Talonflame attaccò repentino il volto del Gyarados avversario, affondando gli artigli puntuti delle zampe all’interno degli occhi del Pokémon, facendolo urlare dal dolore. Lacrime di sangue presero a rigare il suo viso e poi più giù, seguendo la forma longilinea e muscolosa del suo corpo squamoso.
“Ora, Marina! Devi colpirlo!”.
“Come?! Non conosco nemmeno una mossa di questo dannatissimo Pokémon! Io non sono un’Allenatrice!”.
“Colpo” tuonò Rocco Petri, alle loro spalle. “Usa Colpo, subito”.
La sua voce rimbombò fredda e dura in quella situazione così problematica ma per Marina e Fiammetta fu come un’ancora di salvezza.
L’uomo si avvicinò a Fiammetta e rimase a guardare la scena.
“Colpo!” urlò Marina, con meno convinzione di quanta effettivamente fosse necessaria in quel momento; il suo leviatano spalancò le fauci, approfittando del momento di distrazione dell’Allenatore avversario, ancora impegnato a lottare corpo a corpo con Martino, e quindi ruggì possentemente.
Martino non si rese conto di ciò che stesse succedendo e, sinceramente, gli interessava soltanto evitare che quella mazza di ferro gli sfondasse il cranio.
“Non scapperai per sempre!” urlava Xander, attaccando a ripetizione.
“Pichu!” urlò Martino, vedendolo saltare poi dalla sua spalla e scaricare un attacco Ondashock sul malvagio che, dolorante, s’inginocchiò.
“Ottimo!” sorrise Martino, rimettendosi in piedi. Xander, con la testa abbassata, mento a contatto col petto, allargò il sorriso. “Non basta...” disse, dopo un sospirò lungo; la sua carne era interamente ustionata ma la sua forza d’animo gli imponeva di non sedersi, di non fermarsi.
Quindi si rialzò, allargando nuovamente la mazza ferrata, pronta ad essere sferrata nuovamente.
Fu proprio il ruggito di uno dei Gyarados a farlo girare. E quando si rese conto che non fosse il suo a sferrare ripetuti attacchi Colpo mentre il Talonflame di Fiammetta dilaniava gli occhi del Pokémon, si rese conto di essersi lasciato incastrare.
E poi, proprio durante un forte attacco Eruzione che aprì il mare sotto il corpo possente di Kyogre, il suo Gyarados finì fuori combattimento, se non in maniera peggiore, perdendo le forze e crollando sfinito.
Proprio su di lui; l’impatto fu tremendo.
Fu così che morì Xander.

“Soffri!” urlava Christine, alzando il ciuffo biondo dalla vista cristallina; gli occhi spalancati ed i canini in bella mostra, proprio come se fosse un lupo intento a ringhiare, facevano di lei qualcosa di molto vicino ad una pazza psicopatica.
“Non... non è già abbastanza?!” urlò Gold, prima di lasciarsi andare ad uno strillo a pieni polmoni. Sentiva il sangue dentro di lui ribollire.
Era stufo, la vedeva ridere ed intanto era in grado di sentire il sacchetto che aveva al di sotto -della maglia riempirsi, muoversi come se avesse vita propria.
Ricordava le parole di Ester, la funzione di quel ciondolo fatto in casa era null’altro che attirare gli  spiriti malvagi che lo attaccavano e, anche se non aveva fatto sempre effetto, ponendo spesso in dubbio la sua utilità, adesso si rendeva conto che tutto il male che gli veniva gettato addosso pareva confluisse nel sacchetto, imprigionato, si muoveva e si contorceva nel tentativo di uscire fuori, di addentare l’anima pura di Gold e cibarsene.
E nonostante ciò il dolore era immane.
E Gold era stanco; stanco di quel male insopportabile che lo consumava da dentro, rodendogli ogni volontà lentamente, lasciandolo stanco e moribondo.
La voglia di reagire, le energie a disposizione, tutto era praticamente finito tra le braccia di Christine che, sorniona, rideva malignamente nel veder morire in maniera lenta il suo nemico.
“Io... ti odio...” fece il ragazzo.
“Farai la fine del tuo Pokémon...” disse quella. “Morirai come il tuo Togekiss”.
Gold prese un ultimo, fatidico respiro, prima di dare l’ultima spallata alla sorte e puntellare per terra le ginocchia. Il male al petto trangugiava le sue energie ma ugualmente riuscì, con un abile colpo di reni, a mettersi in piedi. Pareva un morto vivente.
“Stai per morire, Gold. Non sforzarti. Quali sono le tue ultime parole?”.
Il ragazzo alzò lo sguardo, con le lacrime che gli rigavano il volto ed il mento sporco di sangue. Gocciolava sulle sue scarpe, il suo sangue, così caldo e vivo.
Le sue ultime parole probabilmente sarebbero state qualcosa di epico. Gold era il tipo di persona che sapeva che sarebbe morto in una situazione parecchio scomoda.
Sapeva che non sarebbe mai potuto morire in seguito all’ingerimento di qualche sostanza tossica, oppure d’infarto, nel sonno, spegnendosi serenamente.
No, Gold aveva una visione della vita molto distorta dalla realtà; vivere, per lui, non significava permettere al cuore di battere, mettendo in moto tutte le funzioni vitali. L’esistenza per lui doveva essere condita da medaglie dorate, come lui, eventi che, una volta portati alla memoria, evocassero il sorriso.
Aveva ripensato quindi alle sue ultime parole talmente di quelle volte da averne perso il conto.

Probabilmente la mia esistenza non è stata condita da grandi vittorie personali. Già, perché, effettivamente, sono cresciuto solo, senza mio padre e soltanto con la convinzione di essere solo. Ed essendo solo sono solo ed unico, e questo, senza alcun dubbio, mi ha fatto peccare di superbia. E magari avrei potuto innamorarmi prima, magari di una bella ragazza con tutte le cose a posto, buona e brillante e non necessariamente di una maggiorata.
In più avrei potuto fare molto di più per i miei amici, aiutandoli nelle cose basilari in casa, come pulire, cucinare, invece di farmi servire e riverire.
Spesso me ne esco con frasi sboccate al limite dell’educazione e questo mi fa pentire spesso, perché mia madre non mi ha mai dato questo cattivo esempio.
E l’unica cosa che oggi porto con me è la consapevolezza di aver trovato nei miei Pokémon gli amici perfetti, i compagni supremi che mi hanno accompagnato in mille avventure.
Ho visto posti, conosciuto persone, fatto l’amore con tantissime donne. E questo è l’importante.
Ho vissuto.
Ma, levando mio padre, l’unico mio grande rimpianto è l’esser rimasto solo per una vita intera mentre avrei potuto tenere accanto a me la controparte della mia vita.

Sì. Queste sarebbero state le sue parole, cariche d’amore ed apprensione, di sentimento, di redenzione.
Invece, barcollante, si limitò a staccare con un ultimo violento strattone il sacchetto che aveva al collo ed a stringerlo tra le mani.
“Muori, puttana!” urlò, lanciandolo verso la donna.
Una grande, violenta esplosione, un tonfo sordo e magniloquente che vide confluire nel corpo di Christine tutti quei fumi neri terrificanti.
La donna prese ad urlare, pochi secondi dopo, e, contemporaneamente con Gold, entrambi s’accasciarono a terra, mentre il corpo di Gold veniva sopraffatto dal dolore e dalla malignità che gli era stata attaccata addosso.

“Gold!” urlò Marina correndo velocemente da lui. Affondava i piedi nella sabbia, con le lacrime agli occhi. Appena fu a portata gli si gettò addosso, fulminea, raccogliendo la testa e poggiandosela sulle gambe.
“Gold...” piangeva lei, e le lacrime le rigavano il viso, pendendo dal mento e cadendo sul volto del giovane. “Non puoi andartene... Non puoi lasciarci soli! Brutta testa di cazzo, non puoi morire adesso!”.
Piccoli fremiti nelle labbra del ragazzo la ridestarono dal dolore immenso che provava, mentre il sole cocente batteva sulle loro teste.
Gli occhi del ragazzo si aprirono lentamente, poi uno si chiuse, lasciando soltanto il gemello, non più tanto lucido, a fissare la sagoma della ragazza che lo sorreggeva sulle sue gambe.
Marina, quegli occhi spenti, non li aveva mai visti.
Gold, invece, ebbe la forza di dire quelle che davvero riteneva le sue ultime parole; sentiva che stava per spegnersi.
“Se... se tu sei... un...” respiro profondo. “... un angelo... allora... il paradiso ha davvero motivo... di chiamarsi paradiso...”.
Marina spalancò gli occhi e vide il moro sorridere debolmente.
“P-perché dici queste cose?!” s’allarmò.
“Marina... io... sento che... che sto per andare...”.
Come una coltellata rovente nel petto, Marina si lasciò andare ad un pianto dolorosissimo, denso d’emozioni, carico d’odio verso il mondo.
“Non puoi morire!” fece lei, abbassando la fronte, a poggiarla sulla sua. “Non è il tuo momento! Non puoi lasciarmi qui da sola!”.
“Mari... fa’ il tuo... dovere...”.
“Non ti lascerò morire!” urlò, dritto sul suo volto. I loro occhi erano così vicini da riuscire a specchiarsi gli uni negli altri, e le lacrime della ragazza colavano fin sugli zigomi di lei per poi gocciolare pesante su quelli di Gold. Fu una cosa così intima che nessuno dei due si accorse che Martino, Fiammetta e Rocco erano accorsi alle sue spalle.
“Volevo... dirti... grazie...”.
“E per cosa?! Tu stai morendo e vorresti ringraziarmi?!”.
“Da quando... abbiamo messo piede in questa... cazzo di regio... regione... tu... mi hai protetto... Hai anche provato... ad uccidermi” tossì poi lui. “... ma poi mi ha protetto... come se fossi tuo figlio...”.
“Ciò perché sei importante per me... io... io...”.
“Marina, sta per finire...” disse tutto d’un fiato.
“No! Ti prego! Non andare!” pianse lei. Lui sorrise dolcemente, stanco e dolorante, con quel macigno che gli premeva il cuore. Gli occhi di lui si chiusero lentamente, mentre la bocca si schiudeva.
Marina si era resa conto. Gold stava esalando gli ultimi respiri.
“Levatevi davanti!” si sentì urlare alla fine. Voce di donna.
Pat si fece avanti a spallate tra Rocco e Fiammetta e poggiò le mani sul petto di Gold.
Kyogre intanto si preparava alla contromossa, con grandi ondate che si dirigevano verso la spiaggetta.
“Bene...” tuonò Martino. “Tutto adesso doveva accadere...”.
 

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