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Cy - Dark Tales of fairy type - 2 - Il Cannibale




Il Cannibale


 
Sylveon non era sempre stato un Pokémon selvatico. Prima era un Eevee di un Allenatore. Non ricordava come si chiamasse e non era nemmeno sicuro che fosse realmente un ragazzo.
Ormai aveva rimosso ogni singolo ricordo di quel dannato umano.
Era fuggito, una notte, la stessa notte in cui tutto era accaduto. Aveva corso, tanto e velocemente. Si era lasciato tutto alle spalle.
Si era ritrovato in quella foresta labirintica, dove non appena si cambiava direzione cambiava anche il sentiero su cui si camminava.
Aveva capito poi – solo dopo essersi fatto accettare – che era uno stratagemma dei Pokémon che ci vivevano per tener lontani gli umani.
Si era subito sentito a casa. Lì nessuno lo discriminava per il suo aspetto e tutti lo rispettavano. Aveva raggiunto la notorietà di eremita, evitava sempre la vita sociale che molti Pokémon intrattenevano nella foresta.
Sylveon non era nemmeno sempre stato così scontroso.
Come tutti gli Eevee era sempre molto felice di stare con il proprio umano, scodinzolando eccitato quando quest’ultimo lo tirava fuori dalla Pokéball.
Lo aveva allenato con amore, non risparmiandosi le coccole e le nottate passate assieme a parlare.
Il tutto si era rotto esattamente due anni dopo, quando l’Eevee che era si trasformò nel Sylveon che ormai conoscevano.
L’Allenatore gridò, si arrabbiò e pianse.
Non volevo qualcosa di femminile e rosa! Non ti ho allenato per farti diventare questo!” se li ricordava quegli urli. Quel calcio tirato in pancia.
Ma quello che fu più doloroso, per lui, erano gli sguardi di disgusto che gli aveva riservato.
Eevee aveva amato il suo umano, Sylveon non ne avrebbe più potuto vedere uno. Era fuggito, conscio che non avrebbe potuto essere più il benvenuto.
Sarebbe stato mandato via comunque, si disse.
Aveva corso così tanto, quella notte senza Luna. Non si era mai fermato, mai voltato. Non aveva mai ceduto.
Sylveon si era odiato, aveva visto semplicemente orrore quando per sbaglio era caduto davanti ad una pozzanghera.
Aveva pianto, osservando la notte lasciare il posto al giorno, in silenzio e lentamente. La rabbia era sfumata, il dolore no.
Aveva sentito le campane suonare le sei del mattino e aveva deciso, Sylveon, che quella era l’ora in cui anche lui sarebbe cambiato.
I fiocchi che aveva cosparsi sul corpo non erano più denigratori, ma ottime armi con cui strangolare.
Gli occhi azzurri che possedeva non erano polle di acqua cristallina, ma abissi in cui tuffarsi per poi non salire più a galla.
Si aperse un ghigno sul volto angelico di Sylveon, un ghigno che ogni singolo essere vivente avrebbe osservato prima di morire.
La sua tana era costantemente colorata di rosso scarlatto, sangue ancora fresco, budella lasciate a marcire, occhi che fissavano il vuoto e corpi il cui cuore non batteva più.
Sylveon era un assassino, ma si divertiva e nessuno gli aveva mai detto che quello non era giusto.
Sylveon si giustificava, quella notte di due anni fa il suo umano – che brutta parola era quella, così cacofonica – l’aveva ucciso, lui restituiva il favore.
Quando si osservava nelle pozzanghere si vedeva forte, il pelo un po’ ispido e poco curato, i fiocchi non erano più lindi, ma rossi. Rossi come il sangue che beveva, rossi come la carne che mangiava.
Rosso come il dolore che provava, ancora pungente, sempre vivo.
Aveva poi – per sbaglio – incontrato Spritzee. Quell’adorabile Pokémon selvatico, con il naso sempre in mezzo ai gelsomini.
La prima volta che l’aveva invitato nella sua tana non pensava che potesse riservargli quella piacevole sorpresa.
Fu anche lì tutto dettato dal fato. Scoprì per caso il cumolo di ossa che Spritzee conservava con dedizione.
Sylveon si interessò di trovare vittime e si offrì di fare il lavoro sporco, in cambio della carne di esse.
A Spritzee andava più che bene, essendo lei solamente interessata alle ossa.
I due avevano raggiunto una sorta di accordo, secondo il quale nessuno poteva far menzione dei loro affari, né tantomeno agire senza il consenso dell’altro. Per evitare guai.
Il Pokémon profumo, però, mostrò quasi subito disinteresse verso gli umani. A lui andava più che bene fino a quando poteva uccidere.
Ogni singola persona aveva un modo diverso di morire. C’era chi non se ne accorgeva, in genere erano i bambini. Erano sempre distratti dalla sua apparenza, troppo felici di aver visto un Sylveon per capire che lo stesso Pokémon voleva ucciderli e sbranarli.
Era diventato indifferente agli sguardi che pian piano perdevano lucentezza, diventando vacui e spenti. I bambini erano semplicemente piccoli adulti, più stupidi ed ingenui.
Alcuni umani cercavano di ribellarsi, di combattere. Ma poco potevano contro un Pokémon. Di loro preferiva le grida che doveva sopprimere con i suoi nastri. Li soffocava, generalmente. Ogni singola sfumatura del loro urlo era la più bella melodia che l’udito fino di Sylveon poteva sentire.
Acuto, grave, ancora acuto e poi silenzio. Quel silenzio finto che Sylveon amava. Quando l’umano smetteva di respirare lui udiva i fiati deboli di chi viveva sotto lo stesso tetto.
L’indomani non avrebbero più trovato nessuno. Nessuna salma su cui piangere e da seppellire.
A Spritzee, però, la passione era subito scemata. Diceva che le ossa erano tutte uguali, o più piccole o più grandi, ma non avevano alcuna differenza sostanziale.
Le sarebbe piaciuto – disse con una nuova luce negli occhi – provare le ossa dei Pokémon. Trovare altre forme a lei sconosciute ed ampliare la sua collezione.
Di Pokémon di altre regioni, di Pokémon ancora sconosciuti agli umani.
Sylveon subito non fu d’accordo. Se tutto ciò che voleva era semplicemente osservare delle ossa poteva benissimo andare a profanare qualche tomba, lui preferiva la carne umana.
Poi si rese conto di una cosa: Spritzee non voleva semplicemente vedere nuove ossa, lei voleva uccidere. Come lui.
Che avesse una motivazione differente, o che la motivazione non ci fosse proprio, non gli interessava.
Si accorse che anche il suo ex umano aveva preferito altri Pokémon a lui. Non era adatto, Sylveon.
E quale modo migliore per trovare la perfezione se non quello di andarla a cercare negli altri?
La carne dei suoi simili poteva essere gustosa come quella degli umani, lui non poteva saperlo, non l’aveva mai provata.
Acconsentì a scortarla verso la grande radura al centro della foresta, nella quale molti Pokémon si riunivano per passare tempo assieme o semplicemente per prendere il sole che nel fitto del bosco faticava a penetrare.
Scelsero con accuratezza la propria vittima: un Fletchling dispotico e noioso, che non faceva altro che disturbare la quiete della foresta con i suoi proclami inutili.
Lo osservarono per giorni, cercando di capire quando il momento giusto potesse essere e giunsero alla conclusione che l’unico modo per ucciderlo era quello che avevano usato con tutti gli altri. Nel sonno.
Nessuno ne avrebbe sentito la mancanza, nessuno avrebbe provato pietà per lui.
Si avvicinarono una notte di plenilunio, con i raggi della Luna che a stento illuminavano il percorso deserto. A Sylveon non fu difficile arrampicarsi fino al nido del Pokémon, come non gli fu difficile avvolgere i suoi nastri attorno al collo esile di Fletchling.
Morì in silenzio, non se ne accorse neppure. Sylveon lo scaraventò giù dal nido. Se per sbaglio non fosse morto la caduta sui massi l’avrebbe di certo ucciso.
Spritzee osservò catturata l’anatomia completamente differente da quella di ogni umano e si avvicinò silenziosamente alle piume, per odorarne la fragranza.
La vide che rabbrividiva quando sentì il profumo ferroso del sangue quasi aranciato alla luce pallida della Luna.
Con dedita attenzione Sylveon tranciò le gambe gracili del Pokémon, dandole subito a Spritzee ché non c’era niente da mangiare.
Passò poi alle ali e con cautela trapassò la cartilagine, cercando di non rovinare le ossa così care alla sua compagna.
Si lamentò quasi subito, Sylveon. Fletchling era troppo magro, non aveva niente da mangiare.
Spritzee rise, con quella risata innocente e cristallina, come se stesse semplicemente cucinando della bacche anziché sezionando un cadavere. Come se quello che facessero non fosse niente di sbagliato. Ma lo era veramente, sbagliato? Chi aveva loro proibito di fare tutto ciò? Nessuno.
E nessuno avrebbe mai fermato la loro opera.
Avrebbero assaggiato ogni carne di Pokémon.
Avrebbero visto ogni singolo osso che esisteva al mondo.
Avrebbero osservato ogni singola emozione che qualcuno provava nel morire e nel capire di essere stato ucciso da due Pokémon dal volto angelico e dall’aspetto innocente.
Spritzee fu contenta del loro bottino, lui un po’ meno dato che la sua pancia brontolava ancora.
Si sarebbe fatto bastare gli avanzi che aveva ancora nella sua tana, pensò, fino a quando non sentì una melodia dolce e che provocava in lui sonnolenza.
Decise di lasciare Spritzee da sola a contemplare la spina dorsale del Pokémon e di raggiungere la voce.
Quando si ritrovò in uno spiazzo nel quale la Luna piena si faceva osservare vide uno spettacolo che non avrebbe mai immaginato.
E capì che lui e Spritzee non erano i soli.

Commenti

  1. Ogni storia m'ispira per nuovi set ahahahah
    A questo punto non vedo l'ora del seguito!

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