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Lev - Il Pianto Delle Stelle - 18 - Fatica

Capitolo 18 – Fatica

Notte inoltrata. L’orologio segnava l’una e sette minuti.
Il mite frinire delle cicale proveniente dall’esterno aleggiava nell’aria insieme ad un dolce e delicato aroma di vaniglia. La voce dello speaker del programma televisivo PokéNights accompagnava le testimonianze in diretta degli inviati della trasmissione che in quel momento si trovavano nelle più disparate località del mondo mentre sullo schermo passavano le immagini. Le lampade emettevano una luce particolarmente intensa, e una debole aria condizionata rinfrescava l’ambiente.
La Galleria di Transito, o Varco, come erano soliti chiamarla quelli del mestiere, era calma quella notte. Juan, addetto alle pulizie, passava lo straccio a terra con la voce di Mirta come sottofondo. La donna era solita raccontare storie durante i loro turni di lavoro mentre si improvvisava estetista e operava sulle proprie unghie armata di smalti e lime. Lei era la prima operatrice lì dentro, si occupava delle informazioni, dell’accoglienza e nei suoi incarichi rientrava pure quel minimo di controllo necessario in un Varco. Tutto questo, solo durante il suo turno di notte.
‒ Raccontano tante cose su di lei, si dice che sia stata pure un membro del Team Magma tanto tempo fa, ma sembra che si tratti di voci infondate ‒ fece lei.
‒ Mah ‒ borbottò Juan posando per un istante il manico dello straccio. ‒ penso che molte delle cose che girano siano false, spesso questi sono soggetti creati proprio dal marketing, il mercato delle Gare Pokémon ha sputato fuori tantissima gente che magari è lì solo per il suo bel faccino… ‒ spiegò.
‒ Beh, lei non è brutta proprio per niente ‒ ribatté l’altra.
‒ Direi di no ‒ approvò ridendo.
‒ Ah, mannaggia, dovrebbe stare in TV, tra poco c’è una diretta sul festival di… Cuoripoli, ecco! ‒ esclamò Mirta afferrando il telecomando.
PokéNights scomparve, la donna cominciò a scorrere tra i canali sullo schermo che per lei era in una posizione assolutamente di favore, essendo sospeso di fronte al suo bancone.
‒ E vediamola, dai… ‒ fece gioviale pure Juan.
‒ Eccola. ‒ Mirta si fermò sul sesto canale.
Sulla TV apparve il palco meraviglioso della più famosa Arena delle Virtù di Sinnoh addobbato a festa, gli spalti pieni e i riflettori puntati su una bellissima donna con in mano un microfono. Camelia, supermodella e Capopalestra di Unima chiamata in veste di conduttrice della serata. La trasmissione era appena iniziata, erano ancora alle presentazioni.
‒ Ora dovrebbe salire sul palco? ‒ chiese Juan.
‒ Shhh… ‒ lo zittì Mirta.
Tra le ovazioni calorose e gli effetti di scena, salì sul palco Rossella, diva nel mondo delle Gare Pokémon dell’anno e personaggio più amato dalle riviste e dalle trasmissioni televisive. Almeno in quel periodo. La ragazza cominciò ad esibirsi, le sue coreografie armoniose e piene di grinta stregarono totalmente il pubblico che si zittì per gran parte dell’esibizione esplodendo letteralmente nei momenti di acme.
‒ E’ bravissima… ‒ commentò a mezza bocca Juan.
Distogliendo lo sguardo dallo schermo poiché attirata istintivamente dalle parole dell’uomo, Mirta si rese conto che i due non erano più soli in quel Varco. Un ragazzo dai capelli bianchi con uno Xatu e un Venipede al suo seguito aveva appena messo piede nella galleria.
‒ Salve ‒ salutò quella.
Juan pure si rese conto della presenza e riprese atteggiamenti più adatti ad un galantuomo quale lui, riprendendo in mano lo straccio e liberando il passaggio al pellegrino. Kalut non reagì subito, teneva gli occhi fissi anche lui sullo schermo e una mano sullo stipite destro della porta.
‒ E’ gradevole l’aria, stanotte ‒ avanzò gioviale Mirta adempiendo al suo compito di dispensatrice di sorrisi e buon umore.
Ancora silenzio.
“Forse è il caso che tu risponda…” ipotizzò Xatu nel cervello del ragazzo.
‒ Sì. Si sta bene ‒ fece lui atono.
‒ Oh, beh… c’è qualcosa che posso fare per lei o è soltanto di passaggio? ‒ proseguì la donna.
‒ Cerco un bagno ‒ rispose Kalut.
Mirta inizialmente rimase un pochino scossa dal modo di fare passivo e schivo del soggetto, ma poi, ripresa in mano la ragione, indicò stancamente col braccio in direzione della toilette.
Kalut si mosse e scomparve dietro la porta con la scritta WC qualche secondo dopo, rimasero indietro i suoi due Pokémon che come una scorta di bodyguard si stabilirono presso l’uscio.
“Non metterci troppo” si raccomandò telepaticamente Xatu.
Kalut non rispose, non poteva, non era capace di parlare con la mente alle altre persone.
Un minuto e il ragazzo fu fuori, stavolta Mirta non provò neanche a bisbigliare qualcosa, zitta zitta pensava al suo smalto come Juan che aveva quasi terminato con le pulizie del pavimento e di lì a poco avrebbe iniziato con la cura delle piante.
Kalut si sedette su una poltroncina di simil-pelle, socchiuse gli occhi e aguzzò le orecchie. La televisione e il suo gracchiare fastidioso non erano proprio una manna dal cielo per lui, non riuscì a captare alcunché di interessante.
“Stai prendendo le mie indicazioni troppo alla lettera, ripassa quello che ti ho detto” suggerì Xatu.
Kalut sospirò per far comprendere al suo compagno che era in ascolto.
“Non parlarmi, e lo stai svolgendo bene…”
Kalut incrociò le braccia.
“Sii discreto, ma era troppo difficile per ora…”
Kalut inclinò la testa.
“Cerca informazioni, e ciò ti autorizza a fare delle domande a qualche altro umano, non sei in fuga da nessuno e non sei un criminale, ricordalo, sei solo in incognito” completò il Pokémon.
Kalut si alzò in piedi.
‒ Potrei per caso… ‒ fece rivolto a Mirta. ‒ …cambiare canale?
“Bravo, bella trovata!” approvò Xatu.
‒ Oh, certo ‒ rispose la donna porgendo il telecomando al bianco.
Kalut non impiegò molto a capire come funzionasse e, spingendo un tasto a caso, finì sul canale otto.
“Hai toppato, solo televendite…” mormorò il Pokémon Magico.
Spinse un altro pulsante: quinto canale
“Film di scarsa qualità, niente da fare neanche qui…”
Riprovò: canale tre.
“Qua sembra decente” approvò Xatu.
Kalut sbuffò, solo per far giungere al Pokémon la sua sensazione di fastidio. Intanto sullo schermo una presentatrice vestita elegantemente, seduta ad una scrivania e rivolta verso la telecamera, introduceva delle notizie mentre i titoli riassuntivi passavano in una striscia di colore scuro sotto di lei.
‒ Il notiziario? ‒ domandò retoricamente Mirta.
‒ Sì ‒ fece con prontezza Kalut.
 
“Che palle…” pensò Xavier. “Ha preso la seconda stanza…”
Lui e la Capopalestra di tipo Fuoco di Idresia erano giunti al Centro Pokémon che avevano scoperto essere adibito anche a rifugio per i viaggiatori e si erano rifocillati a dovere, ovviamente il ragazzo non aveva potuto pagare il conto a entrambi e fare lo splendido e si era accontentato di spartire la spesa. In seguito avevano preso due stanze, su scelta casta e pudica di Cassandra, in cui passare la notte.
Il castano si trovava sul balconcino sul tetto del centro, l’aria era gradevole e nulla era troppo caldo o troppo freddo. Settembre. Portava i pantaloncini che aveva messo di giorno ma a coprire il suo petto e il suo addome vi era solamente una canotta di riciclo e di un colore mezzo sbiadito che utilizzava per dormire. Fissava il cielo che da Sidera era sempre stato uno spettacolo unico, una tempesta di minuscoli puntini luminosi appiccicati al telone nerastro del firmamento, in particolar modo da una zona priva di luce artificiale come la terrazza di un Centro Pokémon immerso nella natura.
‒ Come sei nostalgico stasera… ‒ commentò Cassandra entrando in scena di soppiatto. ‒ …mi ricordi un film di merda.
‒ Simpatica, c’è un bel cielo stasera ‒ evitò l’ironia Xavier.
‒ Mh, hai ragione.
‒ Ah, allora anche tu hai un cuore.
E Cassandra non ribatté.
‒ Che cavolo ci fai qua fuori a quest’ora? ‒ domandò il ragazzo ad un certo punto.
‒ Potrei farti la stessa domanda.
‒ Io non ho particolarmente gradito quei molluschi che abbiamo mangiato a cena… o meglio: io sì ma il mio stomaco no ‒ spiegò lui.
‒ Ma no, li hai seriamente mangiati? ‒ chiese la ragazza con un velo di critica.
‒ Perché?
‒ Erano stati scongelati, si vedeva benissimo, io evito sempre la roba surgelata, soprattutto nei centri Pokémon in cui non conosci l’età dei prodotti che ti passano.
Xavier non ribatté.
‒ Io invece volevo solo farmi una sigaretta.
E davanti al ragazzo, Cassandra prese il pacchetto bianco e argentato che aveva in tasca, ne estrasse una sigaretta e se la portò alla bocca. La accese con un clipper nascosto nel pacchetto stesso.
‒ Non posso mai fumare quando sono in servizio e la cosa mi dà si nervi… ‒ spiegò lei.
Ma Xavier aveva già imboccato un’altra strada, essendosi girato solo alla parola “sigaretta” di Cassandra, solo in quel momento aveva notato che la ragazza era uscita con un leggerissimo e cortissimo vestitino da notte con le spalline sottili e che a mala pena copriva l’inguine. Il possesso di sé stava venendo posto ad una dura prova da parte di quella ipnotica mise in cui si era fatta trovare lei, o meglio, dalle grazie che quella mise copriva.
‒ Oh, ci sei? ‒ chiese Cassandra passati i due minuti di standby del cervello del castano.
‒ Più o meno ‒ rispose quello ancora ben poco presente.
‒ Oddio, voi uomini, tutti identici… ‒ commentò quella.
‒ Scusa? ‒ chiese lui risvegliandosi leggermente da quella fase di vuoto.
‒ Niente, niente ‒ fece Cassandra. E tirò un’altra boccata.
In quel momento cambiò il vento, e l’aria cominciò ad alitare in faccia a Xavier insieme al fastidioso odore del fumo.
‒ Puoi spostarti? ‒ chiese lui non godendo particolarmente della discutibile aroma.
‒ Sì.
E i due si scambiarono di posto.
‒ Cerca di non fumarmi addosso ‒ raccomandò il ragazzo.
 
“Stai guardando quel TG da mezz’ora, possibile che ancora non abbia trovato nulla?”
Kalut si sciolse le spalle.
“Forse, se non riesci a trovare quello che tutti conoscono, prova a cercare quello che non tutti vedono…” tirò fuori in qualità di perla il volatile.
Kalut non rispose ma fece intendere al compagno l’inutilità di tale frase in quel momento.
‒ Dovrei chiederle un’informazione ‒ fece il castano rivolto a Mirta.
‒ Oh, certamente, dica
‒ Lei sa se ci sono stati dei problemi con i Pokémon di questa zona?
Quella rifletté alcuni istanti prima di rispondere: ‒ No, non che io sappia… ‒ rispose poi.
“Quello che non tutti vedono” ripeté Xatu.
Kalut si arrabbiò. ‒ Arrivederci, buon lavoro ‒ salutò entrambi i soggetti sotto quel Varco e ne uscì dal lato che indica l’ovest.
Quando fu fuori da quel luogo si sentì autorizzato a parlare di nuovo con il suo accompagnatore: ‒ Cioè, non dovevo cercare lì le informazioni? ‒ chiese lievemente seccato.
“Ah, io non posso dirtelo mica… ma fossi in te non accenderei di nuovo la TV” proferì il Pokémon Magico.
‒ Proviamo un’altra strada… ‒ commentò soltanto Kalut rassegnato.
Era tardissimo, la luna piena fiera in cielo in prima riflessione scrutava da lontano il mondo e le sue forme di vita possedute in quel momento dal più profondo baratro divino e accogliente. Eppure il ragazzo dai capelli bianchi non sentiva il bisogno di dormire. Ancora, almeno.
 
Xavier fissava il suo zaino chiuso e abbandonato nell’angolo della cuccetta. Gli aveva dato particolarmente fastidio scoprire che Cassandra fumava. Non sapeva perché e non sapeva per come, ma conosceva cosa era capace di fargli immediatamente cambiare opinione su qualcuno e tra questi fattori vi era la dipendenza dal fumo. Eppure, avendo abitato in una grande città in cui le persone ricorrevano a tutto pur di iniettarsi un pochino di relax nelle arterie, sapeva come fosse avere persone che fumano attorno quasi ogni giorno ad ogni ora.
Dormì amaramente per quella notte.
 
Il mattino giunse.
Una nuova luce sorse sopra i tetti di Sidera e una nuova giornata entrò con i moderati applausi del pubblico.
‒ Diario! ‒ esclamò Celia svegliandosi di soprassalto anche se in orario biologicamente corretto. La ragazza si rese conto che la notte era finita assieme al riposo concesso e che lei non era affatto riposata. In più, aveva preso coscienza del fatto che da ben due giornate lei non aggiornava i suoi pensieri scritti sulla barretta di cioccolato.
Sonno? Pokémon? Diario?
Ovviamente la bionda afferrò il taccuino da dentro la sua borsa ancora infilata nel morbido sacco a pelo. Cominciò a scrivere, le parole vennero fuori inizialmente con difficoltà e verso la fine in maniera molto più semplice.
Le sue palpebre cadevano e i suoi muscoli imploravano pietà, ma la sua fede in se stessa le diceva altro. Finì di scrivere, aveva riempito la pagina con un flusso di incoscienza puro e spontaneo che ovviamente ritrovava la sua voglia di esistere lacunosa nella calligrafia dell’autrice.
Poi il suo corpo non resistette ancora, Celia tornò a dormire.

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