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Lev - Il Pianto Delle Stelle - 22 - Delusione

Capitolo 22 – Delusione

Scesa la notte, il frinire delle cicale nell’aria dei boschi cominciava a sovrastare ogni altro rumore, così come il buio giungeva a vincere la sua tanto difficoltosa lotta contro la luce. D’estate fa fatica a scendere, l’oscurità.
‒ Quelle sono le luci di una città? ‒ chiese Kalut.
“Penso di sì…” fu la risposta di Xatu.
Effettivamente sull’orizzonte erano comparse come piccole evanescenti lanterne giallognole. Lampioni, molto probabilmente.
‒ Ci siamo quasi, allora…
Kalut con al seguito i suoi compagni: Venipede, Growlithe e Xatu, camminarono per altri venti minuti circa prima di capire che cosa fosse il complesso di fari che aveva attratto la loro attenzione. Il ragazzo rimase stupito. Davanti a lui si era materializzato un gigantesco e imponente ponte. Illuminato quanto necessario, ospitava ben quattro corsie e dava accesso alla città di Idresia per il lato orientale. L’autostrada era vuota, non un mezzo di trasporto passava in quel momento. Kalut guardò comunque torvo Xatu. Non voleva attraversare quelle zone, lo mettevano a disagio.
“Trovi ci sia un’altra via?”
‒ Mh… no…
“E allora ti conviene passare per di qua, no?”
Prima che la costruzione si erigesse sopra il livello dell’acqua del fiume, vi erano due cabine, una per lato. Ovviamente Kalut si avvicinò per curiosare in quella più vicina. Un controllore addormentato sulla sedia con la tazza della tisana alle erbe ancora in mano. Il tipo era lievemente in sovrappeso e aveva una divisa simile a quella indossata da Mirta al varco di qualche chilometro prima. Kalut osservò bene facendo tesoro delle informazioni raccolte circa il funzionamento di quello che le persone chiamavano “lavoro”.
‒ Xatu, dici che riesco ad passare anche a piedi?
“Ovviamente, quale dovrebbe essere il problema?
‒ Non lo so…
I compagni giunsero alla prima tratta di ponte. Camminavano sul lato della strada, su un marciapiede diviso dalla corsia da una linea disegnata a terra e rovinata poi dell’insistente passaggio e dal continuo sfregamento dei pneumatici delle auto.
Ad un certo punto, un lontano ronzio si appropinquò alle orecchie dei viaggiatori, Kalut lo riconobbe immediatamente e, mentre tutti i suoi Pokémon gli dettero minima importanza, lui tese immediatamente i muscoli. Riconobbe il rumore, lo aveva già sentito.
‒ Fermi… ‒ sussurrò.
Il tutto appena prima che in una frazione di secondo il lieve rumore aumentasse di intensità fino a divenire il rombo del motore di una macchina che sfrecciò sulla corsia a pochi metri dal ragazzo. Kalut era rimasto immobile, non aveva voluto reagire nonostante, in seguito alla sua prima esperienza con delle automobili, non avesse propriamente un ricordo positivo di queste ultime. Ma forse ciò era stato per lui un incentivo, voleva vincere la sua paura. E non reagendo e ignorandola bellamente, ce l’avrebbe fatta. Almeno secondo lui.
‒ Tutto ok, andiamo… ‒ il ragazzo tornò a muoversi.
 
Xavier e Cassandra avevano camminato un bel po’, erano finalmente giunti a Alyanopoli e il viaggio poteva dirsi terminato. La città li aveva accolti con decenza, con i suoi edifici non di pregiatissima fattura ma di impatto visivo omogeneo: i mattoni scuri, l’asfalto consumato, i vicoletti contorti e i bidoni dell’immondizia. Poche persone per le strade, giusto qualche ragazzetto con i tocchi d’erba nelle mutande che attendeva che il sole calasse.
Xavier, che si sentiva ben distaccato da quella tipologia di persone, nella sua mente non recensì con grande entusiasmo la città, ma sapeva che quella sarebbe stata solo una meta temporanea, avrebbe lasciato presto quello schifo.
‒ Un posto in cui dormire? ‒ domandò retoricamente la ragazza.
Effettivamente il giorno stava volgendo proprio al termine.
‒ Troviamolo ‒ approvò il castano.
I due decisero dopo un’approfondita analisi durata più o meno venti secondi di fermarsi ancora una volta in un centro Pokémon, Xavier perché era quasi senza soldi e Cassandra perché i Motel la facevano sentire una donna poco seria.
I due decisero di adagiarsi subito su una branda e quindi entrarono nelle camere senza farsi troppi problemi di orario. Avevano preso una sola stanza, ma due letti rigorosamente separati.
‒ Cassandra ‒ la convocò Xavier dopo un lungo silenzio tra i due.
La ragazza, che stava cercando di mettere ordine nella sua borsa, alzò un attimo la testa dando attenzione al compagno di viaggio.
‒ Vorrei riprovarci ‒ fece.
La ragazza arrossì immediatamente: ‒ Scusami…? ‒ mormorò.
‒ No, non intendevo quello ‒ si rincorse subito il ragazzo che riconobbe la reazione di lei.
‒ Oh.
‒ Ecco, volevo dire… vorrei fare un’altra lotta con te.
‒ Ah... ‒ Cassandra provò in tutti i modi a sembrare neutra nel tono e nell’espressione, purtroppo la cosa gli riuscì poco.
‒ Che ne dici? ‒ sorrise il castano con in faccia la convinzione di un bambino.
‒ Beh, certo, quando vuoi…
In realtà non era così semplice, la ragazza non aveva idea di che cosa dovesse fare e non sapeva che cosa scegliere tra le diverse alternative che la natura della sua missione gli poneva davanti.
‒ Domani lotteremo, allora…
‒ Sì.
‒ Ah, comunque… scusa per oggi, io…
Xavier guardò Cassandra, Cassandra guardò Xavier. Fu inutile, si capirono abbastanza bene e entrambi tacquero.
 
L’odore di acqua marina e salsedine nell’aria e la faccia tosta della città turistica di sera furono il bacio di accoglienza per la bionda. Celia era davvero molto stanca, Porto Acquario le aveva aperto le sue porte e lei era felice di aver concluso quella tratta di strada che sembrava la più difficile di tutto il viaggio, o che almeno era divenuta tale. Doveva dormire, e forse era anche ora. Ma prima decise di fare una cosa.
La palestra, secondo le mappe del PokéNet si trovava poco lontano da lei, decise di passare a darle un’occhiata. Giusto per, non aveva intenzione di intraprendere una lotta quella sera, non ne aveva le forze.
Svoltò un paio di angoli e giunse nel punto che la sua mappa definiva come Palestra di Porto Acquario. Rimase a bocca aperta. Una gigantesca struttura di vetro si erigeva davanti a lei altezzosa e meravigliosa. Non era un grattacielo, aveva le dimensioni e il formato di una palestra classica. Solo, i materiali non erano proprio quelli. In più, poco dietro quella monumentale palestra, si scorgevano la spiaggia e il mare che, calmissimi, davano a tutto un’atmosfera di relax totale. Era settembre, ma sembravano i primi di luglio.
La bionda provò a dare uno sguardo all’interno, le strutture erano molto particolari, la palestra aveva il piano terra soltanto ed era praticamente un monolocale, più che una palestra sembrava un arena. Si era eccitata, non vedeva l’ora di affrontare la Capopalestra locale là dentro. Prese e si avviò verso il Centro Pokémon, doveva dormire, il giorno dopo si sarebbe svegliata presto per tornare in quel luogo e fare quello che aveva fatto in tutte le altre sedi di palestre della regione: uscirne con la medaglia in mano.
 
Passarono un bel po’ di macchine, durante i minuti che Kalut impiegò a percorrere il ponte. Non tantissime, ma comunque un numero non indifferente. Ormai il ragazzo neanche si girava più, neanche sentiva più il bisogno di reagire. Aveva superato la cosa.
I viaggiatori erano entrati a Idresia, Kalut non aveva però guardato la città quanto più le persone. Quella sera le vie erano abbastanza trafficate, forse sarebbe stato ottimale muoversi senza un lenzuolo avvolto attorno al corpo, aveva già attirato troppi sguardi indiscreti.
O almeno così diceva Xatu.
Kalut non era d’accordo, a lui piaceva quel lenzuolo, ma alla settima persona che gli scoppiava a ridere in faccia, decise di dare retta al pennuto e deviò in un vicolo dove si tolse il mantello e lo gettò in un cassone dell’immondizia.
Era diventato un ragazzo normale, con dei pantaloncini e una maglia. Stop.
Riprese la sua camminata. Si aggirò per il centro per qualche quarto d’ora senza meta e senza scopo finché, passando accanto alla porta aperta di un bar, udì per caso delle parole dalla tv accesa.
“…uno strano fenomeno che ha coinvolto la fauna locale che sembra essersi temporaneamente spostata verso nord…”
Prontamente il ragazzo afferrò l’istante, si pose accanto alla porta in modo che lui potesse sentire la televisione, ma nessuno potesse vederlo. Purtroppo, il suo piano non andò in porto, tra il chiacchiericcio generale del locale e i rumori di bicchieri, tazzine, piattini e sedie, si rese conto che il pezzettino di trasmissione era stato un eccezione.
Non si diede per vinto, decise di andare a fondo alla questione, aveva già un input.
‒ Dov’è che le persone si informano sugli avvenimenti del mondo? ‒ chiese innocente a Xatu.
“Giornali?”
‒ Mh, dove posso trovarne…?
Xatu rise “Kalut, i giornali si comprano, ma tu sei senza un soldo… è divertentissimo guardarti agire senza uno stralcio di speranza…” era stato cattivo.
‒ Che cosa intendi, scusa?
“Intendo che per studiare degli esseri umani, devi prima essere simile a loro… non puoi fare il detective di qualcosa che neanche sai cos’è in una grande città senza amalgamarti alla città” rispose il volatile.
‒ Che cosa intendi per amalgamarmi?
“Intendo che dovresti avere un nome, essere un uno dentro un agglomerato di cittadini.”
‒ Sembra semplice detto da te…
“E lo è, fidati.”
‒ Dici che dovrei essere come loro?
“Dico che dovresti essere come loro...” acconsentì Xatu. “O almeno provaci… non cammini su queste strade se non sei un essere umano libero…”
‒ Oh. Ok.
“La cosa non ti aggrada?
‒ La verità?
“Sì.”
‒ No, non particolarmente.

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