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Lev - Il Pianto Delle Stelle - 27 - Ambizione

Capitolo 27 – Ambizione

L’aria all’interno dell’auto del Campione Antares era diventata pesante per il suo proprietario. Lui stesso aveva fatto intendere alla ragazza che qualcosa non andasse per il verso giusto, e lo aveva fatto di proposito.
‒ Hai notato qualcosa di strano, vero? ‒ chiese l’uomo alla sua passeggera senza staccare gli occhi dalla strada.
‒ Sì, ho notato molte cose strane ‒ rispose Celia.
‒ Mi hanno chiesto di renderti partecipe della cosa, ormai è giunto il momento.
‒ Di che cosa?
‒ La FACES.
‒ La federazione della sicurezza? Quelli che ci hanno fatto avere i PokéNet?
‒ Esattamente, di questo voglio parlarti…
‒ Che cosa c’è?
‒ Devi sapere che questa associazione, allo stato attuale, ha in mano un potere economico incredibile. Si occupa di salvaguardia e tutela in tutto lo stato e con tutto quello che è successo negli ultimi anni, ‒ Antares prese fiato ‒ ha avuto un’attività e una richiesta tali da… renderla potentissima.
‒ E tutto questo che significa? ‒ domandò lei.
‒ Significa che prima era la Federazione delle Leghe Pokémon a sovvenzionare la FACES. Ma ormai sono loro che hanno in mano non solo la sicurezza pubblica, ma anche le casse dello stato, basta un loro sconsiderato schiocco di dita e quasi tutte le regioni cadrebbero.
‒ Continua.
‒ Allora, ritrovandosi con tutto questo potere in mano, la FACES ha deciso di avviare un progetto parecchio ambizioso, il PokéNet.
‒ Questo orologio? ‒ chiese lei mostrando il polso.
‒ Orologio… no, lo strumento che hai al polso è solo il prototipo di uno dei terminali che si collegano al PokéNet, in realtà sotto questo nome sta il loro progetto di una rete che colleghi ogni singolo Allenatore Pokémon del mondo, ogni palestra, ogni istituzione.
‒ Ma è bellissimo ‒ ribatté entusiasta la bionda.
‒ Celia, aspetta a giudicare, loro fanno questo per aumentare la sicurezza e la salvaguardia, ma ciò significa che essere un Allenatore di Pokémon sarà come essere in un videogioco, creare una perfetta connessione tra ogni angolo della regione e ogni Allenatore ha come obbiettivo il limitare la libertà di ognuno. Un Allenatore capace di Allenare Pokémon troppo potenti potrebbe rivelarsi potenzialmente pericoloso per la popolazione.
‒ Non capisco, l’idea della rete degli Allenatori mi piace, ma non capisco cosa dovrei temere di questo progetto…
‒ Impedire agli Allenatori di diventare un pericolo per la società si traduce in impedire agli Allenatori, passati, presenti o futuri che siano, di diventare troppo potenti o di acquisire troppa esperienza, in altre parole: regolamentare persino l’attività di allenamento e crescita dei Pokémon.
‒ Regolamentare?
‒ Dare dei sentieri, delle linee guida, dei limiti.
Celia tacque.
‒ Il PokéNet dev’essere lo strumento che, diffuso a tutti gli Allenatori, attesti la loro effettiva esistenza e monitorizzi le loro attività. Come una specie di cartellino con il tuo nome sopra che invia rapporti sul tuo lavoro al tuo capo.
‒ E non è bene.
‒ Vogliono diffonderlo come strumento innovativo e di comodità, come un nuovo modello di un telefono o qualcos’altro, ma il loro scopo è intrufolarsi pian piano sempre più nella quotidianità. Per questo motivo hanno bisogno di voi tester, di qualcuno che permetta ai loro software di raccogliere informazioni e perfezionarsi, adattarsi alla vita delle persone… ‒ la fissò con gli occhi vitrei e atroci di un caimano. ‒ stanno facendo perfezionamenti, limandosi, tu e Xavier siete solo le ennesime pedine; non si crea un’intelligenza dal nulla, il PokéNet deve avere basi reali e concrete. Tu e tuo fratello gliele state dando. Assieme a tutti gli altri Allenatori itineranti reclutati nelle altre regioni.
‒ Ma non hai detto che ci hai scelti personalmente dopo accurate ricerche per proporci alla FACES?
‒ Sì, ma ciò non significa che ero d’accordo con tale progetto. Ti ripeto, la FACES potrebbe far cadere la Lega da un momento all’altro, per il potere che ha. Ci ha costretti, io non sono d’accordo con questo progetto, ma non ho potuto oppormi a loro, mi tengono per il collo… ‒ mormorò. ‒ E ti chiedo scusa per ciò che ho cercato di fare… ‒ fece poi.
Celia lo guardò interrogativa.
‒ Ho sostituito molti dei miei Capipalestra: Perseo, Luna, loro non combattono, da Arturo ti ho fatto regalare la medaglia, Castore e Polluce sono due ragazzini, ancora non veramente all’altezza del loro ruolo… tutto questo per ridurre l’afflusso di dati raccolti dai vostri PokéNet, rallentare il loro lavoro, ingannarli… ‒ spiegò.
‒ Era un tuo piano?
‒ Così come il seguirti e facilitarti gran parte del viaggio, non avevo altro modo, la FACES non sospetta niente.
Cadde silenzio tra i due. Celia rifletteva sulle informazioni appena ricevute e Antares cercava di far sparire l’amaro delle sue parole che gli era rimasto in bocca.
‒ Perché hai voluto dirmi tutto solo così tardi? Xavier sa qualcosa?
‒ Mi hanno chiesto loro di tenerti all’oscuro dei fatti fino a nuovo ordine e no, tuo fratello non sa niente, ma anche lui ha un custode che presto lo informerà sulla situazione.
Celia tacque ancora un istante.
‒ Quindi qual è la cosa migliore da fare, ora?
‒ Non lo so, penso che ora vorranno fare qualcosa con te, non sono tipi da lasciare le cose in sospeso ma neanche gente pericolosa. Forse hanno deciso che è arrivato il momento di darti lumi sul loro progetto per darti l’opportunità di unirti a loro. Ma è solo una supposizione.
La ragazza, alla terza pausa, cercò di fare un recap nella sua mente: il suo viaggio ancora non terminato a Sidera era stato una specie di farsa, una società che non piaceva molto ad Antares e dalla quale neanche lei era particolarmente allettata la stava utilizzando come tester di un prodotto non troppo simpatico, presto lei si sarebbe confrontata personalmente con questi tipi e probabilmente quella morsa che sentiva attorno al cardias dimostrava che la prospettiva non la rassicurava più di tanto. Un viaggetto di un paio di giorni con un orologio al polso e qualche eufemismo di troppo. E poi si rese conto che qualcosa l’aveva portata fino a quel punto, il suo guardo tornò ad Antares, che si accorse di essere scrutato e tornò con la sua faccia da uomo preoccupato ma non turbato dalla situazione che guarda l’orizzonte. Quell’uomo così particolare, simpatico e affabile ma perito e responsabile, era riuscito ad introdursi nella sua vita con estrema facilità. Si erano incontrati due o tre volte e già non gli dava più del lei, come sarebbe stato idoneo, essendo lui una delle massime autorità della regione; parlavano senza problemi di argomenti così spinosi e lei aveva persino accettato un passaggio da lui, pure più volte.
“Se fosse stato un pedofilo, sarebbe stato un ottimo pedofilo…” aggiunse Avril.
“Zitta!”
“Tanto so che anche tu lo pensavi…”
Celia comprese finalmente che ciò che sarebbe accaduto a lei, sarebbe dipeso da Antares, sia come colpa, sia come merito. Era preoccupata, non poteva negarlo, ma allo stesso tempo un po’ la presenza del Campione la rassicurava.
“Cosa avevi pensato? Una gita per chiudere l’estate in bellezza?” chiuse la sua amica che viveva nel bilocale che era il suo cervello.
 
Xavier e Cassandra si trovavano in un parco pieno di siringhe e mozziconi. Entrambi dovevano fare particolare attenzione a dove mettevano i piedi, ma Cassandra aveva bisogno di fermarsi e accendersi una sigaretta dopo aver mangiato.
Intanto Xavier la guardava, la guardava con gli occhi di chi si aspetta qualcosa ma non vede arrivare nulla, lei era pensierosa, inquieta e lui impaziente. E un po’ deluso. Si erano baciati una volta al laghetto, lei si era in qualche modo dichiarata, avevano preso camera insieme differentemente dalla notte precedente in cui un muro li aveva tenuti lontani… ma poi più niente, non ne avevano parlato, lui non aveva osato toccare quell’argomento e lei tantomeno. Iniziava a pensare di essersi perso un pezzo di qualcosa.
E intanto dall’altra parte Cassandra chetava i neuroni viziati che le chiedevano di soddisfare la sua dipendenza dando loro quel godibile fumo cartaceo e catramoso che passava lungo la sua gola per andare a riempire i polmoni. Odiava fumare, ma si era costretta le prime volte e poi aveva dovuto per forza mantenere il ritmo, soprattutto quando era nervosa. E in quel momento lo era. Tanto. Aveva ancora i caratteri del messaggio che quella mattina aveva letto stampati in testa:
“Diglielo, non omettere niente.”
E lei si era resa conto di aver nascosto il nulla ad una mamma che se anche l’avesse scoperta a rubare un intero pacchetto di caramelle non l’avrebbe sgridata. Aveva baciato Xavier per fargli credere di avere un solo umano motivo per seguirlo, ed era la verità, il problema è che il motivo non era proprio quello.
‒ Senti, penso che io e te dovremmo parlare un po’… ‒ disse Xavier.
Cassandra lo guardò.
‒ Non abbiamo fatto molti passi avanti da quello che mi hai detto ieri, secondo me potremmo… ‒ e non finì la frase.
Cassandra si trovò ad un bivio, scegliere la strada della persona di merda e rivelare tutto senza neanche un’anestesia locale o essere una brava ma al contempo una cattiva umana e mentire ancora. Certe situazioni la infastidivano, per lei i piccoli problemi erano i drammi, al resto era preparata.
‒ Sì, parliamone. Ma non qui ‒ rispose granitica.
‒ Abbiamo tutto lo spazio che vuoi.
Non era una persona di merda, tecnicamente quello che aveva fatto era illudere una persona e la cosa non era il massimo. Ma faticosamente certe cose si portano a termine. La dieta non si inizia da affamati.
‒ No, aspetta, non parliamone, senti…
 
“Non riesci a dormire decentemente?”
‒ Non riesco a dormire…
Kalut si era svegliato di soprassalto, aveva avuto un incubo e il suo sonno non aveva retto abbastanza. Erano circa le tre del pomeriggio e la sua nottata si era già conclusa.
“Ricordi che cosa hai sognato?” chiese Xatu.
‒ Probabilmente, aspetta…
“Provaci.”
‒ Niente da…
“Kalut?”
‒ Oh, sì, ricordo che cosa ho sognato!
“E con ciò? Perché ne sei entusiasta?”
‒ Vedrai!
“Io dicevo per dire di ricordarti, non è che…”
‒ Beh, mi hai fatto venire in mente un’importante informazione.
“…che hai sognato.”
‒ Che ho sognato.
Il ragazzo ricostituì alla ben e meglio la sua immagine, strinse le stringhe delle scarpe nuove sottratte ad un universitario addormentato nella lavanderia, scese dal tetto su cui si era appollaiato per dormire.
‒ Ricordo di aver visto un’immagine, un’immagine che anche ieri mi sono trovato davanti ‒ spiegò il ragazzo con semplicità.
“Un’immagine.”

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