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The 25th Hour: Capitolo 2: - 16 ore e 26 minuti

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- Capitolo2


- 16 ore e 26 minuti;

La M/N Prima attraversava il mare velocemente, tagliando le distanze tra Hoenn ed Adamanta. Durante il viaggio, Pat e Fiammetta avevano studiato l’intera regione.

“Crystal, ciao, sono Fiammetta”.
Sei arrivata?” domandò l’altra, saltando subito al dunque.
“Non ancora, siamo sull’aliscafo”.
“Bene… Allora: hai la cartina di Adamanta davanti, come ti avevo detto?”.
“Sì, è qui” annuì la rossa.
“Benissimo. Adamanta si sviluppa attorno a Timea, la città centrale e capoluogo della regione. È la zona più sopraelevata, a livello d’altitudine, ma non dovrebbe interessarvi. Altre grandi città della regione sono Edesea e Solarea, per altro davvero carina e suggestiva. Voi sbarcherete in quest’ultima” disse, mentre la linea della sua voce veniva interrotta dalle interferenze. “Una volta lì dovrete recarvi a est, probabilmente, e cercare con perizia il luogo del risveglio di Jirachi... quando lo troverete dovrete catturarlo”.
Non sei tu la Catcher?” domandò poi la rossa, sbuffando.
“Sì, ma Rocco ha spinto per far partire voi due. Poi qui a Johto c’è ancora parecchio da fare e...”.
“Va beh, ho capito, tranquilla” fece nuovamente, vedendo Pat seria davanti a lei.
“Quando lo avrete catturato tornate di corsa a Hoenn e poi prendetevi una bella pausa, al resto ci penseranno Rocco, Alice ed Adriano”.

E conclusero la conversazione. Fiammetta vedeva Pat con la fronte poggiata sul vetro, silenziosa. La ragazza di Cuordilava ascoltò immediatamente il suo cuore quando le suggerì che i pensieri della moretta fossero vicini all’immagine del fratello, a quella mano esanime e fredda sotto le macerie della Palestra che tanto avevano difeso.
“Patricia...” esordì poi, con un accenno di sorriso, sperando fosse contagioso.
E di fatti quella seguì l’espressione divertita sul volto. “Solo mia nonna mi chiamava così”.
“Infatti scherzavo. Come vanno le cose? Ancora non ho avuto l’opportunità di chiedertelo”.
“Beh, è ancora... strano” concluse, dopo una pausa. Staccò la fronte dal vetro e si mise dritta, accavallando le gambe, urtando la coscia contro il ginocchio di Fiammetta.
Le chiese scusa, poi continuò a parlare. “Sai... Siamo nati insieme. Cioè, lui qualche minuto prima di me”. Spostò un ciuffo corvino dallo sguardo e poi continuò a parlare. “Essere gemelli è strano, ti rivedi in qualcuno che non sei tu. Certo, eravamo molto diversi, Tell era vulcanico e pieno di vita. Molto più di me, almeno...” sorrideva dolcemente. “Anche il fatto di essere... Come dire? Speciali? Ecco, ci ha sempre uniti. Se sono qui è perché non sono pronta a lasciargli la mano”.
Fiammetta vedeva il volto delicato della donna incupirsi e combattere contro lo stimolo di piangere, mentre lo sguardo si piegava verso il basso.
“È bellissimo il rapporto che avete stretto. Con mia sorella è molto differente”.
“Hai una sorella?”.
“Sì. Beh, Jarica. L’abbiamo adottata, l’ho trovata quattro anni fa mezza morta nel Passo Selvaggio. L’ho rifocillata e curata, aveva una forte febbre. Poi l’ha adottata mia madre e figura come mia sorella, anche se è in tutto e per tutto come una figlia, per me”.
“La stai crescendo tu”.
“Sì, assolutamente!” esplose lei, in una di quelle strane botte d’entusiasmo che la coglievano di tanto in tanto. “E stranamente mi somiglia anche! Che cosa insolita!”.
Fiammetta prese il cellulare e mostrò a Pat una foto in cui le due si stringevano, sorridenti. Pat riconobbe che Fiammetta fosse realmente bellissima e che, con lei, anche quella bimbetta con un incisivo mancante sarebbe diventata davvero bella, una volta adulta.
Con quegli occhi rossi e le fossette accanto alla bocca carnosa.
E i capelli rossi, spettinati ed arruffati.
Si assomigliavano davvero molto. Quasi incredibile, a pensarci.
“È meravigliosa” sorrise Pat.
Fiammetta ripose il telefono e poggiò la testa sulla poltrona, mentre ricordi bollenti di qualche notte precedente alla partenza salivano a galla: Rocco, i suoi baci, le sue braccia forti, le spinte del suo corpo contro il suo. E ancora, i sospiri, i gemiti, il calore, il freddo, la stanchezza, le urla.
L’abbraccio alla fine.
S’era innamorata, sentiva la consistenza delle nuvole sotto le mani, così soffici, così profumate.
Come ovatta.
E il cullare delle onde sulle quali la motonave passava conciliò il sonno a entrambe.

Fu la sirena della nave a svegliare Fiammetta. Pat era già in piedi, mentre prendeva lo zaino di Fiammetta e lo poggiava sulla poltrona dov’era seduta.
“Oh, hai aperto gli occhi” fece, prendendo lo zaino che le apparteneva e indossandolo. “Stiamo per attraccare”.
Fiammetta sbadigliò e stropicciò gli occhi con gli indici, stirò le gambe e si alzò. “Siamo arrivate?” chiese, per conferma.
“Sì. Hai dormito per tutto il tempo”.
“Oh... Mi spiace non esser stata di compagnia...”. Infilò lo zaino e si avviò verso il ponte, seguita dall’altra.
“Tranquilla. Quando non ho niente da fare esploro”.
Fiammetta si voltò, sulla scalinata verso l’uscita, in basso, facendo un’espressione corrucciata.
“Esplori?”.
“Sì” rispose l’altra. “Viaggio con la mente. Vado lontano, conosco persone... Certo, loro non mi parlano, non mi vedono neppure, però è un modo per allenare le mie capacità e tenere la mente occupata”.
Fiammetta rimase stupita ma smise di pensarci quando mise piede sulla banchina; Solarea era un paese decisamente carino. Certo, i recenti terremoti avevano creato grandi fratture all’interno della pavimentazione stradale, che sembrava molto antica. In tutta la città risiedeva uno spirito di calma e monumentalità che aveva osservato soltanto a Ceneride.
Pat notava come molte persone stessero ancora lavorando alla ricostruzione della parte finale del molo, con grossi blocchi di tufo trasportati da forti Machamp. Era crollato per via dei sismi dei mesi precedenti, come anche alcuni palazzi del centro.
“Qui è parecchio carino” fece la rossa, salendo le scale del porto e entrando nella piazza principale. Nonostante fosse gran parte ancora disastrato, in quel paese la vita brulicava calda, con le sue mille sfumature. Dapprincipio erano quattro, i grandi palazzi bianchi, con le finestre in legno e le porte ornate da eleganti archi intarsiati, poi uno era rovinato su se stesso, lasciando un vuoto che permetteva d’intravedere una lunga strada costeggiata da casette piccoline ed eleganti, interamente costruite con pietra gialla e tetti in legno.
Il centro della piazza vedeva una grande fontana con scolpito un imponente Kingdra. Questo emetteva bellissimi getti d’acqua baciati dal sole di mezzogiorno.
Centinaia di persone passeggiavano, ognuna diretta in un posto differente. C’era, davanti alla fontana, un bravissimo sassofonista che riproduceva alla perfezione dei pezzi di John Coltrane e più in là, verso la parte nord, un giocoliere faceva roteare dei birilli mentre si manteneva in equilibrio su di un monociclo.
Camminavano tra la folla i diversi carretti che vendevano caldarroste, e qualcuno anche zucchero filato. Un ragazzino con una coppola in testa trascinava un box pieno di bibite, vendendo Lemonsucco e Gassosa assieme al suo Aipom.
“Suggestivo” sorrise Fiammetta, che adorava quelle scene così calorosamente popolari.
Pat invece si sentiva piuttosto a disagio nello stare fisicamente in mezzo a tante persone. “Dobbiamo trovare subito il punto di schianto delle stelle... Jirachi ne sarà stato sicuramente attratto” fece.
Fiammetta annuì, quindi portò le mani ai fianchi. Un uomo, col cappuccio nero alzato sulla testa, la urtò sbadatamente. “Mi scusi” disse, senza manco voltarsi.
Camminava con fretta verso un vicolo, in cui s’immise e scomparve.
“Che fretta che aveva... non mi ha neppure guardata in faccia”.
Pat sospirò, vedeva attorno a quell’uomo un’aura di colore bianca, fredda ed impaurita.
Se si concentrava si accorgeva dei sentimenti che avvolgevano le persone, come se vi fossero immersi totalmente.
“È molto preoccupato...” concluse la moretta.
“Già però... bah, dovremmo chiedere a qualcuno”.
Un Wingull s’alzò in volo poco vicino a lei, perdendo una piuma che finì nella fontana, quindi Fiammetta s’avvicinò al ragazzino con la coppola che vendeva bibite.
“Ciao” disse quello. “Vuoi una bibita? Ho Acqua Fresca, Lemonsucco, Gassosa, Succo di Bacca, cola, chinotto e soda”. Gli occhi erano scuri e riflettevano lo sguardo divertito dell’ex Capopalestra di Cuordilava. Anche i capelli, sotto il copricapo, erano neri come la pece.
“No, non voglio una bibita, mi servono delle informazioni e...”.
“Io non so niente, sto solo vendendo bibite”.
Fiammetta rimase interdetta. “Una… una domanda… devo solo fare una domanda”.
Il ragazzino perse per un attimo lo sguardo nelle iridi di fuoco della donna, prima di spostarlo verso il centro della piazza. “Acqua Fresca! Lemonsucco! Gassosa!” urlava, mentre Aipom spingeva da dietro il cassone con le rotelle, che pareva essere parecchio pesante.
“Ma...”. Fiammetta era rimasta sbigottita, mentre Pat rideva.
Già, era parecchio divertita. L’aura attorno a quel bambino era dorata. “È cresciuto in strada, dare per avere” spiegò quella. “Non tutti sono felici di aiutare gli altri. Spesso devi dare qualcosa in cambio. Aspetta, ragazzino!” urlò poi la moretta.
L’Aipom saltò sulla cassa che quello stava tirando e poi salì sulla coppola del ragazzino.
“Che c’è, Penny?” domandò questo. Il Pokémon indicò con la coda in direzione delle due ragazze e lo costrinse a voltarsi. Sbuffò, quella volta la rossa era indietro, a braccia incrociate, con lo sguardo scettico; infatti si stava avvicinando la moretta con la treccia.
“Scusa la mia amica... Vorrei una Gassosa”. Tra le mani di Pat sventolava una banconota da dieci Pokédollari.
Gli occhi del ragazzino s’illuminarono. “Ok, ma voi siete due”.
“Hai ragione, dammene due e tieni il resto. Ora puoi rispondere a una domanda?”.
“Beh, avete guadagnato un po’ del mio tempo” sorrise quello, prendendo due Gassose fredde e mettendole nelle mani di Pat.
“Vorremmo sapere se c’è una Palestra, qui nei dintorni”.
Gli occhi del ragazzino s’illuminarono. “Certo! Rupert allena Pokémon d’acqua nella Palestra che è proprio alla fine di quella strada!” indicò quello, col dito la cui unghia era mezza mangiucchiata.
“Grazie piccolo. Come ti chiami?”.
“Ora vuoi sapere qualcosa che non è compreso nella tariffa di due Gassose”.
“Beh, riuscirò a vivere senza... Bernard” sorrise Pat, andando via e posando tra le mani di Fiammetta una delle due Gassose. Il ragazzino rimase lì, stranito, e poi prese a correre dietro alle due forestiere.
“Come fai a sapere questa cosa?!” chiese, mantenendosi la coppola con la mano mentre si sforzava nel tirare il carretto. “Io non ti ho detto il mio nome!”.
Fiammetta e Pat non rispondevano, camminando svelte zaino in spalla fino allo svincolo della piazza nella grande via principale di Solarea.
“Hey, ho fatto una domanda! Rispondete!”.
Fiammetta si girò, accigliata. “E quanto saresti disposto a pagare per quest’informazione?!”.
Bernard emulò l’espressione accigliata della ragazza e sbuffò. “Dovete dirmelo!”.
“Avanti” sorrise ancora Pat, che di certo non voleva dire a tutti di essere in grado di far implodere gli organi interni alle persone con un po’ d’applicazione.
Doveva essere un segreto, più o meno. Almeno lì ad Adamanta.
“Rispondimi!” urlava il ragazzino continuando a trascinare il carretto pesantissimo.

Ma le ragazze erano più veloci e riuscirono a dribblare i passi del giovane e ad arrivare per prime alla Palestra di Rupert. Era grande, enorme, e all’interno si sentiva il rumore delle onde infrangersi. Fiammetta odiava quei luoghi. In ogni caso, dopo uno sguardo scambiato con la sua compagna d’avventura aprirono la porta ed entrarono.
L’odore della salsedine pervase i loro polmoni e lo stupore le costrinse ad alzare in alto gli occhi: il tetto era composto da tante lastre di vetro.
“Wow...” disse Fiammetta, a bocca aperta, immaginando una notte passata in quella Palestra.
“È per la pioggia” tuonò una voce baritonale. “Vedere la pioggia che cade è un’esperienza da fare... Ti fa sentire in balia degli eventi. E in un mondo in cui ci vantiamo di riuscire a controllare tutto, vedere qualcosa che non possiamo gestire è stimolante”.
Pochi passi e un uomo anziano dalla perfetta forma fisica apparve dalle retrovie della Palestra. La barba candida era stata spazzolata da poco tempo, risultando lucida e ordinata. Anche i capelli erano ben pettinati..
Fiammetta lo guardò, sorridendo educatamente. “Buongiorno. Lei è Rupert, vero?”.
Quello annuì, con un rapido movimento della testa, quindi fece un mezzo inchino alle ragazze. “In persona. Sono il Capopalestra di Solarea, maestro di tecniche d’acqua”.
“Piacere mio” rispose la rossa. “Io sono Fiammetta Moore, Capopa... Ex Capopalestra di Cuordilava, Hoenn. Assieme a Pat, ovvero lei...” la indicò, poi continuò: “... siamo giunti in questa regione per un’importantissima missione legata alla ricostruzione delle nostre zone...”.
Rupert annuì sommessamente. “Vi conosco, vi ho viste in uno dei convegni dell’Unione Lega Pokémon; sono a conoscenza dei grandi cataclismi che hanno causato il collasso di Hoenn. E so anche che voi due siete tra i coraggiosi eroi che hanno riportato la pace”.
“Beh, abbiamo dato una mano” sorrise la rossa.
“Non siate modeste, Rocco mi ha raccontato tutto”.
Pat esordì. “Ci ha detto infatti che vi conoscevate”.
“Lui è stato per qualche tempo in questi luoghi e ho avuto il piacere d’incontrarlo: una brava persona”.
“Molto” confermò l’altra.
“Che ci fate qui, allora?”.
Fiammetta guardò Pat; questa si prese la responsabilità di scegliere le parole adatte.
“Bene... Ci serve sapere se per caso può indirizzarci verso il luogo dove sono cadute delle le, nelle scorse ore”.
Rupert sembrò sorpreso dalle parole che ascoltava. “Beh, si vocifera sia passato uno sciame di stelle proprio su Campo Miracielo… una ventina di chilometri da qui, verso est”.
Fiammetta sorrise. “La ringrazio di cuore; il suo aiuto è preziosissimo per Hoenn e la sua gente”.
“Riuscirebbe a portarci lì?” chiese poi Pat.
Subito Rupert scosse la testa. “Mi spiace molto, signorina, ma proprio tra qualche minuto comincerò le lezioni agli allievi più giovani. Capirà che sono soltanto queste faccende impellenti a costringermi a non accontentarvi. Perorerò la vostra causa però, e vi affiderò nelle mani di una delle migliori guide della zona. Venite con me” fece il più anziano, avanzando verso l’uscita, seguito dalle due.
La porta s’aprì e il sole entrò prepotente. Il gruppo uscì e cominciò a incamminarsi lungo la via. I larghi marciapiedi erano gremiti di folla che, nonostante i recenti terremoti, guardavano le vetrine ed entravano nei negozi.
“La vita sta riprendendo anche qui...” sospirò sollevato Rupert, rispondendo con un cenno del capo ad un uomo coi baffi e il bastone che lo aveva salutato.
“A Hoenn ci vorrà qualche anno per vedere questa tranquillità...” sbuffò Fiammetta, con lo sguardo basso. Pat li seguiva silenziosa, col sorriso sulle labbra.
“Mi pare ovvio. Noi abbiamo avuto grandi danni ma sono soltanto effetti collaterali del lavoro di Groudon. È proprio per via dei terremoti di Hoenn che si sono manifestati sismi qui. Del resto siamo su di un territorio particolarmente propenso a fenomeni del genere”.
Pat annuì poi Rupert continuò.
“Questi sono soltanto gli effetti superficiali, gli strascichi, di quello che è successo da voi. Immagino sia stato devastante...”.
“Sì. Come se non bastasse, oltre a Groudon, anche Kyogre ha sommerso intere zone”.
“Anche noi abbiamo dovuto combattere contro un’onda gigante, poche settimane fa. Fortunatamente c’era qui con noi una ragazza parecchio abile coi Pokémon, Rachel. È il motivo per cui Solarea è ancora qui… È stata lei a placare Arceus”.
Fiammetta spalancò gli occhi: aveva sentito già di quella storia, raccontata da Lanette ed anche da Rocco. Arceus aveva dato l’ultimatum, Groudon e Kyogre s’erano svegliati per causa sua.
“Quindi è un’Allenatrice leggendaria” concluse la rossa.
Rupert non annuì, né disse di no; rimase semplicemente in silenzio, muovendo lunghi passi sul cemento del marciapiede. “Abbiamo affrontato una brutta sfida... Se penso che adesso saremmo potuti essere soltanto cenere e cadaveri rabbrividisco. Insomma, non sono nient’altro che un vecchio... ho buttato la mia vita nel fare cose effimere, pensando d’esser libero ma senza esserlo stato veramente...”.
La sua barba bianca fu attraversata da un soffio di vento. “È per questo che adesso cerco di vivere più intensamente possibile questi ultimi anni che mi restano... Stare a contatto coi giovani, insegnare loro ciò che so... In un certo senso c’è voluto un terremoto per risvegliarmi dal coma in cui sono caduto trent’anni fa, quando ho preso possesso della mia Palestra”.
“Non c’è età per apprezzare la vita” esordì Pat.
Rupert  annuì, sorridendo sotto la folta barba. “Esattamente, cara mia. Solo quando vedi la morte con gli occhi ti accorgi di quanto poco abbia fatto nella tua vita e di come una semplice passeggiata tra la folla, il vento sulla pelle... anche il vedere due belle ragazze come voi, possa essere un dono che ci sia stato fatto”.
Fiammetta sapeva perfettamente ciò di cui parlasse l’uomo: aveva abbandonato il suo paese quando praticamente non esisteva più, assieme a Crystal e Silver, cercando un modo per redimersi da quella che credeva essere la sua poca capacità, quell’apatia che la brandiva.
Aveva ritrovato se stessa rimettendosi in gioco, tirando la sua vita via dalle grinfie della morte più d’una volta, salvando quelle dei suoi amici, della sua gente.
Trovando infine l’amore.

Rupert si fermò davanti a una porta, infine. Era di legno massiccio, nero, forse verniciato o forse no, Pat non lo sapeva di preciso.
Di tanto in tanto si fermava a riflettere su cose poco importanti, come al colore della porta che aveva davanti o a quante mattonelle ci fossero complessivamente sul marciapiede che calpestava; così, per far passare il tempo e rilassare il cervello, in attesa d’esprimere tutto il potenziale che aveva a disposizione.
L’uomo bussò e pochi secondi dopo aprì una donna dagli occhi azzurri. Nei capelli neri spuntava qualche filo argentato, stanco come i suoi occhi; la signora, che dimostrava una cinquantina d’anni, sorrise alla vista di Rupert.
“Hey... Che ci fai qui?” fece quella, con voce graffiata. Tossì un paio di volte e schiarì la voce.
“Ciao Marie. Ragazze” fece poi, voltandosi. “Questa è mia sorella Marie. Marie, loro sono Fiammetta e Pat, da Hoenn”.
Gli occhi della donna si spalancarono. “Sono allibita da ciò che è successo lì… Se posso aiutare in qualche modo sarò felicissima di farlo”.
“In realtà le ragazze hanno bisogno dell’aiuto di Flynn. È in casa?”.
“No, mio marito è fuori per lavoro, ha accompagnato alcune persone di Kalos a Edesea”.
“Oh...” disse Rupert, spiazzato, quando poi una voce proruppe sul mormorio della folla.

“Tu!” si sentì urlare. “Dimmi come fai a conoscere il mio nome!” gridava un ragazzino, tirando a fatica un pesantissimo carro delle bibite.

Rupert lo guardò e poi sorrise. “Ecco la nostra soluzione! Bernard!”.
Fiammetta guardò in cagnesco il ragazzino e poi sospirò, voltandosi per un breve istante. Marie la guardava, ancora nascosta dietro l’uscio.
“Rupert! Questa qui!” fece, puntando l’indice sotto il naso di Pat. “Lei conosce il mio nome ma io non gliel’ho mai detto! Come fa a saperlo?! Chi gliel’ha detto?!”.
Pat non riuscì a nascondere il divertimento che provava. Rupert la guardò e sorrise a sua volta.
“Bernard, non sai chi è lei, vero?”.
Quello cambiò rapidamente espressione, spalancando gli occhi e rilassando i muscoli della fronte. “Chi è?” chiese.
“Lei è Pat, la Capopalestra di Verdeazzupoli, Hoenn. Maestra di telecinesi. La sua mente è più forte delle nostre braccia” sorrise l’uomo.
“Oh. Allora è per questo che... Beh! Poteva dirmelo prima!”
“Avresti dovuto pagarci, per le nostre risposte” punse Fiammetta.
Rupert s’inserì in tackle. “Lui è Bernard, qui a Solarea lo conosciamo tutti. È un ragazzino tanto sveglio. Bernard, loro sono due Allenatrici molto forti, provenienti da Hoenn. E hanno bisogno del tuo aiuto”.
Il ragazzino alzò il volto verso l’alto uomo e s’accigliò. “E io che ci guadagno?”.
“Ci guadagni l’orgoglio d’aver salvato centinaia di migliaia di persone, morte fra i terremoti e le inondazioni di Hoenn, del mese scorso”.
“L’orgoglio non si mangia” rispose asettico il ragazzino.
“Andiamo, Bernard! Tuo padre sicuramente non avrebbe tollerato certe risposte! Tu dovresti aiutare il prossimo, soprattutto perché questa è una buona causa”.
Silenzio, solo per qualche secondo, sfalsato dal vociare in cui erano immersi.
“Che dovrei fare?” chiese poi, con gli occhi sottili e le labbra increspate.
“Dovrai condurci a Campo Miracielo” rispose Pat. “Dobbiamo esaminare le stelle cadute questa notte”.
“Fin lì?! Impossibile, ci vorranno almeno due giorni di cammino tra andata e ritorno e...”.
“Non esagerare” sorrise Rupert, dandogli una pacca affettuosa sulla spalla. Pacca che risultò lo stesso energica e che gli fece cadere la coppola dalla testa.
“Ho un business da portare avanti, io!” esclamò quello, sbagliando la pronuncia della parola business. “Che credi, che appena me ne andrò le mie bibite si venderanno da sole?! E cosa dovrei far mangiare a Penny, pacche sulle spalle e parole d’incoraggiamento?!”.
“È un problema economico?” chiese poi Fiammetta.
“Sì! No. Non solo... se mi allontanassi per più di un giorno dalla piazza sono sicuro che Billy Grimes mi ruberebbe il posto! Quel tipo è uno sciacallo e vende roba di seconda mano!”.
“Bibite bevute e risputate?” chiese ancora la rossa.
“Molto probabilmente sì.... E poi quel ragazzo mi è sempre stato antipatico... Comunque, non posso assolutamente accompagnare queste due” concluse il più giovane, guardando Rupert con sufficienza.
Quello s’accigliò e incrociò le braccia, serissimo. “Bernard” tuonò. “Stai facendo fare una pessima figura ad Adamanta”.
Quello fece spallucce. “Ce ne faremo tutti una ragione” disse, voltandosi verso il carretto e riprendendo a trascinarlo, quando il più anziano lo tirò per il colletto della camicia gialla e consunta.
Gli occhi scuri del giovane guardarono il cielo limpido, per un attimo, almeno prima che Rupert lo riportasse indietro.
Pat sorrise e si fece avanti. “Ti faccio una proposta... Ti pagherò tutte le bibite che hai nel carrello se accetterai d’accompagnarci in questo viaggio”.
Quello spalancò gli occhi. “Guarda che sono tante bibite! Hai tutti questi soldi?!”.
Pat fece una smorfia. “Io sto andando a salvare la vita di mio fratello, in questo momento, e per me non ha prezzo... Anche lei salverà tutta la gente del suo paese”.
“Sono tutti... morti?” domandò ancora il moretto.
Fiammetta annuì. “Pochi superstiti”.
“Quindi... potrei aiutarvi a riportare in vita delle persone innocenti, come tuo fratello e la tua gente?” s’accertò ancora lui, timido.
Fu Pat ad annuire, quella volta.
“Allora non fa nulla, ragazze, vi aiuto con piacere, non dovrete pagare nulla...”.
Rupert sorrise e gli diede un’altra delle sue energiche pacche sulla spalla.
“Così si fa, giovanotto!”.
“Sì, ma... qualcuno dovrà conservare il carretto e tenere le bibite in fresco per me” disse Bernard, mantenendo la coppola con la mano.
L’uomo annuì e sorrise, sotto la folta barba. “Mia sorella Marie sarà più che felice di mettersi a disposizione. Vero, Marie?”.
“Senz’altro” rispose quella. “E mi raccomando, state attenti”.

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