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TSR - 12 - Royalties pt.5

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12. Royalties pt.5

- Johto, Isole Vorticose, Capo Piuma, Grotta Sacra di Lugia –

La pioggia veniva filtrata dalle rocce della volta e cadeva verso il basso. Talvolta portava con sé qualche molecola di calcare, dando i presupposti perfetti per creare una stalattite.
Martino raccolse il corpo ferito della Kimono Girl e la prese in braccio.
“Uno scontro” diceva. “Uno scontro con l’uomo dagli occhi rossi. Ha colpito me ed il mio Pokémon come se fosse... mosso da una cattiveria quasi innata, insensata...”.
Era giovane, quella, coi capelli del colore dell’ebano e la pelle candida, rosata sulle guance. Il corpo era gracile, come quello di una rosa a cui avevano tagliato le spine. La guardò negli occhi, diamanti di ghiaccio in grado di congelare ogni cosa. Schiuse le labbra lei, non appena vide Martino bloccarsi e fissarla. “Stai bene?” chiese.
“È stato... è stato terribile. Ha ucciso molte di noi, altre sono state tramortite... Io sono stata spinta soltanto ma... mi sono rotta la caviglia”.
“Ma che schifo d’uomo... Come ti chiami?”.
“Sono Altea... una delle donne col Kimono”.
Martino annuì. “Lo so. Vivi qui sull’isola?”.
“Martino...” interruppe Marina. “Farete conoscenza più tardi...” sospirò la donna. Davanti a loro v’era il grande ingresso alla parte più interna dell’antro. Forte vento veniva soffiato verso l’esterno ed il rumore che li raggiungeva era tetro e sinistro, come di un lungo lamento trascinato lungo quei pavimenti rocciosi ed irregolari.
Entrarono in quello che sembrava essere un corridoio infinito e buio, rischiarato da Pichu e dalla luce che emanava col suo Flash.
Poi un lamento.

Aiutatemi! Vi prego!

Marina si bloccò, di sasso. Mosse meccanicamente la testa verso Martino, incontrando gli occhi lucidi di Altea e mostrando sgomento.
“Lo senti anche tu?” chiese quest’ultima.
Marina annuì.
“Ma cosa?!” esclamò quasi irritato Martino, continuando a sostenere il gracile corpo della donna.
“La sua voce” gli rispose la sorella. “Lui mi sta parlando”.
“In genere lo fa alle donne col Kimono... ma è possibile che qualunque donne con un buon cuore riesca a sentirlo”.
Martino batté le palpebre un paio di volte ed annuì. “Che dice?”.
“Ha bisogno di aiuto” dissero entrambe, all’unisono.
“Dobbiamo sbrigarci”.
Aumentarono il passo, Martino caricò Altea sulla schiena, portandola a cavalcioni ed accelerando. Più s’avvicinavano alla propria meta e più il rumore dell’acqua che scrosciava aumentava, come anche il vento gelido che soffiava sui loro visi. Un sentore luminoso azzurro cominciava ad espandersi verso la fine del corridoio e quando arrivarono lì lo videro: l’uomo con gli occhi rossi ed il suo Raikou nero.

“E voi chi sareste?” domandò quello, totalmente atarassico.
Martino rimase immobile, fissando la scena che gli si era presentata davanti: Lugia era posto al centro d’una grossa sfera giallastra di pura energia, collegata direttamente a quello stranissimo Pokémon nero. Sembrava elettricità e stava letteralmente consumando il protettore dei mari, poco a poco. Una luminosa luce blu veniva emanata in ogni direzione, partendo proprio dalle spalle del Pokémon. Marina si sporse per guardare oltre, vedendo un grosso altare accerchiato dallo scroscio di una cascata altissima, che cadeva alle spalle del Pokémon che viveva in quel luogo.
“Noi... noi siamo Ranger” rispose Marina, strabiliata e spaventata contemporaneamente. Poggiò lo sguardo su quell’uomo: biondo, capelli ben pettinati e volto pulito. Sembrava uno di quei modelli che prestavano il volto per le pubblicità che stavano sui cartelloni della metropolitana. Bello.
Ma aveva lo sguardo spalancato e le iridi rosse che puntavano su di lei.
“È lui...” sussurrò Altea, nascondendo il volto dietro la nuca di Martino. “È l’uomo che mi ha sconfitta”.
Marina guardò il corpo dell’uomo, stretto nel lungo soprabito di pelle nera, e quel Raikou accanto a lui: quel Pokémon era stranissimo.
“Ranger?” tuonò lui, leggermente divertito.
“S-sì. La pioggia sta provocando enormi disagi e siamo venuti qui”.
“Proprio qui?” chiese nuovamente quello, avvicinandosi qualche metro; il rumore dei suoi passi riecheggiò lungo la volta arcuata della grotta.
“Lugia spesso controlla le piogge e le tempeste e...”.
“Hai ragione” la interruppe l’uomo. “Lugia ha questo potere”.
“Che cosa gli stai facendo?” chiese poi Martino, col volto schifato e pieno di terrore. Guardava il dolore che Lugia provava, empatizzando con lui quella sensazione.
“Lo sto controllando. Sto facendo in modo che faccia ciò che voglio io”.
“Smettila immediatamente!” urlò poi, come risvegliatosi. Poggiò delicatamente Altea sul pavimento ed affiancò velocemente sua sorella.
Lei prese un po’ di coraggio. “Perché stai facendo questa cosa orribile? Quel Pokémon non ti ha fatto nulla”.
Xavier sorrise. “Nessuno mi ha fatto qualcosa, amici miei. Sono semplicemente curioso”.
“Curioso?!” esclamò Martino, sorridendo e guardando sua sorella. “Lui è curioso...”.
“Già, è la mia natura. Sono uno scienziato e per me la comprensione degli eventi è tutto. Ecco perché è importante che controlli gli effetti della furia prolungata di questo meraviglioso Pokémon sulla società di oggi”.
Marina lo sentiva parlare ed intanto aveva preso il Pokégear, scattandogli una foto.
Non parve essersene accorto.
“Rischi di ammazzare persone, in questo modo!” esclamò con forza Martino.
“Beh... Dei danni collaterali sono più che plausibili, all’interno di determinati contesti...” rifletté quello, con ancora sul volto quel ghigno divertito.
“La vita delle persone ha un valore!” urlò ancora l’altro.
“Non per me. Quello che conta è accrescere la conoscenza”.
“A che scopo?! La conoscenza è un bene collettivo, di cui dovrebbero beneficiare tutti!”.
“Non sono così immorale come credete. Non più delle persone che hanno già sventrato questo posto, almeno...”.
Marina inarcò il sopracciglio destro e schiuse le labbra.
“Di cosa stai parlando?”.
Quello sorrise di nuovo. “Questa è una storia molto vecchia e lunga... ma mi siete simpatici e quindi ve la racconterò: tutto cominciò diversi millenni fa; esistono dei posti così simili a quelli che abitualmente frequentate ma così distanti da voi che neppure riuscireste ad immaginare. Trasposizioni dei nostri posti, dei nostri mondi... delle nostre persone, ma con una chiave di lettura differente. Certo, ognuno di noi è diverso, poche persone possono dire di assomigliarsi in tutto e per tutto ma in questo caso, differenti... chiamiamoli fattori... hanno contribuito a cambiare loro del tutto personalità e stile di vita. Alcuni di questi posti sono molto simili a quelli di questo universo ma diametralmente opposti nel concreto della propria essenza. Ed io questi posti li ho visti. Ed ho visto posti in cui la gente poteva apparire a proprio piacimento dove volesse. Altri luoghi vedono la presenza di persone ancor più speciali, in grado di aprire squarci nella realtà e muoversi all’interno delle pieghe esistenti tra lo spazio ed il tempo, e ricollocare la propria posizione al di fuori delle barriere imposte dalla vita stessa”.
“Non sto capendo un’emerita mazza...” sussurrò Martino.
“Questo è un folle” sospirò Marina, stringendosi  a lui.
L’uomo mosse qualche altro passo in avanti.
“Queste persone erano in grado di viaggiare tra le varie versione degli universi. Una cosa pazzesca, se ci pensiamo, no? Adesso tu, bella signorina, potresti viaggiare nel tempo e nello spazio come ti pare, muovendoti al di fuori dei limiti spaziotemporali e andando a finire, per esempio, in un universo dove la Terra è al posto di Marte o dove i nazisti hanno vinto la seconda guerra mondiale. Potresti andare a finire, chessò, in un mondo dove il Medioevo non è mai terminato o dove vige una glaciazione perenne. Arceus è stato fantasioso nel ricreare questo sistema, quest’ordine, in cui ognuno può effettivamente esistere in luoghi infiniti senza neppure saperlo. E forse aveva anche pensato al fatto che qualcuno, in questi universi, sapesse del fatto di non essere l’unico a vivere, per esempio, a Edmund Elm Street, nell’appartamento al quarto piano, il numero sei. Quell’appartamento esiste e non esiste infinite volte ed è abitato e non abitato da un signore, che può essere il signor Richard, il signor Mark, o anche voi, miei cari fratelli”.
“Come sai che siamo fratelli?!”.
“Vi conosco già. Non conosco voi ma ho conosciuto i vostri alter ego. I vostri doppleganger, ecco. Ho visto i vostri corpi imputridire al freddo dell’inverno ad Oblivia, dove il fiato si gelava non appena uscito dalla bocca”.
“Continuo a non capire” riprese Martino. “Cosa c’entri tu con Lugia e questa situazione che ci stai dicendo”.
“Mi avete bollato come immorale e voglio dimostrarvi che siete in errore. Io ho la mia morale. Non ho alcuna intenzione di parlarvi di me però, e vi ho detto anche d’essere più giusto delle persone che nei secoli hanno sventrato questo posto”.
“Ma chi?! Cosa è successo?!” s’irritò ancor di più Martino.
“Dietro di Lugia c’è un altare. Lo vedete?”.
I due si sporsero, adocchiando la costruzione marmorea che sembrava sorgere dalle acque della cascata. Era un’ara bianca, con su un bassorilievo ormai rovinato dall’acqua che mostrava le figure di quattro pietre ed un cubo.
“Quello è l’altare sul quale veniva poggiato l’Arcan, un oggetto dai poteri incredibili, che è stato più volte trafugato. Ora è andato disperso, più o meno... ma il potere di questo strumento prevarica ogni umana concezione”.
“E... allora?!” chiesero in coro i due Ranger.
“E allora nulla, ragazzi. Allora siete destinati a sguazzare nella voluta ignoranza, nell’inconsapevolezza dei mezzi che avete a disposizione. Mi siete simpatici e non vi ucciderò. Ma vi lascerò questa bella gatta da pelare” sorrise.
Saltò agilmente in groppa a Raikou e sorrise, fissando con sguardo malizioso Marina.
“Au revoir mademoiselle”.
Poi un lampo partì da Raikou e quell’uomo sparì.
Erano rimasti solo loro due, Altea e Lugia, che intanto urlava come un ossesso, come se avesse un coltello nella schiena. Il battito delle sue ali alzava una grande quantità di vento, schiacciando sui loro corpi i vestiti umidi.
“Calmati, Lugia! È andato via!” urlò Martino.
“Lascia parlare lei!” ribadì Altea, alle sue spalle.
Il ragazzo si fermò e sospirò, guardando il volto impaurito di sua sorella; lei, dal canto suo, aveva davanti agli occhi un titano, un essere gigantesco ed infuriato che sentiva lamentarsi telepaticamente. Aveva le ali allargate e gli occhi spalancati, con i capillari ricchi di sangue ingrossati vicini alle iridi viola. Sentirono un forte tuono rombare all’esterno della grotta, seguito poi da un altro e un altro ancora.
Il vento nella grotta non accennava a diminuire.
“Che diamine succede?! Marina, digli qualcosa!” esclamò il Ranger, preoccupato. Incontrò gli occhi impauriti della ragazza, schiariti dal bagliore bluastro che attraversava prepotente la cascata e s’espandeva finché moriva, stanco e sbiadito.
Lugia ruggì.

Non resisto più!

“Stai calmo, Lugia! È finita!” urlò Marina. “Lo abbiamo cacciato, è andato via! Ora puoi tranquillizzarti!”.

Fa male! Mi fa troppo male!

E poi un enorme attacco Aerocolpo fuoriuscì dalle fauci del Pokémon, che si alzò in volo e lanciò un altro incredibile urlo, seguito da un tuono fortissimo.
“Stai attenta!” urlò Martino, correndo verso la sorella e spingendola, evitandole in parte la grande bomba d’aria lanciata dal Pokémon. Quella fu colpita leggermente alla coscia destra, roteando sul proprio asse, in aria, e rovinando velocemente per terra.
“Dannazione...”.

Deve... smetterla! Deve smetterla!

“Ma di fare cosa?!” urlava Marina, rimettendosi in piedi. Si voltò e spostò i capelli dal viso, guardando suo fratello aiutare Altea a mettersi al sicuro.
“Martino!” urlò poi. “Dobbiamo acquisirlo con lo Styler!”.
Quello sorrise, dando le spalle alla Kimono Girl. “Non avevamo abbastanza pensieri per la testa, vero?”.
“Che dovremmo fare?!” indietreggiò l’altra, tenendo sempre lo sguardo sul Pokémon che intanto s’alzava in volo. “Non possiamo permettere che vada in giro per Johto a seminare il panico!”.
Martino sbuffò, correndo di nuovo al centro della grande riva di quel lago sotterraneo. “Stavo scherzando. Vai con lo Styler!” urlò vedendo partire il sensore dell’apparecchio d’acquisizione di sua sorella.
“Ora tocca a me!” urlò, frapponendosi tra Lugia e sua sorella. “Dobbiamo cercare di circoscrivere i suoi movimenti e...”.
Idropompa.
“Attento!” urlò Altea, con lo sguardo preoccupato. La grande colonna d’acqua si schiantò proprio in corrispondenza della posizione di Martino che, se non altro, era riuscito a dribblare verso destra l’attacco.
“Odio uscire di casa...” sospirò il Ranger, facendo leva sulle braccia e risollevandosi in piedi.
Marina continuava a far girare la trottola attorno al Pokémon, ancora in volo, ancora generatore di quel vento terribile.
“Cerca di calmarti!” gli urlò quella, per timore che il rumore della folata coprisse la sua voce. “Siamo qui per aiutarti!”.

Il dolore! Il dolore è troppo!

E partì un altro Aerocolpo, che si abbatté parecchio vicino allo Styler, facendolo sbalzare ed annullando la sequenza d’acquisizione.
“Oh, dannazione!” si lamentò Martino. “Non posso continuare a fare il bersaglio umano ancora per molto. Avevo voglia di mettere le cose a posto nella mia vita, di sistemarmi! Volevo un cane!”.
“Non oggi, fratellino! Ricominciamo l’acquisizione!”.
E così la trottola partì di nuovo.
Martino era basso sulle ginocchia, cercando di calcolare la mossa successiva. Valutava le sue possibilità ed aveva compreso che non aveva molte chance di uscire da quella grotta sulle sue gambe se non avesse realmente aumentato le probabilità di acquisizione, aiutando sua sorella. Anche perché quello era Lugia, non un Pokémon qualsiasi.
Non che non avessero mai fronteggiato dei Pokémon leggendari. Ricordava ogni notte del terrore che aveva provato quando ad Hoenn, durante l’acquisizione di Rayquaza, quello aveva colpito Marina.
Fu terribile.
Lui, che si era posto sempre come primo obiettivo la protezione e l’incolumità di sua sorella la vedeva inerme, per terra.
Rabbrividiva al pensiero. Ed erano agevolati dall’aiuto dei Pokémon Eoni, quel giorno: infatti Latios e Latias s’erano coalizzati con loro per aiutarli nell’acquisizione e porre fine alla crisi di Hoenn. E team vincente non si cambia, quindi stessa formazione, con Marina, asso dello Styler e Martino a fare da diversivo.
Coi Pokémon così potenti funzionava in quel modo.
“Forse potrei attaccarlo con Pichu” ragionò lui.
“Non farlo!” replicò velocemente Marina. “Sta già soffrendo di suo!”.
Un nuovo attacco Idropompa s’abbatté violento contro Martino, che indietreggiò prima di essere colpito dal rimbalzo dell’acqua; rovinò velocemente indietro, ruzzolando di qualche metro, più vicino ad Altea che a Marina.
“Hey... tutto bene?” chiese la moretta dagli occhi limpidi.
Martino si risollevò, sporco di polvere e fango. Sputò per terra un po’ di sangue e sbuffò. “Alla perfezione. Tu?”.
Non aveva evidentemente colto l’ilarità di Martino .
Il vento continuava ad aumentare.
“Pichu! Aiutami con Flash!” esclamò poi. Il Pokémon eseguì nel preciso istante in cui il display dello Styler segnava chiaramente che avesse ancora da compiere sessanta giri.
Flash lo avrebbe inibito per qualche secondo e gli avrebbe lasciato guadagnare una decina di giri, ma rimanevano comunque altri cinquanta giri in cui quel dannatissimo puntatore non doveva staccarsi da terra.
E Lugia sembrava averlo adocchiato.
“Me, Lugia! Guarda me!” urlava Martino, lanciandogli un sassolino sul capo. Quello si voltò immediatamente e ruggì.

Lasciami stare!

“Attento! È furioso con te!” allertò la sorella. Videro poi l’enorme Pokémon battere velocemente le ali e caricare una sfera d’energia dalla bocca.
Iper Raggio... Marina, è il caso di accelerare...” rimbeccò velocemente quello.
“Stai attento!”.
Martino non s’era chiesto come avrebbe fatto ad evitare un fascio d’energia veloce come la luce. Tuttavia Altea sì.
S’alzò rapidamente in piedi, nonostante il grande dolore alla caviglia, e mandò in campo il suo Pokémon davanti al Ranger.
“Vaporeon! Protezione!”.
La voce della donna si espanse lungo la volta della grotta e raggiunse anche le orecchie di Marina, che intanto teneva d’occhio lo Styler. “Ancora venticinque giri. Resisti...”.
La forza dell’attacco del Pokémon leggendario fu terribile: il fascio luminoso fu così accecante da costringere tutti a stringere gli occhi. Tutti meno che Vaporeon che, ben piantato sulle quattro zampe, riuscì a creare una barriera protettiva qualche attimo prima che l’attacco si schiantasse contro di loro.
Martino cadde indietro, per lo spavento; stava iperventilando, affondando le dita nel fango e scivolando ancor più indietro, inconsciamente diretto verso l’uscita.
“Cazzo...”.
“Dovresti proteggerti” lo rimproverò Altea.
“Manca poco!” urlò invece l’altra.
Tre.
Due.
Uno.
Lo Styler s’illuminò per qualche secondo, prima di fermarsi e venire raccolto da Marina.
Il vento si calmò.

Aiutami, ti prego.

Altea si voltò verso la Ranger ed annuì. “Parla con te”.
Quella spalancò gli occhi, poi sorrise dolcemente. “Siamo qui per questo”.

Dietro la schiena. Tra le ali.

L’enorme Pokémon s’abbassò, allargando le ali e permettendo a Marina di salirgli in groppa. Per Martino fu come vedere l’abbassamento d’un grosso ponte levatoio, dalle dimensioni imponenti.
“Dietro le ali?” chiese la donna al Pokémon.

Sì. Lo ha infilato quell’uomo.

Marina poggiò delicatamente la mano sul piumaggio candido del Pokémon; lì era sporco di sangue. Saggiò con i polpastrelli la superficie regolare, carezzando la base delle ali e poi in mezzo, dove qualcosa di metallico spuntava tra le penne.
Era stato infilato nel corpo del Pokémon.
“Hai qualcosa qui. Adesso cerco di estrarlo e dopo provvederemo a medicarti. Potrebbe essere necessario andare in un Centro Pokémon e...”.

No. So come rigenerare il mio corpo e la mia mente. Ma tu aiutami...

“Sì, sono qui per aiutarti, tranquillo”. Marina prese dalla borsa le garze e dei tamponi d’ovatta. Poi afferrò la testa di quell’oggetto di metallo e, facendo pressione sulla schiena del Pokémon con l’altra mano, lo estrasse.
Questo pareva essere una strana sonda, con l’estremità inferiore appuntita e quella superiore più larga, appiattita, con una sorta di videocamera all’interno. Piccoli artigli fuoriuscivano lungo l’intero telaio metallico, utili a rimanere arpionati alla carne dell’ospite.
Una volta tirato fuori il Pokémon spalancò le ali e s’alzò in volo. Marina sobbalzò, impaurita.

Stai tranquilla.

Lentamente la Ranger vide la ferita rimarginarsi.
“Incredibile...” sorrise quella.

Come posso aiutarvi?

“Fuori piove da ormai troppo tempo, Lugia, ed è colpa della tua furia. Le cose devono tornare al loro flusso regolare”.
Lugia parve capire immediatamente e, quasi subito, il rumore della pioggia che batteva all’esterno della grotta si calmò.

Si diraderà tra qualche ora.

“Marina... che succede?” chiese suo fratello, riavvicinatosi ad Altea.
“La pioggia s’è calmata” sorrise lei, alzando gli occhialoni dal viso. “Ce l’abbiamo fatta”.
“Dobbiamo portare lei e le altre donne col kimono all’ospedale al più presto”.

Ci penso io.

 
- Kanto, Aranciopoli, Banca Centrale –

Che succede?! Ragazzi, dove siete?!”.

Sandra stava per perdere conoscenza, stringeva la mano destra di Gold e con la sinistra gli toccava i capelli. Gli aveva ripetuto che sarebbe andato tutto nel modo giusto e che avrebbe dovuto resistere, altrimenti avrebbe trovato il modo per distruggergli la vita anche da morto.
Lui aveva sorriso, aveva bofonchiato qualcosa su Marina e mano a mano il suo corpo era diventato sempre più pesante.

“Siamo qui!” urlò quella, sentendo la propria voce murata dalle lamiere.
Sandra era sicura d’aver sentito la voce di Red ed i suoi passi avvicinarsi a lei.
“State attenti!” li avvertì poi. “Qui c’è Gold ed ha qualcosa conficcato nella schiena”.
“Se spostiamo tutto senza fare attenzione rischiamo di ferirlo ancor più gravemente” aveva ragionato quello che sembrava essere Silver.
“Fate presto!” diceva quella, vedendo lo sguardo del ragazzo perdersi dietro le palpebre, per poi ritornare scoperto.
I ragazzi cominciarono a levare le macerie più pesanti e Sandra vide Gold stringere occhi e denti ad ogni sollecitazione.
“Avete un futuro da dentisti...” sussurrò quello.
“Ti sembra il momento di scherzare?!”.
Quello alzò gli occhi e la guardò. “Sono steso su di te ed ho le tue tette a quattro centimetri dal volto... vuoi davvero parlare di momenti per fare cose?”.
Quella sbuffò ed alzò lo sguardo, quando una grossa lamiera fu spostata e consegnò un corridoio di luce ed aria pulita ai due.
“Piano...” sussurrò di nuovo quello.
E lentamente sollevarono tutte le lamiere. Tutte tranne una.
“Gold... dannazione...” aveva detto una donna, con ogni probabilità Yellow, preoccupata: un angolo della lamiera era stato piegato durante lo schianto e si era infilato proprio al centro della schiena del ragazzo.
Sandra guardava il volto preoccupato di Blue e quello serio di Green. Fu quest’ultimo a parlare.
“Liberiamolo e portiamolo subito all’ospedale”.

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