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TSR - 14 - Alibi

14. Alibi



Cielo di Johto, Base Dirigibile della Polizia Internazionale

“Voglio telefonare al mio avvocato!”.
La voce di Xavier rimbombava pesantemente all’interno della sala degli interrogatori, in cui era stato chiuso. Nascosti da un vetro a specchio, Bellocchio e Green lo guardavano camminare freneticamente attorno al tavolo, nella restrizione psicofisica che quella camera imponeva.
“Dovremmo aspettare che si calmi, prima dell’interrogatorio” osservò Bellocchio.
“Non ha diritto a chiamare il suo avvocato?”.
“Certo. Ma prima voglio parlargli”.
L’agente speciale si voltò sulla sinistra e prese la sua tazza, color crema. “Vuoi un caffè?”.
“Sono a stomaco vuoto da ieri a pranzo, credo farebbe solo danni…”.
“Se gradisci, posso farti portare qualcosa dalla cucina”.
“Sono a posto” sospirò Green. “Cerchiamo di perdere quanto meno tempo possibile, perché ho l’impressione che stiamo accendendo soltanto un fuoco di paglia…”.
Bellocchio mise la tazza sotto la macchinetta del caffè e annuì. “Questa storia è davvero strana, Oak...”.
“Lo so benissimo”.
“Insomma… doppleganger? Siamo seri?!”.
Ridacchiò quasi a sbeffeggiare se stesso, prendendo poi la tazza e sedendosi alle spalle di Green. Sorseggiò il caffè. Era caldo. Green, invece, andò ad appoggiarsi sul tavolo davanti alla vetrata, osservando Xavier Solomon.
“Il fatto è che la cosa non quadra…” fece.
“Uhm… Cosa? Doppleganger?”.
“Insomma…” disse Green, voltandosi verso di lui. “… quella a Libecciopoli era Fiammetta, ne siamo certi. Ma Fiammetta, quella che hai arrestato almeno, aveva un alibi e dei testimoni e quindi è stata scagionata. Allo stesso modo anche Sandra ha visto una donna del tutto identica a lei distruggere il caveau della banca ad Aranciopoli e sarà soltanto Gold, quando si sveglierà, a confermare il tutto. E anche con Xavier Solomon... all’inizio. Ci sono delle altre versioni di noi, magari anche di me e di te, che girano nel nostro mondo, e che sono legate a qualcosa di criminoso. Sono convinto che oggi Xavier si dimostrerà innocente, che riuscirà a darsi un alibi convincente ed uscirà da qui con le sue gambe”.
“Cadrebbe nel vuoto e si spiaccicherebbe per terra, Green” rispose Bellocchio, prendendo un altro sorso di caffè. L’altro sospirò e tornò a guardare avanti, fino a quando la porta alle loro spalle si aprì. Entrambi dirottarono il proprio sguardo verso Angelo, che salutò i due con un cenno del capo.
“Che ci fai qui?” domandò il Capopalestra di Smeraldopoli.
“Dovevo vedere personalmente Xavier” fece quest’ultimo, camminando in maniera elegante e leggera. Pareva quasi che fluttuasse.
“Ti stai accanendo troppo contro questo ragazzo…”.
Si voltò verso di lui, con lo sguardo sorpreso. “Lo hai visto tu, lo ha visto il Caporanger… Xavier Solomon è un terrorista”.
“Non è così, e lo sai. E quando Bellocchio finirà il caffè e andrà a interrogarlo avremo modo di confermarlo” fece, beccandosi lo sguardo torvo dell’uomo.
Angelo rimase in assoluto silenzio, vedendo Xavier sedersi, stanco e sconsolato.
“È arrivato il momento” sospirò il poliziotto, posando la tazza e alzandosi in piedi.


Adamanta, Primaluce, Corso Principale

Il sole stava calando.
Tramontava presto, in inverno.
Dopo innumerevoli giorni, la pioggia s’era fermata. Le nuvole che l’accompagnavano erano state allontanate da un vento gentile e l’orizzonte aveva colorato il cielo d’arancione. Zack teneva sua moglie per mano e camminava a testa alta, vedendo le automobili sporadiche illuminare coi fari le prime ombre di quella giornata. Faceva freddo ed entrambi erano ben stretti nei propri cappotti.
“Sai, pensavo che forse dovrei dipingere…” esordì Rachel, camminando più velocemente per mantenere il passo del suo uomo. Quello sorrise e annuì, continuando a guardare dritto.
“Credo sia davvero una buona idea”.
“Avevo pensato a un bel tramonto, come questo”.
“Perché non una bella donna con un ermellino tra le braccia?”.
“Su! Non mi sembra una cattiva idea!” esclamò quella, dandogli una leggera spinta e facendolo deragliare dal suo cammino. Sorrise e si voltò, perdendosi in quegli occhi azzurri come il cielo che li sovrastava, quello vicino alla notte scura che se lo stava accaparrando. La vide sorridere, saggiando con lo sguardo le belle labbra rovinate dal freddo.
“Tu puoi fare tutto, con quegli occhi” disse serio, fermandosi. Entrambi si specchiarono in una grossa pozzanghera proprio davanti al negozio d’alimentari di Primaluce, e poi proseguirono.
“Anche tu puoi, coi tuoi...” arrossì violentemente la donna. Zack la strinse più forte a sé e sospirò, prima di darle un bacio sulla fronte.
“Attila mi costringerà a portarla sulle spalle, al ritorno” cambiò discorso l’uomo.
Rachel rise di gusto. “Non chiamare così mia figlia!”.
“Mia figlia, vorrai dire. Fosse stata come te sarebbe rimasta a deprimersi in casa. Magari avrebbe disegnato qualcosa di originalissimo... chessò, un uomo deformato che urla su di un ponte...”.
“E finiscila!” esclamò ancora quella, sorridendo.
“No, sul serio, è la tua fotocopia col mio carattere”.
“Purtroppo”.
“Già... Però mi piace come sta venendo su”.
Rachel annuì, guardando in basso, senza vedere la gioia sul volto del suo uomo, che gl’illuminò lo sguardo smeraldino.
“Siete tutto ciò di cui abbia bisogno. Siete ciò che amo... Senza di voi non sarei altro che cenere”.
La donna sorrise lusingata e gli poggiò la testa sulla spalla, proseguendo quel centinaio di metri che rimaneva loro per raggiungere casa di Ryan.


Cielo di Johto, Base Dirigibile della Polizia Internazionale

Xavier vide entrare nella stanza quell’uomo col soprabito beige. Camminò lentamente, finendo per sistemarsi nella sedia di fronte a lui con la stessa flemma. L’indagato osservò i suoi occhi scuri, stanchi ma lo stesso determinati. Era perfettamente rasato e portava portando i capelli ben corti e pettinati, ordinato in ogni dettaglio. Non riusciva a celare il passare del tempo sul suo volto, infatti profonde rughe d’espressione s’arrampicavano dagli zigomi e dalle guance.
Incrociò le dita e prese a ruotare i pollici.
“Sai di cosa sei accusato?” chiese poi, dopo qualche secondo di silenzio.
Xavier, che era dritto e composto, coi capelli spettinati e gli occhi gonfi per il pianto, sospirò, cercando di tirar fuori ansia e paura.
“Terrorismo ambientale. Non ho neppure mai gettato una carta per terra però, quindi non capisco…”.
“Non capisci, eh? Facciamo allora che spiego io quello che hai fatto, ammettendo per assurdo che stessi distruggendo il pianeta perché eri ubriaco... ubriaco e troppo capace rispetto agli altri, comuni mortali”.
“Io non mi ubriaco. Ma ha ragione a dire che sono troppo capace per voi. Continui pure…” sospirò, abbassando la testa e afferrandola tra le mani.
Bellocchio sorrise e si grattò la guancia. “Io però non sono una persona comune… Comunque, ponendo per assurdo quello che dicevo, tu hai alzato un po’ troppo il gomito e ti sei recato nelle Isole Vorticose…”.
“Dicono che in questa stagione siano fantastiche...” sussurrò l’imputato.
Bellocchio sorrise. “Ti farò vedere posti meravigliosi dalla finestra della tua prigione, alla fine di questo interrogatorio, tranquillo. In ogni caso sei andato lì, hai ucciso quasi dieci donne, e dico quasi perché qualcuna deve ancora morire ma, fidati, morirà data la ferocia e la violenza delle tue azioni, e poi sei entrato nella sala di Lugia, così, per fargli del male...”.
Alzò poi il braccio e poggiò sul tavolo la grossa sonda di metallo che il Pokémon aveva impiantata tra le ali.
“... infilandogli questo nella schiena. Ora, non sono un animalista convinto, sia ben chiaro, mangio carne di ogni genere e pure con gusto e non m’interessa se il padrone d’un cane gli dà una scoppola col giornale ma Lugia... beh, quello andrebbe salvaguardato a prescindere. Se non altro perché quando si arrabbia poi si mette a piovere, e quando piove per due settimane rischi di ammazzare la gente, Xavier. Insomma, voglio sapere: numero uno, perché hai fatto tutto questo e, numero due, a cosa diamine serva questo aggeggio che Lugia aveva tra le ali. Prima parlerai e prima ti faremo uscire di galera, ammesso che tu n’esca mai...”.
“Non stava ponendo per assurdo?”.
“Che ti ubriacassi, intendevo. Ma tu non ti ubriachi”.
Xavier ridacchiò e allungò la mano, per analizzare l’oggetto di metallo che Bellocchio aveva poggiato sul tavolo, ma vide il poliziotto ritirarlo immediatamente.
“Stai. Fermo. Lì” fece, ponendo una breve pausa tra le tre parole. “Non so come funzioni quest’aggeggio e non voglio che tu possa usarlo contro di me. Quindi saluta da lontano”.
“Ma... ma io non so minimamente cosa diavolo sia!”.
“Però sei stato fotografato lì, sul posto”.
“Ma non so nulla!”.
Bellocchio sospirò e mostrò all’uomo una fotografia stampata su carta lucida. La spinse sul tavolo verso di lui.
“A-ancora quest’uomo! Io vi giuro di non aver fatto nulla! Devo sentire assolutamente il mio avvocato!”.
“Lei mi deve prima spiegare chi è quest’uomo” riprese Bellocchio.
Xavier scattò in piedi, con gli occhi spalancati, scaraventando la sedia contro il muro. “Non parlerò senza il mio avvocato!” urlò di nuovo.
Bellocchio sospirò e si voltò, guardando il vetro a specchio alle sue spalle come se vedesse uno tra Green e Angelo. Poi tornò a poggiare gli occhi sull’uomo che aveva davanti.
Era disperato.
“Va bene. Questo è un suo diritto. Ma non mi dà sensazioni migliori sulla sua innocenza il fatto che non possa dimostrarmela senza uno specialista”.


Johto, Olivinopoli, Faro

Il sole era ormai tramontato e il cielo era diventato blu petrolio quando Jasmine si risvegliò. C’era ancora un po’ di visibilità ma era necessario che accendesse la luce del faro, altrimenti le navi sarebbero andate a sbattere contro la scogliera Si liberò dalla stretta di Corrado e, delicatamente, mosse leggeri passi verso la consolle d’attivazione. Pochi secondi dopo che la luce fu accesa il suo animo s’alleggerì; aveva fatto il suo dovere, avrebbe dovuto solamente monitorare la situazione. Sciolse i capelli e zampettò velocemente fino al piano superiore, dove Corrado ancora dormiva, seduto sul divano, con la schiena sul bracciolo destro e la testa sullo schienale. Jasmine si inserì nuovamente nell’incavo che il suo corpo aveva creato appositamente per lei, tra le sue braccia e le sue gambe, poggiando la schiena contro il suo petto e facendolo svegliare.
Quello rinvenne immediatamente, guardando il forte fascio di luce partire dal faro e gettarsi lontano, al largo delle coste di Johto.
“Piccola...” fece quello, sospirando e sistemandosi. Aveva dormito per un’oretta circa in quella posizione scomodissima e gli facevano male schiena e collo. Lei si voltò e gli sorrise dolcemente, allungandosi per baciarlo.
“Scusa se ti ho svegliato ma mi sono addormentata e ho ritardato di qualche minuto l’accensione del faro”.
“Non dovrebbe essere automatico?”.
“Sì, ma il timer è rotto e dalla federazione ritardano la sostituzione, quindi sono costretta a farlo io”.
Corrado sospirò.
“Qui le cose funzionano in maniera strana...”.
Jasmine fece spallucce e sistemò i ciuffi che aveva davanti al volto dietro le orecchie.
“Fa parecchio freddo, oggi” sospirò, cambiando discorso. Si strinse meglio nella coperta e si voltò, baciando nuovamente il suo uomo silenzioso.


Cielo di Johto, Base Dirigibile della Polizia Internazionale

Erano passate tre ore dall’ultima volta che Xavier aveva aperto la bocca e, dopo che Bellocchio aveva lasciato la sala interrogatori, era rimasto in completa e totale solitudine.
La stanza era totalmente buia, se non per un piccolo tubo al neon sulla sua testa, che illuminava poco e nulla. Il ragazzo aveva il volto sul tavolo e pensava e ripensava a ciò che stava succedendo nella sua vita, sconvolta di lì a qualche tempo da quello strano personaggio che indossava la sua faccia ma non lo stesso sguardo. L’ansia gli cresceva nel petto, qualcosa spingeva nella sua cassa toracica per uscire. Pensava al suo lavoro, ai suoi obiettivi e al fatto che era davvero, davvero troppo tempo che non si divertiva. Aveva vissuto una vita intera nel disperato tentativo di raggiungere i suoi scopi, di vivere una vita normale nonostante le tracce di paura sempre presenti nella sua malsana psicologia.
Aveva odiato l’umanità, poi l’aveva riaccettata e successivamente l’aveva rinnegata, salvando solamente Cindy dall’opinione generale che aveva delle persone. Poi, col tempo, l’aveva rigettata nella mischia: tutti squali, tutti stupidi. Tutte puttane e idioti troppo annebbiati dall’illusione per accorgersi della reale grandezza dell’universo in cui vivevano.
Pensò per un attimo al volto sporco di cerone della donna che lo aveva salvato, da ragazzino; a quello meraviglioso di sua madre, stretta nell’abbraccio di suo padre. Gli sovvenne per un istante quello di Cindy ma fu subito affiancato da quello di Angelo e quindi riaprì gli occhi, proprio quando la porta della sala cigolò, aprendosi.
“Oliver...” sospirò Xavier, gettando lo sguardo stanco sul completo grigio del suo avvocato. Capelli pettinati verso destra, sguardo sicuro e cravatta blu. Poggiò la valigetta sul tavolo e si sedette.
“Buongiorno Xavier. Che cazzo è successo?” chiese con calma irreale, mantenendo gli occhi fissi su di lui. Questi erano verdi, di quella tonalità che quasi si tuffava nel marrone. Puntavano il celeste delle iridi del suo cliente.
Si conoscevano da parecchio tempo; l’avvocato Jackson aveva curato l’intera creazione della società dell’inventore e gestiva per lui le trattative di vendita dei brevetti.
“Mi vogliono incriminare di omicidio e terrorismo ambientale”.
Oliver inclinò la testa verso sinistra e guardò le telecamere, con la luce di registrazione spenta.
“Sei un terrorista ambientale e hai ucciso qualcuno?”.
“No! Ma ti pare?!” urlò quello, giustificatamente nervoso.
“Figurati, ecco perché sono sorpreso da questa cosa...”.
“Mi hanno accusato d’aver ferito Lugia e impiantato un... aggeggio nella sua schiena. E nel fare ciò avrei ammazzato diverse Kimono Girl”.
Oliver era rimasto strabiliato da quelle parole. “Se davvero non sei stato tu dobbiamo lavorare sulla tua difesa e scagionarti quanto prima. Hai fatto bene a chiamare me”.
“Io non sapevo che fare...”.
“Stai tranquillo. Ora dimmi dove ti trovavi ieri sera e stamattina”.
“Ieri sera ero a casa e stamattina sono uscito...”.
“Dove sei andato?”.
“All’Harold’s di Amarantopoli...”.
“C’erano parecchie persone, immagino”.
Xavier annuì velocemente. “Certo! Pieno come sempre!”.
“Hai parlato con qualcuno che possa confermare la tua presenza lì, stamattina?”.
“La cameriera. Si chiamava Sadie. E Cindy... la proprietaria...”.
Oliver sorrise e si alzò. “Benissimo. Ti tirerò fuori di qui”.
“Grazie, Oliver”.
“Avrai presto mie notizie. Ora calmati e rilassati... sembri uno spaventapasseri”.
Xavier non sorrise, tornò a guardare il vetro e pensò alla telefonata di Gold di quella mattina. E allora capì tutto:

Gold mi ha telefonato perché sapeva che sarei stato accusato di questa cosa. Gold è a conoscenza della presenza di un altro me, in questo luogo, e mi ha protetto.
Mi ha chiesto di andare in pubblico, di parlare con le persone.
Lui ha creduto alle mie parole.


Adamanta, Primaluce, Casa Livingstone

“Lenny! Ci sono lo zio Zack e la zia Rachel!”.
La voce di Marianne risuonò lungo la tromba delle scale fino a raggiungere le orecchie di suo figlio, che spalancò la porta della stanza e corse velocemente al piano inferiore, sotto gli occhi sorridenti dei genitori. Il salone era arredato in maniera minimale, elegante, con parecchi elementi bianchi e d’acciaio. Pochi tocchi di colore, a Ryan piaceva molto. Quest’ultimo s’alzò sorridente dal divano e si avvicinò al cognato.
“Zio!” aveva urlato Leonard, superando suo padre e saltando addosso a Zack dal penultimo scalino. Lui lo afferrò con decisione e lo alzò in aria, baciandogli entrambe le guance. Il ragazzino sorrise di nuovo, battendo le palpebre e nascondendo lo sguardo ambrato, come quello della madre. Di lei aveva preso anche il colore della pelle e la fisionomia ma suo padre Ryan viveva nei piccoli dettagli.
“Come stai, campione?!” urlò Zack.
“Bene! Io e Allegra stavamo giocando a nascondino”.
Rachel sorrise e guardò Zack. “E ora lei dov’è?” chiese.
“Non lo so, ho smesso di cercarla un po’ di tempo fa…”.
“E tu gliel’hai detto?” sorrise Zack, stringendo il ragazzino. Sullo sfondo c’era Marianne con lo sguardo di disappunto verso il bambino e le mani sui fianchi generosi.
“Sì. Credo...”.
Ryan ridacchiò e  vide Zack annuire. Poi prese Rachel per mano, come facevano quando, da piccoli, andavano a comprare qualcosa assieme dall’alimentari nella piazza di Primaluce.
“Andiamola a cercare...”.
Entrambi salirono le scale della casa del Campione di Adamanta, lentamente, con la donna che carezzava i corrimano d’acciaio.  Ryan era davanti e, quando mise piede sul piano, si voltò ad aspettare che sua sorella facesse lo stesso.
“Nascondino, eh?” chiese Rachel.
“Proprio come facevamo noi quand’eravamo bambini”.
“Ally!” la chiamò lei.
“Allegra! Sono lo zio Ryan! Ti giuro che Lenny si è ritirato, dicendo che hai vinto tu! Ora esci fuori!”.
“Sì!” ripeté Rachel, ignorando la voce di Leonard che protestava per le dichiarazioni del padre. “Esci fuori!”.
E dopo due minuti di ricerche estenuanti in ogni camera, Rachel e Ryan si sedettero sul letto del bimbo di casa. Lui le sorrise e si stese, affondando la testa nel guanciale di suo figlio. Fissava attentamente le stelline di plastica, sul soffitto, e poi sospirò.
“Ti assomiglia in maniera incredibile, Rachel...”.
“È mia figlia...” rispose lei, come se fosse la spiegazione più ovvia.
“Sì, lo so. Però è come riviverti... da quando siamo cresciuti e ci siamo sposati... da quando ci siamo costruiti le nostre famiglie... beh, mi manchi. Mi fa bene avere quella bambina tra i piedi...”.
“Eccolo che il vecchio affoga nei ricordi...” sfotté la sorella minore.
L’altro aggrottò la fronte e appuntì il viso.
“Sono il Campione di Adamanta, Rachel. Ti faccio arrestare se mi chiami di nuovo così”.
“No!” sentirono urlare. Era Allegra, e la sua voce era ovattata. Rachel sbuffò, alzò le lunghe coperte che pendevano dal letto e cadevano giù, fino  al pavimento, e afferrò la  caviglia di sua figlia, prima di tirarla fuori: aveva il vestito sporco di polvere e i capelli spettinati.
“Guarda come ti sei conciata!” esclamò la mamma, sollevandola di peso e pulendole la gonna.
“Zio, non arrestare la mamma!” gridò la bimba, con lo sguardo corrucciato e la frangetta a nasconderlo parzialmente. “Non ti sfotterà più! Vero mamma?!”.
“Io posso sfottere lo zio Ryan come e quando voglio. Ed anche tu…”.
La bambina guardava la madre parlare, sentiva le sue parole. Subito dopo si girò per cercare nell’uomo la conferma delle sue parole.
Quello si limitò ad annuire, con occhi buoni.
“Allora le hai fatto uno scherzo, zio?”.
Ryan sorrise ed annuì. “Esatto”.
Il volto di Allegra si rilassò, poi si rivolse verso Rachel.
“Mamma, hai visto che ho vinto a nascondino?”.
“Sei stata bravissima” rispose la donna, baciandole la fronte.
Ryan sorrise e sospirò nuovamente. Il tempo stava passando troppo velocemente.


Johto, Amarantopoli, Harold’s

“La signora Harper?”.
Cindy alzò gli occhi non appena sentì il campanello del locale suonare, all’apertura della porta del locale. Aveva visto entrare un bellissimo uomo di poco più di quarant’anni, vestito elegantemente e pettinato alla perfezione, con una valigetta stretta nella mano destra.
“Sono io” rispose, levando gli occhiali e alzandosi in piedi. Il locale era pieno come sempre e l’uomo fece non poca fatica ad avvicinarsi a lei senza urtare in qualche cameriera sedicente o in qualche cliente un po’ troppo rilassato. Una volta arrivato davanti a lei le strinse la mano, senza mai sorridere né distaccare lo sguardo dal suo.
“Mi chiamo Oliver Jackson e sono il legale di Xavier Solomon… Il signor Solomon è stato arrestato questa mattina con diverse accuse che riteniamo essere diffamatorie e ingiuste”.
Cindy spalancò gli occhi verdì.
“Per ammissione del mio stesso cliente sono venuto a sapere che questa mattina avete parlato, passando del tempo assieme”.
Quella si rimise a sedere, senza mai staccare gli occhi verdi dall’uomo.
“Cosa sta dicendo, avvocato?” chiese, sconvolta.
Oliver annuì. “Mi dica se è vero che questa mattina vi siete visti”.
“Assolutamente sì! E-eravamo seduti entrambi lì” disse, puntando con l’indice smaltato il terzo tavolino dall’ingresso. “Abbiamo parlato”.
“E di cosa avete parlato?”.
“Questioni nostre... Il nostro rapporto d’amicizia”.
“Uhm... credo serva materiale probatorio a supporto di questa tesi”.
Cindy indossò una smorfia strana in volto, per qualche secondo. “In che senso?”.
“Nel senso che lei mi sembra un po’ troppo coinvolta, signorina Harper. Posso avere un caffellatte?” domandò poi, alla prima cameriera che gli passò accanto.
Cindy strinse i pugni, abbassando il volto.
“Io non sono coinvolta , signor...?”.
“Jackson. E poi non mi chiami signore...” sorrise quello. “Mi chiami avvocato. Avvocato Jackson”.
“Sì… mi scusi…”.
“In ogni caso glielo si legge negli occhi: lei è preoccupata per il mio cliente e se lo posso vedere io lo può vedere chiunque. Del materiale video, dunque, servirà a chiarire ogni dubbio”.
Cindy abbassò lo sguardo e Sadie portò il caffellatte a Oliver.
“Grazie” fece lui, avvicinandolo alla bocca. “Se davvero Xavier è così importante per lei è necessario anche che rilasci una dichiarazione”.
“Va bene” annuì subito.
“Tra due ore, qui ad Amarantopoli, a Common Street, nello Sky Building. Il piano non lo ricordo mai, chieda in reception. La aspetto per la registrazione della sua dichiarazione per l’innocenza di Xavier Solomon. Meno mi farà aspettare e prima il mio cliente sarà libero dalle manette”.
Non appena Oliver pronunciò l’ultima parola quella rialzò la testa.
Entrambi rimasero in silenzio.
“Sta bene?” chiese lei, con voce flebile.
Oliver sorseggiò il suo caffellatte e fece spallucce. “In manette non si sta bene”.
“L’ha mandata lui qui, da me?”.
“In realtà sono stato io a venire qui di mia spontanea volontà. Xavier è mio cliente da tanto tempo e ormai è un amico, mi sono offerto più che volentieri di correre in suo aiuto. Mi ha detto di aver parlato con una certa Sadie…”
“La ragazza che l’ha servita…” interruppe Cindy.
“… e poi con la proprietaria del locale. E siccome il locale appartiene ad Angelo, Capopalestra di questa città ed uomo molto impegnato, immaginavo che si riferisse a qualcuno di vicino a lui, un parente, una persona di cui si fida... la moglie, magari... Ho fatto le mie ricerche ed eccomi qui”.
“Sono... io... la moglie di Angelo sono io” affermò, ancora visibilmente scossa. Sentiva il cuore batterle nel petto vigorosamente..
“Non si tormenti. È normale poter provare qualcosa per una persona, anche se non è nostra moglie. O nostro marito, intende?” sorrise Oliver. “Sono avvocato, mica giudice…”.
Strinse la mano alla donna e si alzò.
“Buono il caffellatte. Ci vediamo tra poche ore... Mi raccomando...” disse, chiudendo il bottone della giacca. “Non manchi”.
Posò una banconota da cinque sula tavolo e sparì oltre la porta.

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