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Andy Black - Yelloween 4

YELLoween 4.0
Di come una Oldrival finì malissimo

AVVERTIMENTI GENERALI:
Per godervi la storia appieno dovreste sapere una lista di cose, circa quarantasette, che probabilmente vi allontaneranno da questa pagina e vi porteranno all'ennesima versione di Lost Silver (colpevole anche io):
1) Io sono una persona sostanzialmente volgare. Molto volgare. Il mio linguaggio di tutti i giorni è costellato da vari cazzomerdafanculo e siccome si dia il caso che sia anche l'autore di questo pezzo, se siete infastiditi dalle bad words go fuck yourself.
2) Sono una persona sostanzialmente eterosessuale. Anzi, senza il sostanzialmente, eterosessuale, e quindi se ho Blue in una storia e ho la possibilità di spogliarla lo faccio. E siccome si dia il caso che sia anche l'autore di questo pezzo, Blue è parecchio nuda; si fanno soprattutto riferimenti alle tette perché mi piacciono le cose morbide e con i capezzoli. Se la cosa vi provoca così tanto fastidio o non siete lesbiche o non siete sostanzialmente eterosessuali. In ogni caso get outta my way se contrariati.
3) Shippo Oldrival. Tremendamente.
4) Avrei dovuto dirlo un po' prima: la storia è comprensibile in ogni sua forma anche senza aver letto i primi tre capitoli (in realtà il primo non c'entra quasi nulla ma oh, che vorreste fare, leggere una serie senza farlo completamente?). Quindi Yelloween 2 e 3 hanno una valenza abbastanza importante nella globalità della comprensione di questa shot ma se non volete leggerli avrete lo stesso la possibilità di capire ciò che succede.
E non perché io lo spieghi bene, quanto schifo faccio, ma perché confido nelle vostre capacità dato che avete superato i primi tre punti senza avere problemi di sorta.
5) So che essendo stata pubblicata il giorno di Halloween la storia dovrebbe essere quantomeno creepy, splatter, horror, o più o meno far cagare sotto il lettore. Ma la verità è che essendo la quarta parte di una serie non ho voluto dar peso troppo al contesto esterno, quanto più a ciò che volevo trasmettere, ovvero il disturbo dei miei personaggi (che è ovviamente la proiezione del mio). Quindi meno creepy, più qualcosa da persone mentalmente deviate.
Come piace a noi, superstiti del punto 5.
6) Non so se l'anno prossimo la serie continuerà o se, probabilmente, questo sarà l'ultimo capitolo di questo appuntamento annuale con una saga totalmente fuori dal mond, nata più per scherzo che per altro.
7) Ringrazio Hancock, che anche quest'anno ha corretto e revisionato il pezzo. Se c'è qualche errore prendetevela con lui, dato che io non sbaiglo mai.
8) Pic. by Zero
9) Vi ame. Buona lettura.

 

"L’amavo, e già lo sapevo.
Ma non sapevo di amarla in tutto e per tutto. Non sapevo di amare il suo sapore.
E non parlo del sapore delle sue labbra, o quello del suo corpo. Ho scoperto di amare il suo sapore quando ho leccato il sangue che colava sul suo petto, con la lingua avida di chi aveva sete e fame. Ho risalito la gola con la lingua, ho stretto le unghie nella sua carne e ho mangiato la sua vita.
Ho succhiato forte, lì, su quei tagli aperti.
Non ho resistito: ho affondato i denti nel suo collo e ho bevuto da lei il suo nettare.
Ora voliamo assieme, quando la luna è prima donna nel cielo di tutti."


†                    △

Generalmente, Green non era mai di buonumore.
Tendeva ad analizzare qualsiasi cosa e si rendeva conto che ciò che avesse attorno faceva schifo.
La misantropia si stava espandendo a macchia d’olio, in una società in cui ognuno sapeva tutto di tutti, in cui il beneficio del dubbio era diventata la paura del non sapere.
In cui nessuno sapeva più come stare da solo, ma era sempre in contatto con qualcun altro, anche estremamente lontano.
Green lo ripeteva in continuazione; sapeva che la società si sarebbe piegata su se stessa senz’alcuna possibilità di risollevarsi.
Tutto troppo complicato.
C’era bisogno di più semplicità.
Quella sera stava tornando a casa dopo una lunga ed estenuante giornata in Osservatorio. Il freddo ormai s’era impossessato della sera e lui, ben stretto nel proprio soprabito nero di pelle, scendeva dalla collina di Biancavilla.
Il vento soffiava, quel trentuno ottobre, e le pale del mulino dell’Osservatorio non s’erano più fermate da quando, nel pomeriggio, il tempo era cambiato.
Dall’alto, riusciva a vedere le poche abitazioni di quel posto così calmo e tranquillo con le luci accese. Ricordava di quand’era bambino e quel posto non era ancora così vuoto.
C’erano parecchi anziani.
Poi Red; era un anno che non si avevano più notizie di lui.
Proprio da quando era scomparsa anche Yellow.
La madre del ragazzo aveva passato i primi due mesi, in pratica fino al Natale, tormentata dagl’incubi. Telefonava tutti i giorni alla polizia, aspettando e sperando che vi fossero sviluppi sulle ricerche di suo figlio.
Era stato avvistato a Johto, l’ultima volta, ad Azalina.
Proprio un anno prima.
Green non era la persona migliore del mondo, e certamente non era il più abile della sua gente a esprimere sentimenti ed emozioni, ma non rimase indifferente alla notizia che l’amico più caro che avesse fosse sparito nel nulla.
Lui e Blue andavano a trovare la madre di Red tutti i giorni, prima che quella si chiudesse la porta alle spalle e andasse via da Kanto, nessuno sapeva dove.
Le foglie frusciavano sotto l’ennesimo colpo del vento, che spostava i rami e li faceva danzare davanti ai lampioni, creando lugubri disegni ai suoi piedi.
Tuttavia Green non faceva caso a quelle cose. Si stringeva nel soprabito, ricomponeva la pettinatura con le mani e affondava i piedi nelle ombre.
Da dov’era arrivato riusciva a vedere casa sua; le luci erano accese e Blue aveva anche preparato una zucca di Halloween.
Probabilmente era l’unica in tutta Biancavilla ma lei era il tipo che teneva tanto a quelle tradizioni. Green le trovava stupide e infantili.
Ancora il vento, poi le prime gocce di pioggia impattarono contro l’asfalto. L’uomo alzò gli occhi verdi al cielo, vedendo nuvole nere intrecciarsi, rincorrersi e scontrarsi.
Non aveva con sé un ombrello ma la strada che doveva percorrere era poca. Del resto era solo acqua. Camminava lentamente, inalando l’odore dell’umidità che si alzava dai giardini e dai boschi che circondavano il piccolo paesino, con le mani nelle tasche e la tracolla ben stretta attorno al petto.

Quel mattino aveva avuto una brutta lite, con Blue; strascichi della discussione della sera precedente, quando avevano terminato le contese con un silenzio da uomo ferito e una scopata riconciliatrice, che evidentemente non doveva averla soddisfatta appieno.
Era difficile convivere con una donna del genere.
Troppo intelligente, troppo vulcanica. Troppo intraprendente, con troppo tempo libero per non avventarsi su di lui, quando scendeva la sera.
E Blue parlava tanto, soprattutto per lui che adorava l’inerzia in ogni sua forma (silenzio in primis), riempiendogli la testa di domande che non avevano risposta, oltre che d’informazioni senz’alcuna utilità che quella dagli occhi blu sparava come fossero colpi di mitragliatrice.
Non erano così lontani i giorni in cui le avventure occupavano le loro menti ma erano molto più ragazzi di quello che ricordava; ogni cosa era nuova, una prima esperienza che li avrebbe segnati per sempre.
Crescendo, Green si era accontentato del ridimensionamento in Osservatorio; lì, assieme a sua sorella Margi e al nonno, il celeberrimo Samuel Oak, lavorava al Pokédex e studiava le specie una a una per implementare le pagine della loro enciclopedia.
Era un lavoro. Non quello che preferiva fare, certo, ma si adattava.
Buona paga, ferie lunghe e ufficio vicino a casa. In più rimaneva immerso nella natura.
Non poteva lamentarsi di nulla.
Aveva sposato la sua donna anzitempo, forse per paura che fuggisse via con qualcun altro o forse perché realmente innamorato di lei, ma era davvero troppo giovane, Green.
S’era rinchiuso in quella prigione dorata e viveva in una città fantasma ormai, dove molte di quelle case erano piene di polvere e ricordi di qualcuno a cui non interessava rivangare il passato.
La pioggia aumentò d’intensità, costringendolo a correre per l’ultimo tratto di strada. Ciò non lo risparmiò dal fermarsi davanti all’uscio di casa totalmente inzuppato.
Aveva indugiato qualche istante, mentre cercava nella borsa le chiavi di casa; prendeva sempre quelle dell’Osservatorio, quando rincasava.
Ovviamente al mattino prendeva sempre le chiavi di casa, aspettando fuori la porta dell’ufficio.
Quella sera rimase a guardare la fiammella nella zucca che Blue aveva preparato. Non s’era accorto del fatto che fosse l’unica luce attorno casa sua ma era visibilmente provato da quella giornata e, quando aprì la porta, si limitò a sospirare nel buio.
“Blue” la chiamò, avanzando lentamente e chiudendosi la porta alle spalle. La corrente non c’era e le luci erano spente, facendo piombare il salotto nello scuro più che totale. Allungò la mano verso il muro, carezzò la parete e raggiunse l’interruttore. Ma dopo il clic il salotto non s’illuminava.
“Green… Sono in cucina” rispose la donna.
“Non c’è luce”.
La sentì sorridere. “Me ne sono accorta”.
L’uomo sospirò. Il sarcasmo subito lo irritava.
“È andata via qualche minuto fa, ma ha cominciato a piovere…” continuò quella. Si sentì lo scricchiolio della sedia che strusciava sul pavimento, poi i passi leggeri della donna che raggiunse il salotto.
Era scalza, i talloni battevano per terra.
Green non sapeva come facesse a camminare in quel modo; il pavimento era freddo.
“Dove sei?” domandò lui.
La voce della donna fu preceduta da un respiro, fin troppo attaccata al suo orecchio. Quello sobbalzò.
“Qui” si limitò a dire.
Si chiese come avesse fatto, quella, ad avvicinarsi così velocemente senza fare rumore. Avrebbe potuto anche chiederlo a lei ma no, non era il tipo. Sentì le mani di Blue poggiarsi sul petto, afferrare la camicia e tirarlo in basso, avvicinando le loro bocche.
Si baciarono ma fu lui a spostarsi, un secondo dopo.
“Perché siamo al buio?” chiese.
“Perché non hai alzato il contatore” rispose prontamente l’altra. “Sei fradicio”.
“… Piove”.
“Appunto” ridacchiò l’altra. “Vai ad alzare il contatore, fuori”.
Lui accettò di buon grado; non sopportava il modo di fare così libertino di quella donna, né tutte le libertà che si prendeva con lui, ma non avrebbe mai permesso che uscisse alle intemperie.
Scalza.
Si voltò e aprì la porta, lasciando che il bagliore di un fulmine illuminasse il volto della donna, per un breve istante. La pioggia continuava a cadere incessantemente, e lui uscì fuori, prendendo l’ombrello e stringendo gli occhi quando il tuono raggiunse il fulmine, rombando in maniera fragorosa.
Gli stivaletti dell’uomo calpestarono i gradini di casa, poi s’immersero nelle pozzanghere che s’erano formate nel giardino. L’acqua raggiunse il calzino destro.
Orribile. Green sbuffò, col vento che aumentava d’intensità, producendo un lamento sinistro.
“Cazzo…”.
Sinceramente, non vedeva l’ora di tornare dentro casa. L’acqua era fredda, cadeva sull’ombrello e quasi pareva potesse spezzare le sue esili braccia d’alluminio. Tutt’intorno casa non un’anima, non un singolo Pokémon. La pioggia soltanto, e il suo rumore che, come un urlo di liberazione, trascinava via i pensieri che finivano per scorrere lontani, nel canale di scarico e poi in un tombino, verso il mare.
L’ennesimo tuono lo fece sobbalzare. Il cuore palpitava, batteva con vigore e le mani alzate raggiunsero poco dopo il quadretto del contatore.
Leva abbassata.
Sicuramente qualche sovraccarico. Blue non aveva ancora capito che non poteva usare contemporaneamente il condizionatore, il forno e il phon.
Il forno, poi. Non era per niente una buona cuoca.
Un nuovo fulmine cadde a pochi metri da lui.
“Porca troia…” sbuffò quello, accelerando il passo verso il vialetto d’ingresso. Poté vedere, oltre le tende, le luci del salone accese.
Ne fu quasi rinfrancato.
Risalì i pochi gradini e aprì la porta, vedendo Blue seduta sul divano, coi piedi tirati sui cuscini e lo sguardo perso in direzione sua.
“Buonasera, Professor Oak” fece, sorridendo lasciva. I suoi occhi erano parecchio stanchi, ma l’uomo riusciva sempre a trovare la via del cielo guardandoli. I capelli erano arruffati sulla fronte, in quella che sarebbe dovuta essere una frangetta ma sembrava più qualcosa d’indefinito. Tuttavia le ciocche laterali s’appoggiavano educate e morbide sulle spalle sottili di quella, coperte da un giacchetto di filo grigio, aperto sul davanti. Mostrava una camicetta bianca, sbottonata fino al secondo bottone, lasciando intravedere la parte superiore di quel magnifico seno. Sulle mani non aveva mai smalto, nonostante di tanto in tanto la vedesse attrezzata d’ovatta e acetone e di una ventina di boccette di cui adorava l’odore. Quelle stesse mani erano poggiate delicatamente sulle cosce, avvolte in un aderentissimo leggins nero.
Tremenda e bellissima.
“Mio eroe…” lo sfotté, sorridendo con malizia.
“Si…”.
Quella si alzò, proprio mentre quello chiuse l’ombrello e levò le scarpe, totalmente zuppe.
“Non lasciarmi chiazze per terra”.
“Non dirmi che hai lavato” sbuffò quell’altro. “Perché tanto non ti credo”.
Blue gli si avvicinò e gli prese l’ombrello da mano, mettendo a posto. Fu in automatico, lui smontò il cappotto e lei lo prese, lanciandolo precisamente sull’appendiabiti.
“È venuta la signora delle pulizie, Green”.
“Infatti c’è un ottimo odore, qui” commentò l’uomo, allentando ancor di più il nodo alla cravatta.
“Quella sono io, amore” rispose Blue, sbottonandogli anche la camicia.
Quello la guardò. Sembrava aver dimenticato della lite della sera prima.
A Green giravano ancora le palle, e vederla calma e tranquilla, come se nulla fosse accaduto lo innervosiva ancora di più.
“Hai intenzione di spogliarmi qui, davanti alla porta?!”.
Il tono era nervoso. Blue si fermò, incurvando lo sguardo e inarcando un sopracciglio. Lentamente lasciò asola e bottone e lasciò ricadere le mani sui fianchi.
“Sei sempre una furia, con me”.

Green sbuffò. E non perché fosse stufo di quelle parole.
Ma perché s’era reso conto che Blue avesse ragione.

“Lasciami in pace” fece, buttando la borsa sulla poltrona di pelle accanto alla porta e raccogliendo le scarpe. Seminudo avanzò verso le scale e salì al piano superiore, lasciandola nel silenzio. Guardava il pavimento lei, fissando le strisciate fatte con l’orlo dei pantaloni.
Aveva bagnato il pavimento e l’aveva rimasta lì, da sola.
Avanzò lenta verso la cucina, la donna, sbuffando. Provare sentimenti come l’amore per lei era una cosa totalmente nuova, e Green era apparso nella sua vita come un fulmine a ciel sereno; così silenzioso, così pieno di mistero.
Con quel sorriso che sfoderava solo in particolari momenti, e neppure troppo spesso.
L’affascinava in maniera tremenda.
Tuttavia era diventato infelice.
Troppo infelice, e non bastava lasciargli cadere il vestito davanti e mostrarsi nuda per risollevarlo. Non era più un ragazzino e una scopata serviva a dargli venti minuti di tregua, non l’accesso al paradiso.
Avrebbe tanto voluto vederlo tranquillo ma era impossibile risollevarlo.
Fu quello il momento in cui si accorse che Green, sostanzialmente, fosse in un’acutissima fase di depressione.
Si perse con gli occhi blu nelle fughe del pavimento, ormai sporcate dall’acqua pregna di terreno proveniente dal giardino.
Sognava quella vita per lei?
Forse sì.
Sospirò e si guardò attorno, rendendosi conto per la prima volta di trovarsi in una bella casa e di stare con un uomo a cui, nonostante tutto, teneva più di ogni cosa.
Salì le scale lentamente, come faceva da bambina per non farsi sentire.
Prima le punte e poi il tacco.

Lo scroscio dell’acqua era costante. Un rumore caldo e ripetitivo che lo riempiva di calore.
Il vapore si alzava libero in tutto il bagno, aderendo contro gli specchi e creando condensa.
Green era davanti al lavandino, ormai nudo, e vedeva la propria sagoma dai contorni smussati attraverso il filtro che si era attaccato ai vetri.
Non poteva vedersi ma sapeva benissimo che non sarebbe lo stesso stato in grado di riconoscersi. Si sentiva perso in un mondo troppo vasto e dilatato.
Ripensò a Red, ancora una volta; lo reputava il fratello che non aveva mai avuto e che aveva trovato soltanto in tarda età. Aveva spesso mascherato l’affetto che provava per lui con un’arroganza che ben s’addiceva al modo di fare che aveva assunto fino a quando non era cresciuto.
Fino a quando non era diventato un uomo.
Sì, perché da ragazzini si odiavano, lui e Red. Rivali in tutto e per tutto. Non riusciva a farsi andare giù quella bontà totalmente disinteressata dell’altro.
Era ostinato, proprio come lui, ma non era così calcolatore. A Red bastava un sorrise per far sì che le porte che aveva davanti si aprissero.
Crescendo era diventato uno dei pochi punti di riferimento di Green. Oak sapeva che su di lui poteva sempre contare.
E nonostante avesse un buon lavoro, una casa grande e una moglie bellissima ad attenderlo al suo rientro, sentiva sul collo la lama della solitudine dell’infanzia che aveva passato.
Pensava che, assieme ai suoi amici, sarebbe cresciuto e morto.
Invece gli era rimasto la sola Blue.
Sentiva che le cose andavano male.
Che senso aveva ristagnare in una vita monotona, dopo anni passati a vivere avventure al limite dell’incredibile?
Si chiedeva come aveva fatto ad affondare la propria esistenza in quel modo.
La fronte era imperlata di sudore, la deterse con la mano destra mentre con quella sinistra scrisse una parola, ricavandola dalla condensa sullo specchio.



PERDENTE

Come poteva una persona fondamentalmente realizzata nella vita come lui a sentirsi un fallito?
Alzò i calzini dal pavimento, totalmente bagnati, e li gettò nella cesta dei panni sporchi.
E poi sentì qualcuno bussare alla porta.
Qualcuno… Era sicuramente Blue.
“Che vuoi, adesso?”.
Il silenzio era disturbato dal rumore della doccia.
“Aprimi, Green…”.
La voce di quella sembrava non essere regolare come sempre.
Soffriva, forse. Forse era così.
Sapeva di essere uno stronzo per via di quei comportamenti ma non riusciva a non combattere se stesso e le proprie necessità pur di vincere qualche piccola questione di principio con sua moglie.
Ma la cosa strana era che, in fondo al suo cuore, avrebbe voluto che quella fosse in quel momento oltre quella porta, a condividere la foschia vaporosa di quel bagno fin troppo caldo; voleva sentirla alle spalle, che lo stringeva con vigore. Voleva sentire i suoi baci dietro la schiena e i seni che premevano contro le sue scapole.
Voleva sentire l’odore dei suoi capelli.
Riguardò la porta.
Non sarebbe di certo morto se avesse mosso un passo verso sinistra e avesse girato la chiave nella toppa. Lei sarebbe entrata e avrebbe cominciato a emanare quell’energia così strana e positiva.
Lo faceva sempre, anche quando energia, lei, non ne aveva.
Ma sembrava tutto così ovvio, così facile. Le faceva quasi una colpa la sua incapacità di leggergli nella mente.
Non poteva passarla liscia, beccarsi un abbraccio dopo essersi permessa di non comprendere appieno la semplicità del suo essere.

Stava pensando soltanto a cazzate. Cazzate immani.
Come poteva quella donna, per quanto speciale fosse, capire qualcosa che neppure lui riusciva a chiarire?

Il passo lo fece, e girò la chiave nella toppa.
La porta s’aprì, con un cigolio sinistro, mostrandogli la figura di una donna piccola e col volto contrito, ma dagli occhi del colore del cielo.
Quella si limitò a guardarlo, quasi analizzandolo. Lo leggeva come un libro aperto, delle volte.
Altre non lo comprendeva proprio.
Guardò la scritta sullo specchio e d’improvviso le sembrò di ricevere tutte le informazioni che le servivano. Green vide che lei vide, poi abbassò lo sguardo, rimanendo con la testa verso il pavimento, totalmente nudo. Lei carezzò il suo corpo tonico con gli occhi, quindi levò il giacchetto e cominciò a sbottonare la camicetta.
I suoi vestiti caddero per terra poco dopo. Si gettò con desiderio contro di lui, prendendogli la nuca tra le mani e avventandosi su quella bocca, troppo chiusa per i suoi gusti.
Le loro lingue ballavano una danza lussuriosa, mentre le mani si cercavano e poi si dividevano, raggiungendo le natiche di lui, il seno di lei, gli addominali di lui e quel culo che Green avrebbe potuto divorare, alcune sere.
Il respiro della donna si faceva sempre più greve e, pochi minuti dopo, una carezza dell’uomo si scontrò con l’eccitazione umida dell’altra. Quella gli morse il labbro, ancora seria, e poi lo prese per mano, entrando in quella doccia incandescente.
L’acqua cadeva sui loro corpi, riscaldava le carni congelate da quel tempo infame, bagnava i loro capelli, accompagnava ogni gesto, ogni azione.
Lui la baciava ancora, sentiva il suo profumo levarsi in alto e perdersi nel vapore, prima che le mani di quella gli stringessero l’erezione.
Lei abbassò gli occhi, carezzò ancora il suo uomo e poi si voltò. Lo sentiva, lei, il membro di Green che le toccava le natiche, e poi affondava sotto la sua vagina, carezzandola con un movimento sbadato, che puntava ad essere una penetrazione.
Lei s’adagiava sul suo pene, lo massaggiava con le labbra e sentiva l’uomo ansimare per il desiderio. Con vigore la tirò a sé, stringendole entrambi i seni e succhiandole il collo.
Ad ansimare, quella volta, fu Blue.
Voleva quel cazzo dentro di lei e Green lo sapeva; la spinse con la faccia contro le mattonelle della doccia, delicatamente, e bucò ogni sua difesa, affondando nelle sue morbidezze. In quelle gioie, lui, non passava mai abbastanza tempo.
Scoparono.
Scoparono come non mai, sotto la doccia bollente che ebbe l’effetto di trascinare verso lo scarico un po’ di quelle ansie e di quelle paure che avevano accumulato.

Arrivò dentro di lei. La cosa eccitava parecchio Blue mentre metteva Green in apprensione.
Tanto prendeva la pillola.
Si asciugarono lentamente. Sembrarono aver recuperato l’intimità persa in quei giorni matti in cui lui non ricordava più come farsi scivolare le cose addosso.
Difatti Green si sentiva molto più leggero. Si voltò, con l’asciugamano in vita ben chiuso e aderente, vedendo sua moglie seduta su di uno sgabello, con un telo attorno al petto, le gambe accavallate e i piedi scalzi.
I suoi occhi si focalizzarono sullo specchio, dove la scritta di prima era ancora presente.
“Perché ti reputi un perdente?” domandò.
Sapeva che Green non avrebbe risposto. Si sarebbe limitato a guardarla per qualche secondo, a distogliere lo sguardo e a uscire dalla stanza.
Invece sostenne lo sguardo.
Quegli smeraldi rimasero dritti, fissi sugli zaffiri della moglie, tuttavia non una parola fu pronunciata.
Fu Blue a prendere allora lo scettro del discorso tra le mani.
“Sei un uomo bellissimo, intelligente, ricco e capace, con una famiglia meravigliosa alle spalle. Hai una casa grande, un giardino e una piscina. Hai una moglie che ti ama… Tu non sei un fallito, Green. Tu sei riuscito a realizzarti”.
Quelle parole suonarono strane.
“Per me è complicato…” si sbottonò lui, poggiandosi al lavandino che aveva alle spalle. “Non so come vivere questa faccenda”.
“Credimi… Sto cercando di capirti. Di comprendere ciò che stai passando… ma è impossibile. Solo tu puoi spiegarmi cosa c’è che non va…”.
Green sbuffò. Sapeva che uomini e donne ragionassero in maniera differente, e confidarsi con lei non avrebbe di certo risolto i suoi problemi. Anzi, li avrebbero solo riportati a galla.
Poi però guardò gli occhi della sua donna e in un momento bagnò i piedi nel fiume della sua vita, rendendosi conto di un fatto: Blue aveva sofferto.
Poteva fidarsi di lei. Avrebbe potuto capire.
“Io… Io non mi sento un fallito per ciò che sono, o per ciò ho. So di avere una casa bellissima, in cui ci sei tu… e ti amo, credimi” fece, tirando i capelli castani all’indietro. “Il problema è che mi sento un fallito per quello che provo”.
Blue spalancò gli occhi, ponendo una spiegazione implicita.
L’uomo continuò. “Non sono felice, nonostante tutto questo. Odio questa casa… e odio questa città. La mia vita è sempre la stessa…”.
“Sei tu che hai scelto di adottare quest’esistenza, amore. Perché ora hai cambiato idea?”.
La donna scoprì il nervo.
“Credevo che non saremmo rimasti soli. Credevo che Red e Yellow sarebbero rimasti con noi”.
Blue rimase in silenzio. Era davvero la nostalgia ad averlo fatto deprimere?
“E non significa che non mi basti, sia chiaro…” continuò ancora l’uomo, staccandosi dal lavandino e avvicinandosi a lei. S’accovacciò, lasciando aprire leggermente il telo, e le prese entrambe le mani. I capelli umidi di Blue ricaddero sulla spalla destra.
“Il fatto è che ti rendi conto che non hai il controllo su nulla, in questa vita… e…”.
“Ti mancano Red e Yellow” concluse Blue, con un taglio netto e preciso.

Green non si sentì mai più fragile.

Come se Blue gli stesse puntando una fredda lama tra le scapole, tenendolo per i capelli.
Fu quasi automatico, abbassò lo sguardo.
Blue lasciò le sue mani, carezzando con entrambe le guance del marito e finendo per stringerle dietro al collo.
“Mancano anche a me. Non devi sentirti un perdente perché una singola cosa nella tua vita non è come la volevi…”.
La mente di Blue vagava, scriveva una storia torbida e assurda, dai risvolti psicologici: Green era cresciuto senza i genitori.
Aveva accusato l’abbandono e l’aveva trasformato in rabbia, prendendosela con chiunque avesse accanto, da bambino, assumendo un atteggiamento aggressivo, impossibile da domare.
Solo Furio ci riuscì.
Tornò cambiato, da Johto. Più serio e riflessivo, ma la testa calda non era stata totalmente immersa in un secchio di ghiaccio e talvolta tornava a galla, mostrando i canini.
Green era complesso.
E in quella complessità ci vedeva una piccola possibilità che proiettasse su Red la figura di suo padre. La scomparsa dell’amico fraterno aveva riaperto delle ferite.
Lo baciò dolcemente, lo strinse al petto e dieci minuti dopo erano nel letto, a dormire.

Ma qualcosa non andava bene.
La pioggia continuava a scendere massiva su Biancavilla, pesante e fredda. Blue era adagiata sul fianco, nel suo pigiama di cotone celeste. I piedi congelati toccavano quelli di Green, che non sembrava essere turbato dal fatto.
Anche lui di fianco, stringeva la sua donna immerso nel profumo dei suoi capelli.
Il respiro di Blue era greve. Quella stringeva le mani dell’uomo, una poco lontano dalla sua testa, dietro la quale passava il braccio, l’altra non molto sopra la pancia.
Aderiva totalmente al suo corpo, la bella donna, riposando inerme.
Green invece non riusciva a dormire. Aveva passato circa venti minuti a guardare le ombre dei rami all’esterno proiettati sul muro accanto al letto.
Sfinito, era crollato poco dopo. Forse aveva dormito un’oretta, prima di sentire dolore al braccio, quello sotto la testa della moglie. S’era mosso e non aveva più preso sonno.
L’orologio alle sue spalle continuava a ticchettare e la pioggia batteva contro il vetro della finestra.
Di tanto in tanto il vento si lamentava.
E poi sentì quel ronzio fastidiosissimo nelle orecchie.
Ritirò il braccio da sotto il corpo di Blue, che non si svegliò ma si voltò dall’altra parte, scoprendosi.
Green strinse i denti, non riuscendo a liberarsi di quel disturbo. Passò da steso a seduto e infilò un dito nell’orecchio destro, inutilmente.
Riversò poi la testa tra le mani, stringendo ancora i denti e spalancando gli occhi: fuori al balcone non v’era niente, se non la tempesta.
E poi lo sentì.

Green…

Era una voce.
Pensò fosse Blue, e si voltò verso di lei, ma continuava a dormire beatamente.

Green…

Era la voce di un uomo, seppure davvero sottile. S’inquietò, guardandosi attorno e scrutando il buio fin troppo esteso di quella stanza.
“Chi sei?” sussurrò, stringendo poi gli occhi. Quel rumore gli stava segando in due la testa, di lungo.
Si alzò in piedi, l’uomo, guardandosi intorno e sentendo il corpo pesante. Barcollò prima a destra, poi a sinistra, come se fosse una marionetta nelle mani di un bambino sadico.
Evitò il montante destro della porta e riuscì a uscire in corridoio senza fare rumore, quando di nuovo quella voce lo chiamò.

Sono in bagno, Green…

La luce era già accesa e quel ronzio era diventato un fischio acuto e interminabile. Strinse occhi e denti, lui, portando i propri passi nei pressi della porta del bagno.
Vi si appoggiò, un tuono lo fece sobbalzare e inciampò, ricadendo sul pavimento.
Stava morendo?
Non capiva cosa stesse succedendo.
“Chi… sei?” ripeté, sollevandosi in piedi a fatica, e nel farlo si specchiò.

Il suo riflesso sorrideva.

Green non stava sorridendo in quel momento.
“Cosa…” spalancò gli occhi quello.
Green…
L’uomo alzò la mano, vedendo la figura nello specchio fare altrettanto; l’avvicinò al vetro, toccando la superfice del vetro.
Ma quando si rese conto che quella fosse incandescente ritrasse velocemente le dita.
“Ma che cazzo succede?!” urlò, vedendo il suo riflesso apparire e scomparire, come se fosse attraversato da interferenze.

Vuoi parlare con me?
“Non voglio niente da te. Chi sei?” rispose lui, poggiato sul lavandino. Guardò meglio gli occhi di quel Green nello specchio, vedendoli rossi.
Sembrava il riflesso di qualcun altro, identico a lui.
Io sono te, Green. Ma la vera domanda è: tu chi sei?
Quelle parole rimbombarono nella sua testa, sostituendo il fastidioso ronzio.
Davanti a sé la figura nello specchio mutò, trasformandosi: dacché era quel Green, sorridente e dagli occhi di sangue, diventò un bambino. Un bambino dai capelli castani e gli occhi verdi.
“Ma questo sono io…”.
Nel riflesso, lo sfondo delle piastrelle bianche sparì, sostituito da una carta da parati celeste con un motivo a stelline bianche. Un cuscino apparve dietro la sua testa, e le coperte che qualcuno gli aveva rimboccato.
Poi una donna dai capelli del suo stesso colore gli schioccò un bacio sulla guancia. Sorrideva ma era disperata in viso.

- Ciao piccolino… - aveva detto.
Si sentivano dei forti rumori in avanti. Lo specchio si rovesciò e sembrò cadergli addosso per un attimo, quando mostrò la porta che veniva colpita con forza.
- Apri, puttana di merda!
- C’è Green, qui dentro! – aveva urlato quella, terrorizzata.
- Apri subito!

Lui aveva cominciato a piangere.
Dall’altra parte dello specchio, il Green adulto guardava con gli occhi spalancati la scena: era tutto così vivido, e sembrava ricordare alla perfezione quei momenti.
Al di là della porta c’era suo padre che voleva ammazzare di botte sua madre.
Batté gli occhi una, due, tre volte, quando poi l’immagine davanti ai suoi occhi fu un’altra.

Sua madre, piegata in due in una pozza di sangue.

Un tuono lo fece sobbalzare.
Chiuse gli occhi e una lacrima scese calda sulla guancia. Il cuore palpitava.
Quando sarebbe finita quella notte?
Spalancò nuovamente le palpebre quando un ramo batté contro la finestra. Green era nuovamente sia davanti che oltre lo specchio.

Tuo padre picchiava tua madre,.

“Fatti i cazzi tuoi!” urlò l’altro, sputando contro il vetro. Gli occhi del riflesso si focalizzarono sulla saliva che cadeva lentamente.

Non combattere la realtà. Accoglila.

Nella testa di Green stava esplodendo qualcosa. L’immagine del suo alter ego nello specchio si trasformò prima in quella di se stesso da bambino e poi in quella di suo padre, con le mani insanguinate, così come il volto. La camicia, più rossa che bianca, era strappata sul davanti.
E poi, alle spalle di quell’uomo apparve il volto di Red.
“Eri qui?” chiese il Dexholder dagli occhi verdi, voltandosi, trovando però soltanto il gabinetto.
Tornò a guardare avanti, suo padre aveva preso le sembianze di Red.

- Sono qui.
“Red?!" esclamò, stupito e totalmente disincantato, senza domandarsi da dove venisse fuori. "Dove cazzo eri, Red?! Qui è stato un inferno”.
L’altro fece spallucce, col solito sorriso bonario. – L’importante è che ora sia qui.
“Che fine hai fatto?” ripeté l’altro, poggiato con entrambe le mani al lavandino.
- Sono stato via.
“E Yellow?”.
- Lei è stata con me – aveva risposto, annuendo. Green si voltò, sentendosi come osservato, ma alle sue spalle c’era ancora soltanto il gabinetto.
“Esci dallo specchio. Casa tua è qui a Biancavilla”.
Tuono.
- Non posso. Però puoi venire tu con me…
Tuono, ancora, e la luce si spense. Il respiro di Green divenne più pesante, mentre quel ronzio riprese a torturarlo. Soltanto gli occhi rossi di Red erano ancora luminosi sullo specchio.
“Non vedo nulla…”.
- Non ci vorrà molto…
Un terzo tuono lasciò che le luci si riaccendessero. Green aveva la testa bassa verso le mani, interamente affondate nel sangue che riempiva il lavandino. Alzò il capo, Red era diventato un bambino.
Poi un flash e vide il suo riflesso, con la gola tagliata e, alle spalle, il Red adulto che mangiava Pikachu.
Altro tuono, Red tornò nello specchio.
I due si guardavano.
- Sei stanco – osservò il primo.
“Non ce la faccio più…”.
Red poggiò la mano sulla superficie del vetro e invitò Green a fare altrettanto.

Poi fu solo buio.

 
†                    △


Una mano si poggiò delicata sugli occhi di Blue. Dei baci dolci schioccarono sul suo collo, facendola risvegliare col sorriso.
“Buongiorno, amore…” aveva detto quella.
La lingua le carezzava il collo, e l’altra mano sbottonava la camicia del pigiama di quella, liberandole il seno.
Ansimò, la donna, sentendo la mano dell’altro prendere il destro tra le mani.
Ancora baci, e morsi deboli sulle labbra carnose.
E poi più forti, sul collo.
Ma tutto sommato erotici.
Blue rimaneva inerme sotto di lei, immobilizzata da qualcosa che non conosceva e di cui non voleva sapere niente.
Voleva soltanto sentire Green entrare dentro di lei.
Stringeva forte il seno, quello, e i morsi diventavano sempre più forti, fino a fare male.
Ma non voleva che si fermasse.
La mano che copriva gli occhi lasciò libera di fiorire la sua vista ma quella rimase ancora con gli occhi chiusi.
Entrambe le mani dell’uomo afferrarono i polsi della donna, unendoli sopra la sua testa. Salì su di lei, sovrastandola e bloccandole le gambe. E poi affondò i denti nella giugulare.
Blue spalancò gli occhi, e vide la coda bionda di Yellow che dilaniava quel corpo e lo prosciugava del sangue. Impiegò circa un secondo nel capire che qualcosa non andasse, per poi vedere quell’estranea su di lei, che estranea non era.
Capelli biondi e lunghi, tenuti sciolti e inzaccherati di sangue. La pelle era totalmente diafana, più di quello che ricordava, finendo in una tonalità quasi celeste.
Le braccia erano lunghe e nodose e terminavano in un paio di mani dalle dita affusolate e appuntite, come dieci piccoli stiletti.
Urlò, la Dexholder dagli occhi del mare, ma non sentì la sua voce. Non riusciva a divincolarsi.
E poi un’immensa stanchezza la catturò. La vista era appannata e Yellow alzò la testa, col mento sporco di sangue.
Mantenetela” sorrise, con gli occhi totalmente spiritati di sangue. Accanto a lei apparvero le figure di Red e Green. Entrambi avevano gli occhi rossi e la pelle totalmente bianca.
Fu vedere la figura di suo marito lì a lasciarla sgomenta.
Voleva urlare, cercare di capire perché l’uomo che amava la stava dando in pasto a un vampiro, ma ancora, la sua voce non esisteva più.
Red afferrò il braccio destro e Green quello sinistro, mentre Yellow leccava il sangue che ancora colava sul letto dal suo collo.
Poi sorrise, carezzandole il seno destro con la lunghissima unghia.
Non durerà molto...” sussurrò la bionda, affondando poi nella morbidissima carne e tracciando il segno di una croce.




Il sangue scivolò lento verso il centro del petto, e Yellow si gettò con la lingua a recuperarlo.
Leccò, tenendo i seni stretti con le mani.
Non ho mai assaggiato un sangue dolce come il tuo. Questa croce che ho inciso segna la fine della tua vita umana…”. La voce di Yellow pareva essere composta da diverse tonalità, ed era la cosa che più l’aveva fatta rabbrividire nel corso della sua vita.
Green rimaneva serio, guardando la bocca della vittima spalancata, in attesa che un qualsiasi rumore venisse emesso, ma invano. Incontrò lo sguardo di Red, che gli sorrideva dolcemente.
E invece la teneva bloccata, mentre un demone identico a lei succhiava il sangue dal suo corpo.
“E ora…” continuò sinuosa l’altra, tirando il seno sinistro di Blue verso il basso. Alzò l’indice affilato come un bisturi e incise una triangolo.



“E questo segna la tua rinascita come essere divino… Benvenuta nel regno dei demoni, Blue”.






"Fu Blue a rendermi la donna che sono.
Fu lei ad aiutarmi a vincere le mie paure, e ad avvicinarmi all’uomo che amo.
Fu lei a infondermi coraggio.
E ora che mi sono abbeverata del suo sangue, ora che è in me e io sono in lei, sono sicura che tutto andrà meglio.
Ora siamo tutti assieme, e voleremo liberi nei cieli bui di queste notti piene di sospiri affranti.
Saremo l’ombra attorno alla luce, la parte oscura della luna.
E prenderemo le vostre vite quando, tranquilli, affonderete le teste nei vostri cuscini."

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