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Lev - Nubian - 6 - L'ultima spiaggia

VI
L’ultima spiaggia


Il percorso 204 di Sinnoh era il versante di una collina su cui si erano formati dei grossi gradoni di roccia simili a terrazzamenti. La gelida temperatura e l’abbondante neve che era scesa su tutta la regione lo avevano reso complicato da attraversare, soprattutto alle otto di mattina. Kalut e Sapphire, quelli che trovavano meno difficoltà nella marcia, guidavano il gruppo assicurandosi che non fossero tesi loro brutti scherzi dal terreno accidentato. Dietro di loro: Aurora e Celia che continuavano a non scambiarsi alcuna parola e in fondo al gruppo Gold e Ruby, che intonavano un accorato lamento continuo, il primo a proposito dell’orario della sveglia, il secondo circa le condizioni della loro sgradevole passeggiata.
«Siamo quasi arrivati, avete abbottato» li richiamò Sapphire, poco prima di interrompere la marcia.
«Che succede?» chiese Aurora, da dietro.
Sapphire sembrava star cercando di ricordare qualcosa, qualcosa di importante. Aveva già viaggiato a Sinnoh, ma lo aveva fatto in piena estate e non riusciva a ricollegare quel sentiero ad uno dei suoi ricordi.
«Non mi ricordo questa discesa» confessò al gruppo.
Tutti la raggiunsero, per cercare di capire, trovandosi sul ciglio di un alta scarpata particolarmente ripida, impossibile da superare senza rimetterci l’osso del collo.
«Gold, come abbiamo oltrepassato questo punto?» domandò Sapphire.
Gold scosse la testa lentamente, non ne aveva memoria.
«Il Tunnel Roccioso!» esclamò Sapphire, recuperando quel ricordo all’improvviso «c’è una piccola grotta che aggira lo strapiombo, si trova...» la ragazza si rese conto di essersi voltata per indicare la neve e solamente la neve. La parete su cui sarebbe dovuta essere l’entrata della grotta era completamente stata ricoperta da un bianco e candido manto gelato. Sarebbe stata complicata da localizzare e quasi impossibile da aprire.
«Dobbiamo scenderla da questo lato» concluse Ruby.
Con ben poca fiducia nella propria abilità da montanari, si stavano accingendo a discendere quella ripida scarpata gelata, quando una voce giunse loro da dietro un albero.
«Sarà difficile recuperarvi se cadete da quell’altezza, persino per noi» disse qualcuno.
L’intero gruppo si voltò: un uomo alto qualcosa come due metri, la cui stazza ricordava quella di un grosso bufalo era giunto a loro armato di bacchette da scalata e vestito con pesanti abiti escursionistici. Sul petto portava il simbolo della regione di Sidera, che Celia notò immediatamente.
«Mi chiamo Bronn, sono un alpinista e stavo proprio piazzando delle funi per facilitare l’attraversamento della discesa ai viandanti» sorrise lui, gonfiando il faccione paffuto.
Il volto di Celia si illuminò immediatamente, il suo gruppo la vide correre subito avanti e togliersi il cappuccio, per farsi identificare dall’uomo.
«Signorina» esplose Bronn, riconoscendola e improvvisando un goffo baciamano.
Kalut, in disparte, sorrideva. Aurora sperava che quella scena sarebbe terminata in fretta, poiché voleva andarsene, i Dexholder erano invece particolarmente incuriositi da ciò che stava accadendo di fronte a loro.
«Vedete, quando la Resistenza ha scoperto il piano di glaciazione della Faces» cominciò a spiegare Celia «ha reclutato gli Alpinisti di Sidera come squadra di soccorso che avrebbe lavorato in tutta Sinnoh per aiutare i viandanti in difficoltà, mentre noi tentiamo di fermare il problema alla fonte, loro aiutano i civili» concluse.
«Siamo sempre pronti per dare una mano» sorrise quello.
«Come sta Ercole?» chiese Celia rivolgendosi esclusivamente a Bronn.
«Il capo sta bene, è felice di poter dare una mano qui, a voi» rispose lui.
«Salutalo da parte mia».
«Certamente» fece il montanaro, gioviale «adesso seguitemi, vi aiuto a scendere» li invitò.
Seguendo Bronn, giunsero alla famosa fune che lui aveva appena piazzato: la cima era assicurata al tronco di un grosso pino e si lanciava giù lungo la ripida discesa, arrivando a stringersi ad un secondo albero. La corda era tozza e fissata con dei moschettoni d’acciaio e presentava, per tutta la sua lunghezza, dei nodi equidistanti a cui aggrapparsi.
«Fate andare prima i più esperti» consigliò l’alpinista.
Sapphire e Kalut, stringendosi alla fune, si calarono lentamente giù dal bordo della parete. Il resto del gruppo li imitò, lasciando ultima Celia, che salutò Bronn prima di seguire gli altri. I ragazzi si allontanarono, con in sottofondo il suono di un martello: il montanaro che li aveva aiutati stava fissando ad un albero un cartello che rendesse evidente la posizione della corda.
Camminarono per altre decine di minuti. Quando iniziarono a scorgere i palazzi di Giubilopoli in lontananza, si resero conto di dover attraversare solo un ultima distesa di neve, prima di mettere i piedi sull’asfalto dell’ambiente urbano.

«Blue» fece Green, sorseggiando il suo caffè bollente.
«Dimmi» rispose la sua ragazza, con le guance rossicce che faceva capolino da una grossa sciarpa di lana rossa.
«Sei andata ad una visita ginecologica di Yellow?»
Blue fece una smorfia stranissima, presa alla sprovvista da quella particolare domanda.
«Ho letto una roba del genere sulla tua lista delle cose da fare» spiegò quello.
«Green, non so di cosa tu stia parlando»
«Non è che mica...»
«Eccoli» lo interruppe lei, vedendo in lontananza i volti infreddoliti di Sapphire e Gold.
Blue andò subito incontro ai suoi amici, presentandosi a Celia e ad Aurora, che si introdussero come membri della Resistenza. I suoi occhi, come quelli del Capopalestra di Smeraldopoli, scrutarono Kalut per qualche istante, come nel tentativo di decifrarlo.
«Vogliamo subito avviarci verso Canalipoli?» domandò Ruby, per movimentare le cose.
«La Dexholder di Sinnoh ci sta aspettando» sottolineò Kalut, col suo fare enigmatico.
Green e Blue acconsentirono, erano più freschi e riposati dei loro amici, necessitavano di un po’ di movimento. Gold e Sapphire sembravano non aspettare altro e Celia si convinse scuotendo la testa. Si concessero pochi minuti per riscaldare lo spirito con un buon caffè, prima di avviarsi verso ovest, alla volta del Percorso 218.
«Io vi lascio qui» disse a quel punto Aurora, cercando nella borsa le carte d’imbarco per Holon.
«Cerca di gestire Holon al meglio, ne abbiamo bisogno» le intimò Kalut, salutandola con un rapido abbraccio.
«Ci vediamo» la congedò Celia, rivolgendole uno sguardo di sopportazione.
La Capopalestra abbandonò il gruppo, incamminandosi verso l’aeroporto.
«Allora, avete un bel po’ di cose da spiegarci, immagino» iniziò Blue.
Attraversando l’intera città di Giubilopoli, i Dexholder riassunsero ai loro colleghi di Kanto ciò che i membri della Resistenza avevano comunicato loro nella giornata precedente. Raccontarono delle scoperte a proposito della Faces che aveva incaricato i suoi agenti della cattura di innumerevoli Pokémon di tipo Ghiaccio, dei loro piani per la conquista di Sinnoh, delle loro intenzioni ultime, a proposito della protezione del sistema di Allenamento.
Green non diede alcun cenno di stupore o di sorpresa, mantenne lo sguardo truce fisso sul marciapiede che era intento a calpestare, in una calma innaturale. Blue, partecipò con più interesse al resoconto, facendo domande e palesando la sua incredulità con qualche mormorio.
«E’ assurdo... un parco giochi...» diceva, prima che Kalut interrompesse la marcia alzando il braccio.
Si resero tutti conto di essere usciti dalla città e di trovarsi sull’ultima piccola striscia di terra prima di un ampio bacino di mare che separava Canalipoli da Giubilopoli. Era la baia dei pescatori, con pontili e scogli dai quali, nei mesi estivi, molti appassionati lanciavano i propri ami nell’acqua salmastra.
«Possiamo aggirarla, sarà difficile nuotare per dei normali Pokémon di tipo Acqua» propose il ragazzo dai capelli bianchi.
Gli diedero ascolto, avrebbero curvato a sud, per fare il giro della baia ed evitarne le gelide correnti. Impiegarono poco tempo, ma tra uno sterpo e un cespuglio innevato, oltrepassarono la fitta foresta di conifere non senza difficoltà. Non vi erano sentieri battuti, solo macchia.
Giunsero al varco quando ormai i languori del pranzo iniziavano a farsi sentire dai loro stomaci.
«Per quale motivo Platinum ci ha fatti arrivare a Canalipoli, maledizione...» si lamentava Gold, togliendosi la neve dal cappuccio, all’interno della zona di transito. L’addetta al bancone li fissava con occhi incuriositi, credeva di aver visto qualche faccia conosciuta, tra loro. Nel frattempo, nel grosso schermo che era appeso al centro di quel corridoio, scorreva lo spot di una fragranza Hugo Boss, il cui testimonial altri non era che il caro vecchio Ruby.

Platinum stringeva la tracolla della borsa nella sua mano sinistra, infagottandosi nel suo stesso cappotto per conservare il calore. Il suo collo era cinto da un’abbondante sciarpa e le sue mani da un paio di caldi guanti.
Trepidava dall’attesa, aveva alloggiato due giorni in un hotel a cinque stelle che apparteneva alla sua famiglia senza far nulla. Aveva solo atteso Sapphire e gli altri Dexholder, per comunicare loro ciò che aveva scoperto, perché potessero aiutare a rimettere a posto la gelida situazione di Sinnoh.
Non aveva portato i suoi anelli. La cosa l’aveva fatta riflettere parecchio: le pietre che vi erano incastonate le ricordavano i suoi amici, i due ragazzi che l’avevano accompagnata per il suo viaggio. Aveva dei bei ricordi circa le loro strane avventure. Avevano salvato il mondo senza la minima idea di cosa stessero facendo per la maggior parte del tempo.
Dopo gli eventi di Rayquaza, aveva preferito non allertarli, non chiamarli, dimenticarsi di loro. Dopo gli eventi di Vivalet, se ne era resa conto. Non avrebbe mai voluto far immischiare Diamond e Pearl in una questione tanto sanguinosa.
Erano delle persone dolcissime e fedeli, dei comici, dei sognatori. Ma non erano guerrieri.
Era stata egocentrica, ne era cosciente, ma sapeva di aver fatto la cosa giusta. Li stava proteggendo.
“Come stai?” era scritto nel messaggio inviatole da Diamond, qualche minuto prima.
“Sono ancora a casa, al sicuro” scrisse e inviò.
Rimise il cellulare al suo posto: nella tasca laterale della borsa. In quella principale c’erano invece le pozioni, i vestiti e gli altri strumenti necessari per sostenere un lungo viaggio. A Vivalet, aveva lasciato che Sapphire la mandasse a casa, per allontanarla dal pericolo. Le aveva concesso di farlo, rinunciando al proprio orgoglio.
Non sarebbe successo una seconda volta, l’avrebbe seguita e avrebbe lottato al suo fianco. Era la cosa giusta da fare. Lei era una guerriera.
«Platinum» la chiamò qualcuno, in lontananza.
Lady Berlitz si voltò, intravedendo le sagome di cinque Dexholder e di due persone la cui identità le era ancora sconosciuta. Alzò la mano per salutare, sorridendo elegantemente.

«Siete stati seguiti fin qui?» domandò Platinum, posando la sua cioccolata calda sul tavolino del bar.
«No, per ora siamo ancora in incognito» la rassicurò Kalut, che teneva sempre d’occhio tutto.
«Ripetimi, chi è lei?» chiese Celia a Sapphire, rivolgendo l’indice verso Platinum.
«Una Dexholder, intendo aiutarvi a risolvere i problemi che avete con la Faces» rispose Lady Berlitz, non volendo essere presentata da terzi.
Per un lungo istante, tutto il mondo si fermò e, tra loro, scese il silenzio. Ognuno, a quel tavolo, fissava Platinum. Quella non intendeva lasciar trapelare il godimento che stava provando nel solleticarli in quel modo e sorseggiava la cioccolata calda con fare disinvolto.
«Come sai della Faces? Nessuno a parte noi ne è a conoscenza» mormorò Green.
«Se ne sei convinto...» fece lei.
«Platinum, che cos’hai scoperto?» le chiese Blue, serissima in volto.
«Ero tornata a Sinnoh per indagare su qualcosa che potesse aver avuto a che fare con gli eventi di Vivalet» cominciò a spiegare quella «ho visitato le Palestre e parlato con i Superquattro, ho cercato informazioni ovunque, senza ottenere un bel niente. Finché non ho deciso di tornare a casa...» detto questo, prese dei fogli da una cartella che teneva in borsa e li posizionò sotto gli occhi di tutti, sul tavolino.
«Che roba è?» domandarono Sapphire e Gold, non vedendovi alcun’immagine, ma solo lettere e numeri.
«Contratti di finanziamento» rispose Green, che era dentro a quelle questioni da parecchi anni «da parte della Berlitz Enterprises».
«E’ la società della mia famiglia» spiegò «leggete il nome del destinatario delle donazioni».
«F.A.C.E.S. Corporation?» notò Blue «la tua famiglia ha finanziato la Faces?»
«Non esattamente» la corresse Ruby, che pure ne masticava abbastanza di materie burocratiche «i finanziamenti provengono da alcune imprese che fanno parte della sua società, non dall’intera organizzazione».
«La Faces ha richiesto dei soldi e loro hanno accettato di finanziarla... mi sono chiesta perché» fece Platinum «poi sono andata a studiare nel dettaglio ognuna di queste imprese».
«Di cosa si occupano?» chiese Green.
«Costruzione, manutenzione, amministrazione... delle infrastrutture dedicate al turismo invernale, qui a Sinnoh» Platinum cominciò a sfogliare documento per documento, alzando gli occhi ogni tanto per vedere le reazioni degli altri Dexholder «questa possiede alcuni centri di ristoro e accoglienza alle pendici del Monte Corona, questa ha costruito Pokémon Market e centri commerciali nelle zone di Nevepoli, questa ha creato tutte le piste da sci del versante est...» spiegò loro.
Blue fece i suoi collegamenti, osservando la neve scendere lentamente sulla cittadina già coperta di bianco, fuori dalla finestra del bar.
«La Faces si è fatta finanziare sulla promessa di una condizione favorevole in cui il loro fatturato sarebbe aumentato a dismisura» concluse Platinum «non poteva essere un caso, giusto?»
Tra i ragazzi seduti al tavolo vi furono un paio di occhiate di consenso.
«Platinum, devi sapere che la Faces è anche l’organizzazione che ha causato l’incidente di Vivalet per incastrare Zero» le spiegò Green.
Quella si toccò la guancia con due dita «effettivamente, due eventi del genere a così breve distanza tra loro...» le sembrò ovvio.
«Hai trovato altre informazioni?» le chiese Blue, non accontentandosi di dati che già conosceva.
Lei scosse la testa «questo è l’unico contatto che la Faces ha avuto con la società dei Berlitz» ammise.
«Insomma, non abbiamo niente di nuovo» riassunse Celia, con delusione.
«Forse sì» tentò Green.
Tutto il gruppo si voltò verso di lui.
«La Faces è un’organizzazione costituita da più enti» cominciò a spiegare «se è vero che la maggior parte dei suoi membri costitutivi non conosce il disegno completo dietro le azioni dell’intera organizzazione, difficilmente avranno fatto destinare questo finanziamento al conto bancario collettivo, avrebbero diffuso un dato troppo sospetto. Invece, penso che abbiano pensato di far intestare questa donazione ad una precisa sezione della società, o comunque ad un prestanome. A questo punto, basterebbe indagare nel dettaglio su quale impresa ne ha beneficiato per riuscire a tracciare una pista» sciorinò.
«E Hansel e Gretel?» chiese Gold.
«Puoi fare quello che ha detto Green?» chiese Blue a Platinum.
Ormai tutti aspettavano una risposta positiva, altrimenti avrebbero perso pure l’unico bagliore di speranza acceso dal Capopalestra di Smeraldopoli.
«Credo di riuscirci...» mormorò lei.

«Buongiorno, signorina» rispose il maggiordomo, sollevando la cornetta con i guanti di seta.
“Sebastian, ho bisogno del tuo aiuto” disse Platinum dall’altro capo del telefono.
«Certamente, mi dica solo come posso esserle utile».
“Ti ho inviato per mail il codice di un conto bancario, puoi controllare a chi è intestato?”
«Il signor Berlitz sa di questa sua necessità?» domandò l’uomo.
“Assolutamente sì” mentì lei.
Sebastian attese alcuni secondi, valutando le magre abilità da bugiarda di Platinum «andrò immediatamente a verificare, la richiamerò non appena avrò il risultato».
“Ok...” disse, prima di essere interrotta dalle voci indistinte di qualcuno “no, non richiamarmi, invia i risultati come risposta alla mia mail” si rettificò.
«Come desidera, signorina, le auguro una buona giornata» si congedò Sebastian.
Il maggiordomo di casa Berlitz posò il telefono e si avviò verso l’ala nord. La villa era quasi vuota, i corridoi silenziosi, e resi inquietanti da tutti i ritratti e le statue che vi erano stati esposti. Sebastian entrò nello studio del signor Berlitz, accese il computer e aprì la propria mail. Lesse il codice. Fece scrocchiare le dita, si sedette e si preparò al lavoro.
Era un uomo molto preparato negli ambiti più disparati: ottimo pianista e violinista, cuoco provetto, gran giocatore di golf, discreto pokerista, erudito di botanica, psicologia e fisica quantistica. Ma una delle materie in cui si sentiva più sicuro di sé era l’informatica.
Non impiegò molto ad accedere agli archivi privati dell’azienda, dati che il signor Berlitz, il nonno di Platinum, teneva solo per sé e pochi altri. Verificò che fossero presenti anche le informazioni relative alle altre compagnie. Trovò il file che cercava, in una sezione dedicata ad alcune transizioni effettuate dalla società a nome collettivo.
«Sebastian» disse qualcuno.
Il maggiordomo alzò lo sguardo verso la porta dello studio. Immobile, facendo capolino dal corridoio, c’era la signora Berlitz, nonna di Platinum: i denti perfetti, luminosi quasi quanto la sua collana di perle, il vestito impeccabile, i capelli acconciati quella mattina stessa.
«Signora» si alzò quello, senza tradire la minima preoccupazione.
«Che ci fai qui?» chiese lei, stupita, ma non allarmata.
Quello si schiarì la voce «mi ha beccato, signora, stavo giocando una partita a scacchi, non mi piace giocare da solo e... beh, nessuno dei giardinieri è al mio livello» ammise, con la massima calma.
«Oh, capisco, non preoccuparti, sta attento al modellino della M/N Anna del 1955, mio marito tiene più a quella barca che a me» disse, indicando il traghetto in scala che era sulla scrivania, accanto alla foto di famiglia.
«Nave, signora» la corresse lui, sorridendo smagliante «e, per essere puntigliosi, risale al 1953».
La signora Berlitz scosse la testa «voi uomini e le vostre fissazioni» disse, lasciando lo studio.
Sebastian tornò a sedersi, continuando la sua ricerca. Viaggiò tra dati bancari, fatturati, analisi di mercato e altre informazioni che ogni buon imprenditore sapeva come procurarsi sottobanco, in modo non esattamente legale, per essere sempre un passo avanti ai propri concorrenti.
Trovò quello che cercava.

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