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Andy Black - Unravel Me - 7. Sette (VII)



UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.

UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
 




Unima, Austropoli, Leverack Street, FAME HUB, 25 aprile 20XX

Il vociare in sala era concitato.
Trenta file di persone erano incolonnate ordinatamente nella platea di quell'edificio meraviglioso che era il FAME HUB; ricavato da un vecchio mattatoio, fu rilevato agli inizi degli anni '00 da un ricco imprenditore di Ponentopoli, che lo trasformò, rendendolo uno dei posti più in di tutta la città.
Si respirava un'aria leggera, lì.
“Com'è la situazione?” domandava Ruby, immobile al centro del corridoio dietro le quinte. Modelle e truccatori s'inseguivano in una lunga danza d'accoppiamento, in cui le prime venivano catturate dai secondi e sottoposte a un processo che avrebbe reso i loro occhi più brillanti, la loro pelle più candida, le loro labbra più carnose.
Era in piedi, davanti a una finestra che dava direttamente sulla platea. Guardava le persone che parlavano.
I più parevano altezzosi omuncoli vestiti coi meglio abiti del mondo, pronti a sparare commenti gratuiti su quello che era stato definito il nuovo Micheal Kors.
A Ruby quel paragone pesava.
Pesava tanto.
“Ci sono quasi tutti. La zona dei giornalisti e dei fotografi è piena” fece White, che indossava per l'occasione un abito bianco e nero confezionato proprio da Ruby.
Erano rare le volte che lasciava i capelli sciolti ma quando lo faceva, come quella volta, riusciva a dare al proprio viso un equilibrio che la rendeva più bella.
“Non dire così...” rispose l'altro. “Tra poco svengo, Gesù...”.
Poi, alle sue spalle, uscendo dalla penombra, apparve Yvonne, stretta nel suo vestito.
Trucco e parrucco le erano già stati applicati. Il fianco candido era scoperto, sotto il bacio pallido dei deboli fari che illuminavano l'ambiente, e il seno era in bella vista, nonostante l'eleganza della fasce che le coprivano il petto, lasciando scoperto il centro della scollatura, fino all'ombelico e anche oltre.
“Stai tranquillo” disse la bionda, aderendo contro la sua schiena e cingendogli vita; poggiò il mento sulla sua spalla. “Andrà bene. Gli abiti sono tutti fantastici”.
Quello dagli occhi rossi riconobbe il profumo della donna, finendo per sospirare.
“Tu sei pronta?” le chiese, immobile.
“Mancano le scarpe. Le metto dopo”.
“Fatti aiutare e non rovinare il vestito”.
Poi White si voltò, la guardò e spalancò gli occhi. “Cielo, che meraviglia...”.
Si avvicinò a lei e la tirò via dallo stilista.
“Sei meravigliosa” disse, facendola voltare lentamente. Saggiava con le dita il tessuto delicato dell'abito, poggiate sulle curve deliziose di Yvonne, che reagì soltanto sorridendo.
Ruby non si curò di loro, avvicinandosi a sua volta alla finestra che dava sul pubblico.
E in prima fila la vide: Sapphire, in un elegante tubino nero con dei volant sull'ampio seno.
Gli occhi inconfondibilmente blu, e quella pettinatura caratteristica che aveva imparato ad amare.
“È qui” sussurrò.
Yvonne e White si voltarono, raggiungendolo. “Cosa?” domandò la prima, andando alla sua destra. L'altra invece aveva già capito, e gettò un occhio in sala.
“Non la vedo”.
“Quella col vestito nero, la terza sulla sinistra”.
White guardò dritto, fissando con attenzione la prima fila: vi era un uomo, dai lunghi capelli castani lasciati cadere sulle spalle; indossava un maglioncino di filo blu, parecchio attillato, a collo alto.
La lunga barba era incolta, e terminava poco prima della collana con la croce d'argento.
Prima di lui vi era un uomo con la coppola marrone e un lungo soprabito. Col cellulare, scattava foto in continuazione.
Infine vi era lei.
“Sì” replicò la Presidentessa, sistemando un ciuffo ribelle dietro l'orecchio destro. “Quella donna è Sapphire”.
Ruby sospirò, poggiando la fronte calda su quel vetro che pareva essere fatto di sottile e trasparente ghiaccio. L’ansia era troppa, e le aspettative che tutti gli stavano caricando addosso lo stavano flettendo lentamente: tutti i giornali parlavano di questo nuovo fenomeno, e il suo atelier stava acquistando rapidamente popolarità senza neppure possedere un abito a catalogo per la vendita.
Chiunque avesse letto una rivista di moda negli ultimi sette giorni sapeva che quel giorno, al FAME HUB, sarebbe nata una stella.
E quella consapevolezza, l'idea che tutti si aspettassero qualcosa di meraviglioso, gli triturava le costole. La presenza di Sapphire lì, poi, non lo metteva a proprio agio.
Non sapeva se quella sera sarebbe salito sul carro dei vincitori, e se così non fosse stato non avrebbe voluto guardare negli occhi la sua donna, mentre la gente gli dava del fallito.
Sospirò. Quell’insicurezza non era da lui.
“Andrà tutto bene” disse poi Yvonne, prendendogli la mano, quasi come se gli avesse letto le preoccupazioni nello sguardo. “Sapphire è qui per te. E in ogni caso sarà un successo”.
“Vero” rincalzò White, sorridendo contenta. “I tuoi vestiti sono meravigliosi”.
“Sì, me lo ripetete tutti...” sbuffò quello, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni neri e attillati. “Ma è il momento di dimostrare qualcosa”.
Spalancò poi gli occhi, pieno di una nuova energia. “E forza tutte, ragazze!” urlò, spostando delicatamente Yvonne e avanzando al centro della sala. Analizzò con sguardo fisso ogni elemento, dai truccatori che stavano lavorando sulle ultime modelle, che ancora dovevano indossare gli abiti con cui avrebbero solcato le passerelle, ai tecnici delle luci, dietro le consolle, che urlavano ai loro aiutanti di regolare il fissaggio dei fari.
Respirava ad ampi polmoni, Ruby.
Forse era stato soltanto il panico a coglierlo: aveva desiderato per anni un momento come quello e proprio in quell'istante capì di volersi trovare da un'altra parte.
Persone su persone, tanta gente che lavorava per e con lui, ma lì, dietro la cascata di tessuto del palcoscenico, avrebbe voluto Sapphire. Soltanto lei.
White lo vedeva boccheggiare. Gli si avvicinò lenta, poggiandogli una mano sulla spalla.
“Hey... Manca un minuto all'inizio della sfilata. Preferisci che rimanga qui o posso andare a sedermi davanti, al mio posto?”.
Ruby si voltò, guardandola negli occhi.
“No, vai. Vai pure...”.
“Sei sicuro? Non ho alcun problema a stare con te, sia chiaro!” faceva la donna, sorpresa dalla situazione. Poi guardò negli occhi Ruby e ne saggiò la rinnovata determinazione.
“È stato… è stato solo un momento. Tranquilla. Posso fare ogni cosa, se voglio”.
White sorrise.
“Ora ti riconosco”.
La musica partì all’improvviso, facendo sobbalzare Yvonne, che poggiò una mano sul petto.
“Mon Dieu…”.
“Forza” le disse il ragazzo, carezzandole i lunghi capelli. “Finisci di prepararti. E voi!” fece, voltandosi verso le altre ragazze. “Stasera vi voglio perfette! Siete in grado di farcela?”.
Tutte annuirono, con gli occhi preoccupati.
“Ma andrà bene” sorrise poi, infilando le mani nelle tasche dei suoi pantaloni neri e cercando di distendere gli animi. “Perché siamo vincenti. Perché gli abiti sono ben fatti e voi, oltre a essere preparatissime, siete miracoli della natura. Kimberly” la chiamò poi, voltandosi e guardando la rossa, che si alzò immediatamente in piedi.
“Ruby” rispose, avvicinandosi.
Lui la guardò in volto, quasi del tutto struccata, perdendosi per un attimo nei suoi occhi. Passò poi a carezzarle con lo sguardo i capelli, chiusi in una grossa treccia a spina di pesce.
“Sei la prima. Mi raccomando”.
Quella annuì, sospirando e vedendo il ragazzo tenderle i lembi della giacca che indossava.
“Che succede?” domandò, guardandolo dall’alto dei quindici centimetri dei tacchi che la elevavano. “Tutto bene?”.
“Sì” rispose quello, allargando il bordo della gonna e prendendo una spilla dalla tasca. S’inginocchiò e, con l’ausilio di un paio di forbici, ne tagliò una parte.
“Ruby! Che fai?!” urlò White, impanicata.
La voce dello speaker, intanto, dava il benvenuto agli ospiti.
“Sta cominciando!” rincarò la Presidentessa.
“White, dopo, sto lavorando…” faceva lo stilista, mentre continuava a tagliare. Il tessuto della gonna beige della donna s’apriva in due, lasciando all’occhio la bellezza delle cosce della rossa.
“Perché mi spogli?” chiese invece Kimberly, totalmente immobile.
“Meglio nuda davanti a noi che in passerella…”.
“Il vestito è tagliato male?”.
Ruby alzò gli occhi, guardando con sufficienza la modella, che si limitò a sorridere.
“Facciamo che non rispondo”.
Inserì poi la spilla nel tessuto e la chiuse, rialzandosi in piedi.
“Come te lo senti?”.
Tutti guardavano Kimberly, mentre la musica andava e il palco, a qualche metro da loro, si apriva.
“Vai!” urlava White, spingendo la ragazza, evitando di farla cadere.
“Va bene, va bene!” rispondeva invece l’altra, indossando poi la poker face e cominciando a camminare con eleganza verso la luce bianca dei riflettori.
E fu lei la prima a calcare la passerella.
White sbuffò, tirando fuori tutta l’ansia repressa.
“Dannazione, Ruby!” fece, afferrandolo per il braccio e portandolo verso la finestra laterale, da dove ammirarono Kimberly arrivare in fondo e posare per le fotografie, prima di voltarsi e ritornare indietro.
“Fa’ che non cada, fa’ che non cada, fa’ che non cada, fa’ che non cada…” faceva la donna, stringendo sempre più forte la mano di Ruby, che intanto aveva poggiato l’avambraccio sul vetro e vi premeva contro la fronte.
“Non cadrà”.
Passò un secondo dalle parole di Ruby che White si voltò verso di lui, toccandogli la spalla.
“Perché le hai tagliato la gonna?”.
“Era troppo tesa sul bordo. O Kimberly stasera è gonfia o io ho sbagliato a prendere le misure”.
White sorrise e inarcò un sopracciglio. “Kimberly mi sembra tutto tranne che gonfia…” ribatté l’altra, guardando la figura perfetta e slanciata della modella che arrivava a capo della passerella.
Ruby guardava silenzioso, col cuore che batteva forte.
“Esci…” sussurrò, quasi come se le stesse parlando all’orecchio. Quella guardò fissa la luce bianca che aveva davanti, sparata dal riflettore che l’accecava e le faceva distinguere solo i flash dei fotografi, quindi uscì da dov’era entrata, camminando elegantemente.
Arrivò davanti ai due, col volto cereo.
Entrambi rimasero in silenzio, prima che quella si piegasse in due, vomitando tutto ciò che avesse in corpo, per lo più alcool e qualcosa che alcune ore prima era riconducibile a tre foglie d’insalata verde.
Il ragazzo corse da lei, sollevandole i capelli e mantenendole la fronte. Poi guardò White, col volto di chi sapeva e sospirò.
“Non sbaglio mai, quando prendo le misure…”.

La sfilata proseguì in quel modo. Non vomitò più nessuna. Le restanti tredici fecero il proprio lavoro, con White che fremeva dietro al vetro e sussurrava fa’ che non cada come se fosse un mantra, e Ruby che continuava a rimbalzare gli occhi tra le modelle e i loro movimenti sinuosi e le reazioni di Sapphire, che si limitava ad applaudire alla fine di ogni passerella, senza mai guardarsi attorno. Aveva sul viso un'espressione neutra, da cui non traspariva mai un'emozione.
Non sorrideva, né si mordeva l'interno delle guance, com'era abituata a fare spesso.
Ed era l'unico cruccio del ragazzo, che quella sera aveva guadagnato serenità man mano che le ragazze s’accalcavano, sfilando elegantemente sulle lastre nere e lucide della passerella.
Volle lasciare Yvonne per ultima.
Lei era pronta; era accanto all’ingresso in passerella, proprio davanti alla cassa che espelleva musica di dubbio gusto ad alto volume. Nei suoi occhi s’intravedeva però una vena d’insicurezza ed era strano.
Solo con lo sguardo Ruby le fece intendere di aver capito; Yvonne s'aggrappò a quegli occhi per un lunghissimo secondi, riuscendo quasi a parlargli.
E se solo avesse potuto, avrebbero detto:


“So che sfilo ormai da un po'... Non molto, in realtà, ma tre o quattro passerelle le ho calcate. Però non avevano questo peso, quest'importanza per me.
Tu mi chiederai: perché dovrebbe avere peso per te, questa sfilata?
La risposta è che lo ha perché ha peso per te; percepisco il tuo panico, il tuo dolore nel guardare Sapphire davanti a te, che non si scompone, che non guarda oltre il vuoto del palcoscenico né sorride.
Apatica, è lì. E lo so, può essere un problema se la donna che ami non ti apprezza, né ti dimostra il suo orgoglio per il tuo operato. Io però capisco quanto per te sia importante, questa sfilata, e non voglio sfigurare.
Perché ho indosso il tuo miglior vestito, fino ad ora, e se sfigurassi io automaticamente lo farebbe anche lui.
E voglio che diventi uno tra i grandi.
Perché mi hai teso la mano e mi hai tirato fuori dal fosso dov'ero bloccata; mi hai pulita dal fango e mi hai trattata come la più preziosa tra le rose che hai nel bouquet”.


“È il tuo momento...” le aveva detto quello.
Yvonne si era limitata ad annuire. Combatté contro il panico, che la costringeva a non muoversi da lì, quindi sospirò e fece tutto come avevano provato in atelier, poco tempo prima.
Avanzò, un passo, due, tre passi, le luci dei flash avevano inondato il suo volto e accecato i suoi occhi. Vedeva soltanto i led che delimitavano i bordi della passerella.
Al contrario di tutte le sue colleghe, il suo volto non era serio. Lei non era un manichino, lei era la protagonista, e quindi sorrise leggermente, con le braccia lunghe che ondeggiavano in corrispondenza di ogni suo sinuosissimo passo.
“Forza...” diceva Ruby, al di là del vetro opaco, stringendo la mano a White, che s'era totalmente zittita. Stava mantenendo il respiro.
“Presidentessa...” sussurrò lo stilista, continuando a guardare dritto. “Mi stai stritolando la mano...”.
“Lo so. Sopporta in silenzio”.
Yvonne camminava elegantemente, col viso che puntava dritto e quel sorriso che continuava a bucare le fotocamere.
Arrivò in fondo e posò le mani sui fianchi nudi, quindi, come provato in atelier, guardò prima a sinistra e poi a destra. Cercò Sapphire con lo sguardo ma quella non era più al suo posto.
Non rimase a pensare per troppo tempo, fissò dritto e contò.
“Uno... due...”.
Allargò il sorriso, sempre leggero, sempre delicato e nascosto dalle morbide labbra.
“Cielo...” fece Ruby, ridendo. “Lo ha fatto davvero”.
White sentiva le altre modelle, tutte alle loro spalle, commentare incredule.
La modella in passerella poi si voltò, mostrando l'incredibile lavoro che lo stilista aveva fatto sul retro del vestito. Arrivò quindi alla fine, si voltò ancora e fissò dritto, portando nuovamente le mani ai fianchi e rimanendo seria per un solo secondo, prima di esplodere in una risata.
Poi uscì dalla scena.

Si presentò davanti ai loro occhi con le lacrime pronte a scendere, col trucco che le illuminava il viso e i capelli che, ancora ben acconciati, le incorniciavano l'ovale. L'abito le stava addosso in maniera sopraffina, lasciandole scoperti parte del seno e l'intero centro addome, fin sotto l'ombelico.
“È andata!” sorrise, fiera, camminando rapida verso Ruby e gettandosi tra le sue braccia. “Ce l'ho fatta!”.
“Sei stata fantastica” le diceva l'altro, stringendola alla vita, delicatamente. White la vide affondare il viso tra la spalla e il collo di Ruby, avvolgendogli le braccia attorno al collo.
Era intimo. Sembravano totalmente isolati dal resto del mondo, uniti in quella stretta in cui entrambi attingevano dall'altro un po' di quel sollievo di cui necessitavano.
Quella sfilata li aveva messi a dura prova, portandoli l'uno di fronte all'altra e mettendo a nudo le loro insicurezze.
Tuttavia erano in mezzo ad altre quattordici modelle, l'intera crew di preparazione tra tecnici del suono, delle luci, truccatori, parrucchieri e assistenti, oltre alla stessa White, e la cosa cominciava a sembrare un tantino esagerata.
“Ragazzi...” disse la Presidentessa, avvicinandosi. “Forza...” faceva, staccandoli, quasi infastidita; suscitò in Ruby il sorriso. Quello s'isolò dal gruppo, riacquistando posizione presso il vetro.
“È andata via...”.
Nel petto il cuore batteva come una grancassa, spezzandogli il respiro ritmicamente, sistematicamente. Era dura.
Perché non era entrata lì? La musica suonava ancora ad alto volume e telefonarle era assolutamente fuori discussione. Tuttavia avrebbe potuto mandarle un messaggio.
Già, avrebbe potuto, se il cellulare non avesse esaurito la batteria.
“Non c'era” sussurrò Yvonne, avvicinatasi a lui. “Non appena sono arrivata alla fine della passerella, Sapphire era già andata via...”.
Quello sbuffò e sentì il presentatore chiamarlo.
I suoi occhi rubini si spalancarono e il panico lo avvolse interamente.
Cercò con lo sguardo aiuto in Yvonne, che si limitò a fare spallucce. Al contrario White, più reattiva, spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e corse verso di lui, tirandolo poi a sé e spingendolo in direzione della passerella.
Fu praticamente sommerso dalle luci dei fotografi.

Lui è Ruby! E questo è l'Atelier Automne! Da domani su tutti i cataloghi online!

Per un attimo dimenticò tutto.
Dimenticò di essere un Dexholder, di avere Pokémon nella cintura di quei pantaloni di pelle. Dimenticò come si chiamava, da dove veniva. Dov'era nato e l'età in cui si era trasferito a Hoenn.
Dimenticò l'odore dei prati, il colore dei tetti di Albanova, e Albanova stessa, sonnacchiosa e sempreverde, priva di un qualsivoglia vagito di vita.
Dimenticò il nome dei colori, e quello dei suoi piatti preferiti.
Dimenticò il volto di suo padre, e la voce di sua madre. Niente più responsabilità, né cose da fare.
Dimenticò Rossella, Rocco, Adriano. Birch.
Dimenticò Groudon e Kyogre, e quella cicatrice che gli deturpava la fronte, testimone dei suoi errori, involontari lampi di un ragazzino senza troppi limiti imposti.
Dimenticò Sapphire e la fuga galeotta di quella sera, senza un motivo ben preciso.
Dimenticò la sua voce, i suoi occhi e il profumo dei suoi capelli. In quel momento non esisteva il suo odore, né la sensazione di vuoto che provava nello stomaco quando lei era stesa accanto a lui.
Dimenticò il suo seno, morbido e leggermente smagliato sul lato, totalmente in contrasto con l’addome tonico e il sedere sodo.
Dimenticò il fastidio che provava quando si svegliava e trovava i vestiti di quella, che indossava la sera prima, tutti sparpagliati per la stanza. E dimenticò anche di dimenticare sempre di arrabbiarsi con lei, in quelle circostanze, perché la vedeva dormire accanto a lui e se ne innamorava.
Ogni dannata e patetica volta.
Aveva dimenticato tutto.
Su quel palco era rimasto soltanto il guscio vuoto di una vita vissuta essendo qualcosa che in quel momento gli pareva distante anni luce.
Si stagliava silenzioso contro l'onda luminosa che catturava un'immagine distorta di quella che era la realtà. I flash violentavano il suo sguardo, mentre la musica si abbassava.
Lui era in alto e gli altri in platea, mentre le sue debolezze venivano spente, come cicatrici cauterizzate dal calore di persone che non conosceva e che l'indomani lo avrebbero osannato come il nuovo genio della moda.
Stringeva tra le mani un microfono. Lo guardò, mentre i flash continuavano a disorientarlo.
Il silenzio calò, mentre un leggero fischio si diffuse dalle colonne nere di JBL, al lato della passerella.
“Buonasera” sorrise poi. Era visibilmente commosso e la gente cominciò ad applaudirlo, quasi come per incoraggiarlo.
“Vorrei… vorrei ringraziarvi tutti. Non è la prima volta che mi trovo davanti a una platea così grande di persone, ma forse è la prima volta che mi sento… quasi nudo. E per uno stilista è quasi un paradosso”.
La gente rise.
“Speriamo soltanto che questa sia la prima di tante altre manifestazioni. Troverete i miei abiti sui migliori cataloghi online. Per informazioni prendete le brochure prima di andare via”.
Sorrise, quello, mentre i flash continuavano a catturare la sua immagine, a intermittenza.
“Vorrei comunque ringraziare tutti i ragazzi che sono dietro le quinte che... che hanno lavorato duramente...” diceva, allungando poi lo sguardo verso il grande maxischermo sulla sinistra, dove poteva vedere il suo volto, visibilmente scosso.
Analizzò per un decimo di secondo quell'uomo, ritenendolo estraneo ai propri occhi, nonostante avesse le sue stesse iridi rubine, gli stessi capelli corvini laccati e quella cicatrice che gli attraversava la tempia destra.
“Inoltre ringrazio i truccatori e i parrucchieri, i tecnici... e la mia amica White, presidentessa dell'agenzia che ci ha fornito le meravigliose modelle, che ora chiamo sulla passerella”.
Fu lui il primo ad applaudire, seguito dal resto della folla. Una ad una le ragazze uscirono eleganti, nella stessa sequenza in cui erano apparse al grande pubblico del FAME HUB. Con lo sguardo le cercò tutte, ricordando i loro nomi non appena fissava i loro occhi.

“Kendra, Kimberly... Faye... August, Blanche e Monique... Chanel e Naomi... Janice, Isis, Katie... Mallory... Valentina e Kelly... e poi Yvonne.

Ancora una volta fu rapito dal sorriso della bella bionda, che gli si avvicinò, stringendolo in vita.
Si sporse poi verso il suo orecchio, sussurrandogli una frase.
“Tres bien”.
“Loro sono le meraviglie della natura che indossano i miei abiti stasera. Applausi per loro e buonanotte a tutti”.
Il boato scemò un minuto dopo, quando cominciò la processione per il rientro verso le dimore.

Non ci volle molto prima che Ruby ritornasse da White, dietro le quinte.
Quella manteneva tra le mani una bottiglia di costosissimo Jéroboam, e sorrideva vistosamente. Ruby sentiva una stanchezza non indifferente in corpo, e la voglia di levare quel vestito nero confezionato da lui era più grande di quella di festeggiare.
Ma ovviamente White non lo capiva.
Si alzò, non appena lo vide avvicinarsi a lei.
“Mi hai addirittura incluso nei ringraziamenti finali” esordì, porgendo all'uomo la bottiglia e con quella l'onere di stapparla. Lui abbassò lo sguardo, fissando per un secondo la bottiglia di Portofino,   finendo poi per fare cenno di no con la testa.
“No, non è il caso che beva, credimi. Sono leggermente angosciato dalla situazione di Sapphire e ho il telefono scarico, non la posso neppure chiamare...”.
“Eh no” lo bloccò lei. “Dobbiamo festeggiare. Telefona a Sapphire e dille di raggiungerci. Magari ha avuto qualche contrattempo” disse, cercando nella borsa il Blackberry. Lo afferrò e guardò negli occhi vermigli lo stilista.
Riusciva a saggiarne il malessere, mentre aspettava con insana impazienza che quella gli cedesse il cellulare.
“Ma prima apri la bottiglia. Spetta a te. Ragazze, ragazzi! Si festeggia!” urlò poi la donna, alzandosi in piedi e lisciando l'abito. Si voltò, poi, in direzione di Yvonne, che intanto aveva smontato il vestito, mettendo addosso un jeans e un maglioncino con lo scollo a V. Seguita dalle altre, la bionda vide lo stilista stappare lo spumante con garbo e cederlo nelle mani di White, afferrando con un rapido gesto il cellulare.
Si allontanò subito dopo, uscendo dalla porta di servizio, che cigolò sotto la sua spinta.
La luna illuminava a malapena il vicolo su cui si affacciò il ragazzo. Da lì vedeva il cielo con difficoltà, attraverso la feritoia formata dalle fiancate dei due alti palazzi che lo circondavano.

Cinque... Quattro... Due... Sette...

Ripeteva a memoria il numero della sua ragazza, fin quando non premette il tasto verde.
Avvicinò il cellulare all'orecchio, guardandosi intorno e sospirando.
Uno squillo.
Due, tre squilli.
Poi rispose.
“Sapphire Birch”.
“Oi...” disse Ruby, in uno sbuffo figlio di un sussurro e un lamento.
Chi è?”.
Sono io, amore. Sto telefonando col numero di White...”.
Che diamine di fine hai fatto?! Sto cercando di chiamarti da trent'anni!”.
Il ragazzo sorrise leggermente. “Esageri sempre... Perché sei scappata via appena è uscita Yvonne?”.
“Non ho capito” rispose l'altra, mentre una leggera interferenza infastidiva la comunicazione.
Perché sei scappata via dalla platea, stasera, non appena è uscita Yvonne sulla passerella?”.
Sapphire rimase un secondo in silenzio.
Svitato... io sono ad Albanova. Ti stai drogando?”.
“No” ribatté immediatamente l'altro. “Io ti ho vista, tu eri in prima fila e hai applaudito in maniera fredda per tutta la sfilata”.
E secondo te è plausibile questa cosa?”.
“Cosa?”.
Che io, alla tua prima sfilata, applauda in maniera fredda... E comunque mi spiace di non averti potuto raggiungere... Ho cercato un volo che mi facesse essere in giornata lì per una settimana ma questi scioperi hanno rovinato tutto! Volevo farti una sorpresa!”.
“Cosa?! Sei a Hoenn?!” impallidì l'altro. “Ma non è possibile! Io ti ho vista!”.
Smettila di rompere le palle con questa cosa, Ruby! Ti ho detto mille volte che non ero io!”.
Ma ti assomigliava tantissimo! Gli stessi capelli e gli stessi occhi! Pure il seno e... e il portamento! Avevi un vestito nero!”.
Come i funzionari funebri? Ma sei matto?! Sembra che non ricordi ogni singolo indumento che ho nell'armadio!”.
Smettila di prendermi in giro!” s'alterò poi lui, sentendo la rabbia salire. “Eri qui! Ti ho vista!”.
“Ma sei matto?! E anche se fosse, come faccio adesso a essere a casa nostra?!”.
“... Sei a casa nostra?” chiese l'altro, dopo una breve pausa.
E sì! Senti la porta del forno che cigola?! Questo è il forno della nostra cucina! Quello che brucia il cibo sopra e lo lascia crudo dentro!”.
Al ragazzo venne da ridere, per un momento. “Dovremmo cambiarlo”.
Ormai mi ci sono affezionata. Ma perché sei così alterato?”.
Ruby fece spallucce, fissando una tag scomposta fatta con la vernice verde su quelle mura di mattoni ingrigite dallo smog. “Perché vorrei averti qui... E non ci sei. Per me è un giorno importante, questo, dentro stanno brindando e io sono qui perché vorrei soltanto stare con te...”.
“... Vieni da me, allora”.
Ruby sospirò.
“Ora non posso. Ho le sfilate da fare e devo aiutare White con la produzione e le vendite”.
Io sono piena di lavoro in questo periodo. Qui fiorisce e molti Pokémon cominciano il periodo dell'accoppiamento...”.
“Già...”.
Non fare battute sconce”.
“Non sono Gold. Ma ci sarebbe stata bene” sorrise l'altro.
La ragazza sorrise, addolcendo il cuore del fidanzato. Poi lasciò sedimentare qualche respiro e tossì leggermente.
“Entra e vatti a divertire. E stai lontano da Yvonne...”.


“Poi cambia poco, ora. Perché sappiamo entrambi che le scelte che fai sono quasi sempre definitive. Quindi a cosa mi serve più stare a guardare il cellulare, per ore, ore e ore, sperando che il display s'illumini e mostri il tuo nome?
A cosa serve rimanere a piangere sul letto, affondando il volto nel tuo cuscino per poter recuperare un po' del tuo odore.
Dopo tutti questi mesi, anche quello è sparito. Anche quello è andato via, lasciandomi sola in questa grande casa, un tempo piena di progetti, di voglia di costruire.
Oggi tomba di un amore che nel tuo cuore non trova più dimora”.

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