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John Hancock - Bloodborne - 3. Bufera



3. Bufera

Era ancora buio quando Bellocchio si svegliò. Immerso nell’oscurità della camera degli ospiti, si ritrovò a osservare il soffitto che, come le pareti, era rivestito di legno. Accese la lampada da lettura che si trovava sul comodino alla sua sinistra e si alzò. Facendo ben attenzione a non far rumore, andò in bagno. Pochi minuti dopo era nuovamente in camera, pronto a vestirsi. Indossò gli abiti del giorno prima e si diresse nel salotto. La casa, come anche tutta Nevepoli, era ancora immersa in un profondo sonno. L’unico rumore udibile, seppur attutito dallo spessore delle mura e dei vetri, era l’ululare del vento. A tentoni cercò l’interruttore della luce e, dopo un sonoro click la stanza venne illuminata a giorno. Diede un’occhiata attraverso la grossa finestra, notando il contrasto fra la luce interna e l’oscurità che saturava l’aria, all’esterno, dove la neve vorticava tutt’intorno, stringendo la casa in un gelido abbraccio.
Bellocchio s’avvicinò al debole calore che ancora s’irradiava dal camino e, dopo aver smosso un po’ di cenere, vi trovò le braci ancora incandescenti. Senza pensarci due volte, vi posizionò sopra un paio di pezzi di legno e vi soffiò lentamente al di sotto, alimentando il fuoco. Dopo pochi minuti le fiamme avevano ripreso completamente vita e lambivano le proprie prede, rilasciando un gradevole odore di legno, con un minimo sentore di foglie d’abete.
Si posizionò sul divano più vicino al camino ed estrasse i suoi occhiali dal fodero. Li appoggiò sul tavolino e si stiracchiò, facendo schioccare le ossa del collo.
- Buon giorno, Ellie – disse, avviando la sua I.A.
- Buon giorno a te, Bellocchio. Dormito bene?
- Sì, anche se quel materasso era troppo morbido.
- Sicuro di aver riposato abbastanza? Dormire quattro ore e trentotto, per poi svegliarsi alle cinque e sei minuti non è molto consigliabile.
- Che fai adesso, ti metti a spiarmi?
- Certo, devo monitorare i tuoi segni vitali. Noto un alto livello di stress negli ultimi giorni.
- Chissà cosa sarà mai.
- … E un pizzico di sarcasmo ingiustificato. Ricordati che sono una I.A., non una vera donna.
- Questo ti dà il diritto di rimproverarmi?
- Assolutamente. La signorina Matière mi ha programmato proprio per questo.
- Mai che mi lasciate un attimo in pace – Bellocchio sbuffò.
- Forza, mettiamoci al lavoro. Non riesco a dormire, almeno facciamo qualcosa di utile. Avvia la scansione.
- Subito.
Le lenti degli occhiali s’illuminarono e proiettarono su uno schermo formatosi nell’etere una schermata simile a quella di un pc.
Bellocchio iniziò immediatamente a far scorrere le cartelle dei vari casi, archiviati e non. Giunse alla più recente, contenente tutti i dati raccolti i giorni precedenti, e l’aprì congiungendo le mani su di essa, pugni stretti uno nell’altro, per poi allargarle ai due lati opposti.
Lo schermo si divise in più categorie: rilevamenti, testimonianze, prove video, elementi presenti sul luogo e, aggiunta ultimamente da Plutarch, odori. Per la maggior parte, le cartelle erano vuote, o con uno o due elementi.
Bellocchio cliccò sulla categoria “rilevamenti” e iniziò a far scorrere tutti gli appunti che aveva accumulato nel durante delle sue indagini. Passò diverso tempo ad analizzare nuovamente tutto quello che aveva visto nel salotto dei Parker, scorrendo da una all’altra le fotografie dei corpi mutilati dei due bambini. Stava ripercorrendo la sua lotta contro di Delibird quando un suono sordo, come un tonfo, rapì la sua attenzione.
Si voltò di scatto verso la finestra: il buio esterno era lacerato da lampi di neve bianca, trascinata in una violenta danza dal vento, risplendenti grazie alla luce che li colpiva dall’interno dell’abitazione.
Nulla di sospetto apparve nel suo cono visivo.
- Sarà stata la neve che cade dal tetto… - pensò.
Poi, però, un nuovo rumore arrivò alle sue orecchie.
Si girò di scatto verso l’ingresso, dove qualcosa si muoveva nell’ombra. Immersi nell’oscurità, due zaffiri, blu come le profondità di un lago montano, riflettevano la poca luce lì presente. Danzando, iniziarono ad avvicinarsi. Il sangue si gelò nelle vene di Bellocchio, mentre un brivido andò a percorrere tutta la spina dorsale, giungendo fino ai piedi.
Istintivamente, strinse lì dove si sarebbe dovuta trovare la fondina ascellare della sua pistola. Si pentì immediatamente di averla lasciata in camera da letto, insieme alla Poké Ball di Croagunk. Rapidamente volse lo sguardo in circolo, alla ricerca di qualcosa da poter utilizzare per difendersi. Riuscì a individuare l’attizzatoio utilizzato la sera precedente, ancora appoggiato sulla brace. Guardò nuovamente in avanti, notando che l’essere, seppur titubante, stava avanzando verso di lui, ormai quasi fuori dalla zona d’ombra.
Bellocchio girò rapidamente su se stesso, verso sinistra, afferrando l’attizzatoio al volo ed estraendolo dal camino. Di nuovo faccia a faccia con l’intruso, frappose l’arma fra di loro. Ancora incandescente e con la punta di ferro che emanava un forte bagliore rosso, l’attizzatoio sibilava a contatto con l’aria fredda.
Il sudore iniziò ad apparire sulla fronte di Bellocchio.
Proprio mentre stava stringendo con entrambe le mani la sua arma improvvisata, i due occhi si mossero nuovamente in avanti, uscendo allo scoperto.
Inizialmente, la luce andò a colpire il suo corpo, venendo poi riflessa da quest’ultimo, abbagliando Bellocchio. Lui, d’istinto, chiuse gli occhi.
Fu solo un attimo, ma lui fu sicuro che questo gli sarebbe costato caro. Quando li riaprì, l’intruso era ancora lì, non si era mosso di un singolo passo. Con ancora la vista offuscata, cercò di mettere a fuoco chi aveva di fronte, quando riuscì a vedere che l’altro stava per aprire il muso. Ne era certo, si trattava di un qualche altro Pokémon infetto dagli occhi di ghiaccio, e il suo grido gli avrebbe potuto perforare i timpani, come Delibird aveva provato a fare solo il giorno prima.
Allora si preparò, portando le mani a coprire le orecchie, non riuscendo in tempo a raggiungere i suoi occhiali e la protezione che avrebbero potuto offrire.
- Meow – il miagolio dell’altro raggiunse Bellocchio.
“Ha miagolato?” pensò lui, stupito.
Tornò a guardarlo, stavolta con gli occhi in perfette condizioni: un Glaceon si stava stiracchiando sul tappeto d’ingresso. Il suo manto congelato era così bello che Bellocchio rimase impalato a osservarlo, incapace di muoversi. Spostò lo sguardo sugli occhi del Pokémon, che aveva ripreso a muoversi.
A differenza di Delibird, i suoi gli sembrarono fin troppo vivi e, in un certo senso, innocui; non vacui e colmi di rabbia.
Tentennò un attimo, perdendosi nelle sue riflessioni, e Glaceon gli fu addosso. Con un solo, rapido balzo, arrivò ai suoi piedi, fermandosi a un respiro dalla punta dell’attizzatoio.
Bellocchio rimase a osservare mentre il Pokémon studiava ciò che aveva di fronte. I due si guardarono per un istante, occhi negli occhi. Poi Glaceon rivolse la sua attenzione al calore emanato dalla punta in ferro dell’attizzatoio.
Vi ci soffiò gentilmente sopra, raffreddandolo all’istante, riportandolo alla normalità.
- Tu sei il Glaceon di Bianca, vero? – Bellocchio abbassò l’attizzatoio.
Glaceon iniziò a scodinzolare, sentendo il nome della sua allenatrice. I suoi occhi di zaffiro che seguivano ogni più piccolo movimento dell’intruso in casa sua, quasi senza sbattere le palpebre.
Bellocchio azzardò a muoversi, tendendo la mano libera verso di lei. Arrivò a sfiorarle il muso, dandole l’opportunità di annusarlo. Soddisfatta, subito dopo chinò il capo e spinse la testa contro le sue dita. Lui allora sorrise e iniziò a grattarle dietro la testa.
Andò a sedersi nuovamente sul divano, lasciando cadere l’attizzatoio nel camino. Lei lo seguì, balzò di fianco a lui e si stese su di un cuscino, appoggiando poi la testa sulla sua gamba destra.
Iniziò ad accarezzarla. Glaceon in tutta risposta iniziò a fare le fusa. Nonostante il manto ghiacciato, il calore del suo corpo iniziò immediatamente a riscaldare Bellocchio e a farlo riprendere dal freddo notturno che si era impossessato delle sue membra.
Nel camino, un pezzo di legno scoppiettò quando le fiamme arrivarono a consumarlo dall’interno.
Bellocchio si rimise a lavoro, osservando nuovamente i video effettuati da Ellie.

Il sole era da poco spuntato all’orizzonte, portando con sé un debole tepore che entrava come una cascata d’oro dalle finestre del salone. Bellocchio era così immerso nel suo lavoro da non accorgersi della porta che si stava aprendo.
Bianca uscì in punta di piedi dalla sua camera da letto. Sbadigliò e si aggiustò un ciuffo di capelli che le era finito in mezzo agli occhi. Liberatasi delle trecce, i suoi capelli erano liberi di vagare sulle spalle, senza un ordine ben preciso. Osservò, stupita, il suo ospite già sveglio, in compagnia di Glaceon.
- Sei il primo con cui si comporta così. Di solito è molto riservato, non si avvicina quasi mai agli esseri umani, se non in mia presenza.
- Dici sul serio? – chiese Bellocchio.
Quell’attimo di distrazione, in cui smise di grattare dietro l’orecchio di Glaceon, valse come risposta: il Pokémon miagolò contrariato e spinse il muso contro il palmo dell’altro, reclamando ciò che gli spettava di diritto.
- Credo tu gli piaccia – rise Bianca.
- Dormito bene? – continuò lei.
- Sì, anche se non abbastanza. Ma è sempre così, quando lavoro a un caso difficile. Ho preferito portarmi avanti con il lavoro.
- Capito. Caffè?
- Sì, grazie – gli rispose distrattamente lui, senza staccare lo sguardo dalle riproduzioni video.
Osò spegnere le lenti e alzare gli occhi soltanto quando l’aroma del caffè aveva ormai raggiunto la sua postazione. Si alzò e andò verso la cucina. Bianca era di spalle, appoggiata al lavello, in attesa che il caffè fosse pronto. Indossava una lunga felpa grigia, priva di cappuccio, che le arrivava alle ginocchia con abbinato un peloso pantalone di pile. I capelli le scivolavano lungo la schiena, fermandosi poco sopra la curva dei glutei. I piedi scalzi producevano un rumore sordo quando calpestavano il pavimento riscaldato.
- Ecco qui, attento che scotta.
Bellocchio assaporò per un istante il profumo della bevanda, prima di iniziare a gustarla. Ormai era diventato dipendente dalla caffeina, uno dei tanti modi per poter restare sveglio ed evitare di dormire più del necessario. Nel frattempo, Bianca, accese la televisione. Il telegiornale stava parlando dei danni causati dalla bufera e dei luoghi più colpiti. Proprio mentre iniziava a parlare della zona residenziale di Nevepoli, la televisione, così come tutti gli altri elettrodomestici, si spense.
Le luci di emergenza entrarono in azione, rendendo tutto l’ambiente bianco e di un pallore quasi innaturale.
- È normale? – chiese Bellocchio.
- Dannazione. Durante le bufere capita spesso di avere sbalzi di corrente o di venir proprio tagliati fuori. Ho un generatore ausiliario, nel capanno dietro casa, dove si trova anche il contatore. Si sarebbe dovuto attivare in automatico... Vado a dare un’occhiata, aspetta qui.
- Non ci pensare nemmeno. Sei ancora in pigiama, vado io. È il minimo per la tua ospitalità.
- Lascia che almeno Glaceon ti accompagni.
- Tranquilla, lasciala dormire. Ho Croagunk con me.
Andò nella camera da letto degli ospiti, prese la Poké Ball, il cappotto e infilò gli scarponi.
Tornò poco dopo in salone, dove Bianca lo stava aspettando con un mazzo di chiavi in mano.
- Questa è della serratura della porta. Quest’altra invece serve per aprire il quadro elettrico. Il capanno non è molto grande, non dovresti avere problemi a trovare il generatore. Per qualsiasi problema non esitare a chiamarmi. Usa questa – Bianca gli passò una radio portatile.
- Canale due, già impostato.
- Non c’è bisogno di tutte queste precauzioni, sarò di ritorno in un attimo.
Bellocchio le sorrise e poi lasciò la cucina. Superò l’ingresso e aprì la porta. Venne immediatamente investito da una folata di vento gelido. La bufera non era per niente passata e ogni secondo che passava il freddo diventava sempre più forte.
Utilizzando il fianco della casa come guida, Bellocchio si fece strada nella neve alta, arrancando lentamente. Il tragitto parve durare un’eternità, con un campo visivo inferiore ai dieci metri. Riuscì però ad arrivare senza problemi sul retro della casa e a individuare il capanno grazie a delle luci di segnalazione posizionate su di esso. Evidentemente Bianca aveva trovato un modo per risolvere la mancanza di visibilità installando dei piccoli ma potenti fari in delle insenature ai lati della porta d’ingresso.
Armeggiò per qualche secondo con il mazzo di chiavi, con le dita già intorpidite dal freddo. Una volta riuscita ad aprire la porta si precipitò all’interno. Il generatore d’emergenza del capanno era già entrato in funzione. Sulla destra c’era una grossa pedana su cui erano disposte diverse batterie: l’indicatore segnava il livello massimo di carica. Bellocchio si avvicinò al pannello elettrico contenete il contatore. Il pulsante relativo alla condivisione di energia fra il banco batterie e l’abitazione era disattivato. Lo spostò su “On” e aspettò qualche secondo. Dopodiché azionò anche la leva che azionava il salvavita, scattato a causa della bufera.
Quasi immediatamente la sua radio gracchiò.
- Funziona, l’elettricità è tornata. Da te tutto ok?
- Sì, tutto bene. Adesso chiudo qui e rientro in casa.
- Sbrigati, sto mettendo a bollire del thè per riscaldarti.

Bellocchio entrò dentro casa ancor più congelato di quanto avrebbe voluto. Sentì dei rumori provenienti dalla camera da letto di Bianca, accompagnati da colorate imprecazioni. Vide uscire la padrona di casa, saltellando su di una gamba, mentre cercava di infilarsi un pantalone termico. Lui non poté fare a meno di girarsi di scatto dall’altra parte, per evitare di vedere la sua biancheria. La sentì crollare sul divano mentre finalmente riusciva a indossare i suoi vestiti.
- Come mai tutta questa fretta? – chiese lui, ancora rosso in volto, dandogli le spalle.
- C’è stato un crollo in una fattoria poco fuori città. Ho ricevuto via radio la segnalazione della polizia locale, sto andando ad aiutarli.
- Sai se qualcuno si è fatto male?
- Non ne ho idea. Frank, il proprietario, vive da solo da quando è morta la moglie, spero per lui che fosse fuori per accudire i Miltank. E girati pure, sono vestita.
Bellocchio si mosse, seppur lentamente, ancora rosso in viso.
- Quanto dista? Vengo con te.
- E il tuo caso su Delibird?
- Può aspettare, ti devo sempre un favore.
- Ok. Prendi le tue cose e partiamo, ci vorrà pochissimo sul dorso di Mamoswine. È abbastanza grossa per portarci entrambi.
Bellocchio non perse ulteriore tempo e corse in camera sua a prendere pistola e cinturone. Assicurò bene la Poké Ball di Croagunk, controllò la chiusura della tasca in cui aveva riposto gli occhiali e si diresse all’ingresso, dove Bianca lo stava aspettando.
- Pronto? – chiese lei.
- Sì, andiamo.
Aprirono la porta e si precipitarono all’esterno, scomparendo in balia della bufera. Bianca chiamò Mamoswine e, dopo che entrambi le furono saliti in groppa, lei partì alla massima velocità. Sfrecciò fra la neve, spianando la strada con le sue enormi zanne, così rapida che Bellocchio dovette sforzarsi di restare aggrappato alla sua pelliccia per non essere sbalzato via.
Chiuse gli occhi, cercando di proteggerli dalla furia del vento. Rimase intontito per quasi tutto il viaggio, finché non giunsero a destinazione.
Sul prato innevato che dava sulla casa di Frank, i tre si fermarono. Bianca e Bellocchio smontarono dalla groppa di Mamoswine e iniziarono a correre verso la casa distrutta, dove i primi soccorsi già si erano raggruppati, sollevando macerie dopo macerie. Bianca fece allontanare un gruppo di persone a lavoro, dando spazio di manovra a Mamoswine che, con uno sforzo quasi nullo, liberò la zona d’ingresso, quella più colpita, aprendo il passaggio all’interno della casa.
Noncurante dei pericoli, Bellocchio si precipitò all’interno, ignorando i richiami di Bianca e gli altri lì presenti.
Prese una torcia dalla tasca del suo cappotto e illuminò l’interno: si trovava in cucina, probabilmente avevano liberato un ingresso secondario. La stanza non aveva il minimo segno di crollo o danno alle pareti, anche se al buio era difficile dirlo con certezza.
- Frank? – provò a chiamare lui, senza ricevere una risposta.
Fece il giro attorno a un grosso tavolo da pranzo, puntando la pistola in ogni direzione. Si fermò di scatto quando sentì le suole delle scarpe fare resistenza, una volta toccato terra. Provò ad alzare la gamba con più forza, liberando il piede con un rumore sordo di risucchio. Sperò di sbagliarsi, almeno quella volta. Abbassò lo sguardo, molto lentamente, puntando la torcia verso il basso, sui suoi piedi. Delle chiazze rosse erano schizzate sulla punta degli scarponi.
Sangue.
Seguì la scia, estraendo la pistola. Utilizzò il braccio sinistro, con cui reggeva la torcia, come appoggio per il polso della destra. Abbassò molto lentamente il cane dell’arma, cercando di fare il minimo rumore possibile. Mentre avanzava intorno al tavolo puntò la torcia in più direzioni, cercando segni di vita. Alla fine trovò Frank, disteso di fianco al piano cottura, con un coltello fra le mani. Si abbassò verso di lui, trattenendo un coniato di vomito. Il suo corpo era spezzato in due, il bacino e le gambe situate circa mezzo metro più a sinistra del torace.
Bellocchio indossò rapidamente i guanti e ispezionò il suo corpo, controllandone la temperatura. Dopodiché andò a osservare lì dove il corpo si divideva, trovando ciò che già si aspettava.
Ghiaccio.
 

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