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Lila May - Star★Power - IV★





IV

La postazione alla finestra ormai era diventata la sua lente d’ingrandimento sul mondo esterno. Da lì poteva osservare ogni dettaglio di Ceneride. L’immenso lago color zaffiro, le case tutt’intorno, gli alberi frondosi… le venne un brivido. Quella città era davvero simile a lei, più di quanto avesse mai potuto immaginare. A causa della sua posizione ostica - sorgeva all’interno di un cratere -, era davvero difficile da raggiungere, esattamente come il suo cuore; spezzato da persone a cui aveva dato la massima fiducia, abbattuto e sgretolato da sorrisi radiosi tramutati in ghigni irritati.
Tuttavia, la finestra non offriva solamente uno sguardo ad ampia parte della città. Anche al suo giardino, sebbene in piccola parte; ora che Brendan sapeva dell’esistenza di Orthilla, si spostava a suo piacimento dove più gli aggradava, e quel giorno aveva deciso di allenarsi proprio sotto la piccola vetrata rettangolare.
Era da ore che lo guardava, i gomiti appoggiati alle ginocchia e gli occhi turchini fissi su di lui, e nonostante non gli parlasse da giorni, salvo qualche chiacchierata quando si incrociavano per sbaglio, non aveva mai smesso di pensare a come lo invidiava.
E a quanto avesse un morboso bisogno di lui.
Impartiva ordini con risolutezza, quella che a lei mancava, e Sceptile si scagliava contro la terra sottostante provocando un rumore appena percettibile. Erano una coppia davvero affiatata, come lei e Altaria, un tempo, quando era stato il mondo intero ad ammirarle splendere, e non il contrario.
Sospirò e gettò uno sguardo indietro. Il Pokémon canterino, avvolto tra i cuscini del divano, mugolava un leggero motivetto che ricordava glorie passate e voli sconfinati. Chissà come le mancava distendere le proprie ali e planare sopra Ceneride, oltre i confini della città… guardata con ammirazione da tutti, acclamata in ogni dove.
Orthilla aveva pensato più e più volte di lasciarla libera qualche ora, ma temeva troppo che qualcuno le si accanisse contro. Non voleva rischiare di perdere anche Alty. Si alzò, la raggiunse e le gettò le braccia al collo, stringendola forte. Altaria ricambiò, e la melodia del verso cambiò tono, tingendosi di dolcezza per quelle attenzioni d’affetto improvvise.



Gocce di sudore si sparsero nell’aria quando Brendan scosse violentemente il capo assieme a Sceptile. Avevano appena finito di fare 4 giri intorno alla casa, e nonostante la fatica erano entrambi orgogliosi degli evidenti progressi.
La Lega li aspettava, e ogni ora che passava si sentivano sempre più vicini al grande Rocco. Ma ancora non bastava. Il ragazzo sapeva che potevano raggiungere risultati migliori. Si sedette contro un tronco e aprì la borsa, estrasse delle bacche dall’aspetto maturo e le offrì a Sceptile. «Pausa… ci vuole, eh?»
«Sceptile!»
«Avrete sete, immagino.»
Una terza voce sovrastò improvvisamente i loro ansimi, costringendoli ad arrestarsi in gola. Dall’ombra di un pino non troppo distante apparve Orthilla; tra le mani teneva due bottiglie di Acqua Fresca, e avanzava verso di loro con fare indeciso, seguita da Altaria.
Brendan si tirò su e le venne incontro correndo. «Finalmente sei uscita allo scoperto, eh? Ciao Orthilla!» La strinse affettuosamente, contento di rivederla anche quel giorno – e speranzoso si trattenesse un po’ di più -, e la ragazza si sentì disperatamente meno peggio di ieri. Finalmente aveva preso il coraggio di scendere e raggiungerlo… aveva combattuto contro se stessa per ore, dubbiosa se farlo o meno, ma alla fine il bisogno di amore aveva avuto la meglio. Ed eccola lì, a sforzarsi di essere gentile con l’unica fonte di dolcezza che le era capitata.
«Grazie mille per l'acqua.» il ragazzo gliela prese di mano e si attaccò avido alla bottiglia quasi quanto lei alle piccole gioie che ogni tanto quella vita mediocre le gettava in pasto.
«Figurati.»
Rimasero per un po’ in silenzio, silenzio nel quale Brendan servì da bere anche a Sceptile.
«Dove vai dopo gli allenamenti?»
«Al Centro Pokémon. Ospitano gli allenatori, e gratis!»
Orthilla non lo sapeva. O forse, se ne era completamente scordata. «E mangi là?»
«Di solito sì, fanno certa roba che..» al castano venne l’acquolina alla bocca solo a pensarci. «Non hai idea.»
No, non ne aveva idea. Non mangiava bene da mesi, nemmeno le interessava più. «Del tipo?»

«Beh, del tipo... perché dobbiamo parlare di cibo? Vieni con me, ormai si è fatta sera. Andiamo a mangiare là! Sono sicuro che...»

«No!» urlò lei, con tutta l’aria che aveva nei polmoni. Stormi di Pidgey si sollevarono dagli alberi, spaventati dal grido. No, no, mai e poi mai sarebbe uscita a cena, in mezzo a gente che la odiava, disprezzava e insultava. E poi, che figura ci avrebbe fatto lui? Evidentemente non aveva ancora capito chi aveva di fronte per uscirsene con richieste tanto stupide. «Scordatelo.»

« Ti farebbe bene uscire sai?»
« E tu che ne sai? Per tua informazione ho una vita sociale anche io.»
«Non dai l'idea di averla, allora.»
Il cuore le tremò di rabbia e disprezzo per se stessa. Era una trascurata, un cadavere dimenticato negli angoli remoti di una città che era benissimo riuscita ad andare avanti senza di lei. « Le... le apparenze ingannano.»  mormorò, e chinò il capo, per nascondersi dietro la fitta coltre di capelli.
«Scommetto che invece ti farà piacere uscire un po' con me» Brendan fece un sorrisetto idiota, sollevando le sopracciglia folte e sistemandosi sopra le spalle una giacca inesistente. «Sai, sono un gentleman.»
«Oh, non ne dubito Brendan.» Orthilla sorrise debole. Un occhietto incuriosito spuntò dalla cascata turchina che le teneva mascherato parte del volto devastato. Stava cercando per caso di farsi perdonare? Di tirarla su? 

« Poche sono le donne che si sono rifiutate di uscire con me. Sono irresistibile ed affascinante, sai.»

«Chi, tua madre e tua sorella?»

Brendan sollevò un sopracciglio. «E mia cugina, cosa credi.»
Orthilla si coprì la faccia con le mani, trattenendo una risata cretina. Nessuno aveva mai provato a farla sentire leggera, come una piuma. Era una sensazione così strana… provare divertimento per qualcosa accadeva di rado, e solo con Altaria. «Perché non ti fermi da me, invece?»  propose, tirandosi i capelli indietro.
«Perché, mmm... sai cucinare?»
Orthilla arrossì. Sì, sapeva cucinare. Ma non aveva cibo in casa; usciva a fare la spesa solamente in casi estremi, velocemente, resa irriconoscibile da una fitta giacca a vento dotata di cappuccio e folti strati di trucco. Dunque, fin quando cracker, formaggio e bevande varie bastavano, non era assolutamente consentito mostrarsi al pubblico. «Sì, ma non ho molta voglia di mettermi ai fornelli... però possiamo sempre ordinare qualcosa e mangiarla qui in giardino! Mm... ti va?»

«Va bene!» esclamò lui, e subito si precipitò a chiamare il take-away più vicino.



«Grazie per essere andato a prendere il cibo..» La gola di Orthilla sembrava una collina in preda a un violento terremoto. La ragazza ingurgitava e deglutiva il lauto pasto con un’avidità spaventosa, come se non mangiasse da mesi. Brendan non smetteva di fissare quel pomo delicato muoversi, il volto misto tra lo scioccato, il divertito e il… preoccupato? «Figurati, era a due passi da qui.»
Il busto magro della ragazza era completamente piegato sul piatto, avvolto in una felpa grigia fin troppo grande per la sua stazza, e la forchetta di metallo tenuta leggera sulle mani ticchettava con forza contro la porcellana vecchia, cercando di prendere con sé quanto più cibo possibile.
«Tutto bene? Sembra che non mangi da mesi!» si sentì in dovere di dire, sconvolto.
Orthilla sembrò risvegliarsi da un sogno. Sollevò il capo e deglutì rumorosamente.
Brendan rinnovò il suo pensiero: quella ragazza era una tipa molto misteriosa.
Per i pochi giorni in cui l’aveva potuta osservare le era parsa… abbattuta, sì, da una vita che pareva non aver scelto. Aveva gli occhi tristi, il corpo trascurato – per quanto fosse carina -, e quando camminava trascinava i piccoli piedi come se le pesassero troppo.
Sembrava un oggetto dimenticato in un angolo, ricoperto di polvere e in disuso da anni.
Si era chiesto più e più volte, guardandola, che cosa potesse aver reso quegli occhi tanto tristi, ma forse non erano fatti suoi, e doveva starne semplicemente fuori. Del resto, chi era per intromettersi così nelle questioni private degli altri?
Magari era solo un momento buio, oppure il fidanzato l’aveva lasciata.
Eppure, nonostante sapesse di non dover ficcare il naso, non smetteva di domandarsi che cosa nascondesse quel corpo tanto fragile. Avrebbe potuto aiutare, ma non era sicuro che fosse la cosa giusta da fare. Orthilla sembrava così sola…
Pensò ingenuamente che magari, ora che c’era lui, si sarebbe sentita decisamente meno abbandonata.
«Sì, è che... io...» La ragazza guardò Altaria con i suoi occhi turchini, appollaiato su un albero ad ammirare con malinconia la luna brillare più di lei. «... ero a dieta. oggi mi sono concessa un... lusso, diciamo.» ed era così. Era davvero un lusso quella cena, per lei. Non mangiava così tanto da mesi. Aveva perso la voglia di fare tutto dopo l’accaduto, e nutrirsi bene faceva parte di queste cose. Guardò il piatto, pentita. Forse nemmeno la meritava una cena così. Un abitante di Hoenn gliel’aveva preparata col cuore, ignaro che sarebbe finita nella sua bocca… se solo avesse saputo, ci avrebbe messo il veleno. Tanto, cattiverie dette a voce o servite fredde, non faceva differenza.
«Ma quale dieta? Stai bene così. Anzi, dovresti davvero mangiare di più.» Brendan le pizzicò la spalla in modo affettuoso, e Orthilla avrebbe tanto voluto bloccargli quella mano color cannella in aria. Portarsela alla testa, tra i capelli spenti, sul collo, il petto, la pancia, giù fino ai piedi e risalire… sembrava intrisa di un qualche cosa di magico, armonioso, perfetto. La faceva sentire... utile. Amata. Il bisogno si impossessò di nuovo di lei. Non voleva spaventarlo, ma fece una fatica immensa per trattenersi dal saltargli addosso e tenerlo stretto. «Come mai hai scelto di diventare allenatore, Brendan?» domandò, ritornando a fissare Altaria.
Brendan sorrise a quella domanda. «Perché mi sembrava il modo migliore per imparare a vivere. Diventare allenatore per me è stata una vera e propria porta verso la libertà, sai..» nel frattempo, Sceptile si era avvicinato a mordicchiare affettuosamente la sua caviglia, lasciata scoperta dai risvolti. «Puoi contare solo su te stesso e i tuoi Pokemon, niente mamma a dirti come funzionano le cose, niente adulti tra i piedi... e poi... ammetto, sono un tipo affamato di vittoria, di possibilità. Non esistono limiti, solo quelli che ci si impone nella testa. Io ho intenzione di dimostrarlo a me stesso, e solo se do il massimo sono soddisfatto.»
Orthilla trasudava invidia da tutti i pori. Le tremavano le labbra, rabbia e angoscia le avevano attanagliato lo stomaco in una stretta sanguinolenta. Era lì, immersa nel buio, a consumarsi lenta il fegato come legna nella morsa mortale del fuoco. Quanto avrebbe dato per essere lui in quel momento… avere la forza per riuscire a convincere la gente, la sua gente, che quello in cui credevano era sbagliato. Mostrando loro i frutti che si coltivano col duro lavoro, giorno per giorno, esibizione dopo esibizione, e invitarli a fare come lei. Insegnare dal palcoscenico che lo sforzo ripaga sempre e che no, i limiti non esistono. Che basta avere la forza giusta per volare all’infinito, alla ricerca di un “io” perfetto. Ma non era più possibile questo. Aveva passato troppo tempo con le mani in mano, come poteva ribaltare la situazione da un momento all’altro, così? Certo, una volta ci sarebbe riuscita. Però ora no. Non era più l’Orthilla tenace di un tempo, e Brendan, con quelle parole… riportava alla mente ricordi che facevano male. Dio, se facevano male. Si sentì un incapace. Anzi, si convinse nuovamente di esserlo. Una lacrima di sconfitta le rigò il volto, precipitando a terra.
Una idol dimenticata in un angolo, ecco cosa era. Si chiese cosa avrebbero fatto al posto suo gente del calibro di Camilla, o i Superquattro… e si sentì ancora più stupida, perché loro si sarebbero rialzati. Tutti, si sarebbero rialzati, persino Rocco, il nuovo arrivato, così giovane e bello, ma freddo e calcolatore come il ghiaccio. Persino lui.
Che di fama non ne sapeva niente, ancora.
La mano di Brendan tra i capelli la riscosse, un gesto intimo, che le fece schizzare il sangue in testa. Stava impazzendo. «Che... che fai!»
«Stai bene? Sembri ferita... mi dici a cosa pensi?»
Si guardarono. Lui, preoccupato, lei semplicemente morta. Non sapeva cosa dire. Era troppo presto per raccontare la sua storia, faceva troppo male… uno squarcio sul petto al confronto sarebbe stato decisamente meno doloroso. Prima o poi sarebbe venuto a conoscenza di lei, questione di giorni, forse di ore. Ma fino a quel momento sarebbe stata muta. Non voleva che se ne andasse… non ancora… era troppo bello avere una persona accanto… e quelle mani calde… che portavano una dolcezza sconosciuta fino al cuore… si alzò, lo congedò e si barricò in casa, gli occhi spenti gonfi di lacrime.
«Orthilla!» Brendan corse verso l’entrata, stordito. Si conoscevano da poco, ma non poteva sopportare una possibile idea di averla ferita. Come al solito era sempre colpa sua, il danno delle persone. Non fece nemmeno in tempo a raggiungere la soglia che Altaria si frappose tra lui e il mondo misterioso di Orthilla, scoperto e fragile, col fare di una mamma protettiva. Allargò le grandi ali e soffiò aggressiva contro di lui, intimandolo di andare via e di non toccare il cuore di lei, ancora debole e sconfitto.
Brendan non sapeva cosa dire. Se era stato fermato da un Pokémon, significava solo una cosa: doveva starne fuori. Ma quanto fuori? «Va bene. Altaria, prenditi cura di lei. Tornerò domani a porgerle le mie scuse.»
Se ne andò assieme a Sceptile, cercando di capire che cosa avesse detto di troppo per farla innervosire in quel modo.
Quella ragazza era davvero un mistero. Che cosa teneva dentro?
Sì incamminò per il centro Pokémon, immergendosi nelle strade buie di Ceneride. L’aria umida e salata gli invase le narici. In un altro momento avrebbe assaporato a pieni polmoni quella brezza che sapeva di traguardo… di obbiettivi raggiunti, di vittoria. Ma ora, nella mente aveva solo Orthilla. E quegli occhi.
Quei fottutissimi occhi pieni di tristezza.

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