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Andy Black - Unravel Me - 11. Undici (XI)

UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.

UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).





Unima, Austropoli, Salone HART, 9 maggio 20XX

Era quasi desolante Sidney Bechet, con la sua Summertime.
La sfilata era finita da un’oretta e tutto l’agglomerato di stilisti e modelle dell’Atelier Automne si era ritrovato come sempre dietro le quinte.
Yvonne era stata l’ultima a uscire dal camerino di prova: aveva indossato nuovamente gli abiti con cui era arrivata lì. Era stato un sollievo smontare quelle scomode scarpe dall’altissimo tacco per indossare nuovamente le sue Skechers. La musica continuava a fuoriuscire dall’impianto, lenta e quasi liquida, pareva colasse dagli altoparlanti. Rallentava le parole della gente, i movimenti, i respiri.
La donna strinse il cellulare tra le mani mentre attraversava un nido di modelle col volto annoiato.
Qualcuno la chiamava, lei si limitò ad alzare la mano.
Era troppo impegnata, al momento, per gli altri.
Sentiva il profumo di qualcuna delle sue colleghe, davvero troppo forte; era Kendra, lo sapeva, ma non aveva neppure alzato lo sguardo in loro direzione.
Non che si ritenesse tanto differente da loro, facevano lo stesso lavoro.
Solo che pensava fossero frivole.
Kimberly le afferrò il polso, tirandola indietro.
“Ehi…” fece, sporgendosi dal gregge. I capelli, gonfi e legati in una coda bassa, le ricadevano sulle spalle lentigginose. Indossava una semplice canottiera bianca, senza reggiseno. “Dove vai?” chiese.
“Vado via” rispose rapida Yvonne.
Il volto della rossa s'incupì.
“Perché?”.
La bionda strattonò leggermente, per liberarsi dalla stretta dell'altra, ma invano.
Si arrese e sbuffò.
“Cosa?”.
“Perché vai via?”.
“Non ho voglia di rimanere. Sono stanca, ho da fare”.
Sempre stringendole la mano, Kim si staccò dal gruppo e la tirò in disparte, trascinandola fino al muro accanto. Yvonne si  appoggiò di fianco all'estintore, guardando in basso.
“Cosa c'è che non va?” chiedeva l'altra, poggiandole una mano sulla spalla. Vedeva Yvonne sospirare, stanca. Non l'aveva mai vista in quel modo.
“Non c'è nulla che non vada, Kim” fece, evitando il suo sguardo.
“Non sei mai stata così e...”.
La rossa si guardò attorno, incrociando per un attimo gli occhi di Ruby. Lui fissava Yvonne.
In tutto il cast c'era la convinzione che la bella di Kalos fosse la preferita dello stilista: passavano molto tempo insieme, condividevano lo stesso albergo e spesso si facevano vedere insieme in giro per Austropoli.
Erano così intimi da sembrare una coppia. Yvonne ronzava sempre attorno a lui.
Invece, durante quella festa, Ruby brindava con White e la modella fuggiva via dalle quinte, con gli occhi spenti e le labbra screpolate.
Kim non lo sapeva. Forse avevano una relazione. Forse avevano appena troncato.
O forse no.
“Posso andare ora?” domandò la bionda.
L'altra fece spallucce.
“È che non ti ho mai vista così, Ypsey... Si vede che qualcosa ti turba e vorrei che tu stia bene...”.
“Non mi turba nulla, Kim”.
Staccò le spalle dalla parete e la dribblò velocemente, camminando dritta verso la porta e passando davanti alla Presidentessa e allo stilista, senza neppure guardarli in viso.

“Non ci ha neppure salutati...” osservò White, stringendo il flute tra  le dita ingioiellate.
“Ho rovinato tutto” sbuffò l'altro, poggiato a un grosso tavolo di freddo acciaio ricoperto di tulle.
Gli occhi della donna scrutarono nell'animo dello stilista.
“Non hai rovinato nulla. Hai evitato che il castello crollasse”.
Il ragazzo si voltò, poggiando le labbra sul bicchiere e bevendo. Lo spumante era fresco e frizzante.
Pensò che bastasse un soffio di vento, per far crollare un castello di carta.
Di carta, sì. Perché si sentiva fragile.
“Hai fatto la cosa giusta” aggiunse White. “Non l'hai illusa”.
“Non lo so, sono sincero... Mi piaceva che mi sorridesse. La sua presenza era speciale...”.
“Pensa a Sapphire”.
I loro occhi s'incrociarono.
“So benissimo cosa rappresentano queste due donne, per me. Sapphire è una cosa e Yvonne un'altra... Io amo Sapphire, non Yvonne”.
“Già. Con Yvonne c'è solo attrazione fisica”.
“Non solo... a me piace la sua mente. La sua storia... Io credo di apprezzarla molto, come donna. E sono settimane che non mi guarda negli occhi”.
White sospirò.
“Forse è arrivato il momento di prenderti una pausa. Torna a casa e metti la testa nel ghiaccio...”.
Ruby annuì.
“Sono pronto, Presidentessa...”.
“Pronto a cosa?” chiese quella, coi capelli legati in una coda alta e le guance rosate, un po' per il trucco, un po' per l'alcool che le riscaldava il sangue.
“Chiederò a Sapphire di sposarmi”.
La donna sorrise dolcemente. In cuor suo era sollevata che Yvonne non avesse vinto quel duello con un più che disarmatissima Sapphire. Non che la sua modella le fosse antipatica, anzi: aveva carisma, e soltanto il suo nome era un'ottima pubblicità per la BW Agency, dopo le sfilate fatte in quei mesi.
In più l'aveva letteralmente salvata da una vita che non meritava. La cosa l'aveva fatta affezionare a lei non di poco.
Era una ragazza bella e determinata.
Una ragazza potente.
L'unico suo difetto era però quell'ostinazione innata, unita alla positivissima voglia di ottenere qualcosa con tutte le proprie forze.
White posò il bicchiere accanto a quel ragazzo dal volto delicato e sospirò.
Il fatto che Yvonne volesse proprio Ruby la preoccupava dato che, oltre a rappresentare una forte turbativa per i suoi affari, avrebbe mandato sulla graticola l'unica persona che non c'entrava assolutamente nulla, in tutta quella storia, che era Sapphire.
Tuttavia il volto di Yvonne, pochi secondi prima, testimoniava la mancanza di quell'armonia tra i due che tanto la preoccupava ma che era senz'alcun dubbio una delle cose più belle da vedere.
“Yvonne lo sa?”.
“No”.
Ruby tirò indietro i capelli, ben pettinati, ordinati e laccati. Sentiva un po' di stanchezza fisica, che forse un'intera notte di sonno gli avrebbe scrollato dalle spalle.
“Yvonne mi ha messo di malumore... Torno in albergo. Fumo una sigaretta e poi vado a dormire”.
“Andrai da lei, vero?” chiese quella.
Un attimo di pausa anticipò la risposta dello stilista, che fece cenno di no con la testa.
“Con lei è solo lavoro”.
La Presidentessa annuì e gli si avvicinò, baciandogli la guancia.
“Spero che sia così. Sapphire merita altro”.

Pioveva, quella sera.
Il taxi su cui Ruby era salito era pulito e ordinato. Il tergicristalli gemeva sistematicamente ogni volta che batteva sulla parte centrale del vetro, asciutta nonostante l'acqua che cadeva dal cielo e investiva Austropoli.
La testa del ragazzo era appoggiata sul finestrino, nel vano tentativo di riuscire a scorgere i suoi occhi rubini nel riflesso.
Ma non ci riusciva. Poteva vederne soltanto il contorno.
Il cellulare, stretto tra le mani, lo avvertiva che fosse ormai troppo tardi sia per cenare che per telefonare a Sapphire.
Le scrisse un messaggio. Non si aspettava una risposta prima dell'alba.
Ripensò a quella sera e notò, già durante la prova degli abiti, che lei s’era dimostrata spenta, con lo sguardo distratto da altro.
Pareva a disagio quando le sue mani, che prima accoglieva, le accarezzavano la pelle; i contatti si erano limitati a quello, dato che Ruby riusciva a saggiare nettamente la distanza che si era posta tra i due.
Non gli piaceva la cosa ma la capiva.
Lei non gli aveva rivolto parola, neppure quando lui le aveva fatto i complimenti per la sfilata; si era limitata ad annuire, ad abbassare il volto e a proseguire verso lo spogliatoio.
Ormai aveva fatto la sua scelta, che era quella più ovvia. Aveva scelto Sapphire.
La poco dolce e rude Sapphire, la perennemente nervosa Sapphire.
Quella dal cuore d’oro.
Semmai gli si fosse posta davanti una scelta, ovviamente. Erano anni che quella ragazzina dagli occhi blu s’era accampata nel suo petto e non sarebbe bastata una Yvonne qualunque per scalzarla.
Perché Sapphire era speciale.
Aveva acquistato già un anello, che lo aspettava ben custodito nel cassettone centrale del comò, nella sua stanza. Lo avrebbe messo al dito della donna soltanto dopo averle fatto indossare l'abito che aveva confezionato per lei.
Sarebbe stato tutto perfetto.
Sarebbe stato tutto magico.
Eppure il lato amaro di quel bicchiere d'ambrosia, dolce per definizione, non apparteneva al contesto di ciò che sarebbe andato a trovare.
Cosa avrebbe lasciato?
Il taxi percorreva Main Street, trafficata come se fosse mezzogiorno, quella notte, mentre i suoi dubbi si accavallavano, cercando di prevalere l'uno sull'altro.
Era pronto a lasciare la sua relativa libertà?

Era convinto di sì.
Certo, non del tutto. Forse erano stati gli occhi spenti di Yvonne a fargli fare un passo indietro, come se cercasse la sua approvazione per quel grande passo.
Approvazione che non avrebbe mai ricevuto.
Era diventato tutto troppo strano e incoerente. Amava Sapphire e l'avrebbe sposata ma contemporaneamente desiderava le attenzioni della sua modella.
Contraddittorio. Ruby non era così.
Il tassista imprecò in una lingua che il ragazzo non conosceva mentre, tra le fastidiose interferenze della radio, un triste blues stava riempiendo l'abitacolo di una pesantezza che quasi stancava.
Stancava più del normale.
Ruby era logoro, quella sera; la sfilata era andata in maniera grandiosa ma sembrava non interessargli più di tanto, come se il risultato fosse stato scontato.
Forse era soltanto arrivato al limite: non sopportava più quella solitudine controllata, in cui riusciva a isolarsi anche in mezzo alle persone.
Amava Unima ma era casa sua la cosa che più gli mancava.

“Ventisette dollari” esordì il tassista, che aveva accostato sul marciapiedi davanti all'albergo. Un piccolo rivolo d'acqua piovana camminava lento sotto il cordolo dello scalino, sull'asfalto nero, fino a tuffarsi nella grata di un tombino.
Ruby pagò con tre banconote da dieci, lasciò il resto all'uomo e rimise il portafogli nella tasca interna della giacca. Lentamente salì i gradini dell'albergo ed entrò nella hall.
Ogni passo era pesante, ogni pensiero si trascinava dietro una straziante scia di consapevolezza, che lo metteva davanti a una scelta.
Odiava le scelte.
“Buonanotte, signore” disse il facchino, ben avvolto nella sua divisa blu bardata. Ruby gli fece un cenno con la testa e s'inserì nel vortice della porta girevole automatica.
Quando entrò nella hall la temperatura era più mite. Era fin troppo abituato alla pioggia lui, a Hoenn, ma da quando era stato adottato da quella città aveva imparato a disprezzare sia le giornate di sole che quelle uggiose.
E le giornate di riposo, troppo lunghe e fastidiose.
E le persone. Odiava le persone.
Prese la tessera d'accesso alla camera, facendo un cenno col capo anche al concierge, e si avviò all'ascensore.
Premette il tasto di chiamata e intanto il cellulare vibrò, una volta, brevemente.
Lo prese. Pensò che fossero secoli che non sentiva suonare il cellulare ma, volente o nolente, era diventato un prolungamento della sua mano.
Ormai non poteva fare più nulla senza cellulare. Doveva gestire troppe persone, troppe situazioni, e non avrebbe mai potuto farlo in altro modo.
Era White.


Evita di parlare con Yvonne, stasera. Magari a mente fredda ne parliamo tuti e tre           02:37


Decise di non volerle rispondere. Lo infastidiva quell'atteggiamento che la Presidentessa stava avendo con lui.
Lo faceva sentire un ragazzino che non riusciva a tenere l'aggeggio nelle mutande.
Aveva paura che il suo autocontrollo non funzionasse e alle fine potesse rovinare tutto.
Sbuffò, poi lasciò cadere il telefono in tasca e sospirò, quando le porte dell'ascensore si aprirono davanti a lui.
Vi entrò. La musichetta, a quell'ora, non suonava.
Il problema forse erano le aspettative, pensò: tutti si aspettavano qualcosa da lui ma nessuno credeva che riuscisse a farlo. White era la prima a porre il suo dubbio su di lui, e Yvonne non lo guardava neppure più in faccia.
Le voci che giravano dietro la passerella, tra le sue modelle, sostanzialmente lo additavano come parte della coppia che si era andata a stabilire con la bella di Kalos.
Le ragazze non facevano sentire Yvonne a disagio, ma lo additavano come uno che se la spassava con le sue modelle e la cosa lo infastidiva di non poco.
Arrivò al piano e poco dopo davanti la sua stanza.
Strisciò la tessera nel lettore mentre pensava che, paradossalmente, l'unico pilastro su cui sapeva di poggiare fosse la sua Sapphire.
Bruciava la ferita sul fianco, digrignò i denti. Di tanto in tanto accadeva.
Si chiuse la porta alle spalle e accese le luci. La borsa era già pronta sul letto, piena di regali per sé e  per i suoi, da consegnare una volta arrivato a Hoenn.
Dentro c'era anche il vestito blu.
Fu l'unico momento in cui sorrise sinceramente e in maniera sfuggevole.
Stava per voltare pagina.
Vedeva la sua storia con Sapphire come una traversata lunga ed epica attraverso un oceano d'inconvenienti.
Una scalata sulla montagna più impervia mai vista.
E tutto ciò tenendole sempre stretta la mano.
Immaginava la sua proposta: l'avrebbe costretta a indossare quell'abito, dopo una sfilza infinita di spiegazioni e di perché, e poi l'avrebbe portata a vedere il tramonto da Brunifoglia, dove la cenere scendeva giù lenta e il sole dipingeva il cielo di rosso, rosa e arancione, mentre il blu della notte s'espandeva vorace. Le si sarebbe inginocchiato davanti e le avrebbe chiesto di diventare sua moglie.
Guardò il comodino. La scatolina ricoperta di velluto rosso conteneva un anello con diamante. Sarebbe stato lui il protagonista di quella serata, forse.
Sigaretta.
Si voltò verso la scrivania in larice e prese il pacchetto, quindi uscì nuovamente all'esterno.
Un tuono rombò tutt'intorno ma non sobbalzò. Sentiva la pioggia cadere fitta oltre la porta tagliafuoco che dava sul terrazzo.
Quando la aprì non fu in grado di vedere oltre le balaustre: litri e litri d'acqua si gettavano sulle mattonelle e sulle sdraio, rimbalzavano per terra, scivolavano sulle finestre.
Tagliavano il fumo delle sigarette.
Yvonne era lì.
Yvonne fumava lì.
Ruby la guardò, stretta nel suo cappotto grigio, che si stagliava oltre quella pioggia di spilli d'acqua. Manteneva la sigaretta tra le dita con la sua solita eleganza mentre lo sguardo vagava, un po' qua, un po' la.
I loro occhi s'incrociarono, quando la porta cigolò, chiudendosi.
Furono i sei secondi più lunghi che lui avesse mai vissuto. Stringeva tra le dita la Marlboro Gold, nascondendola dietro la coscia per evitare che si bagnasse.
I loro respiri diventavano condensa e salivano in alto, bucati dal temporale.
“Se... se vuoi vado via” fece lui, immobile.
Yvonne tornò a guardare dritto, senza voltarsi.
“Puoi fare quel che vuoi. Questo posto non è mio, no”.
“Grazie”.
Quella sorrise.
“Non ringraziarmi”.
Ruby sospirò. Se avesse potuto vedere il suo volto in quel momento, con ogni probabilità si sarebbe convinto di dover andare a dormire. Tuttavia un'ultima sigaretta non si nega neppure a un condannato.
Tirò fuori l'accendino dalla tasca del giubbotto e lo avvicinò alla bocca, ma quando si accorse che la rotella girasse a vuoto alzò gli occhi al cielo. Nonostante fosse al coperto, una goccia di pioggia gli baciò il viso.
“Oggi non me ne va bene una...” sbuffò, gettando il Bic verso le ringhiere.
E poi lo sguardo dell'uomo si spostò nuovamente verso l'altra.
La compagna di sigaretta.
“Hai da...?”.
Lo guardò con tanta sufficienza da fargli dubitare di essere lì. La vide portare la mano alla tasca del giaccone e tirare fuori una scatola di fiammiferi. Gliela porse, nonostante fosse a più di dieci metri da lui. Non accennò a muoversi.
No. Era Ruby, quello che doveva bagnarsi per raggiungerla.
E così fu.
Attraversò la parete d'acqua che c'era tra di loro, per ripararsi sotto al balcone del piano di sopra e mettersi accanto a lei. Era da troppo che non sentiva il suo profumo.
Afferrò i fiammiferi e aprì la scatolina.
Ne strisciò uno contro il muro alle loro spalle e tirò dentro un po' di quell'ossigeno sporco di cui tanto aveva bisogno.
“Grazie”.
Quella non rispose.
Un tiro, due tiri, tre tiri, e nessuno dei due ancora aveva aperto bocca.
Ruby avrebbe dovuto aprire il discorso in qualche modo. Giustificare le sue scelte in qualche modo, spiegarle i motivi che lo avevano spinto a scegliere la sua fidanzata storica.
Come se quello non fosse già un buon motivo.
Era difficile. Come poteva spiegare a quella donna il motivo per cui non avrebbero mai potuto essere qualcosa?
In mancanza di argomentazioni valide preferiva rimanere in silenzio.
Fu invece Yvonne la coraggiosa tra i due.
“Domani parti” osservò.
La pioggia continuava a battere impietosa.
“Sì. Domani torno a Hoenn”.
“Hai deciso?”.
Un tuono cadde scenico, proprio dopo quella domanda.
Il ragazzo la guardò e poi annuì, anche se lei non lo vide. “Credo sia arrivato il momento”.
Yvonne sorrise, amaramente. Si voltò, carezzando con gli occhi il viso bagnato dalla pioggia, le curve delicate che i suoi zigomi prendevano attorno al suo ovale.
Lo vedeva poggiare le labbra attorno alla sua sigaretta, ormai a metà. Il desiderio di essere quella Marlboro s’alternò col fastidio di non potervi mai riuscire, se non rubando l’ennesimo bacio, dove lui l’avrebbe stoppata.
Eppure a lui piaceva, lo sentiva.
Sentiva il corpo incastrarsi perfettamente col suo, quando erano vicini. Si chiedeva se anche con Sapphire succedesse.
“Il momento per cosa?”.
“Per crescere”.
“Sposarsi non vuol mica dire crescere”.
Ruby sorrise. “Sposarsi vuol dire incamminarsi su dei binari sicuri, e farlo in maniera ponderata. E, per quanto mi riguarda, ponderare le scelte significa crescere”.
Uno a zero, palla al centro. Yvonne si guardò le punte degli stivali, bagnati, per poi tornare a fissare i rubini dell'altro.
“È un peccato...” fece, tirando l'ultimo tiro dalla sua Winston Blue.
“Cosa?”.
“Negarci una possibilità”.
I loro occhi continuavano a tessere una trama che cominciava in maniera gelida ma s'incontrava al centro del mondo, nel nucleo denso e incandescente.
C'era vita, in quello sguardo. C'era passione, c'era sesso.
C'era rimpianto.
“Mi spiace che tu abbia frainteso le mie intenzioni”.
“No” sorrise lei. “È sempre stata colpa mia. Colpa mia che ti ho ripetutamente baciato e... mon Dieu, che ti giravo apposta nuda davanti...”.
“Come mille altre donne del resto...”.
Lei rimase a fissarlo per qualche secondo.
“Io non sono come le mille altre donne che ti ronzano attorno...”.
Ruby annuì. “Convengo”.
“E sai perché?”.
“Credo di sapere perché”.
“Perché io non voglio i tuoi soldi, né la tua compagnia sterile. Non m'interessa vederti nudo, Ruby, non voglio fare sesso con te”.
“Cosa vuoi, allora?”.
Yvonne sbuffò, quasi impercettibilmente. Gettò la sigaretta ormai esaurita nell'acqua e gli si avvicinò rapidamente. Era ferma a pochi centimetri dal suo volto, il suo profumo si univa a quello della pioggia, inebriandolo.
“Il tuo tempo, Ruby. Io voglio il tuo tempo. E voglio che tu voglia darmelo”. Fece cenno poi di no con la testa, sorridendo amaramente. “E quindi no, Ruby... Io non sono come tutte le altre. Perché alle altre interessa l'abito, il cappello e la sigaretta... A me interessa questo” concluse, toccando col dito lungo e affusolato il petto in corrispondenza del cuore.
“E so anche di esserci, qui dentro...” picchiettò ancora sulla bella camicia azzurra.
“Non è così...”.
“Invece sì. Il problema è che io non sia più su...”.
Col dito risalì il corpo del ragazzo, graffiandogli il collo e poi il mento, quindi il naso. Si fermò alla fronte.
“Il problema è che non sono qui dentro”.
E poi fu solo silenzio.
Yvonne si aspettava qualcosa, una parola, forse qualche frase, o un urlo. Anche uno schiaffo.
Voleva una reazione, buona o cattiva che fosse.
Ma Ruby rimaneva lì, in silenzio, con la sigaretta bagnata tra le labbra screpolate dal freddo, e le mani congelate, una nella tasca destra dei pantaloni e l'altra lungo la coscia sinistra.
La pioggia scendeva, la vita continuava e lui era immobile.
E Yvonne andò via.
“Buonanotte Ruby. Auguri per il tuo matrimonio”.

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