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Levyan - Nubian - 19 - Tiro al piccione


XIX
Tiro al piccione


Nel cenote innevato che dava accesso alla grotta del Nodo, l’impalcatura di metallo che sorreggeva la passerella emetteva rumori inquietanti. Non era una cosa anomala, era una costruzione provvisoria che spiraleggiava lungo la circonferenza di un grosso buco nel terreno, capitava spesso che il vento o la caduta di blocchi di neve o di ghiaccio la facessero cigolare. Lawrence, passeggiando lungo il tratto che dava accesso alla zona del macchinario, ascoltava quei rumori senza allarmarsi. Osservava il cerchio di luce che era una dozzina di metri sopra la sua testa, seguì con gli occhi l’andamento del ponticello che girava in circolo per quasi tre volte, prima di raggiungere la superficie. Era una giornata tranquilla, due colleghi erano usciti molto presto per la ronda e lui era riuscito ad accaparrarsi una colazione sostanziosa. Fortunatamente, la Faces pagava una piccola fortuna per stare in quell’inferno di ghiaccio. E lui aveva una moglie e tre figli, ad Adamanta. Aveva detto loro che sarebbe stato a Kalos per un corso di aggiornamento, come da protocollo. L’operazione Nubian era un progetto top secret a cui solo una ristretta sezione dell’organizzazione Faces aveva accesso. Perché lo includessero, aveva dovuto superare varie prove psicoattitudinali e numerosi test fisici e logici. Solamente a coloro che erano riusciti ad entrare nel progetto Nubian, era stata rivelata la vera natura di quest’ultimo. Ma nessuno aveva protestato, si erano tutti messi al lavoro. Un tipo del reparto ranger che era entrato nel progetto per il rotto della cuffia era andato a parlare con il direttore, chiedendo maggiori delucidazioni. Aveva dato le dimissioni la sera stessa e girava voce che si fosse anche trasferito. O che, in ogni caso, era scomparso.
«bzzz... Lawrence, controlla la zona alta della passerella, ci sono problemi di trasmissione, credo che una la telecamera dodici sia stata spostata dalla neve... bzzz» disse Conrad tramite la ricetrasmittente.
«bzzz... ricevuto, do un’occhiata... bzzz» rispose Lawrence.
Conrad era di turno nella sezione sorveglianza, doveva controllare numerosi monitor connessi con le telecamere. Era un tipo sveglio, veniva da Sidera, ma i suoi genitori erano di Alola.
Lawrence cercò di individuare la zona indicata rivolgendo gli occhi verso il cerchio luminoso, ma era difficile delineare precisamente le sagome, controluce. Ad un certo punto, una sagoma nera oscurò una piccola porzione di cielo.
«bzzz... Lawrence controlla anche la camera undici... bzzz» disse Conrad, notando un’anomalia in un secondo monitor. Poi si rese conto, che anche un terzo aveva smesso di funzionare a dovere. Allo stesso modo, un quarto.
«bzzz... Lawrence, rientra, Lawrence!» esclamò al walkie talkie.
«Conrad, ci sono problemi?» chiese Jules, dalla stanza vicina.
«Ho perso quattro telecamere e Lawrence non risponde, chiama Jackson e Watson, sono di ronda all’esterno, chiedi se hanno...» Conrad si interruppe. I suoi occhi erano fissi sul monitor della camera numero sette, che inquadrava la porta d’accesso alla sezione riservata: le braccia di un Pokémon avevano aperto una fessura tra le due ante scorrevoli della porta, la stavano forzando, aprendola senza troppa difficoltà «fermati Jules, lascia stare, prendi le armi» ordinò Conrad, attivando l’allarme.
In ogni stanza della base, scattò un ripetitivo segnale acustico, che allertò tutti gli agenti. Alcuni misero mano ai fucili, altri presero le Poké Ball.
«Jackson, Watson, siamo in emergenza» esclamò Conrad al comunicatore, con una mano sulla pistola che portava appesa alla cintura «chiamate i rinforzi esterni, rientrate immediatamente, è un codice rosso!»

«Dovrebbero essere armati, utilizzate mosse scudo, cercate di non uccidere!» ordinò Kalut.
Il gruppo penetrò nella galleria illuminata, accedendo alla zona riservata agli agenti. Ognuno aveva al seguito uno o due Pokémon, tutti sapevano quale fosse il piano d’azione. Green e Blue si diressero a destra, Ruby e Sapphire a sinistra, Kalut proseguì dritto.
I due Dexholder di Kanto si catapultarono dentro la prima stanza, una sorta di laboratorio pieno di macchine e rottami «Attenta!» esclamò Green, aiutando Blue ad evitare due colpi di arma da fuoco. I due si nascosero dietro un macchinario metallico.
«Quanti sono?» chiese lei, senza farsi intimidire.
«Due» rispose Green.
«Perfetto» Blue chiamò Ditto all’appello, il quale prese le sembianze della sua Allenatrice.
I due agenti armati videro la ragazza uscire fuori dal suo nascondiglio e cominciarono a sparare. Questa sembrava non curarsene, continuando a correre senza che alcun proiettile riuscisse a ferirla. Gli agenti non riuscivano a capacitarsene. La videro raggiungere l’altro polo della stanza e si scambiarono un’occhiata allibita. Avevano scaricato oltre dieci colpi nel vuoto senza buttare giù il nemico.
«Idropompa» disse una voce.
Due getti di acqua ad altissima pressione colpirono in pieno gli agenti, sbattendoli violentemente al muro. Entrambi caddero svenuti. Calma. Blue e Green vennero fuori dal nascondiglio. La ragazza fece rientrare Ditto ma tenne Blastoise pronto all’azione. Il Pokémon trasformista era stato crivellato di colpi, ma i buchi non erano riusciti a ferirlo. Il suo corpo si era rimarginato spontaneamente.

«Fermo, aspetta» disse Sapphire, bloccando Ruby prima che questo si catapultasse nella prima stanza. I due Dexholder erano a destra della porta «Kiruru» chiamò Sapphire, convocando il suo Gallade «riesci a captare la presenza delle persone qui dentro?»
Tre agenti si erano piazzati appena dietro alla porta d’ingresso, avendo udito i passi in avvicinamento. Stringevano i fucili in mano, pronti ad attaccare alle spalle chiunque fosse entrato. Impallidirono quando il muro al quale si erano appoggiati cominciò a gonfiarsi, i bulloni che tenevano insieme i pannelli di metallo a saltare e l’impalcatura di tubi a sgretolarsi. Un gigantesco Aggron sfondò la parete, rovesciandoli con un solo colpo poderoso. Tutti e tre si ritrovarono a terra, privi di sensi. Il Pokémon Corazza ruggì con arroganza, lasciando passare la propria Allenatrice.

Kalut camminava in sicurezza, non aveva imboccato quel percorso in maniera casuale. Sapeva che avrebbe incontrato principalmente Pokémon, anziché tizi armati. Un Drapion scattò verso di lui in un impeto convulso, uscendo fuori da una zona d’ombra.
Kalut non fece una piega, gli piazzò soltanto una mano sul carapace, tranquillizzandolo all’istante. Era un trucco che gli riusciva esclusivamente con i Pokémon selvatici e non legati ad un Allenatore, ma quegli esemplari erano stati preparati e allevati nei laboratori Faces e poi consegnati agli agenti solo per l’occasione. Era praticamente la stessa cosa. Drapion placò la sua furia cieca e zampettò al fianco di Kalut, pronto a difenderlo dai pericoli.
«Velenodenti, stordisci il tuo padrone» ordinò Kalut.
Drapion si rivolse verso il punto da cui era venuto, attaccando l’uomo che stringeva in mano la Ball da cui era uscito. L’agente Faces non ebbe tempo di comprendere ciò che era appena accaduto e cadde a terra, offuscato dalle tossine.
«Fielepunte alle mie spalle» ordinò lui.
Il Pokémon eseguì, piazzando una trappola di spine velenose sul terreno roccioso che Kalut aveva già percorso.

Gli agenti che si erano rintanati nella zona mensa udivano alcuni spari lontani, ma niente di più. Erano due e aspettavano, pronti ad attaccare gli intrusi. Erano stati sorpresi da quell’allarme e si erano armati alla ben e meglio. Uno dei due aveva portato la propria 9 millimetri, ma l’altro aveva ripiegato sull’ascia metallica del kit antincendio.
«Hai sentito?» chiese uno dei due, sussurrando.
«Non è niente» rispose l’altro.
«Erano dei passi».
«No, non è possibile» il rumore che entrambi avevano percepito era stato troppo flebile, all’interno di quella grotta, il rumore degli scarponi era amplificato dal riverbero fino ad essere udibile con chiarezza a metri di distanza «non di un essere umano, almeno» aggiunse.
Dal nulla sbucarono fuori un Plusle e un Minun, che rilasciarono numerosi chilowatt di energia elettrica attraverso i loro corpi. Gli agenti rimasero paralizzati sul terreno metallico. Ruby e Sapphire, recuperando i propri Pokémon, si fecero strada verso la prossima area.

«Spegni le luci» ordinò Green al suo Porygon-Z.
Il Pokémon Virtuale entrò nella centralina del generatore, bloccando il flusso di energia. I fari al neon di quell’area si spensero all’improvviso, lasciando quella grotta al buio. L’unico agente rimasto, non riuscendo a vedere più niente, uscì dal suo nascondiglio, cedendo alla paura. Si diresse verso l’uscita, inciampando nei cavi sparsi sul terreno.
Clunk!
Fu steso dalla Cozzata Zen del Golduck di Green, che riuscì a colpirlo in pieno ad occhi chiusi grazie ai suoi poteri psichici. I Dexholder di Kanto scavalcarono il suo corpo privo di sensi e passarono oltre.

«Vieni qui» esclamò Kalut al Pokémon che stava percependo
Un Druddigon si liberò spontaneamente dalla Ball del suo Allenatore. L’agente Faces si era nascosto dietro un angolo, pronto ad attaccare il ragazzo, la sfera gli esplose in mano e il Druddigon si rivolse contro di lui, stordendolo con un violento Dragofuria. Il rettile si unì al Drapion che agiva già al seguito di Kalut.
Il ragazzo dai capelli bianchi raggiunse l’obbiettivo. Davanti a lui, un portale metallico si stagliava come ultima barriera. Dalla sua destra spuntarono Green e Blue e dalla sinistra Ruby e Sapphire, tutti e quattro investiti da una intensissima scarica di adrenalina. Avevano evitato proiettili e combattuto contro esseri umani, neanche loro erano avvezzi a ciò. La situazione si era calmata e nella base era tornato il silenzio siderale che si addiceva ad un luogo tanto sperduto nel nulla.
«Gli agenti sono tutti inoffensivi?» domandò Kalut.
«Svenuti» rispose Green, non nascondendo un velo di insoddisfazione che suscitò un’occhiataccia di Blue.
«Oltre questa porta dovrebbe esserci il macchinario, Ruby, forzala».
Il Campione di Hoenn chiese l’aiuto di Swampert, che spalancò i due lembi del grosso varco metallico senza alcun problema. Gli Allenatori passarono alla stanza successiva venendo investiti da un’aria gelida particolarmente tagliente.
Kalut era già stato lì, ma i quattro Dexholder impallidirono di fronte a quello spettacolo. Centinaia di Pokémon di tipo Ghiaccio erano stati incapsulati in delle teche di vetro simili ad incubatrici, sembravano addormentati, comatosi. Ogni Pokémon era collegato con dei cavi a quello successivo e il pavimento era ricoperto da un fitto reticolo di connettori che si ramificava per tutta la stanza.
«Dio...» mormorò Sapphire.
Blue era inorridita, Ruby esterrefatto. Persino Green faceva fatica a nascondere le sue emozioni.
«C’è qualcuno» mormorò Kalut, attirando l’attenzione di tutti, ma non spezzando quel senso di orrore che permeava l’aria del gruppo.
Da una porticina che era sul lato di quella stanza, proveniva un rumore soffocato. Kalut entrò prima di tutti. Gli Allenatori si ritrovarono in una stanza piena di strumentazioni digitali e monitor.
«E’ la sala di sorveglianza, credo ci sia anche la consolle che controlla tutto lo stabilimento» comunicò Green.
«Hanno chiamato i rinforzi» notò Kalut, posando gli occhi sul comunicatore fisso che emetteva quel suono gracchiante.
bzzz... Conrad, ho mandato tra squadre di supporto, qual è la tua situazione? bzzz” disse qualcuno, dall’altro capo del collegamento.
«Ci penso io» fece Kalut, avvicinandosi al microfono «Acromio, abbiamo bisogno di una mano, puoi mandare tutte le truppe» disse tranquillamente.
Nessuno dei Dexholder comprese.
“...porca putt... hanno già preso possesso... vaffan... contatta il direttore, attiva il comando...” balbettò l’agente Faces dall’altra parte, sentendo la voce di qualcuno che non fosse Conrad.
«Green, mi serve il tuo Porygon-Z» fece Kalut.
Il Dexholder, continuando a non capire, lo estrasse dalla Ball.
«Disinnesca il comando di emergenza che stanno per inviare» gli ordinò Kalut.
Il Pokémon Virtuale penetrò nel computer centrale accedendo digitalmente al sistema della base.
Mentre il Pokémon di Green agiva, Kalut si rivolse al Drapion e al Druddigon che lo stavano seguendo «cercate nella base, trovate gli ordigni e recidetene i cavi» i due Pokémon si mobilitarono immediatamente.
«Che sta succedendo?» domandò finalmente Blue, esprimendo la titubanza dell’intero gruppo.
Kalut si rivolse verso di loro: «ho chiesto aiuto ad Acromio, è il capo della squadra dei rinforzi, è l’unico che è riuscito a fare breccia nella rete di comunicazioni della Faces, quindi l’ho allertato utilizzando questo dispositivo» indicò il comunicatore «ovviamente, l’agente Faces che era dall’altra parte, sentendo la mia voce, si è reso conto della gravità della situazione e ha lanciato il comando di autodistruzione della base, Porygon si sta occupando dell’input digitale e i miei Pokémon dei collegamenti analogici».
«Avrebbero fatto esplodere la base?» chiese Sapphire, esterrefatta «con tutti i Pokémon e gli agenti?»
«Per un bene maggiore» rispose Kalut, non rendendo il fatto più dolce.
«Come facevi a saperlo?» chiese Green, sospettoso.
«Ho visto parecchie basi Faces... e poi era intuibile» rispose lui.
«Chi è questo Acromio?» domandò Blue.
Kalut sorrise «se ve lo state chiedendo... sì, si tratta dell’ex secondo leader del Team Plasma».
La dichiarazione lasciò a tutti l’ultimo dubbio.
«Kalut, chi sono i nostri alleati?» chiese Green, ancora sull’orlo del sospetto.
«Una coalizione riunita da Acromio in persona formata da molti vecchi membri dei team che avete affrontato» rispose lui, senza paura «ci sono vecchi membri del team Rocket, alcuni del team Idro e Magma, un paio di reclute del team Flare e del team Galassia... è per questo che arrivati a Evopoli avevamo accesso al loro vecchio quartier generale».
«Dici sul serio?» fece Ruby, incredulo.
«C’è anche Rossella» gli rispose Kalut in contropiede «l’iniziativa è partita da lei e da pochi altri ex membri, si sono tutti mobilitati dopo le vicende di Vivalet, vedendo voi, i loro ex avversari, coalizzati contro una minaccia comune. Hanno contattato la Resistenza, alcuni di loro ne facevano già parte da molto prima. Ovviamente, non si sono subito uniti a noi, abbiamo mantenuto le debite distanze, sia da parte nostra, per sicurezza, sia da parte loro, per non rischiare» poi si focalizzò su ciò che aveva appena fatto, chiedendo l’aiuto di Acromio «Sono tutti a rischio, gente che si è rifatta una vita con difficoltà o che non ha trovato il modo di riscattarsi dal proprio passato: sarebbero intervenuti solamente con la certezza di riuscita. Ora che sanno che siamo penetrati fin nelle profondità della base e devono solo darci il tempo di agire, fermando i rinforzi della Faces, agiranno dalla nostra parte» concluse.
I Dexholder rimasero allibiti e stupiti da quelle parole.
«E’ tutto ciò che abbiamo, dobbiamo fidarci di loro» fece Kalut.
«Cerchiamo di fermare questo macchinario prima possibile...» tagliò corto Green, girando i tacchi.
Kalut abbassò lo sguardo sulla consolle che controllava l’intera base. Cercò ciò che più si avvicinasse ad un comando di shut-down generale, ma il macchinario era articolato e complesso, persino per lui. Continuò a spulciare tra le impostazioni del computer.
«Mi ci vorrà parecchio tempo. Ruby, per favore, cerca il quadro elettrico centrale, vorrei provare a... staccare la spina» chiese, con tranquillità.
«Vado» acconsentì lui.
«Ci sono alcuni comandi ai quali posso accedere solamente tramite un badge di riconoscimento, qualcuno può prendermene uno da uno degli agenti svenuti?» chiese ancora Kalut.
I suoi modi erano un tantino sgarbati, ma nessuno aveva niente da fare e la situazione era ormai perfettamente calma e controllata. Blue si diresse verso le stanze precedenti senza emettere risposta, Green la seguì con gli occhi, distraendosi dallo studio approfondito che stava conducendo sulle capsule dei Pokémon Ghiaccio. Le osservava, girava loro attorno. Probabilmente si stava chiedendo se, staccando all’improvviso tutti quei fili, avrebbe potuto salvare quegli esemplari di Pokémon dai quali stava venendo succhiata tutta l’energia. Sapphire, pochi filari di capsule più lontana, seguiva l’andamento dei cavi, che diventavano man mano meno numerosi, convergendo progressivamente in dei grossi fasci ordinati.
«Ragazzi, venite a vedere...» disse ad un certo punto.
Green e Ruby, gli unici ad averla sentita, la raggiunsero con fare titubante.
«Il Nodo di cui parlava Kalut» commentò Ruby.
I tre Dexholder stavano guardando una nicchia nel terreno nella quale serpeggiavano due tozzi fasci di cavi elettrici, collegati a dei grossi elettrodi. Tra questi ultimi, c’era un nodo, un intreccio di due funi fatte di un materiale nero e opaco, indefinibile, alieno. Il nodo, incastrato nella roccia profonda era immobile, aveva l’aria di essere completamente indistruttibile e impossibile da sciogliere. Era ricoperto da una spessa patina di ghiaccio, nel punto di convergenza dei due elettrodi, da esso si dipanava quell’aria gelida che riempiva la stanza.
«Regigigas avrebbe fermato i continenti con dei nodi come questo?» domandò Sapphire, rievocando il mito.
«Secondo quanto si narra a Sinnoh» rispose Ruby.
«Congelando il Nodo, si congela l’intera regione» dedusse Green «è assurdo, è antiscientifico» commentò.
«Dov’è Blue?» chiese Sapphire.
In quel momento, il suono di uno sparo esplose in tutta la grotta, mandando in frantumi il silenzio cristallino.
Kalut corse fuori dalla sala di sorveglianza. I Dexholder si precipitarono con lui. Green oltrepassò tutti, imboccò il portone divelto, si guardò attorno in cerca della sua donna. La vide, accasciata contro una parete della grotta, alla sua destra. Corse verso di lei, senza sentire le parole che stava pronunciando.
«Fermo, Green... è una trappola...» mormorava, con un filo di voce.
Il Capopalestra fece un passo di troppo.
«E’ colpa vostra» disse qualcuno, dall’ombra.
Green percepì il brivido lungo la schiena provocato dall’avere una pistola puntata addosso. Non reagì. Non ebbe il tempo di difendersi, voltarsi o provare a soccorrere Blue. Era spacciato.
«Bastardo» esclamò Sapphire, bloccando l’avambraccio dell’uomo armato, prendendolo alle spalle. Le unghie dell’altra mano affondarono nel suo collo, strappandogli un urlo spontaneo. Il colpo andò a vuoto, deviato dall’aggressione subita.
Il terzo a giungere sulla scena fu Ruby, che corse in aiuto della sua ragazza. Vide l’uomo vestito di nero provare a scollarsi Sapphire di dosso: lei aveva una presa salda, ma lui disponeva di un fisico non indifferente. Riuscì a liberarsi dalla presa e fece per voltarsi, con l’arma carica ancora nella mano. Ruby si fece avanti, bloccandogliela e sferrandogli un pugno sui denti con tutta la forza di cui disponeva in quel momento. La pistola rimase nella sua mano, l’uomo indietreggiò, sputando sangue e due denti.
Di riflesso, il Dexholder di Hoenn puntò sull’aggressore l’arma appena sottrattagli. Questo non sembrò intimorito, ma smise di muoversi bruscamente, limitandosi al portare la mano sul labbro spaccato, per tamponare la ferita. Finalmente, la luce di un neon riuscì a illuminarlo.
«F-figli di puttana» balbettò.
Ruby e Sapphire impallidirono. Era lui, era il ragazzo che li aveva attaccati sulla Vetta Lancia.

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