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Levyan - Nubian - 20 - Il male minore


XX
Il male minore
 
 
Il ragazzo barcollò, tamponandosi il labbro ferito. Ruby e Sapphire tenevano gli occhi esterrefatti fissi su di lui, lo riconoscevano. I capelli castani lunghi e scompigliati, il volto scavato e arrossito dal freddo, la tuta nera invernale ancora ricoperta di neve.
«Blue!» fece Green, precipitandosi sulla sua donna.
La Dexholder era appoggiata alla parete e stava lentamente stramazzando sul terreno. Teneva gli occhi bassi e le mani premute sull’addome. Il suo cappotto era inzaccherato di sangue, alcuni rivoli le scendevano lungo i pantaloni e raggiungevano il terreno.
«Cazzo... cazzo... cazzo...» mugolava lei, terrorizzata.
Nella stanza giunse anche Kalut, meno destabilizzato rispetto a tutti gli altri presenti poiché maggiormente dotato di sangue freddo. Si rivolse immediatamente verso l’aggressore, che era disarmato e ferito, ancora nel mirino di Ruby. Quello non poté opporsi, Kalut evitò un suo calcio, lo bloccò con un braccio e gli gettò l’altro attorno al collo, stendendolo in poco meno di cinque secondi.
«Aprile il cappotto, bisogna fasciare la ferita» fece poi rivolgendosi a Green e gettandosi alla ricerca di un kit medico.
Green scoprì la ferita di Blue, liberandola da tutti gli strati di vestiti che la coprivano «Va tutto bene, va tutto bene» ripeteva.
«Ho i brividi, Green».
«Blue, ti prego... resisti... Kalut! Sbrigati, cazzo!» la voce del Capopalestra tremava dal terrore.
Kalut esclamò qualcosa e tornò subito indietro, portando con sé una scatola bianca etichettata con una croce verde. Ne estrasse ovatta, garze e una siringa di antidolorifico. Green strinse il corpo di Blue, facendo in modo che si muovesse il meno possibile e sollevandolo il necessario perché Kalut potesse completare una fasciatura decente. Vi era soltanto un foro di entrata, che si trovava appena sotto il cardias, sopra l’ombelico della ragazza. L’emorragia era copiosa, ma i due Allenatori non avevano paura di sporcarsi le mani. Completarono la medicazione stringendo bene le garze che si tinsero immediatamente e completamente di rosso. Blue rimase a terra, appena cosciente. La rivestirono e Kalut le fece l’iniezione di morfina nel braccio, sollevandole la manica. Il dolore sembrò calmarsi, il suo respiro tornò regolare. Green continuava a stringerla. La situazione sembrava calma. Ruby e Sapphire erano rimasti paralizzati e immobili, con la pistola ancora in mano. Se il ragazzo si fosse mosso, probabilmente, non sarebbero stati neanche in grado di sparare. Quello sconosciuto li aveva quasi uccisi, sulla Vetta Lancia. Li aveva attaccati alle spalle e, trovandosi alle strette, aveva provato a finirli con una granata. A causa sua, erano entrambi andati tanto vicini alla morte come mai prima di quel giorno. Ed era poi tornato così: comparendo dal nulla, sparando alla loro amica e per poco anche a loro. Giaceva lì, immobile, privo di sensi, stordito da Kalut.
«Legatelo» ordinò quest’ultimo, svegliandoli dalla catalessi «e immobilizzate anche gli altri».
Tutti i Pokémon del gruppo furono liberati per le grotte, con l’incarico di sorvegliare ogni agente svenuto e rimetterlo a dormire, nel caso in cui si fosse svegliato. Green e Blue si rintanarono immediatamente nella sala dei monitor, che era l’unica con un sistema di riscaldamento decente. A Blue furono date tutte le coperte e i sacchi a pelo, perché non andasse in ipotermia. Ruby, Sapphire e Kalut portarono l’aggressore nei pressi del Nodo, lo privarono delle armi e delle Ball e lo immobilizzarono con dei legacci. Il ragazzo fu svegliato da un getto d’acqua lanciato dallo Swampert di Ruby. In quella stanza si congelava, essere zuppi non era certo una cosa piacevole.
«Chi sei?» esordì Ruby.
«Flegatemi...» mormorò quello tenendo gli occhi fissi sul terreno e parlando male a causa delle ferite che aveva in bocca.
«Chi sei?»
«F-flegatemi» ripeté, cominciando a balbettare a causa del freddo.
«Dicci chi sei o ti lasceremo morire di freddo, qui, solo» chiarì Kalut.
«Mi avete t-tolto mia f-forella!» sbraitò quello, sputando altro sangue «mi avete t-tolto t-tutto!»
Sapphire si avvicinò alla faccia del ragazzo, scrutando il suo volto attraverso i capelli bagnati e disordinati che gli pendevano davanti agli occhi «perché hai cercato di ucciderci? Che cosa vuoi da noi?»
«Avete f-fatto m-morire mia forella...» balbettò lui «f-fiete come loro, m-mi avete tolto tutto, m-mi avete tolto Felia».
A Kalut gelò il sangue in ogni vena del corpo. Ruby e Sapphire impiegarono più tempo per arrivarci.
«Sei Xavier...» sussurrò Kalut «tu sei il fratello di Celia...»
I due Dexholder di Hoenn ricostruirono pezzo dopo pezzo ciò che l’alleata di Kalut aveva detto loro, molti giorni prima. Aveva fatto fatica a rivelare quel particolare, ma aveva accennato ad un fratellastro che era stato reclutato dalla Faces, un anno prima.
«Lavori per la Faces?» gli domandò Kalut, fingendo di non essere stato sconvolto da quella rivelazione.
«No» risposero Ruby e Sapphire, prima che lui potesse rispondere vomitando altre parole sconnesse.
I due Dexholder ricordavano ogni singolo istante di quel giorno orrendo. Poco prima di lanciare contro di loro quella granata, Xavier aveva risposto alla stessa domanda.
«Ha detto di non lavorare più per loro» aggiunse Ruby.
«E perché si sarebbe messo contro di noi?» domandò Kalut.
Nessuno seppe ribattere.
«E’ vero ciò che dicono?» venne chiesto direttamente a lui.
«, n-non f-fono d-della Facef» confermò.
«Se non combatti dalla loro parte, perché ci hai attaccato?» chiese Ruby.
«P-perché avete uccifo m-mia forella» ripeté per l’ennesima volta.
«Noi non abbiamo fatto del male a Celia, lei lavorava con noi, probabilmente è ancora viva, anche se si trova ad Austropoli» fece Kalut.
Xavier sollevò lo sguardo, fissandoli con due occhi spiritati e terrorizzati allo stesso tempo «E’ andata ad Auftropoli?» chiese, con un filo di voce.
Non lo sapeva. Non era per quello che aveva sviluppato tanto livore nei confronti della Resistenza.
«Figli di puttana!» gridò, avventandosi in modo impacciato verso Kalut, inciampando su se stesso e finendo a terra senza neanche sfiorarlo «figli di puttana! Fiete tutti uguali!» continuava a gridare col volto spalmato sulla roccia gelida, sputando sangue e saliva.
I Dexholder e Kalut non infierirono ancora, non ebbero il coraggio di toccarlo.
«Datevi una mossa, bisogna fermare il macchinario!» esclamò Green, dall’altra stanza «Blue dev’essere portata in ospedale!»
Kalut scambiò una rapida occhiata con Ruby. Si capirono subito. Blue era spacciata, era impossibile portarla a valle in tempo con una ferita di quella portata, persino Ruby, che ci era riuscito con Sapphire, ne era cosciente. La Dexholder di Hoenn fu l’ultima a comprenderlo.
«No... no, no!» si intromise nella silenziosa intesa tra i due «non penserete di lasciarla morire?»
«Sapphire, Sapphire, ti prego...» tentò di calmarla Ruby.
«Cazzo, no, anche lei no!» continuava.
«Non possiamo distrarci dal nostro obiettivo, Sapphire» fece Kalut, guardandola negli occhi «Blue è stata colpita ad un’arteria, sta perdendo troppo sangue, pochi minuti alle temperature esterne a questa grotta basterebbero per ucciderla» spiegò, gelido.
«No, Blue» ormai la ragazza iniziava a piangere nervosamente «non possiamo lasciarla morire, non...» le parole le morirono in gola.
«Kalut, maledizione, ferma questo affare!» gridò ancora una volta Green.
«Arrivo» rispose, a voce alta «tieni d’occhio Xavier, non abbiamo finito con lui» intimò a Ruby, lasciando quel luogo.
I due Dexholder di Hoenn rimasero da soli. Sapphire si masticava il labbro e Ruby faceva di tutto per mantenere naturale il proprio ritmo respiratorio. Xavier, ancora spalmato sul pavimento, emetteva gemiti soffocati e batteva i denti dal freddo.

«Ho bisogno di tre squadroni per l’incursione frontale: il vivo della battaglia sarà sulla vetta alle coordinate che Kalut ci ha inviato. Rossella, Alan e Maxus saranno i luogotenenti» ordinò Acromio al dispositivo di comunicazione «il resto delle truppe si dividerà in cinque squadre sotto il comando di Sird, Saturno, Xante, Ada e Plumeria, e si posizionerà nei punti che ho segnato sul GPS, tutto chiaro?»
Nelle sue cuffie risuonarono in coro diverse conferme, Acromio non riuscì a contarle una per una, ma diede per scontato di non aver lasciato nessuno fuori. Stava sorvolando una delle cime del Monte Corona col suo elicottero insieme ad un pugno di uomini fidati della vecchia formazione del suo Team Plasma. Dal finestrino, riusciva a vedere la sua destinazione e alcune squadre della Faces che vi si avvicinavano accelerando con i loro gatti delle nevi. Non aveva la certezza di riuscire a farcela, ma in lui e nel meticcio che era riuscito a creare riesumando vecchie conoscenze e membri di team distrutti erano riposte le uniche speranze della Resistenza, e tanto bastava.
«Non voglio errori, se non siete convinti di gettarvi nella mischia, ormai è troppo tardi per tirarsi indietro, vendiamo cara la pelle» concluse, al microfono.
Staccò la comunicazione e cambiò le impostazioni al fine di collegarsi con la base Faces.
«Kalut, riesci a sentirmi, Kalut?» fece.
Nella sala della sorveglianza, Green era troppo coinvolto dalle condizioni critiche di Blue per preoccuparsi minimamente dei suoni che uscivano dalla radio. Kalut giunse in quella stanza appena in tempo. Ignorò i due Dexholder accasciati in un nugolo di coperte inzaccherate di sangue e rispose alla chiamata.
«Acromio, parla» pronunciò nel microfono.
«Sono in lieve ritardo rispetto al previsto, le squadre Faces saranno le prime a raggiungervi, preparatevi a resistere da soli, finché i miei uomini non saranno lì» scandì bene le parole senza sminuirne il significato. Non doveva indorare la pillola.
«Va bene, ma tu prova a far arrivare le prime squadre, ho bisogno di tempo, non devo vincere una battaglia» sottolineò.
«Kalut, ci sarà una battaglia e dovremo vincerla» chiarì Acromio.
«Lo so» il ragazzo trasse un sospiro «fai quello che puoi, chiudo» e interruppe il collegamento.
Kalut fece per lasciare la sala comunicazioni, ma Green tentò di intercettarlo con la voce.
«Devo portare Blue a valle» disse, in preda al panico «qual è la via più breve?» gridava.
Kalut non rispose.
«Può salvarsi, puoi fare in tempo» insistette.
«Green, ho da fare... dobbiamo barricarci qui dentro» rispose Kalut.
L’universo del Capopalestra di Smeraldopoli si accartocciò in una matassa informe.
«Non puoi dire sul serio...» balbettò, alzandosi «intendi lasciarla morire così?»
«Non è possibile» scandì Kalut «Salvarla. Non è possibile» e uscì.
Green rimase immobile a fissare il nulla. Alle sue spalle, Blue aveva di nuovo perso i sensi. Ognuno, nella grotta, udì delle urla straziate provenire dalla sala della sorveglianza.
Kalut prese a percorrere i cunicoli a ritroso, oltrepassando tutti i corpi esanimi delle guardie sconfitte poco prima, fino a giungere all’entrata principale. Sapphire gli fu presto alle spalle. Le lacrime le si erano congelate sulle guance e lo sguardo gelido le arrossava gli occhi gonfi. Aveva compreso.
«Che cosa devi fare?» domandò al ragazzo dai capelli bianchi.
«Ruby è con Xavier?» la ignorò lui.
«Come posso essere utile?» riprovò lei.
«Devo chiudere le entrate» spiegò Kalut «gli agenti Faces saranno i primi a raggiungerci, per qualche tempo dovremo resistere con le nostre sole forze.
«Intendi barricarci qui dentro?»
«Se vuoi vederla da questo punto di vista, sì» rispose, seccato.
«Voglio restare all’esterno» affermò.
«Cosa?» domandò Kalut.
«Dentro non ti servo più a nulla, puoi creare un muro di roccia o di ghiaccio e bloccarli per qualche minuto... io posso combattere» era decisa, temprata, inamovibile.
«Ruby...?»
«Ruby farebbe lo stesso» lo interruppe lei.
Kalut rifletté su quale fosse la decisione giusta da prendere. Fissava la ragazza di Hoenn negli occhi e vedeva il mare in tempesta.
«Va bene» acconsentì «blocca le entrate, io mi occupo del macchinario» le consegnò il compito, tornando sui suoi passi.
Sapphire rimase lì, di fronte alla passerella che portava alla superficie. Chiamò a sé i suoi Pokémon, che erano stati incaricati di vegliare sulle guardie, insieme agli altri. Questi la circondarono, condividendo empaticamente il suo forte senso di rassegnazione.
«Aggron, Donphan, restate nei pressi dell’entrata, quando vi darò il segnale, farete franare la roccia in modo da bloccarla» ordinò.
Kalut tornò alla sala del macchinario, aveva portato con sé il badge prelevato ad una delle guardie svenute. Provò far captare la scheda magnetica dal macchinario, ma la richiesta fu rigettata. Quella tessera apparteneva ad una recluta e c’era bisogno di una autorizzazione di grado più elevato per accedere alle impostazioni avanzate. In poche parole, gli agenti che erano nella base non avrebbero mai potuto spegnere il macchinario, a meno che un loro superiore non li avesse raggiunti.
«Cazzo...» il ragazzo provò a smanettare ancora un po’ ma il computer non sembrava dare risposte.
Uscì dalla stanza, ormai Green non lo seguiva neanche più con lo sguardo. Tornò da Ruby, in fondo alla sala delle capsule.
«Non riesci a fermarlo?» chiese il Dexholder di Hoenn, senza staccare gli occhi da Xavier.
«Sono a corto di idee» rispose Kalut.
«Dov’è Sapphire?»
«Le ho chiesto aiutarmi con un lavoro nei cunicoli iniziali» rispose Kalut, glissando sui particolari.
«Di preciso?»
«Barrica le entrate, dobbiamo prendere tempo, pare che gli agenti Faces arriveranno prima dei nostri alleati della Resistenza».
Ruby annuì, dando segno di aver capito «Mi avevi chiesto di cercare il quadro elettrico generale» ricordò poi «non potremmo staccare la spina?» chiese, riutilizzando le sue stesse parole.
«Ecco, ho studiato i pochi dati forniti dal computer... per la conformazione delle capsule, spegnerlo all’improvviso potrebbe portare il macchinario ad un’implosione» spiegò «la grotta crollerebbe... con tutti dentro» spiegò.
«Perfetto, quindi che possibilità restano?» domandò Ruby, non particolarmente allettato da quella opzione.
«Togliergli energia gradualmente, distruggendo le capsule» rispose Kalut.
«Questa mi sembra migliore...»
«Ma staccarne una senza aver prima disattivato tutto, ucciderebbe il Pokémon che vi è contenuto all’interno» precisò.
«Oh» fece Ruby, deluso.
«O riuscire a penetrare nel pannello di controllo... e qui potrebbe entrare in aiuto il nostro ospite» aggiunse, dirigendosi verso l’ex agente Faces.
«Non t-toccarmi» esclamò Xavier, terrorizzato.
Kalut lo prese per il giaccone e lo sollevò fino alla posizione eretta, guardandolo fisso negli occhi «Che grado avevi quando eri nella Faces? Sai come bypassare un protocollo riservato agli ufficiali?» gli chiese, quasi spuntandogli le parole in faccia.
Il gelo che proveniva dal nodo e la temperatura di quella stanza avevano colorato la sua pelle di un preoccupante colore violaceo, ma ciò non gli impedì di contrarre le labbra congelate e sputare sul volto di Kalut.
«Fei ftato t-tu a mandarla ad Auftropoli?» fece, mentre Kalut mollava la presa per pulirsi dal suo sangue e dalla sua saliva.
«Non ce l’ho mandata» urlò lui «lei collaborava con noi, faceva parte della Resistenza!»
Era tutto inutile «Fiete t-tutti uguali, t-tutti uguali» continuava a dire quello, come un disco rotto.
«Noi abbiamo aiutato tua sorella, quando lei ha voluto rifiutare di arruolarsi nella Faces» riprovò Kalut «la conosco la tua storia: il giorno in cui tuo padre è morto, hai accettato la proposta di diventare un loro agente. Contemporaneamente, Celia, l’unica di voi due con un po’ di sale in zucca, veniva presa da Antares come allieva. La sua protezione le ha evitato di essere uccisa poiché testimone delle azioni della Faces».
«Aveva quattordici anni!» gridò con tutte le sue energie Xavier, dando l’idea di recuperare un po’ di senno «e aveva appena perfo fuo padre!»
«Noi l’abbiamo aiutata, tu l’hai abbandonata...»
«L’avete coftretta a d-diventare qualcofa che non era. Era obbligata a vivere nella paura e a combattere per voi, non aveva le rimaneva altra fcelta» continuò «era morta dentro, ormai...»
«L’hai incontrata?» chiese Kalut, spontaneamente.
« che l’ho fatto... ho vifto le condizioni in cui si è ridotta» rispose Xavier.
Tornò il silenzio, per qualche secondo.
«Io ti capisco, Xavier» esordì Ruby «credendo di salvare le persone che amavo, ho lavorato per la Faces, anche loro hanno fatto di me qualcosa che non ero e mi hanno sfruttato per i loro scopi» cercò di far finta che il ragazzo a cui si stava rivolgendo non gli avesse mai lanciato una granata nel tentativo di ucciderlo a sangue freddo «ma ho trovato il modo di riscattarmi. Se adesso fermiamo la Faces qui, possiamo raggiungere Celia ad Austropoli ed aiutarla a tornare alla normalità...»
Xavier sembrò fermarsi a riflettere. Abbassò lo sguardo, per qualche secondo.
Il momento di calma fu spezzato dal suono cadenzato dei passi di qualcuno che si stava avvicinando. Pesanti, decisi, furiosi.
«Tu eri nella sala della sorveglianza!» esclamò Green giungendo sulla scena, puntando il dito contro Kalut.
Aveva lo sguardo stravolto, gli occhi gonfi e le lacrime che rigavano il viso. Sembrava dover esplodere da un momento all’altro.
«Tu eri nella sala della sorveglianza!» ripeté, sempre più arrabbiato.
«Green, calmati» provò Ruby.
«Zitto, sto parlando con lui» tornò a guardare Kalut «tu potevi vedere questo bastardo che si avvicinava attraverso le telecamere» e indicò Xavier «come hai potuto non accorgerti di lui e lasciare che sparasse a Blue?»
«Green... io...» provò Kalut.
«Come hai fatto a non accorgertene? Come hai potuto? Tu!» continuava.
«Ho sbagliato... io...» per la prima volta, a Kalut sembrava mancare una risposta «ho commesso un errore...» mormorò.
Xavier si trovava sull’orlo della nicchia in cui era incastonato il Nodo, Kalut gli dava le spalle, poco lontano, schiacciato tra lui e il dito accusatore di Green. Ruby era appena dislocato e osservava senza poter intervenire. Si rendeva lentamente conto che Green aveva ragione, per un essere eccezionale come Kalut che aveva dimostrato più e più volte di riuscire ad avere il controllo su qualsiasi cosa, quello stupido e banale errore risultava veramente inaspettato. Una disattenzione a proposito di un nonnulla che aveva significato la morte di Blue, un prezzo comunque troppo alto da pagare.
«Sei tu che l’hai uccisa, figlio di puttana! E’ tua e solamente tua, la colpa!» urlò Green, andando verso di lui.
Kalut indietreggiò di pochissimo, sapendo di avere Xavier alle spalle.
«La sua vita non valeva niente per te, ti interessava soltanto di riuscire a sfruttarla per i tuoi scopi!»
Kalut fece un ultimo passo indietro.
Con le sue ultime forze, Xavier lo arpionò per il cappotto.
«Voi uccidete sempre tutti...» gli sussurrò all’orecchio.
“Sei stato bravo” pensò Xatu, invisibile a tutti i presenti.
Kalut perse l’equilibrio, Xavier lo trascinò con se verso il buco, ma non vi cadde all’interno. I due caddero insieme, ma Xavier crollò su se stesso mentre Kalut, che era in piedi, andò giù di spalle. Fece per riprendersi ed evitare di cadere nella nicchia, ma il suo collo finì contro il bordo roccioso di quel buco scavato in fretta e furia, spezzandosi.
Il suono delle vertebre che si rompevano riecheggiò in tutta la stanza, congelando le interiora di Ruby e Green. Xavier era un cencio, logoro, tremante. Ma era ancora vivo. Sopra di lui, il corpo morto di Kalut, freddo, spento, immobile. I suoi occhi fissavano vacuamente il soffitto.
Nel pensiero e nelle corde vocali, un ultimo pensiero che avrebbe voluto condividere con Xatu, il saggio Pokémon eterno che lo aveva accompagnato per gran parte della sua vita.
“Perché ho accettato la loro umanità?”

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