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John Hancock - Bloodborne - 10. Polvere Da Sparo




Polvere Da Sparo

27 Dicembre. Casa di Bianca, Nevepoli.

L’aria nel bagno era completamente satura di vapore. Lo specchio sovrastante il lavandino era avvolto da una patina che distorceva, sfigurava e rendeva strane le forme che vi si riflettevano. Bianca diede uno sguardo alla finestra, lasciata un po’ aperta per permettere al vapore di fuoriuscire e, al contempo, al freddo di entrare.
L’acqua scorreva incessante dalla doccia della Capopalestra, rimbalzando sulla sua bianca e candida pelle, per poi creare tanti piccoli arcobaleni dalla vita breve, nati, vissuti e morti in un solo battito di cuore.
Bianca chiuse gli occhi, si sedette sul piatto doccia, lasciando che la testa andasse a incontrare il muro dietro le sue spalle. L’acqua prese a scivolarle sulla fronte, sugli occhi e sulle labbra, bruciando lì dove erano diventate screpolate e rosse per colpa del gelo.
La sua mente stava iniziando a elaborare tutto ciò che era successo negli ultimi giorni. Il volto di quell’Ariados gigante le riapparve davanti agli occhi, mozzandogli il fiato per un istante e facendole gelare la pelle, nonostante l’acqua bollente che le scivolava addosso.
Improvvisamente si sentì osservata. Anzi, spiata. Sentì un brivido percorrerle la spina dorsale mentre quell’assurda sensazione le si insinuava nella mente. Continuava a ripetersi che ciò era impossibile, che era a casa sua, al sicuro, mentre comunque si chiudeva a riccio, con le ginocchia al petto e le braccia che le cingevano. Nell’altra stanza c’erano Bellocchio e Valerio, intenti ad aspettarla. La finestra del bagno era chiusa, sigillata e antiproiettile, lasciando aperto solo lo spiraglio superiore, il cui unico scopo era quello di far filtrare il vapore delle docce, con un’apertura dallo spessore troppo piccolo anche solo per infilarci una mano. Eppure, la sensazione di essere in compagnia di una presenza ostile le si insinuò nel cervello. Il sangue iniziò a essere pompato più rapidamente nelle vene, facendole pulsare la testa.
Dei rumori raggiunsero le sue orecchie, facendola sussultare.
Bianca non resistette più e spalancò gli occhi, con le mani serrate a pugno. L’acqua bollente le scorreva sul volto, finendole nel naso e negli occhi, facendola lacrimare. Si spostò leggermente in avanti col capo, liberandosi dello scroscio sul viso.
Guardò in ogni angolo del bagno, appoggiandosi con la mano al vetro trasparente del bagno doccia. Deglutì, tirando un sospiro di sollievo.
- Che stupida che sei stata… - parlò fra sé.
Quasi per sbaglio, il suo sguardo s’intrattenne per un istante lì dove si era appoggiata con la mano, solo un attimo prima. La sagoma, perfetta e gocciolante, del suo palmo si stagliava sul vetro, rossa e viva.
Bianca allontanò la mano dalle sue ginocchia, la stessa che si era poggiata sul vetro, e una sensazione di vuoto le attanagliò lo stomaco. C’era del sangue.
Sangue sulla sua mano. Sangue, nero e sporco, sul vetro alla sua sinistra.
Sangue sul piatto doccia, sangue che scorreva nelle tubature, lento e torbido, accompagnato dal calore dell’acqua.
Sangue su di lei, nei suoi capelli e sul suo volto.
Bianca si osservò la mano, tremante e incerta nei movimenti, mentre la testa le ronzava e un fischio le riempiva le orecchie, sorde a tutto.
E l’acqua, scorreva.
Inspirò a fondo, riempendosi i polmoni d’aria e vapore, con la mano tremante davanti al volto. L’altra ancora intenta a cingere le gambe, completamente rese nere dal sangue, appiccicoso e ostile.
Cercò di muoversi, di alzarsi, di scalciare e di urlare, ma in nulla il suo corpo volle collaborare. Lentamente, portò la mano tremante nuovamente al ginocchio, andando a incontrare l’altra che sembrava come morta. La tastò, accarezzò e cercò di muoverla, ma il suo corpo, ancora una volta, rifiutò di collaborare. In quel momento riuscì a toccare la sua gamba, a sentirla sotto i polpastrelli, seppur strana. Voltò il suo sguardo verso il basso. Al di sotto della mano tremante, non vi trovò la pelle, nuda e bianca delle sue gambe.
In quello stesso momento, inorridì. Voleva urlare, prendere a pugni qualsiasi cosa le capitasse a tiro e bruciare l’intero mondo. Il suo corpo era ancora avvolto dagli stessi vestiti con cui era caduta in quel labirinto sotterraneo, e nei quali aveva tolte così tante vite.
In quello stesso momento, poteva sentire la linfa vitale dei corpi ormai inanimati che le si appiccicava addosso, attraverso lo spessore dei calzoni e tramite la maglia termica.
Si dimenò per sfilare i pantaloni, lanciandoli a furia di calci in un angolo della cabina doccia, il più lontano possibile da lei. Si strappò di dosso la maglia, lacerandola in più punti mentre la rimuoveva dal suo corpo. Per un attimo rimase solo con l’intimo, prima di decidere di eliminare anche quello. Alcune gocce di sangue erano filtrate fino in fondo, e lei non aveva la minima intenzione di avere quella roba su di lei. Sfilò per ultimi gli slip, e le parve di essere rinata.
L’acqua scorreva lungo il suo corpo, portando via lo sporco dell’orrore sotterraneo. Lentamente, dei piccoli ruscelli rossi scivolarono via dal suo corpo, accompagnati dall’acqua calda e il sapone che Bianca stava strofinando contro la sua pelle, con quanta forza le davano le sue mani tremanti. Si fermò solo una volta che fu completamente pulita, e l’acqua che le scorreva sul capo, percorreva il suo corpo, si lanciava sulle sue cosce e infine scivolava giù dal suo sesso, limpida come appena uscita da una sorgente.
Si concesse qualche istante per respirare a fondo, portando le dita sotto il getto dell’acqua per lenire il dolore che attanagliava le articolazioni, immobili come stalattiti.
Chiuse gli occhi di nuovo, stavolta molto più calma e tranquilla. L’acqua continuava a scorrere, e stavolta lei riuscì a sentirne il rumore che faceva scrosciando fra le sue spalle.
- Bianca, stai bene?
Lei sussultò e si fece scappare un accenno di grido nell’udire la voce di Bellocchio che la chiamava, riportandola alla realtà. Le ombre si dissiparono e i demoni che lei vedeva annidati in ogni angolo semplicemente svanirono. Il tremore alle mani si arrestò e il battito si fece, mano a mano, più calmo e regolare.
- S-sì, sto bene – facendo affidamento alle braccia appoggiate al vetro, Bianca iniziò lentamente ad alzarsi.
- Sicura? Sei lì dentro da diverse ore. Io e Valerio stiamo iniziando a preoccuparci.
- Non ce n’è bisogno. C’è voluto molto tempo a ripulirmi, poi mi sono appisolata.
Non si pentì della bugia, contenente in parte verità.
“Deve essere stato il sonno, ne sono sicura. Una bella dormita e mi sentirò nuovamente bene”.
Bianca cercò di autoconvincersi di ciò mentre usciva dalla doccia e iniziava ad asciugarsi. Ben presto il rumore del phon riempì l’aria, distaccandola per un po’ dai suoi pensieri e i ricordi recenti.

Ripulita e vestita, Bianca uscì dal bagno quando ormai gli ultimi raggi del sole stavano morendo all’orizzonte, dietro le cime innevate dei pini selvaggi.
Bellocchio si accorse immediatamente che qualcosa non andava. Lo sguardo di lei gli sembrava vuoto, lontano, come perso in qualche vicissitudine mentale. Mentre Bianca si accomodava sul divano, di fianco al fuoco del camino, Bellocchio s’avvicinò a Valerio, e cercando di essere il più silenzioso possibile gli iniziò a bisbigliare nell’orecchio.
- Non credo stia bene. Penso sia meglio se le parlo un po’.
- Concordo. Mi hanno detto che Bianca è una persona che definire “solare” è un diminutivo.
- Pensi di poterti occupare del rapporto e di avvisare Alberta sullo sviluppo della situazione?
- Certo, nessun problema. Lascialo pure a me, tu pensa a Bianca.
Valerio raccolse il suo pigiama dal secondo divano, quello che lui e Bellocchio avevano adibito a mo’ di letto, con tanto di cuscino e coperte. Si allungò poi ad aprire lo zaino e a estrarne il portatile.
- Bianca, io vado in camera. Mi cambio e metto al corrente la centrale su ciò che è accaduto in questi ultimi giorni. Bellocchio mi ha già raccontato tutto, quindi non c’è bisogno che parli anche tu.
- Ok, grazie mille. Non avevo comunque le forze per farlo.
- Tranquilla – Valerio le poggiò una mano sulla spalla, accarezzandola delicatamente.
Aveva quasi paura di romperla, fragile com’era al momento la ragazza.
- Qualsiasi cosa, sono di là. Indaffarato col portatile ma ci sono.
Lei gli sorrise, e in un istante il ghiaccio accumulato sulla punta delle sue ali sublimò.
- Va bene. Ti chiamo quando è pronta la cena.
Bianca allungò una mano, fino a incontrare quella di Valerio, posta sulla sua spalla.
- Grazie mille per oggi. Ci hai salvati.
Lui, imbarazzato, tolse la mano.
- Lo avrebbe fatto chiunque, non è stato niente. Scusami, ora devo andare. Devo fare rapporto alla centrale – subito dopo si avviò verso la camera degli ospiti, lasciando Bianca dubbiosa, e privata dell’ultima parola.
Bellocchio non le diede tempo di pensare, partendo immediatamente in suo aiuto.
In disparte fino a quel momento, le si avvicinò con passi lenti e misurati. Le si sedette di fianco, lasciando lei più vicina alle fiamme del camino, per paura che avesse ancora freddo, tremante com’era. Anche se, qualcosa gli diceva che Bianca non tremava per il freddo, bensì per lo shock dell’esperienza vissuta in quegli ultimi giorni.
- Come stai?
- Bene – le rispose lei.
Risposta troppo rapida, troppo banale. Bellocchio non ci cascò.
- Sono un poliziotto internazionale. Mentirmi è reato federale, inoltre sai che non ti credo.
- Lo so, lo so. Sono soltanto un po’ scossa.
- Un po’? Bianca, stai ancora tremando.
- Io… io… - la ragazza non seppe cosa dire, mentre delle lacrime silenziose iniziarono a sgorgarle dagli occhi.
Si sentiva esausta, distrutta e ormai morente. Nelle ultime ore aveva avuto una scarica d’adrenalina così forte da farle credere di essere della polvere da sparo, pronta a detonare e a far esplodere tutto. E l’attimo dopo, s’era ritrovata nella sua doccia, con addosso vestiti saturi di sangue e residui di Pokémon.
Pokémon da lei stessa uccisi.
Altro che polvere da sparo. Ora non era nient’altro che i residui sparsi nell’aria dalla pistola. Deboli granelli di polvere lanciati tutt’intorno, utili a nient’altro che accompagnare la caduta del bossolo del proiettile. Segno indelebile sulle mani che hanno premuto il grilletto, marchiando l’anima dell’omicida col sangue nero della vittima. Lei si sentiva così ora, un semplice residuo di ciò che un tempo era in potenza di essere. E, ora, nient’altro che polvere.
Bianca iniziò a piangere silenziosamente, le lacrime scavavano sulle sue guance lisce e rese rosse dal calore del camino, per poi fare una gara di tuffi acrobatici, lanciandosi dalle sue labbra come fossero dei trampolini.
Bellocchio non proferì parola. Non era bravo in quel genere di cose, in bilico su uno stretto ponte di legno malandato e marcito, aperto su di un baratro.
Preferì quindi agire in silenzio, cingendole le spalle con un braccio. Immediatamente, Bianca si lasciò andare contro il suo petto. Pianse sul caldo cotone del pigiama di Bellocchio, che si era finalmente potuto cambiare quando Valerio si era offerto di andare a prendere le sue valigie nella stanza d’albergo.
I due rimasero così di comune accordo, mentre il tempo passava lento e muto. Il sole aveva ormai quasi del tutto abbandonato Nevepoli, lasciando dietro di sé i viola e i rosso scuro del tramonto, con la notte che riprendeva in mano il suo scettro da regina.
Quando Bianca si sentì meglio, si distaccò con lentezza misurata dal petto di Bellocchio, che ancora la stringeva in un abbraccio.
- Meglio? – le chiese lui, passandole un fazzoletto per ripulire il viso dall’amaro delle lacrime.
Bianca annuì, spostandosi indietro i capelli, puliti ma ormai spettinati.
- Sì, grazie – prese fra le mani la tazza di thè fumante che l’aspettava sul tavolino davanti a lei, beneficiando del suo calore.
- Bianca, senti… so cosa provi adesso. Per me fu lo stesso quando dovetti uccidere per la prima volta. È una brutta sensazione, lo so, ma l’hai fatto per sopravvivere.
Lei non rispose. Rimase anzi con lo sguardo fisso nell’infuso che stringeva fra le mani.
Bellocchio aspettò, paziente, che lei avesse qualcosa da dire.
- Sento ancora il loro sangue sulle mie mani. Ho cercato di lavarlo via ma questa sensazione di sporco non si toglie di dosso.
- La prima volta è sempre la peggiore. Ma tu sei stata costretta, quei Pokémon avevano perso la ragione, volevano ucciderci tutti. A quest’ora staremmo nella pancia di quell’Ariados.
- Questo comunque non ci giustifica dall’averli uccisi. Dovremmo scoprire che cos’hanno.
- E come pensavi di fare, da morta? E se quei Pokémon fossero usciti fuori dalle loro tane? Avrebbero avuto fame, e se hanno cercato di mangiare noi, cosa pensi che avrebbero fatto per appagare la loro fame?
Bianca volse lo sguardo verso di Bellocchio, visibilmente spezzata dall’interno. I suoi occhi avevano perso la loro scintilla. Ma non del tutto, c’era ancora speranza e Bellocchio puntò su ciò. Perciò decise di non renderle le cose più semplici e metterle davanti la verità, nuda e cruda.
- Avrebbero cacciato, e mangiato tutti gli altri Pokémon della foresta. E poi, quando ormai anche l’ultimo briciolo di provviste sarebbe finito, si sarebbero spostati, arrivando a Nevepoli. La casa dei Parker sarebbe diventata luogo comune qui, con la gente costretta a fuggire o morire nel tentativo di farlo.
- Quindi mi stai dicendo che è stato meglio loro che noi? – rispose lei, con un tono accusatorio e gli occhi arrossati.
- Non sto dicendo questo. A volte siamo costretti a fare delle cose, dei sacrifici, per il bene di tutti. Pensi che mi sia piaciuto togliere così tante vite? Avrei voluto curarli ma, al momento, non mi è possibile. Inoltre il mio compito è quello di difendere la gente, il che comporta dei doveri. Ma se fossi morto lì, non sarei mai potuto andare fino in fondo a questa storia, e trovare il modo di fermare questi attacchi, riportando tutto alla normalità.
- Credi di poterlo combattere? Hai visto cosa c’era in quei tunnel, chissà che altro si nasconde dove noi non siamo andati.
- Ne sono sicurissimo. Ho già affrontato situazioni disperate in passato e ne sono sempre uscito vivo. Questa è solo l’ennesima prova, dopo gli Ultravarchi.
Bellocchio si prese intenzionalmente una pausa, addentando uno dei cornetti che Valerio aveva portato per loro, quando era uscito a recuperare i bagagli e allertare la guardia di Nevepoli. Ne approfittò per osservare Bianca. Anche se in profondità, nascosta al momento da una serie di emozioni contrastanti, vi intravide la solarità con cui l’aveva accolto in casa sua. Non voleva rischiare di farla scomparire per sempre.
- Bianca, sai vero che non sei obbligata a continuare tutto questo? C’è Valerio qui con me, e da quanto mi ha detto Alberta, domani arriverà anche un altro agente che è stato trattenuto da una violenta bufera, ha trovato le strade chiuse. Ma domani sarà qui, quindi non devi preoccuparti per noi. Pensa a te, già sei andata molto vicina ai tuoi limiti, te lo posso leggere in faccia.
Bianca ci pensò per qualche istante. Bellocchio poté leggerle in volto il tormento della decisione. La scintilla nei suoi occhi si accese nuovamente, strappandola dal vortice di fumo in cui era avvolta.
- Voglio continuare ad aiutarvi. È la mia gente, la mia città. Sono la Capopalestra, è mio dovere proteggerli, non permetterò a nessuno di fare del male a queste brave persone. Voglio capire cosa sta succedendo, per poi fare in modo che non capiti più.
- Ne sei sicura?
- Sì, lo sono.
In quel momento il miagolio di Glaceon interruppe la conversazione. Bianca si voltò verso di lei, trovandola intenta a portarle la sua ciotola, reggendola con delicatezza fra i denti affilati.
Immediatamente, il nodo allo stomaco parve scomparire e Bianca si ricordò di non aver toccato cibo da più di un giorno. Un prolungato brontolio, imbarazzante, si produsse dal suo basso ventre, facendo sorridere Bellocchio.
- Credo sia ora di mangiare qualcosa, stiamo entrambi morendo di fame.
- Direi di sì – Bianca scattò in piedi, cercando di nascondere il rossore delle sue guance.
- Bene, vai a riposare allora. Ci penso io qui.
- Non ci pensare nemmeno, qui a Nevepoli siamo ospitali, cucino io. Ti ho parlato dei miei peperoni imbottiti, mentre eravamo sottoterra, giusto? – si avviò verso i fornelli, zoppicando leggermente sulla gamba.
- Sì, ma tu sei ferita, dovresti riposare, come ci ha detto il medico che è venuto qui a visitarci.
- Sto bene. Julius si preoccupa solo troppo. Riposerò stasera quando andremo a dormire, ora cucino.
- Testarda, dico bene? Almeno lasciati aiutare, te lo devo.
- Va bene, va bene. Però prima va ad avvisare Valerio, altrimenti dirà che lo abbiamo escluso.
- Già, hai notato quanto parla? Pensavo fosse l’adrenalina, ma quando ha continuato anche all’ospedale…
- È simpatico, però.
- Già, concordo.
- Ora sbrigati, i peperoni non si cuoceranno da soli.
Bianca si dimenticò completamente della sensazione sentita poche ore prima, nella doccia. L’allegria era stata in grado di crearle una sorta di scudo. E così, mentre i tre erano intenti a consumare finalmente un pasto dopo tanto tempo e tante fatiche, Bianca riuscì addirittura a sorridere, di nuovo.

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