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Levyan - ILCC: II - Suits







II
Suits




«Gold!» esclamò qualcuno dall’esterno.
Il Dexholder era stravaccato su ciò che una volta era probabilmente stato un letto. Qualcuno picchiava con le nocche sulla porta, ma lui faceva finta di non accorgersene. Trasse un sospiro, emise un grugnito e afferrò il cellulare e staccandolo dal cavo di alimentazione. Erano le 11:12. Maledetto jet lag.
«Sono sveglio, cazzo!» gridò, mettendo momentaneamente a tacere la femmina che lo stava tanto infastidendo senza neanche essere nella sua stessa stanza.
«Muoviti, abbiamo da fare» disse la voce. Era quella di Platinum.
Gold si fece cadere sulla moquette, trascinandosi dietro tutte le lenzuola. Si alzò senza la minima fretta, si diede una sistemata al pacco.
Platinum si vide aprire la porta dalla versione meno composta che avesse mai visto di un essere umano. Arricciò il naso per l’odore di chiuso che si dipanò dalla camera di Gold. Il ragazzo aveva tolto la maglietta, rimanendo coperto solamente dai suoi boxer grigi marca Calvin Klein. Vedendolo in questa mise, poté notare per la prima volta il tatuaggio tribale che avviluppava il suo braccio sinistro appena sotto la spalla.
«Che è?» domando lui, sbadigliando.
«Dobbiamo organizzare l’operazione alla AxeCorp, non possiamo starcene con le mani in mano... e poi ci serve la tua taglia».
«La mia taglia?»
«Non fare domande, fatti una doccia e preparati, dobbiamo comprarti un vestito».
«Me li compro da solo i vestiti, mamma».
«Niente tute, cappellini o felpe col cappuccio, non credo ne saresti capace».
«Mi devo comprare un vestito per fare una stupida messinscena?»
«La stupida messinscena deve funzionare... cosa di cui dubito fortemente, se continuerai a comportarti come un idiota» scosse la testa Platinum.
«Ancora non mi conosci, principessa. Anche se ti piacerebbe» ribatté lui, protendendosi in avanti con spavalderia.
Platinum trasse un sospiro «tu preparati e basta» gli intimò, andandosene.
Gold la fissò percorrere il corridoio fino agli ascensori. Si soffermò con attenzione sulle forme del suo fondoschiena coperto solo da una minigonna che decise di approvare con un rumoroso fischio.
«E’ cotta» commentò il Dexholder, abbastanza forte perché Platinum potesse sentirlo.
Passarono quindici minuti. La ragazza di Sinnoh era nella hall, leggeva alcuni documenti a proposito della AxeCorp che Sebastian le aveva mandato quella mattina stessa e dedicava alcune attenzioni anche al giornale, specialmente agli articoli in cui si parlava della situazione difficoltosa della sua regione.
«Ma se uno viene qui in vacanza deve pure svegliarsi presto per mangiare?» disse qualcuno, poco lontano «vi lascerò una pessima recensione su TripAdvisor».
Platinum, con fare sconsolato, lasciò il divano su cui si era seduta e si diresse verso la reception. La ragazza che era dietro il bancone stava discutendo con un più che alterato Gold, sceso dalla sua camera con un paio di bermuda di felpa, una t-shirt piena di buchi e un cappellino con la visiera dorata e brillante. Scusandosi con lo sguardo, portò via l’amico.
«Ma ti rendi conto, servono la colazione solo dalle otto alle nove, come se il mondo andasse di fretta!» si lamentò lui una volta fuori di lì.
«Gold, sono le undici e mezza, tra un’ora si pranza».
«Non mi interessa, ho fame, ho bisogno di... uh, c’è Starbucks!» esclamò, fiondandosi verso l’entrata della caffetteria.
Uscirono di lì dopo aver fatto una coda di venti minuti. Gold aveva ordinato un frullatone indescrivibile e lo succhiava rumorosamente con la sua cannuccia. Sul bicchiere aveva richiesto, trovandolo immensamente divertente, che ci fosse scritto “Lone Uccel”. Camminarono per altri tre isolati, fino a raggiungere la ventinovesima avenue, una via abbastanza larga e trafficata, piena di negozi di marche importanti. Platinum si fermò davanti alla vetrina di una sartoria. Era un posto piccolo ma ben curato, dall’aria importante. Gli interni erano in legno massello e pelle, con dei voluminosi tappeti e specchi d’antiquariato dalle cornici arabescate. In vetrina erano esposti pochi abiti, un tight e uno smoking ma secondo Gold avevano entrambi pochi colori e troppi bottoni. L’insegna era dipinta a mano, forse d’epoca e citava “La cruna” su uno sfondo bianco, rosso e verde.
«Sei seria?» domandò Gold, dopo aver rimuginato sulla cosa per due minuti buoni.
«Devi far finta di essere un consociato di una società miliardaria, pensavi di metterti una parrucca e dei baffi finti?» chiese Platinum.
«Ma essere ricchi non significava donne e droga, fino a qualche tempo fa?»
La ragazza trasse un sospiro «sono persone rispettabili, amici di mio padre, evita di farmi fare una brutta figura» quasi tremava.
«Neanche sono entrato e già ti sei pentita» disse francamente Gold «spero che a letto non ti comporti allo stesso modo».
La donna che era occupata a tagliare alcune stoffe dietro il banco da lavoro, capelli ingrigiti, ben vestita, dall’aspetto vetusto ma curato, vide entrare due nuovi clienti. La ragazza era una faccia conosciuta.
«Signorina Berlitz» esclamò, venendole incontro. Gold non poté non notare un debole rotacismo nella sua pronuncia.
«Signora Miriam» si lasciò abbracciare Platinum.
«Come sei cresciuta! Sei sbocciata, principessa!» le sorrise lei «Che letizia rivederti. Il giovanotto è con te?»
«Si chiama Gold, è un mio amico» provò a rispondere Platinum.
«Madame» fece il baciamano lui, senza riuscire a smettere di pensare a quanto quella donna somigliasse ad una versione stagionata di una principessa Disney.
«E’ un Pokédex Holder» aggiunse Platinum, che quasi sperava in una prima impressione non disastrosa.
«Uno dei giovani di Rowan?» chiese la signora direttamente a lui.
«No, io sono di Johto, sono un allievo del professor Elm».
«Oh, Johto... sono stata ad Amarantopoli qualche anno fa, per assistere allo spettacolo delle Kimono Girl. Che luogo meraviglioso» le si illuminarono gli occhi.
«Sì, è davvero un bel posto» approvò lui.
«Chiamo immediatamente Bruno» disse all’improvviso la signora, come dileguandosi verso una delle sezioni laterali di quel negozio, che Gold scoprì essere molto più ampio di quanto non apparisse dall’esterno «sarà felice di rivederti, Platinum».
La donna convocò il coniuge, che si presentò al cospetto dei due clienti con uno smoking a righine sottili, un paio di occhiali dalle lenti spesse, un centimetro che penzolava da spalla a spalla e un ditale di metallo al dito medio. Dimostrava circa la stessa età della sua signora, ma era appena più basso e non sorrideva con altrettanta dolcezza. La testa era quasi completamente canuta, ma era compensata da un folto paio di baffi a manubrio che si arricciavano in prossimità della punta.
«Signorina Berlitz, facevo quasi fatica a riconoscervi» la salutò «e lui chi è?» chiese, riferendosi a Gold.
«Sono un suo amico» rispose lui.
«No, vestito così puoi essere al massimo il suo cantante preferito» ribatté l’uomo, squadrandolo con occhi felini.
«Credo che siano qui proprio per questo» si intromise Miriam, supportata da Platinum.
«Bene, finisco di servire il Governatore e sono subito da voi» strizzò l’occhio Bruno, sparendo di nuovo nell’altra stanza.
«Intanto posso offrirvi un tè?» chiese la signora.
Platinum acconsentì, Gold era ancora troppo esterrefatto per l’insulto ricevuto dal baffone.
«Siamo qui per affari» spiegò Platinum mentre Miriam versava l’acqua nelle tazze di ceramica «si tratta di un incontro diplomatico per conto di papà».
«E Gold è qui per farti da cavaliere?» domandò lei, con occhio malizioso.
«Più o meno... ad ogni modo, vorrei fargli fare bella figura».
«Non dovrebbe essere un lavoro difficile» mormorò lui, suscitando l’ilarità della signora.
«Ho saputo delle vicende di Vivalet... dev’essere stato terribile» fece lei.
I due Dexholder si incupirono. Gli occhi di Platinum scrutarono la reazione di Gold, che si nascose dietro un muro di silenzio.
«Voi eravate lì» continuò Miriam.
«Ci siamo messi subito al sicuro» mentì prontamente la ragazza.
Gold taceva, con gli occhi diretti altrove.
«Ho saputo di quel Dexholder...» cercò di scavare nella memoria Miriam «Emerald».
«Lui è stato meno fortunato di noi» mise a verbale Lady Berlitz, tenendo sempre d’occhio il compagno.
 «Capisco che non vogliate parlarne, non intendo insistere» comprese la signora «ad ogni modo, sono felice che stiate bene».
Di nuovo, lo sguardo preoccupato di Platinum si posò su Gold, che non aveva detto una parola né accennato alcun movimento.
«Bruno dovrebbe essere qui a breve» continuò Miriam «posso offrirvi qualche biscotto?»

«Frescolana, quattro stagioni, giacca monopetto con revers a scialle, per non essere troppo eccentrici» ricapitolava Miriam, due ore dopo, mentre Bruno continuava con maniacale cura ad appuntare spilli con su un impotente Gold «andiamo sul nero?»
«Blu mezzanotte, non è un funerale» suggerì Platinum.
«Ah no?» chiese Gold.
«Pantaloni avvitati con due pinces, così il passaggio dai baggy a questo risulterà meno traumatico» continuò la donna, guardando sconsolata la tuta di felpa con cui il ragazzo era venuto «giovani...» commentò.
«Niente passanti, preferisco le bretelle alla cintura» si inserì Lady Berlitz.
«Gallone?»
«No, è pur sempre lavoro e non un galà».
«Non so nemmeno cosa sia un gallone» si lamentò il ragazzo.
«Papillon?»
«Cravatta».
«Bottoni?»
«Due».
«E ai polsi?»
«Tre».
«Camicia?»
«Cotone».
«Colletto?»
«Italiano».
«Gemelli?»
«Ovvio».
La carta di credito fu fatta scorrere nel dispositivo magnetico. Il conto fu pagato, un totale che neanche Gold pensava potesse essere speso per un abito tutto in una volta. Persino più costoso delle sue felpe Supreme.
«L’abito sarà pronto per stasera, per voi» sorrise Miriam, mentre i due Dexholder uscivano.
«Ma non abituatevi a questo trattamento» li salutò Bruno, con ancora il centimetro sulle spalle e un paio di spilli tra le labbra.
Platinum guardò Gold, in attesa della sua opinione. Lui assaporava l’aria aperta piena di smog, dopo quella prolungata tortura a cui era stato sottoposto.
«Ho chiesto a Celia di fare un giro di ricognizione, mentre noi ci occupavamo della copertura» disse Platinum.
«Giro di ricognizione? Ma la società non è del gruppo di tuo padre?»
«Sì, una delle tante... mica abbiamo le loro planimetrie e i turni di guardia» rispose lei.
«Mh... giusto» approvò Gold.

Tornarono in hotel. Celia li aspettava nella camera di Platinum, seduta sulla poltroncina con alcuni fogli tra le mani. Quando entrarono, lei ricambiò il saluto di Platinum e ignorò Gold.
«Che cos’abbiamo?» domandò la Dexholder di Sinnoh.
«Molto poco a dire il vero, ho avuto poco tempo e il grattacielo è articolato, ha una struttura interna molto complessa» rispose lei, mostrando dei fogli con alcuni schemi disegnati a mano.
«Non è solo uno scatolone di vetro?» chiese Gold.
«I turni di guardia?» chiese Platinum.
«Irregolari, o comunque impossibili da comprendere in un solo giorno, dovrei osservarli per una settimana. Però so a quale piano dovrete dirigervi e dove bisognerà cercare le prove dei loro legami con la Faces».
«Non basta» si lamentò Platinum, stropicciandosi gli occhi «sarà inutile, se non riusciamo a muoverci liberamente all’interno».
«Beh, potrebbe essere sufficiente solo un altro paio di giorni, così per avere più certezze sul da farsi» fece Celia «So come è organizzato il complesso, che tipo di sorveglianza utilizzano, non è molto se vogliamo infiltrarci senza un piano, ma con un minimo di elaborazione...»
«Aspetta, che hai detto sulla sorveglianza?» si interessò Platinum.
«Le telecamere sono a circuito chiuso, dovrebbero essere sei per piano, la stanza dei bottoni e dei monitor è al quindicesimo piano... ma che cosa hai in mente?»
«Ecco, un infiltrato in quella stanza sarebbe davvero d’aiuto» suggerì Platinum.
Celia rimase interdetta, quasi infastidita. Platinum la guardava con tenerezza, Gold faceva il possibile per nascondere le risate.
«Scordatevi che io mi travesta... e poi gli impiegati della sicurezza sono tutti uomini, non potrei neanche...»
«Beh, allora, non hai davvero scelta» concluse Platinum «perfetto, quindi, abbiamo un piano!»
Celia era esterrefatta. Gold aveva smesso di trattenersi e sghignazzava.

Intanto, il sole scendeva lentamente verso l’orizzonte, ma le pulsazioni di Austropoli non accennavano ad interrompere il loro ritmo concitato. Ogni minuto, migliaia di civili salivano su una metropolitana o entravano in un negozio, pagavano un servizio o consumavano un prodotto. Un’orchestra perfettamente scoordinata: suole di scarpe che calpestavano marciapiedi, suonerie di cellulari, rombi di motori a gasolio, voci di impiegati al telefono.
Riverside Street, la piazza affari di Unima, aveva chiuso i battenti da diverse ore. Durante il giorno, la borsa saliva, scendeva, girava in circolo. I soldi entravano da alcune tasche per entrare in altre, determinando l’andamento del mercato nazionale. Una volta scesa la notte, le ditte di brokeraggio e gli uffici riposavano nel silenzio più totale, pochissime erano le luci ancora accese. Alcune sagome, nel buio reso imperfetto dalle luci delle strade, si muovevano nei reconditi angoli del quartiere. Avevano molte borse, parecchia strumentazione e un solo piano.

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