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Courage for Halloween 2019 - Sakichan24 e Andy Black - con BlazePower - Desires - Capitolo 5


Ogni passo che poggiava su quei marciapiedi bagnati pareva pesasse un paio di tonnellate. E le vedeva, le persone che camminavano accanto a lui, che vivevano tranquillamente le loro vite come se nulla fosse accaduto.
E certo…” pensò Lucas. “Loro non sapevano neppure chi diamine fosse, Lucinda. Loro non sapevano che i suoi occhi fossero di quel grigio scuro, che quasi diventavano azzurri quando era al sole. E quando succedeva spesso sorrideva. E aveva il sorriso più bello del mondo. Ma loro… tutti loro… Loro non sapevano nulla di lei…”.
Lo zainetto gli pesava sulle spalle, lo tirava in basso e lo costringeva spesso a tirare verso l’alto le spalline sdrucite, un tempo imbottite, con la mano che non teneva l’ombrello rosso.
Eppure tutti rimanevano calmi, tranquilli, consapevoli che la giovane ragazza che aveva perso la vita qualche giorno prima era una loro concittadina.
“Ma come fate?”.
Girò l’angolo del vecchio palazzo fatto di mattoni bianchi, se si fosse voltato non sarebbe più riuscito a vedere casa sua. La piazza davanti a lui era gremita di persone, nonostante quello fosse un maledetto giovedì. Qualche ragazzino aveva saltato la scuola e stava mangiando del pane dolce seduto sotto i porticati del centro, mentre un paio di persone in doppio petto sorpassava un gruppo di anziani armati di dentiera e bastoni intarsiati. Due signore, sulla destra, parlavano divertite di qualcosa di cui, a Lucas, onestamente non interessava nulla. Teneva il volto basso, lui, cercando di camminare senza sbattere su niente e nessuno, mettendo i piedi sempre al centro delle mattonelle, senza mai toccarne i bordi.
Lo faceva da quand’era piccolo.
- Non sapete manco come si chiamava… - sussurrò, tra i denti, stringendo i pugni e trattenendo le lacrime più che poteva. Una ragazza di una decina d’anni in più a lui lo guardò torva, mentre gli sfilava accanto. Lui non se ne accorse e continuò a camminare, attraversando di netto la piazza, piangendo senza che nessuno se ne accorgesse e accorgendosi dolorosamente di quanto quel mondo fosse totalmente insensibile alle cose gravi, se non lo colpiva direttamente.
Ne aveva parlato anche con Barry, la sera prima, e lui era d’accordo.

- Pare che non sia successo nulla – aveva detto il ragazzo dai capelli biondi mentre, steso sul letto e con le gambe accavallate, lanciava in aria una pallina per poi riprenderla. Lucas invece era immobile alla finestra, poggiato sul radiatore bollente, nel tentativo disperato di prendere un po’ di calore alle mani.
- Il problema credo sia proprio quello, Barry. Loro non sanno nulla.
- E che dovrebbero sapere, scusa? Per loro è soltanto una ragazzina sconosciuta morta uccisa da un cazzo di Graveler.
- Tsk. Dovrebbero saperlo, invece…
Barry aveva sospirato, poi aveva voltato lo sguardo limpido verso di lui e lo aveva squadrato per un timido istante. Aveva lasciato che la pallina cadesse proprio accanto alla sua testa, col braccio ancora teso verso l’alto.
- Cosa?
Erano poi passati due secondi, Lucas guardava dritto senza neppure respirare, perso in un vuoto senza fine che cominciava dietro le sue iridi sporche di lacrime.
- Cosa, cosa? – aveva chiesto.
- Cosa, dovrebbero sapere?
Si era quindi voltato verso Barry, il ragazzo dai capelli scuri, passandovi una mano attraverso, li aveva scarmigliati, poi aveva sospirato stremato.
- Come, cosa?
Barry aveva sorriso, quindi aveva sollevato la schiena dal letto. Aveva raccolto la pallina, solo per lanciarla delicatamente in direzione dell’amico, che si era lasciato colpire al braccio destro, prima di vederla rotolare sotto la scrivania.
- Io credo che, per quanto brutta sia tutta questa situazione, non possiamo dare la colpa della morte di Lucinda alla gente di Flemminia.
- Credi che mi manchi qualche rotella?! È appena morta una ragazza che non aveva neppure diciott’anni, Barry… E tutti… bah! – aveva sbuffato Lucas, guardando oltre il sipario della condensa che era poggiato sul vetro della finestra.
- Tutti cosa?
- Come, cosa?! Tutti stanno vivendo normalmente! Era Lucinda! – aveva esclamato ancora, alzandosi in piedi e tirando un pugno all’aria. Aveva quindi alzato la testa, cominciando a gridare contro il cielo. – Era necessario?! Era davvero necessario che te la portassi via?! Ora?! Davvero?! Non poteva morire qualcun altro?!
- Già… - aveva sbuffato anche Barry, alzandosi. – Questo posto è pieno di vecchi di merda. Moriva uno di loro al posto di Lucinda e tutto a posto.
- Già! Invece no!
- Invece no…
- Invece no! Invece è morta la ragazza che…
Si era bloccato subito dopo. E lo ricordava perfettamente, lo sguardo di Barry.

Sguardo indagatore.
Lasciò che le spalline dello zaino affondassero grevi tra il collo e le spalle, mentre il corpo dell’ombrello, fatto di quel freddo alluminio pronto a piegarsi al primo soffio di vento, gli sbatteva contro il muso. Il manico era fatto in legno, o forse era plastica, ma al primo segno di vento forte lo strinse come se fosse la cosa più preziosa che avesse.
Intanto passò davanti il negozio d’abiti della zia di Barry, la signora Gloria, che lo salutò agitando la mano, oltre le vetrine illuminate. Lui fece finta di non vederla, concentrato a non dimenticare il volto di Lucinda.

Sì.
Perché era quella la cosa che più lo preoccupava.

Guardava la sua mano destra, nascosta dalla sorella e stretta attorno al manico dell’ombrello, e intanto la ricordava avviluppata al guantino di lana rosa della ragazza, quando qualche giorno prima l’aveva tirato via.
E a lui era piaciuto. Era piaciuto davvero tanto, perché per la prima volta s’era sentito accettato da qualcuno; non era più il ragazzo silenzioso, il bonaccione, quello troppo buono che però si faceva fottere, quello leggermente sovrappeso, quello fesso, quello poco attento.
Da quando Lucinda gli aveva stretto la mano lui era un ragazzo del tutto nuovo, più carico, più pieno di sé.
Finalmente vivo, sfuggito da quella cortina buia che lo divorava dalla base.
E poi se n’era andata, e tutto era ritornato più forte di prima. Ma quel tutto, quel tutto negativo e inutile, aveva trovato un nuovo vicino, del tutto inaspettato.
Ed era la rabbia. Alzò lo sguardo al cielo, grigio e rimestato, come se qualcuno avesse gettato le nuvole nere alla rinfusa e fosse andato via. E fu proprio guardando quelle nuvole che pensò alla domanda che seguiva ogni suo respiro, da quando aveva visto il suo corpo senza vita.

Perché hai dovuto levarmela così presto, Arceus?
C’era.
Era lì.
L’aveva presa. Lo sentiva che anche lei gli fosse accanto, che non fosse il solo a viversi quella situazione in quel modo.
Sapeva che fosse reciproco.
Percepiva le sue intenzioni, aveva capito che fossero le stesse e già pensava al dopo, senza viversi il durante. Perché il durante di quella scena, di quella stretta di mano, di quell’intesa, era come un infarto. Sì.
Ma più bello di un infarto.
Qualcosa che cercava costantemente da tutta la vita, che non era mai riuscito ad ottenere.
D’altronde era soltanto una mano che ne stringeva un’altra, ma in quel gesto così insignificante, Lucas aveva visto finalmente l’accettazione da parte di qualcuno. E quel qualcuno aveva gli occhi di zucchero, le labbra più rosse e carnose che avesse visto, i capelli più profumati che avesse odorato, e la sua stessa voglia di vivere la vita superando gli ostacoli.
Assieme.

Barry lo aveva capito, la sera prima, quando lui aveva troncato di netto il discorso, mentre lo stava urlando. Lo aveva guardato come se gli avesse fatto un torto, ma ci pensò soltanto per un secondo, prima che il volto di Lucinda riapparisse come un segnale di stop nella sua mente.
Anche se l’aveva persa, non doveva dimenticarla. Non poteva.
E anche se odiava quel timido paese nato dalla valle, sommerso dalla nebbia, stanco e sonnacchioso, non poteva permettere che qualcun altro, qualcuno come lei, perdesse l’occasione di vivere una vita assieme alla propria Lucinda.
Il pullman per Canalipoli stava aspettando solo lui, disteso lungo il parcheggio dello stazionamento.

*

Quando la biblioteca gli si parò davanti vi entrò convinto.
Il parquet scricchiolava sotto i suoi passi grevi, ormai le spalle dolevano e, quando raggiunse un piccolo tavolo rotondo in legno, proprio al centro della sala, fu quasi piacevole abbandonare lo zaino su di una poltroncina dallo schienale di velluto rosso.
Non era la prima volta che entrava in quel grande edificio; l’aveva visitato diversi anni prima in gita con la scuola, e poi successivamente, assieme a Rowan e Barry, in cerca di informazioni maggiori sull’evoluzione dei Pokémon.
Ricordava che fosse venerdì, e che fosse contento che il giorno dopo fosse sabato. Dolce far niente, insomma.
Rinsavì, alzò gli occhi, spaesato ma ben determinato ad avere le risposte che cercava. Al grande bancone principale, immersa nel silenzio assordante, vi era un giovane ragazza, un po’ tondetta, dai capelli neri e corti, acconciati in un carré spettinato sulla fronte. Indossava grandi occhiali e un maglioncino di filo azzurro, che stringeva forse un po’ troppo sul petto voluminoso. Oltre le doppie lenti, gli occhi azzurri fissarono quelli confusi di Lucas, che intanto leggevano il nome scritto sulla targhetta che aveva appesa al collo.
Elisabeth, c’era scritto.
- Posso aiutarti? – chiese, sbattendo delicatamente gli occhi più di un paio di volte, per poi rialzare con l’indice la montatura e spingerla contro la fronte. L’unghia era interamente mangiucchiata, ma Lucas rimase ipnotizzato per un timido attimo dallo smalto arancione.
- Beh, in realtà sì...
Quella sorrise cordialmente. Da guancia a guancia le labbra carnose diventarono un filo sottile e carminio, come il rossetto che indossava. Subito dopo annuì, come a invitarlo a spiegarle tutto.
- Beh... io venni qui circa... quattro anni fa. E lessi un libro sul Pozzo Memoria...
- Oh – annuì ancora quella. – Sì. Parli di quella vecchia costruzione prima di...
- Di Flemminia, sì. Il libro parlava di una leggenda...
Quella continuava a guardarlo, pronunciando le labbra e guardando in alto. Lucas però guardò in basso, cercando di visualizzare meglio ciò che cercava.
- Aveva la copertina in pelle. Era molto vecchia, marrone... consumata. E le pagine erano sicuramente ingiallite. E non era stampato come gli altri, no...
- Ho capito – annuì l’altra.
- Era scritto a mano – continuò Lucas, battendo l’indice sul bancone. – E aveva una sorta di...
- Di fascia, per chiuderlo.
- Esatto!
- So dov’è... – sorrise, muovendosi lentamente e scendendo dallo sgabello, che la faceva sembrare molto più alta di quanto in realtà fosse.
- Seguimi – disse poi, facendogli strada attraverso il vasto corridoio. Le tante persone che avevano attorno non alzarono minimamente lo sguardo, rimanevano concentrati sui tomi che stavano leggendo, e quasi sembravano infastiditi dal lieve scricchiolio dei loro passi sui listelli del pavimento di noce. Li superarono quasi subito, si tuffarono in uno dei ventisei corridoi gemelli e fu lì che quella si fermò.
- Allora... – fece, portando l’indice sulla punta del naso, mentre gli occhi vispi guardavano in alto, sulle mensole a più di cinque metri d’altezza.
- Si trova qui? – domandò Lucas.
- Sì.
- Dove?
- Qui. Da qualche parte. Sto cercando di... sì...
Allungò il passo breve e raggiunse l’alta scala d’alluminio. Raggiungeva in altezza, addirittura superava, l’intera libreria, e contava più venti pioli. Elisabeth la spinse più in là, viaggiò sul suo binario fino a raggiungere quasi la fine dell’enorme mensolone. Poi annuì di nuovo e portò le mani ai fianchi.
- Trovato? – domandò ancora il giovane, sentendo qualcuno zittirlo, nascosto da qualche parte, in qualche corridoio.
- Sì. È qui.
- Bene – annuì Lucas.
- Vieni.
Il ragazzo aggrottò la fronte e cominciò a camminare.
- Lo hai già preso e non me ne sono accorto?
- No – distolse lo sguardo, quella, quando il giovane la fissò. – Sali tu. Ho paura dell’altezza.
- Oh… Okay.
E così il nostro eroe si ritrovò in bilico su di una scala di più di sei metri, avvinghiato a ogni piolo, che saliva sempre più in alto. Le mani sudate erano il suo più grande timore, ma Elisabeth gli aveva garantito che avrebbe mantenuto la scala e che lo avrebbe retto, anche se avesse dovuto reggere il peso di due quintali.
- Non peso due quintali.
- Lo so. Vai. All’ultimo scaffale, è l’ultimo sulla sinistra.
Lucas allungò l’ultimo passo, sorpassando la sommità della libreria e riuscendo a vederne la polvere che vi si era poggiata. Poi si concentrò sui tomi, e tra decine e decine di volumi che parlavano di Flemminia, della Torre Memoria, dei campi che la accerchiavano e dei metodi di coltivazione, lo vide.
Era lì.
Pelle sdrucita e pagine ingiallite, già ne sentiva l’odore. Lo afferrò elettrico e non si accorse d’esser sceso dalla scala con una sola mano, mentre stringeva il libro con l’altra. Quando poggiò i piedi a terra lo guardò meglio, lo aprì e lesse in prima pagina.


Le 108 Anime perdute


- Se non sbaglio era proprio questo… - sospirò.
- Sì, è questo – s’inserì la ragazza, sistemando nuovamente gli occhiali sul naso. – Ti chiedo solo di fare molta attenzione…
- A cosa? – chiese poi Lucas, guardandola dritta negli occhi azzurri.
- È un manoscritto, è molto vecchio e non vorrei che venisse rovinato proprio durante il mio turno…
Lui storse le labbra e sospirò.
- Sì, tranquilla.
- Grazie.
E andò via sculettando.

Otto secondi dopo Lucas era seduto al tavolino al centro della biblioteca. La luce era fioca ma non ci aveva fatto troppo caso. Era piegato in avanti, le pagine del libro erano spalancate davanti a lui. E cominciò a leggere.


Dal destro fianco del Corona, assorto
lambisce l’orizzonte e l’incarminia
ogne filo di sol e dà conforto
all’ombrosa quïete di Flemminia.

Le nubi al confluirvi, quale sabbia
del deserto che s’espande e raggruma
ma tutto copre, egualmente una gabbia
strinser d’intorno d’assonnata bruma.

Dolce pension fu alle nebbie ‘l paese
che vi restarono: un cirro esplorava
le vie battute, un nembo erba e maggese
nutriva, un altro i ruderi ammirava

e tutte soggiornaron nove anni,
mentre del borgo l’oscurate genti
vissero cieche, ignare de li affanni
e de le gioie altrui, cieche e dormienti.

Al decimo, il centottesimo giorno,
l’alba trafisse l’atra coltre a lutto
e ‘l popol finalmente fé ritorno
alla passata vita. Ma non tutto:

la Morte entrò nel buio e fu compagna,
di giorno in giorno, d’uomini diversi.
In lor cent’otto il sonno ancor ristagna,
eterno, e niun notò d’averli persi.

O anime rapite, vagabonde
senza fine, senza riposo omai,
sian le esequie dei corpi almen feconde
d’una memoria che non muoia mai!

Così lo padre Zantus reverendo
benedisse le salme del rapace
destino, in piazza una lastra affiggendo
di fiori ornata che dicea: Qui giace


    Caitlin
    Giuseppe
    Tyrone
    Crissy
    Ernestine
    Kayla
    Dorothea
    Pablo
    Trang
    Brigida
    Demarcus
    Leana
    Ester
    Bridgette
    Niesha
    Jennine
    Karole
    Kendal
    Elwood
    Keesha
    Jayna
    Leopoldo
    Louvenia
    Kerrie
    Geralyn
    Sherri
    Yen
    Beverlee
    Adell
    Dannie
    Kirsten
    Yuette
    Tifany
    Rick
    Eve
    Monte
    Gertrudis
    Matt
    Latrina
    Ervin
    Edwin
    Clemente
    Celeste
    Rosanna
    Tonda
    Jenice
    Candelaria
    Keith
    Lydia
    Marlo
    Natisha
    Gabriella
    Doretta
    Elissa
    Adelina
    Edgar
    Stasia
    Rosalie
    Angila
    Jayson
    Lavelle
    Rosalind
    Perry
    Jamar
    Priscilla
    Esta
    Cornelius
    Maybelle
    Marvin
    Rita
    Odell
    Vivian
    Claudia
    Willodean
    Dania
    Eloisa
    Annamae
    Jaleesa
    Edith
    Marcellus
    Dorian
    Desmond
    Herman
    Letha
    Angela
    Merrill
    Dahlia
    Emmy
    Cyril
    Christian
    Shana
    Jacquie
    Marjorie
    Stephanie
    Joanna
    Hiroko
    Nicolette
    Brianne
    Sena
    Donnell
Tameka
Damien
Melida
Dwain
Viola
Alba
Daisey
Marcela


Dormì Flemminia quella notte in pianto,
nel pianto si svegliò, due volte trista:
altre cent’otto vittime, dal manto
della notte nascoste all’altrui vista.

Al rito funebre ed a tutte l’ore
negl’occhi del vicin come allo specchio
ciascun si vide, nel comun timore
d’essere ‘l prossimo, giovine o vecchio,

e ‘l terzo giorno una terza ecatombe
travolse ‘l volgo, imparziale, invisibile.
Tremante, padre Zantus tra le tombe
sentenziò un sol rimedio al mal terribile,

un sacrificio concorde, alla luce
del ritrovato sol, con sepoltura
in fossa esposta al ciel che riproduce
per l’alme erranti domestiche mura.

Nessun sorriso, unanime consenso;
nessuna voglia, soltanto impazienza.
Fu giorno di lavor comune, intenso,
ma di posar non si sentì esigenza.

Un pozzo alla memoria fu scavato,
cinto di massi e con antro per l’urna
creata ex novo, subito abitato
da l’agnello de l’espiazion diurna:

la bimba, estratta, fu mandata al rogo
e ‘l ciner suo serbato ne la roccia;
posta nel pozzo, come a dare sfogo
a sete rïarsa basta una goccia,

così le schiere spettrali fur sazie
seguendola e non emersero più.
Flemminia ancor compiange e rende grazie
alla piccola dolce Mary Lou.”.


A Lucas bastò una lettura, una sola lettura di quelle pagine, per riuscire a comprendere la situazione.
Rabbrividì.
Chiuse il libro e lo infilò nello zaino, per poi scappare fuori, dimenticandosi l’ombrello sotto la sedia e immergendosi nella tempesta.

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