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H.O.P.E. - House Of Psychiatric Experiments - Ouverture

Quando la rivalità tra due gemelli esplode e la ragione soccombe, tutto sembra poter diventare possibile.
Il Manicomio di Amarantopoli diventa la casa degli orrori, dove degli ignari visitatori assisteranno ad uno spettacolo a tinte rosso sangue. Follia profonda e il buio di una notte infinita, tutto ciò assieme all'apporto di cinque autori e alla famigerata ricerca del tempo.
Questa è H.O.P.E.
Questo è l'inizio della fine.
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La storia è stata scritta da tutti i componenti del Soulwriters Team; tutti hanno ideato uno o più personaggi su cui sono state scritte varie raccolte, Frammenti, localizzabili sulle pagine di gni autore della storia.
 
H.O.P.E.
House Of Psychiatric Experiments


Ouverture




 

Era pazzo, forse. Forse lo era davvero, ed era fuori di sé.
Era arrabbiato.
La furia che lo dominava viveva di impeti e spasmi, tanto che era costretto a reprimere il senso omicida che lo aveva colto tempo addietro.
Tanto tempo addietro, neanche ricordava quanto, non riusciva a deviare quella mania, quel senso di vendetta che cercava di fuggire dal suo ventre, per vedere la luce, per piangere del mondo e per provocare la sua morte.
Il suo incendio.
Il sangue ribolliva nelle tempie ed il caldo aumentava nonostante il freddo di gennaio, diventando sempre più soffocante. Nascosto nella scialuppa numero sette, Zeno vedeva il suo interno totalmente colorato d'arancione, per via del telone che la ricopriva.
Non era stato difficile: una volta che la M/N Anima ebbe raggiunto la Zona Provviste di Sinnoh, Zeno era riuscito ad intrufolarsi sul ponte d’imbarco, e si nascose su quello di babordo.
Avrebbe dovuto raggiungere Olivinopoli in tutti i modi ma in quel momento si stava pentendo amaramente della scelta del nascondiglio. Disteso sul sedile della scialuppa, teneva gli occhi fissi in alto e le mani sullo stomaco, cercando di non pensare alla fame.
Voleva uscire, aveva voglia di strappare il telone con le mani o magari farlo bruciare dal suo Magmortar, poco importava.
In quel momento non gli interessava più  nulla; voleva soltanto abbandonare quel maledetto nascondiglio, mettere a ferro e fuoco quella maledetta barca e quel telone. Quel maledettissimo telone.
Si stava agitando, iniziava a fare del gran chiasso, udibile fino alla parte opposta del ponte.

Maledizione, smettila! Vuoi farti scoprire?! Stupido idiota che non sei altro stai, rovinando tutto!

“Silenzio, Hulrog, non sopporto più questo posto, devo uscire da qui”.
Dal momento in cui quell’essere si era materializzato per la prima volta dietro il Tempio di Nevepoli agli occhi di Zeno, i discorsi fra i due divennero sempre più frequenti. Quel primo incontro fu particolarmente strano: durante una tormenta Zeno stava cercando un riparo e quel demone gli si materializzò davanti agli occhi, indicandogli la via per una grotta tramite l’utilizzo di fiamme create dal suo stesso corpo.
Hulrog continuò a parlare all’uomo, aiutandolo a prendere diverse decisioni come se fossero una sola identità. O meglio, come se lui fosse la coscienza del ragazzo.

No tu resti qui! Hai dimenticato perché siamo in viaggio?! Devo forse ricordartelo?!

“...Astolfo…”. E in quel momento tutto attorno a Zeno scomparve.
Si ritrovò a fissare il telone plastificato arancio mentre la sua mente lo accontentò fuggendo via, mostrando ai suoi occhi ciò che il suo inconscio ed il suo destino avevano accordato per lui. L'immaginazione accese il proiettore, ed il telone arancione divenne il suo schermo.
Si vide fuori dalla scialuppa, verso Amarantopoli, in direzione del manicomio.
Il regno di suo fratello.
Ricordò quei momenti, i suoi momenti, proprio come se fossero avvenuti il giorno prima: la vista del fratello, la corsa verso di lui che sarebbe dovuta terminare con un abbraccio, ed il tremendo pugno che si beccò in pieno volto, dritto sul setto nasale che per poco non si spezzò. Sentì nuovamente la tremenda litigata che ebbe con lui, finita in un tentativo di cattura da parte di Astolfo.
Ricordò ogni singolo particolare e rivisse attimo per attimo la sua fuga; aveva branchi di Houndoom e Mightyena alle sue calcagna, lo inseguivano, stavano per prenderlo, uno dei Pokémon quasi stava per mordergli il polpaccio quando scivolò sul fango, ma poi si salvò, saltando giù da un ponte e ritrovandosi miracolosamente tra le buste di plastica di un camion compattatore.
Poi la pellicola terminò, riducendosi a macchie di colore che finirono per sparire, e Zeno si ritrovò nuovamente con quel maledetto telone arancione davanti agli occhi.
La voglia di incenerirlo diventò sempre più forte, tanto che senza accorgersene aveva il dito pronto sulla Ball di Magmortar.
E lo avrebbe fatto se solo non avesse sentito le urla dei marinai che si stavano preparando per l’attracco.
“Finalmente, era ora. Adesso manca soltanto l’occasione per uscire da qui” disse, fissando Magmortar che si agitava nella sua Pokéball; aveva voglia di camminare e lui non glielo avrebbe impedito.

Aspettò pazientemente la sua occasione; spostò leggermente il telone e sbirciò fuori dalla scialuppa, a destra e sinistra, in cerca del suo obbiettivo che non tardò ad arrivare.
Un marinaio solitario, assai magrolino e dall'aria parecchio stanca, stava dirigendosi verso il ponte di tribordo, passando davanti alle scialuppe.
Zeno aspettò che l’uomo si avvicinasse al suo nascondiglio per poi afferrarlo e trascinarlo al suo interno. I minuti successivi furono di caos totale; il marinaio cercava di liberarsi dalla morsa di Zeno, lottava per la sua vita, ma quanto più si dimenava più il suo assalitore stringeva le braccia attorno al suo collo.

Crack.

Ci fu uno schiocco, un rumore tanto sinistro quanto macabro.
Nonostante sapesse che il marinaio fosse morto, Zeno continuò a stringere sempre più forte, senza riuscire a fermarsi. Era come se traesse forza da quell’atto. Gli piaceva.
Nella sua testa rideva ed urlava, gli sembrava di poter fare qualsiasi cosa in quel momento, poi in un istante ritornò alla realtà.
Le persone si stavano riversando sui vari ponti, dirette verso l’uscita della nave.

Fuggi.

Hulrog parlava, gli suggeriva le giuste mosse. Loro volevano ammazzare Astolfo. Avevano ideato tutto e adesso stavano per realizzare il loro piano.
Doveva scappare, e doveva farlo in fretta; iniziò a svestire il marinaio, facendo ben attenzione a non fare rumore e non attirare l’attenzione su di sé. Indossò la divisa, leggermente più piccola della sua taglia e prese a guardare fuori dalla scialuppa.
“Via libera, adesso ce ne andiamo Magmortar, manca poco e potrai di nuovo muoverti con libertà”.
Un ultimo sguardo verso il cadavere dietro di sé ed uscì dal suo nascondiglio, dirigendosi in direzione del ponte d'imbarco da cui avrebbe potuto mescolarsi con la folla ed il personale ed andarsene indisturbato.
Mosse brevi passi in avanti, passi incerti e stentati, dopo vari giorni di totale immobilità degli arti inferiori. Una volta ripresa familiarità con le gambe voltò l'angolo della sala centrale e scese al piano sottostante, verso le cabine, dove varie persone erano pronte per mettere piede a Johto.
"Scusi, una volta scesi dove devo andare per incontrare Jasmine?" chiese un ragazzo parecchio serio, dai gli occhi quasi dorati.
Zeno non lo sentì nemmeno, nella testa solo il suo obiettivo.
La folla si accalcava verso l'uscita principale e l'uomo s'infilava tra le persone spintonandole, maleducatamente. A nulla servivano le lamentele della gente, Zeno non si fermava, non si scusava, proseguiva avanti mentre vedeva la passerella idraulica abbassarsi.
Arrivato al cordone di sicurezza lo scavalcò bellamente, senza nemmeno guardare in faccia i suoi colleghi, con le divise bianche a righe blu.
Lawrence lavorava al ponte d'imbarco; dirigeva la passerella idraulica che si sarebbe abbassata, permettendo alla gente di scendere dalla nave. Guardò in viso quel marinaio, non tanto giovane, dal viso sconosciuto.
Era strano, lavorava su quella motonave da più di trent'anni e non ricordava nessuno con quel viso così anonimo, con quegli occhi così piccoli. In più quell'uomo aveva la barba di una settimana, ed il personale era obbligato categoricamente ad avere barba e parrucco sistemati in maniera dignitosa.
Lawrence lo fissò meglio. “Lucius... ma chi è quello?!"disse. Quest’ultimo fece spallucce.
Zeno era davanti a tutti e la passerella si abbassava, il sole lentamente baciò il suo viso e tanto era forte la voglia di andar via, di compiere la sua missione, che decise di cominciare a salire la passerella mentre era ancora inclinata.
“Hey, ma che diamine stai facendo?!” urlò Lawrence.
Zeno non si voltò nemmeno, salì fino all’apice della passerella e con un salto di due metri atterrò sulla banchina, dove pochi minuti dopo migliaia di persone sarebbero passati.
Quando la sirena della nave suonò, segnalando l’aggressione ad un marinaio ritrovato seminudo in una delle scialuppe, Zeno era ormai fuori dal porto.
Non aveva mai amato l’acqua né tantomeno l’odore del mare ed allontanarsi da quel porto gli donava una sensazione inebriante. Ad ogni passo si sentiva sempre meglio, si stava addentrando nel cuore della città, Olivinopoli si stava gradualmente materializzando davanti ai suoi occhi: le varie pescherie e negozi d’attrezzatura da sub lasciavano mano a mano il loro posto a negozi di altro tipo, il che era un bene, considerata la fame che lo attanagliava.
Si gettò in un alimentari e rubò un pezzo di pane che infilò sotto la maglietta dopodiché si defilò, entrando nel paese, ricco di vicoletti.
S’infilò in uno di questi e, nascosto da un grosso cassonetto dell’immondizia, pensò a rifocillarsi. Alzò gli occhi al cielo, il sole di Gennaio non bastava a riscaldare i tetti verdognoli di Olivinopoli.
A Zeno era mancato il cielo azzurro e le nuvole che vi passeggiavano davanti. E sì, gli era mancata anche qualcosa nello stomaco.
Improvvisamente sentì risuonare una sirena in lontananza, ciò lo fece tornare alla realtà.

Hanno trovato sicuramente il corpo, compare. È arrivato il momento di andarcene.

“Lo so Hulrog, lo so. Forse non è stata una buona idea rubare i vestiti di quel marinaio. Un tipo mi ha anche tenuto d’occhio, sul ponte d’imbarco”.
Fuori dal vicolo c’era tanto caos, tutti accorrevano alla M/N Anima per poter vedere coi propri occhi cosa fosse successo. Fu in quel momento che Zeno approfittò dell’enorme massa di gente riversatasi nelle strade per poter fuggire da quella città.
Dopo neanche una ventina di minuti si era già lasciato alle spalle l’enorme cartellone con su scritto “Benvenuti a Olivinopoli” dirigendosi verso Amarantopoli.
Camminava lentamente verso la città dove suo fratello aveva costruito la sua roccaforte. Poco fuori la città, nella zona periferica, sorgeva l’Ospedale psichiatrico giudiziario dell’anima e della speranza, costruito interamente con fondi statali. Quel posto era stato un luogo importantissimo negli anni sessanta e fu utile per la reclusione di soggetti particolarmente pericolosi e per la riabilitazione di persone soggette a leggere nevrosi.
La faccia di Astolfo si presentava davanti al suo sguardo, sembrava schernirlo, sembrava sfidarlo. E mentre il suo respiro fumoso saliva verso l’alto, lui stringeva i pugni.
L’avrebbe trovato, l’avrebbe catturato e infine l’avrebbe ucciso.
Tutt’attorno la natura era spoglia e tronchi umidi lo accompagnarono lungo l’intera strada per Amarantopoli; attraversò sterpaglie ingiallite, bruciate dal freddo e superò una grande fattoria, per poi, finalmente, entrare ad Amarantopoli.
La città era gremita di gente.

Il manicomio è a nord.

“Ho freddo adesso”.
A ore nove, c’è un bar.

“Grazie Hulrog, vedi che sei gentile quando vuoi?” disse, affrettandosi verso l’ingresso del locale.
L’insegna del bar era luminosa. Zeno vi lesse:



 
Harold’s



La vetrata principale era in perfetto stile anni ’60 americani, come anche tutto il resto dell’arredamento.
Zeno fu travolto da un gradevolissimo profumo di cornetti appena preparati, caffè, pizze e ovviamente uova col bacon fritto.
Il ragazzo diede una veloce occhiata all’interno del locale, individuando un tavolo abbastanza isolato e libero, ma non fece nemmeno in tempo a sedersi che venne sommerso dall’odio verso quel posto.
                                        
Odio questo posto, troppa felicità e troppe persone che si agitano, cameriere troppo gentili.

“Zitto, Hulrog...”.

“Salve e benvenuto da Harold’s! Posso portarle qualcosa, signore?” chiese una delle cameriere.
“Un tè al limone”.
“Con miele o senza?”.
“Senza”.
“Vuole anche qualche dolcetto in accompagnamento?”.
“No, grazie, solo un thè”.
“Sicuro? Abbiamo tantissime cose buonissime qui, c’è solo l’imbarazzo della scelta” continuò la ragazza imperterrita.
“Signorina voglio solo un thè e basta, grazie”.
“Va bene… Arriva subito”.

Zeno bevve un paio di sorsi, infondendo un’enorme sensazione di calore nel proprio ventre che si espanse in poco tempo verso tutto il corpo, riuscendo finalmente a far riprendere sensibilità alle dita.
Il vociare delle persone non faceva altro che renderlo ancor più nervoso. Gli era difficile persino restare fermo al suo posto. Iniziò a far vagare lo sguardo, cercando di distrarsi.
La prima cosa su cui si focalizzò fu l’enorme Jukebox color legno che riproduceva “Three Little Birds” di Bob Marley. L’attenzione di Zeno fu poi rapita da un ragazzo seduto al tavolino accanto, vicino alla finestra. Aveva una valigetta d’acciaio ai propri piedi mentre alla cintura aveva agganciato uno strano attrezzo simile ad un contatore Geiger.

Sarà un operaio o qualcosa di simile…

“Già”.

Pochi istanti dopo una ragazza si sedette vicino al giovane, che trasalì non appena quella le porse la parola.
I due iniziarono a dialogare sempre più vivacemente, fino a il ragazzo si alzò dalla sedia per la frenesia e rovesciò la sua bevanda sui pantaloni. Zeno continuava ad osservare la bizzarra coppia in maniera disinteressata, per poi tornare a farsi gli affari suoi.
Nessuno avrebbe pensato che quell’uomo così tranquillo e silenzioso nascondesse un segreto, celato nel profondo della sua anima. Ardeva, Zeno, bruciava tutto dentro sé. Bruciava il volto di Astolfo, nella sua testa.
Sarebbe bruciato davanti ai suoi occhi di pietra, proprio in quel maledetto manicomio.
In quel maledetto manicomio nascosto dagli aceri rossi.

 
Andy Black.
Vespus.

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