Florges era considerata la più bella nell’intera foresta e di questo se ne vantava. Il Pokémon amava svolazzare per i campi mostrando la sua chioma di fiori bianca come la neve.
Girava sempre con un piccolo gruppo di Flabebè e Floette che, impressionate, ne seguivano le movenze aggraziate e femminee.
Se ne faceva vanto, ogni singolo giorno mostrava con eleganza la sua chioma di fiori rosa e ogni singolo Pokémon ne rimaneva affascinato. Le lunghe ciglia verde prato, il corpo sinuoso che si muoveva quasi come fosse un serpente, altrettanto silenzioso e letale.
La dama della foresta, degna regina di essa. I Floette al suo fianco l’attorniavano come uno stuolo di ancelle, arrivando persino a sacrificare il proprio fiore per raggiungere la sua bellezza. Molti umani venivano solamente per osservare la sua grazia, quasi come fosse un’attrazione turistica.
Florges questo non lo sopportava, lei doveva proteggere la foresta, non distruggerla con l’arrivo in massa di esseri goffi e rumorosi, spesso senza rispetto alcuno per le piante che erano appena nate, distruggendo tutto ciò che vedevano per puro divertimento.
Un giorno decise di allontanarsi dalla foresta, raggiungendo un piccolo paesello ai margini di essa. Non era molto grande, giusto qualche sparuta casupola, i bambini che in strada rincorrevano una palla, le madri in veranda ad osservarli.
Il Pokémon lo trovava quasi divertente, vedere come gli umani giocavano. La sua attenzione, però, venne attirata da una casa più piccola, isolata dalle altre. Era un po’ malconcia, il legno marcio del portico che minacciava di cadere.
Florges vi si avvicinò, trovando la porta cigolante semiaperta. La spinse, reprimendo un certo disgusto nel toccare la superficie deteriorata.
L’interno era pieno di libri, stipati senza cura. Una volta un Fletchling ne aveva portati un po’ alla radura, subito attirando l’attenzione di Espurr, lei non ci aveva dato molto peso.
Ora però, quei tomi così muffiti, sembravano volerla istigare ad aprirli.
Ne prese uno, dalla copertina senza decorazioni, di un marrone cuoio. Lo aprì e nella primissima pagina vide vergato a mano un nome che faticò a leggere.
Florges non sapeva propriamente parlare la lingua degli umani, ma leggere e decifrare le lettere non era difficile.
Quello che interpretò fu qualcosa come Erzsébet Báthory la contessa sanguinaria. Florges sbatté gli occhi un paio di volte, chiedendosi se le storie che aveva sentito sugli umani – sono tutti assassini le ripeteva Zangoose – fossero vere.
Siccome non pensava che qualcuno potesse mai entrare in quella baracca trovò un posto dove sedersi, posando il libro in grembo.
Saltò un paio di pagine troppo rovinate dall’umidità per capire cosa ci fosse scritto e capitò in una con un grosso e nero disegno di quello che sembrava un sarcofago.
Vi passò le dita vellutate sopra, sentendosi terribilmente attratta da quello che il libro chiamava con il nome di Vergine di Ferro.
Lesse, lesse tutto ciò che poteva leggere e quando finì le parole ricominciò a cercarne altre.
Quella donna sembrava essere capace delle follie più malate, Zangoose aveva ragione, probabilmente, tutti gli umani erano assassini.
Ma a Florges, quegli assassini, sembravano davvero in grado di divertirsi. Per un momento si sentì in colpa, lei doveva mantenere il suo candore, rimanendo bianca come la neve.
Prese con sé il libro sulla contessa sanguinaria, stringendoselo al petto, proprio dove nasceva quel fiocco nero che le fasciava i fianchi. Si guardò attorno, cercando con gli occhi se qualche umano potesse essere nei paraggi e quando constatò che non c’era nessuno si allontanò in fretta e furia verso la radura.
Nella corsa folle, folle come le azioni di Erzsébet Báthory, impigliò la propria chioma in uno di quei rami bassi, di quelli che si aggrovigliano ovunque, dei quali non ci si può liberare se non tagliandosi e graffiandosi.
Florges fece proprio questo: si tagliò. Una sottile linea rossiccia sulla sua guancia delicata, una ciocca di viticci bianchi, un gemito di dolore.
Continuò a correre, nonostante la guancia le facesse male e fosse dispiaciuta nell’aver perso un ciuffo della sua chioma.
Quando raggiunse la radura era già sceso il sole, quella notte era plenilunio. Se lo ricordava perché ogni mese qualcuno usciva di notte e cantava, le piacevano quei canti, tanto delicati quanto pungenti.
Florges non sapeva chi cantasse, ma non le interessava più di tanto.
Eppure quella notte lo vide, vide chi cantava.
Vide quella piccola Clefairy alzare il volto alla Luna, vide anche due ombre più distanti nascoste nei cespugli.
Il Pokémon osservò la scena e fu quasi tentata di intervenire quando due umani, un maschio ed una femmina, si avvicinarono a Clefairy.
Sembravano totalmente ignari del fatto che fosse pericoloso gironzolare nella foresta di notte e soprattutto del fatto che quattro occhi poco ben intenzionati li osservavano da un cespuglio.
La melodia di Clefairy s’interruppe improvvisamente, lasciando tutti i presenti col fiato sospeso.
Florges strinse a sé il libro polveroso, sentendo il cuoio della copertina piegarsi e fare qualche rumore strano, si preoccupò, perché pensava che Clefairy avesse potuto sentirla, ma poi quando vide che il Pokémon non si era interessata minimamente a lei tirò un sospiro di sollievo.
Poi Clefairy si rimise a cantare, facendo trattenere il fiato al Pokémon Giardino.
La sua guancia iniziava a fare male, e il sangue colava copioso. Non pensava che da un semplice graffio fosse potuto fuoriuscire così tanto sangue.
Un paio di braccia – o almeno pensava che fossero braccia – le presero il libro dalle mani, avvolgendole poi la bocca.
Solo dopo si accorse che erano lunghi e forti fiocchi, appartenenti a qualche Pokémon dal pelo irsuto.
Si girò, osservando il Sylveon che la osservava ringhiando.
Le pupille si dilatarono ed agì di istinto. L’Attacco Frustata che usò contro il Pokémon non era particolarmente forte, ma bastò per stupire l’avversario abbastanza forte affinché la lasciasse andare.
Il libro cadde quando i fiocchi di Sylveon si allontanarono dal corpo del Pokémon Giardino.
Mentre i due si scambiavano uno sguardo di sfida, Spritzee si avvicinò al libro, uscendo dal nascondiglio che usava quando Clefairy attirava le vittime.
La canzone era finita e la povera Clefairy non sapeva cosa fare per trattenere quei due ragazzini con un Klefki al loro seguito.
Sembravano essersi risvegliati dalla trance nella quale erano caduti e iniziavano a cercare di fuggire con le membra intorpidite.
Cadevano spesso, rompevano rami e facevano un gran chiasso e mentre Sylveon cercava di inseguirli i rami evocati da Florges furono più veloci.
Trapassarono la gola di entrambi, infilzandoli e facendoli aprire la bocca in un grido che morì presto, ma che svegliò un Hoothoot.
Sylveon rallentò la sua corsa verso le due vittime, infilando i suoi fiocchi dentro il torace di entrambi per estrarre il cuore ed essere sicuro che non si svegliassero più.
Spritzee brontolò qualcosa, che sembrava un rimprovero per Sylveon e i suoi metodi barbari che rovinavano tutte le ossa. Il Klefki al seguito dei due ragazzi si agitò, vedendo Clefairy avvicinarsi, con quei suoi occhi vuoti e circondati da occhiaie, le pupille piccole in un mare di bianco.
Florges, che si era appena resa conto di quello che aveva fatto, raggiunse i due cadaveri, ancora appesi per le gole ai due rami che si erano improvvisamente allungati per fermarli.
Allungò una mano di foglia verso il sangue che colava dalla gola di uno dei due, mentre Klefki si nascondeva dietro al Pokémon Giardino, sperando che lo proteggesse.
Un tintinnio di chiavi suggellò il patto che Florges non pensava mai di stringere.
Ora anche lei era un’assassina.
.:.Cyber-Spazio.:.
Mi scuso tantissimo per il ritardo che possiamo definire abnorme ed oltremodo esagerato con il quale mi presento. La storia è un po' morta in seguito ad una mancanza di ispirazione - causata da situazioni poco gradevoli nella vita al di fuori di EFP -, con il progetto Courage è ripartita anche la mia voglia di fare.
Soprattutto considerando l'ultima maratona di Death Note che ho fatto
:)
Un inchino,
Cy.
P.S
Mi scuso se nell'immagine la chioma di Florges è già rossa. Capirete poi.
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