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TSR - 17 - Tessere Del Mosaico pt.2

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17. Tessere del Mosaico pt. 2

- Kanto, Aranciopoli, Ospedale Civile –

Era freddo, il vetro della finestra.
Marina lo toccava con la fronte, che ormai s’era congelata. Gli occhi facevano fatica a rimanere aperti ma lei non poteva dormire, perciò si costringeva a contare le automobili che passavano davanti al porto civile, pronte per essere imbarcate.
Ad un certo punto cominciò a classificarle in base al colore: aveva contato, in tutto, sessantasette automobili bianche, per lo più Toyota e Daihatsu. Qualche Nissan, e pochissime auto tedesche.
A lei non interessavano per nulla le auto ma a suo padre piacevano e, pur di farsi accettare da lui in quello strano periodo che era la preadolescenza, aveva finito per informarsi guardo motori e case di produzioni meccaniche.
“Lamborghini...” ripeteva suo padre. “Sono le più belle...”.
Lei sorrideva, annuiva. Del resto le interessava soltanto passare del tempo con lui, e quello le pareva un buon compromesso.
Poi crebbe, capì che non valeva la pena cambiare, modificare la propria esistenza per un uomo. Persino per suo padre. Seguì la strada che s’era prefissata e si ritrovò Ranger ad Oblivia, prima di cambiare di nuovo idea ed amare colui che più odiava, adattarsi alla sua vita e venire meno alle promesse fatte. Tutto per quel folle.
Tutto per Gold.
Si voltò, con l’elettrocardiogramma ormai stabile da parecchie ore che cantava sempre presente. Sospirò, non riusciva a vederlo steso in quel letto.
Non in quel modo almeno, così inerme e silenzioso.
Annuì, capendo che fosse quello il problema: il silenzio.
Dove c’era Gold, il silenzio fuggiva via.
Non compatibili, quando si presentava l’uno l’altro non risultava non pervenuto.
“Che diamine...” sorrise amaramente la donna, avvicinandosi a lui. La mano di quello era stesa lungo i fianchi; gliela strinse. “Io... io mi sento sola, amore. Per favore...” prese a piangere, per l’ennesima volta in quelle ventiquattro ore. “Per favore, m’inginocchierò per tutta la vita ai tuoi piedi ma, ti prego, svegliati!”.
Strinse le sue dita ancor più forte, sperando di sentire lui fare altrettanto, invano purtroppo.
“Ti prego! Svegliati!” urlò, piangendo ancora. “Ti prego...”.
E l’ultimo fu un sussurro.

 
- Johto, Rovine D’Alfa, Sala 7 –

“Lo avete visto anche voi?” chiese Blue, con gli occhi spalancati. Si voltò rapidamente verso Yellow e Sandra, che la seguivano qualche passo indietro, visibilmente scosse.
“Che cosa, Blue?” domandò la Capopalestra d’Ebanopoli. Corse verso di lei e la raggiunse, vedendola bloccarsi.
I suoi occhi erano diventati enormi.
“Non... non avete visto la neve?”.
Sandra sentì Yellow affiancarla. Si voltò a guardarla e le fece segno di no.
“Non c’è nulla” rispose la più grande.
Fu quando si voltò, la donna dai capelli castani, che notò lo sguardo della collega bionda: c’era sufficienza nei suoi occhi.

Cos’è?! Non mi crede? Non crede che io abbia visto nevicare?

“Ti sarai impressionata” aggiunse Sandra.
Blue si fermò, ben conscia d’essere giusto al centro d’un lungo corridoio, in una struttura piena di nemici.
Guardò poi gli occhi celesti della Capopalestra ed aguzzò l’udito.
Passi.
“Ecco!” bisbigliò. “Li sentite? I passi!”.
“No” tuonò Yellow. “Non sentiamo nulla”.

Mi sta provocando.

Le parole di Yellow risuonavano nella testa di Blue, dove peraltro rimbombavano i passi distanti di qualcuno. Decise di imbracciare il coraggio come un fucile ed afferrare la sfera di Blasty, per poi avanzare più velocemente.
“Fermati!” bisbigliava Sandra alle sue spalle. “Finirai per farti catturare!”.
Tuttavia la castana si rendeva conto che la luce della luna lasciava spazio ad un candore sempre più diffuso, e ad ogni passo il freddo aumentava, andandole a pizzicare la pelle delle guance.
Si morse il labbro inferiore, lei, continuando ad avanzare. S’accorse poi d’avere le caviglie totalmente immerse nella neve fredda.
Si strinse nel proprio abbraccio, guardandosi attorno: era in una tormenta. Riusciva tuttavia a distinguere il profilo sorridente di una bambina, che correva su di un’enorme distesa bianca a pochi metri da lei.
Quella...
“Non mi prendete!” urlava la piccola, sorridendo. Aveva lunghi capelli scuri spruzzati di neve. Mano a mano che si avvicinava la tempesta si calmava, mutando rapidamente in una candida pioggia di fiocchi gelati.

Quella bambina...

Alle spalle della piccola s’avvicendava una coppia di adulti, un uomo ed una donna, sorridenti come la piccola, atti ad inseguirla.

Non... non può essere

Guardava la dolce famigliola a più di trenta metri, nascosta dal tronco d’una doppia quercia.
L’uomo, molto magro, portava un paio di doppi occhiali, tenuti stretti alla testa tramite le cuffie invernali che quello che indossava, azzurre. I capelli neri erano ben pettinati all’indietro. Fu lui ad inciampare e a scatenare il sorriso della donna, la moglie, magra, stretta nel suo piumino. Aveva i capelli castani, molto lisci.
La bambina le somigliava molto.
“Papà è caduto!” urlò quella, voltandosi e mostrando a Blue il volto: una finestrella aperta tra i denti mostrava la lingua in quello che era un grande sorriso. Gli occhi, azzurri come il mare, rilucettero nel candore diffuso dell’ambiente, sporcato solo dai vestiti dei tre e dai tronchi scuri degli alberi che li circondavano. La piccola si avvicinò loro, lanciando palle di neve ai genitori.
“Smettila, Blue!” urlò la madre.

Quella sono io.

Blue, quella adulta, rimase immobile accanto al tronco di quercia che la celava; davanti aveva cespugli imbiancati dalla tormenta di qualche secondo prima. Guardava la scena con la bocca semischiusa e lo sguardo fisso sui tre.
Ricordava.
Ricordava quella scena, in cui suo padre la inseguiva e finiva per inciampare.
Ricordava anche che si stava divertendo. Sarebbe stato il momento più bello di tutta la sua vita se non fosse stato per quello che sarebbe successo pochi secondi dopo; mai avrebbe dimenticato il terrore in cui si era tuffata quando il flebile sole fu oscurato da una grossa ombra, che andava ad ingrandirsi mano a mano che i secondi passavano.
Nonostante fosse soltanto spettatrice sentiva ancora nelle sue arterie il mix d’adrenalina e paura che le percorreva l’intero sistema nervoso. Il cuore saltò un battito quando quell’enorme uccello dai colori dell’arcobaleno l’afferrò e la portò via con sé, lontano da quello spiazzale innevato.
Sentiva se stessa da bambina mentre urlava e piangeva; ricordava ancora alla perfezione gli artigli nodosi del grosso Pokémon stringere il piumino rosa nel quale era avvolta.
Vide i suoi genitori impallidire dalla paura e cominciare ad urlare, crogiolandosi nella loro impotenza e finendo per disperarsi ed urlare contro il cielo.
Fu il volto di sua madre a convincerla a prendere di petto quella situazione ed a stringere ancor più forte la sfera di Blasty.
“Inseguilo!” urlò, salendo sul grosso carapace del Pokémon. I suoi genitori la guardarono stranita, con le lacrime agli occhi. Le urlarono qualcosa ma quella non riuscì a sentirli dato che, proprio in quell’istante, Blastoise utilizzò i suoi cannoni come propulsori e lei sparì via, lasciando che l’acqua sciogliesse la neve che s’era depositata su quel prato maledetto.



“Blue... Blue!” esclamò Sandra, scuotendola per un braccio, mentre la vedeva immobile a fissare il vuoto. Yellow la raggiunse rapida, passandole una mano davanti al volto.
Guardò preoccupata la Capopalestra di Ebanopoli ed emise un sospiro carico d’ansia.



Non avrebbe mai potuto volare alla velocità di Ho-Oh, Blue, lo sapeva, ma Blasty riuscì lo stesso a non perderlo di vista. Si diressero lontani da Biancavilla, superando con non poca fatica il massiccio del Monte Argento. Vide dall’alto quello che doveva essere il paese dei Domadraghi e poi oltre, Mogania, nella sua antica monumentalità. La sorpassarono, le acque del Lago d’Ira venivano cullate dal vento che acuiva i pizzichi del gelo. Sorvolarono per diversi chilometri il bosco a nord di Johto fino a quando, su di una piccola collina, Blue vide ergersi il maniero.
Quell’orribile incubo era nuovamente davanti ai suoi occhi.
Atterrò abbastanza lontana da non essere vista. Era tuttavia in grado di osservare il grosso Pokémon scendere a terra e posare la piccola se stessa nella neve.
Maschera di Ghiaccio l’aspettava in piedi, davanti alle porte aperte della sua fortezza.
La piccola Blue aveva paura, quella grande aveva una smorfia di sdegno sul volto.
Lo vedeva, stretto nel suo mantello nero e lungo, alto e con quella fluente chioma candida che danzava sospinta dal vento. Una grande maschera copriva il suo volto, come anche quelle dei quattro che aveva accanto, tutti ragazzini più grandi di lei, tutti con la faccia coperta.
“Piccola Blue...” diceva quello, muovendo un passo. Subito dopo fece cenno al grande uccello di volare via e quello eseguì, lasciando che l’aria spostata dalle sue ali investisse la schiena della nuova arrivata.
La piccola, dal canto suo, era terrorizzata: il volto era pieno di lacrime, alcune erano riuscite a raggiungere la mandibola e pendevano come stalattiti, finendo per cadere sul piumino rosa.
S’era sporcata, lei, con le zampe del grande uccello arcobaleno.
Tuttavia rimaneva immobile, a guardare quell’uomo avvicinarsi.
“Benvenuta nella tua nuova famiglia” concluse quello. Carezzò la testa della bambina, facendola rabbrividire in un modo che la sua controparte, quella già adulta e nascosta diversi metri più indietro, ricordava ancora.
“Karen, portala dentro e falle vedere qual è la sua camera. Dopodiché lasciamola tranquilla fino a questa sera, per ambientarsi. Voi altri, venite con me”.
Si voltò ed andò via, seguito dai suoi tre bambini mascherati.
Quella che doveva essere Karen era rimasta lì, ferma ed immobile, aspettando di rimanere da sola con la bambina.
“Ciao, Blue. Dammi la mano ed andiamo dentro. Ti mostrerò la tua nuova stanza”.
Fu un tuffo al cuore rivivere le stesse scene che avevano condannato a morte la normalità della sua vita, per quanto effimera e noiosa sarebbe potuta essere. Fu poco dopo che le due ragazzine sparirono che Blue, la grande, si mise in marcia verso il maniero, cercando un modo per penetrarvi all’interno. Pensò al fatto che rientrare in quel luogo non le avrebbe procurato nulla di buono, sia nel cuore che nella testa; tuttavia doveva riuscire a cambiare la sua vita.
Doveva permettere a quella versione di se stessa di non fare le stesse stupidaggini, di non diventare una ladra incallita, di non abbandonare Green e di non credere che i suoi genitori avessero finito per abbandonarla. Doveva salvarla, portarla via da quel posto.
Avanzò con passo celere e si ritrovò davanti al grosso portone, in legno ornato da ferro battuto. Proteggeva un vero e proprio maniero, una costruzione assai antica di mattoni in pietra, trasformata in collegio per bambini che il suo tetro proprietario riteneva idonei a diventare perfetti malviventi.
Solo in quel momento Blue si rese conto d’esser stata osservata e studiata, prima del suo rapimento effettivo. Solo così sarebbe potuta esser ritenuta idonea.
Rabbrividì, pensando al fatto che un uomo o, anche peggio, uno di quei bambini avesse osservato tutta la sua vita dall’esterno delle finestre di casa sua, guardando sua madre mentre stirava e suo padre mentre leggeva il giornale.
Non rimase ferma davanti al portone per molto ancora, decise di defilarsi e di accedere dalla destra della fortezza.
Proprio da dove era fuggita diversi anni prima.
Stava ancora decidendo se agire in modalità Tank o utilizzare quella Stealth, quando ormai era davanti alla piccola botola. Prima d’accedervi però vide un piccolo Hoothoot saltellare ai piedi di uno degli alberi, e si bloccò nel guardarlo. Fu allora che decise di lanciargli una sera e di catturarlo, riponendo poi la Pokéball all’interno della sua borsa. Tornò alla botola, l’aprì e soprassedette sulla zaffata d’umido che le raggiunse le narici. S’immerse nel buio, saltandovi direttamente all’interno.
Sapeva che sarebbe atterrata dopo un paio di metri in quello che era il corridoio nascosto del maniero.
“Stealth...” disse a se stessa, aderendo agli umidi muri ed avanzando rapidamente.
Nonostante i bambini con la maschera fossero soltanto sei, Maschera di Ghiaccio aveva rapito numerosi altri ragazzini, che popolavano il grosso castello e gli erano utili per le faccende pratiche più effimere.
Quelli con la maschera rappresentavano l’elite.
Raramente quelli senza maschera superavano l’asticella, facendo strada ed entrando nel gruppo degli esecutivi col volto celato.
Soltanto Karen c’era riuscita.
Lo ricordava ancora, lei aveva cominciato dalla cucina; successivamente era diventata la peggiore tra i galoppini di Alfredo.
Alla fine del corridoio c’era la grande libreria semovibile, che dava direttamente nelle camere private di Maschera di Ghiaccio. Il grosso mobile era su rotelle, non ebbe alcun problema a spostarlo.
Nel farlo, però, si rese conto di dover essere più cauta. Buttò un occhio prima di uscire allo scoperto, aderendo rapidamente al muro.
Il cuore batteva forte; l’ultima volta che era entrata in quella camera aveva in mente soltanto la sua voglia di libertà. Batté un paio di volte le palpebre e si ritrovò a respirare profondamente.
Pensò che dovesse andare velocemente via di lì. Rapida legò i capelli in una pratica coda e poi avanzò, facendo attenzione che nessuno s’avvicinasse. Uscì dalla grande camera, ritrovandosi nel corridoio in cui fu inseguita dai suoi confratelli il giorno in cui lei e Silver fuggirono.
Lo ripercorse al contrario, veloce, col cuore che saltava un battito ogni volta che un ricordo le sovveniva alla mente.
Aveva passato così tanto tempo in quel luogo da riconoscerla un po’ malinconicamente come la sua casa. Conosceva ogni posto, ogni anfratto, ogni nascondiglio, ogni luogo più sicuro per sfuggire alle sfuriate dei fratelli più grandi e dell’uomo mascherato.
Ricordava il maniero pieno di gente, Blue, la prima volta in cui fu portata da Karen all’interno della sua camera.
Arrivata alla fine del corridoio c’era la sala centrale. Lì non avrebbe potuto far nulla per dissimulare la sua presenza, né per giustificarla. Inoltre, i più attenti avrebbero potuto associare la somiglianza con la nuova arrivata e quello avrebbe fatto saltare interamente ogni piano.
“Devo creare un diversivo...” sospirò, prendendo la sfera del Pokémon che più volte aveva utilizzato in quel modo.
“Ditty... già sai cosa fare...” fece, lanciando per terra la sfera del suo Pokémon. Aspettò pazientemente che quello mutasse il proprio colore per poi trasformarsi velocemente in un enorme esemplare di Gyarados.
Il suo ruggito fu terribile e spaventò tutti i presenti che, voltati verso la nuova minaccia, non videro Blue sgattaiolare al piano superiore, dove Karen aveva parcheggiato la novellina, chiudendola a chiave nella propria stanza per evitare che fuggisse. Era poi corsa a fronteggiare il Pokémon che pareva essere uscito dalle cucine.
Era infatti nascosta proprio dietro ad un angolo quando sentì Karen e la versione di se stessa da bambina parlare.
“Ora non ho tempo per mostrarti ogni cosa, c’è un’emergenza! Ma verrò non appena sarà tutto a posto. Ora entra qui, ti chiuderò dentro in modo che nessuno possa entrare. Stai tranquilla”.
“Va bene...” disse l’altra, con la voce più spaventata che avrebbe potuto avere in quel momento. Sorrise, la Blue grande, pensando al fatto che in futuro avrebbe dovuto sostenere stress e prove di forza ben maggiori d’un semplice Gyarados.
Una giovanissima Karen le sfilò poco dopo davanti, senza accorgersi minimamente dell’avventrice.
Fu quando fu sola che accelerò velocemente verso la sua stanza e staccò una forcina dalla testa per forzare la serratura. Non le ci volle molto.
Aprì la porta, vedendo la piccola se stessa che aveva raccolto le ginocchia tra le braccia nell’angolo del letto, nascondendo il volto dietro il cuscino. La camera che la proteggeva dal leviatano era uguale a come la ricordava: piccola, con una finestra in alto protetta da doppie sbarre d’acciaio e le mura color grigio canna di fucile. Una semplice lampadina nuda illuminava fiocamente l’ambiente, lasciando che il marrone del legno dell’armadio, accanto alla porta, e del piccolo scrittoio, risultasse quasi nero. Sentendo la presenza di qualcuno, la bambina alzò la testa, scontrando lo sguardo di mare con quello, identico dell’avventrice.
E subito dopo associò a quel volto quello di Silver.

Se adesso lei va via Silver non si salverà...

“Non... non farmi del male...” faceva la bimba, mentre le lacrime riempivano le rime degli occhi.
Blue sorrise dolcemente e chiuse la porta. “Tranquilla, non ti farò nulla. Sono qui per aiutarti”.
Si sedette poi accanto a lei, lentamente. “Sono venuta per parlare con te”.
L’altra abbassò leggermente il cuscino dietro il quale si nascondeva e la fissò in volto, profondamente. “Assomigli alla mia mamma. Dov’è la tua maschera?”.
“Io non ho alcuna maschera, piccola Blue. Io sono te... da grande. Ora però dovrai ascoltarmi attentamente...” faceva quella, inginocchiandosi sullo scomodissimo materasso, che rispose lasciando cigolare le molle. Le prese le mani ed instaurò un contatto visivo assai profondo: riusciva a sentire la sua paura, assaporando l’incertezza che lei stessa aveva provato quando, quel nefasto giorno, fu portata in quel castello buio.
“La tua mamma ed il tuo papà stanno bene e ti amano, a loro non è successo nulla. Tuttavia non sanno dove ti trovi e questo li ha fatti preoccupare parecchio. Non finiranno mai di sperare che tu possa tornare a casa, quindi non dimenticarti mai di loro e del fatto che vogliono che torni con tutte le tue forze. Prima di fare questo, però, è necessario che impari a sopravvivere in questo posto, altrimenti Karen e gli altri ti faranno fuori in men che non si dica, okay?”.
Prima di continuare aspettò che l’altra annuisse.
“Ottimo. Devi fare ciò che vogliono. Non ti verrà fatto nulla di male ma imparerai a combattere con i Pokémon, a sfruttare il loro potenziale per ottenere tutti i tuoi obiettivi. Imparerai il pensiero laterale... lo sfrutterai per risolvere situazioni spigolose...”.
“Cos’è il pensiero laterale?” domandò l’altra.
La grande sorrise, carezzandole la testa. Alzò gli occhi, cercando di ricordare qualche avvenimento della sua infanzia che non fosse successo attorno a quelle mura. “Ti ricordi quando sei andata con la mamma ed il papà all’Altopiano Blu, a vedere la Lega Pokémon? C’erano tante auto e siamo rimasti bloccati nel traffico. Ecco, il pensiero laterale è come se, mentre tutti sono bloccati nel traffico, noi avessimo raggiunto il luogo prestabilito attraverso un’altra via, meno trafficata”.
“Quindi... è pensare in un altro modo?” chiese quella.
Blue sorrise ancora. Si reputava dolcissima, a quell’età. “Esattamente. Bravissima, hai capito. Io e te siamo sveglie...” fece, carezzandole la testa e spettinandole la frangetta sulla fronte. “Imparerai a fare anche altre cose che, tuo malgrado, non vorrai sapere: capirai come raggirare una persona, come truffarla. Come ammazzarla... T’insegneranno tutto loro. Io voglio però che tu stia attenta ad ognuna delle persone con la maschera... Non dovrai fidarti di nessuno di loro. Nessuno tranne Silver”.
La piccola se stessa sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di capire. “Chi è, Silver?”.
Quella grande non se lo lasciò ripetere due volte. “Lui è un bambino, proprio come te, anzi, più piccolo, che arriverà tra qualche tempo in questo maniero. Lui è il figlio d’una persona molto importante che farà di tutto per riaverlo con sé. Dovrete fare sempre gioco di squadra, tu e lui. Silver sarà il ragazzino mascherato più piccolo, e perciò sarà preso di mira. Soprattutto da Karen e Pino. Tu cerca di proteggerlo, è molto sensibile e quest’avventura gli rimarrà impressa nella mente per tutta la vita”.
“Silver...” ripeté Blue, la bambina.
“Esatto. Poche settimane e sarà qui. Sarà proprio Maschera di Ghiaccio a metterti in coppia con lui, perché siete i più piccolini... Fate tutto ciò che vi viene detto e non finirete per morire. Intesi?”.
“V-va bene”.
Blue adulta allungò l’orecchio, per sentire i versi di ferocia del suo Ditto, riuscendo a percepirli ancora; aveva altro tempo.
“Bene, poi che altro? Ah... alzati da lì” fece. Vide la bambina eseguire e farsi da parte, verso l’angolo opposto della minuscola stanzetta, accanto all’armadio. Quella grande invece spostò rapidamente il letto, mostrandole il muro alle sue spalle,fatto di vivi mattoni di pietra.
“Ecco. Stasera, quando ti daranno da mangiare, ruba un cucchiaio. Una volta tornata in stanza, comincia a scavare, proprio in questo punto” le disse, indicando la fuga tra due grossi mattoni. “C’è una piccola camera d’aria, oltre queste pietre, e tu dovrai scavare di notte per aprirti uno spazio abbastanza lungo da far entrare te e Silver. Lui è alto un po’ meno di te”.
“Scavare...” ripeté la piccola, come annotandosi tutto.
“Sì, scavare, piccola me” sorrise l’altra. “E poi ti daranno una maschera, come quella di Karen. Non la devi mai levare. Anche Silver. La potrete levare solo quando sarete nel vostro nascondiglio, qui, dietro il letto”.
Rimise il materasso al proprio posto e tornò a sedervisi sopra con l’altra. “In più so che sarà dura, ma non devi avere paura degli uccelli. Sei stata afferrata da quelle zampe enormi, da quel Pokémon così grande... Anche io non sapevo come combattere questa paura... Ho dovuto sbatterci la testa contro, e tutt’ora non sono neppure abituata. Però... Ecco, se imparerai ad amare i Pokèmon volanti, tra qualche anno potresti addirittura diventare la Campionessa della Lega Pokémon. Capisci che bello?”.
Vide la bambina sorridere.
“Eh?” continuò. “Ti piacerebbe?”.
Annuì debolmente, lei. “Ma...” parlò. “Per diventare Campionessa dovrò uccidere delle persone?”.
Blue chiuse gli occhi ed abbassò il volto. Capiva che per una ragazzina fosse un argomento delicatissimo. Ricordava nei suoi occhi la paura delle persone che aveva giustiziato suo malgrado in quel maniero e tutte le volte che li aveva pianti, scusandosi col cielo e chiedendosi perché quella cosa fosse accaduta proprio a lei.
“No” concluse. “Non dovrai uccidere per diventare Campionessa. Lo dovrai fare perché altrimenti sarai tu ad essere uccisa. Sarà dura abituarsi a quel pensiero ma rimani sempre positiva e ricorda sempre che tu hai un valore. Non farti mai annullare da quelle persone con la maschera. Tu sei migliore di tutti loro messi assieme, non dimenticarlo mai. Ed anche Silver. Per diventare Campionessa dovrai rispettare te stessa e gli altri e diventare una brava persona. Dovrai usare le tue abilità e dimenticare la tua paura per i Pokémon Volanti. A tal proposito...” sospirò lei, infilando la mano nella borsa.  Fu da lì che tirò fuori la sfera dell’Hoothoot che aveva catturato qualche minuto prima.
“Questo è tuo. È un Hoothoot, un Pokémon piccolo e molto carino. Nonostante sia un uccello non dovrai avere paura di lui. Ti vorrà sempre bene e ti proteggerà”.
La piccola annuì. Vide la grande nascondere la sfera sull’armadio e proseguire con il proprio discorso. “Non appena sarete lasciati liberi di catturare i vostri Pokémon, nel giardino del maniero, potrai dichiarare di averlo catturato e smettere di nasconderlo. Per il resto stai attenta, riponi tutto qui su e nessuno lo troverà. E poi c’è la parte più importante: la fuga”.
“La fuga?!” spalancò gli occhi quella.
“Sì. Tu e Silver fuggirete da qui, tra diversi anni. Utilizzerai il tuo Jigglypuff per aiutarti nella fuga e ti troverai nella camera dell’uomo mascherato. È importante che una volta lì tu riesca a rubare due strumenti molto importanti, tenuti in una teca di cristallo sulla sua scrivania. L’u0mo si troverà nella stanza, sarà parecchio malato e quindi non vi ostacolerà, ma fate attenzione. Infine dovrete spostare una libreria a rotelle e correre fino a che non raggiungerete il lato esterno del maniero. Poi vi dileguerete. Ora vado, Karen potrebbe tornare da un momento all’altro”.
“Non posso venire via con te, ora?” ribatté subito.
Blue, quella grande, fu aggredita da quella domanda come fosse una raffica di proiettili. Perse le forze, rimanendo inerme allo sguardo di se stessa.
Fece cenno di no. “Non puoi, Blue. Tu... tu devi proteggere Silver. Lo devi salvare, lui è molto importante, lo devi voler bene come il fratellino che non abbiamo mai avuto, okay?”.
La bambina storse il muso in segno di disappunto ma molto maturamente annuì.
“So che è dura ma sei costretta a viverti quest’esperienza. E non puoi fare nulla per evitarlo senza che tu venga uccisa, quindi stai attenta. Una volta fuori recati a Biancavilla e ruba Squirtle dal Laboratorio del Professor Oak. Ti servirà. Subito dopo dovrai correre nel Settipelago e chiedere dei tuoi genitori alla vecchia Kimberly, di Secondisola. Lei sicuramente saprà aiutarti a ritrovarli. Infine viaggia per Kanto... finirai per incontrare l’uomo della tua vita e quello che sarà una delle persone più importanti per te. Uno si chiama Green, l’altro Red. Ama Green. Stai sempre con lui. Non lo tradire mai, non fargli mai del male. Lui non merita questo dolore...”.
“Quale dolore?” domandò la Blue del passato.
“Niente che riusciresti a capire ora... dicevo: Green. Non Red. Va bene?”.
La piccola annuì.
“È un ragazzo molto bello, tranquilla, e saprà farti felice. Un po’ troppo silenzioso ma, credimi, nei suoi occhi c’è tutto quello di cui hai bisogno. Blue... è tutto chiaro?”.
Quella annuì debolmente.
“Se fai come ti dico andrà tutto per il meglio. Ora devo veramente andare” disse quella grande. Le si avvicinò e la strinse in un caldo abbraccio. Le baciò la fronte e le sistemò la frangetta, prima di uscire dalla stanza rapidamente, lasciandola lì da sola.
Scese le scale a due a due e prese la sfera di Ditty, facendolo rientrare, mentre i ragazzi mascherati stavano fronteggiando la minaccia.
Tank...” disse poi, prendendo la sfera di Blasty. Il grosso Pokémon uscì e caricò i cannoni d’acqua, piazzandosi davanti al portone d’ingresso. “Idrocannone, Blasty!”.
Blastoise sfogò due colpi potentissimi sul legno massiccio, che finì per aprirsi come se fosse fatto di compensato, lasciando all’intrusa lo spazio per fuggire via, verso l’orizzonte.
Direzione Biancavilla.

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