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Gaia Bessie - Still Alice: The annoying evidence of Moore’s Paradox - 24

Still Alice:
The annoying evidence of Moore’s Paradox


24.

Durante l’estate del nostro terzo anno insieme.
Con amore,
Alice.


Giugno.

È contraddittoria una proposizione che implica uno stato di cose e la sua contraddizione.
“Piove e non piove”

Adriano ha dimenticato com’è che si fa a mangiare: ogni pasto è una sofferenza immane, non ricorda come si fa a tenere in mano il cucchiaio, o che il rumore che sente nella sua testa altro non è che il cibo che si rompe contro i denti.
Non riesce a riconoscere cos’è buono, e cosa è cattivo, così che un giorno i lamponi gli sembrano dei grumi di vernice, e un altro giorno decide che i cocci di vetro sono sorbetti al limone.
Farlo mangiare vuol dire inventarsi storie, dirgli che se finirà la minestra allora apparirà una fata che gli concederà un desiderio, o che se non manderà giù tutta la colazione, allora Kyogre lo porterà nell’occhio del ciclone. Qualche volta funziona.
Qualche volta, no.
Qualche volta Alice piange, quando non riesce, quando il cucchiaio cade di mano e Adriano è felice come se lei gli avesse regalato una caramella.
E piange anche quando riesce, e allora è perché Adriano si fa imboccare come un bambino, e sembra stupirsi che tutti i meccanismi del suo corpo funzionino ancora, che ci sia ancora abbastanza forza affinché il bolo possa essere spinto giù fino allo stomaco.
Qualche mese fa, mangiava ancora da solo, forse gli tremava un po’ la mano, ma non importava. Sembrava qualcosa di così scontato, di così banale, che Alice è riuscita a riconoscerne l’importanza solamente quando Adriano non è stato più in grado di farlo.
E adesso che ogni pasto è un tormento, adesso si rende conto di quanto fosse vitale, quel movimento, così sottovalutato, di quanto fosse indispensabile. Perché non c’è più.
Perché aveva pensato che, con la bella stagione, sarebbe migliorato: avrebbe aperto la finestra, non spalancata, a malapena uno spiraglio di aria pulita, e lui, per magia, si sarebbe calmato.
E avrebbe mangiato, bevuto, forse avrebbe riso o scherzato. Sarebbe tornato in sé, finalmente, e lei gli avrebbe detto che lo aspettava da anni.
Anche quando altri, Rocco Petri, se n’erano andati.
Oggi, Alice ha aperto la finestra. Non uno spiraglio, l’ha spalancata e quasi ne ha rotto i vetri, quando una folata di vento, insolita per essere metà giugno, ha fatto tremare anche l’intonaco sui muri.
Ha aperto la finestra quando, entrando, ha sentito qualcosa che prima non c’era: come se qualcuno ci fosse morto, in quella stanza, e avesse lasciato il proprio cadavere a fermentarvi dentro.
Un insetto ha ronzato sul vetro, trillando il suo disappunto per quella ventata d’aria pulita.
E lei ha cominciato a cercare.
Non si era accorta che Adriano gettava il cibo sotto al letto fino al momento in cui questo non aveva cominciato a diventare un tripudio di muffa e vermi, marcendo sul pavimento. Si era sempre affidata a quella convinzione sciocca, se non utopica, di poter ancora fidarsi di lui.
Anche se non si poteva.
Così, aveva scoperto che il purè di patate era diventato un intruglio verde muschio, e il tortino di cipolle si era piegato su sé stesso quasi come stesse pregando.
E Alice non se ne era accorta, finché non si era messa in ginocchio, e aveva messo la testa sotto al letto, scoprendone i tesori.
Lì, si era sentita, o scoperta, una stupida.
Per giorni, settimane, si era convinta che qualcosa non funzionasse più in Adriano. Che qualcos’altro non funzionasse più.
Poteva aver dentro qualunque cosa: una valvola che prima si chiudeva e adesso no, o un verme che gli dormiva nell’intestino. Invece no.
Il meccanismo che aveva smesso di funzionare era sempre lo stesso.
Lei se l’era spiegato così: nell’insieme di rotelle che regolavano il meccanismo di Adriano, ce ne doveva essere una che, al posto di girare insieme alle altre, ogni tanto girava nel senso opposto, e strideva, causava scintille o bloccava tutto.
Prima o poi, ne era certa, avrebbe bloccato anche lei, e o avrebbe preso fuoco a partire da una sua stessa scintilla, o non si sarebbe mossa mai più.
Adesso, è esattamente così. Bloccata.
Perché Adriano ha smesso di mangiare, e forse anche di bere, o chissà di quali altre cose che ancora lei non ha scoperto, che non sono muffite a sufficienza per poter venire alla luce, e lei non ha idea di cosa fare.
L’ha visto, ne è certa. È uscita dalla stanza per asciugarsi le lacrime – lui non la vedrà mai più piangere – e, prima di rientrare, si è fermata dietro la porta, nascosta dalle sue stesse ombre.
Da uno spiraglio, ha visto ogni cosa.
Adriano, il bicchiere in mano, ha gettato tè, acqua e del pane dalla finestra, borbottando tra sé e sé.
E Alice ha capito perché le chiedeva sempre di aprire la finestra.
 

***
 
Finalmente, le è chiaro. E se per anni si era prospettato tutto come un brutto sogno, come qualcosa che non sarebbe mai accaduto, adesso che sono sul punto di, Alice non riesce nemmeno a piangere.
Doveva succedere, prima o poi.
Sono mesi che Adriano non ha un momento di lucidità, uno sprazzo di comprensione, qualcosa che riesca a farle pensare che non morirà a breve. Ma non succede nulla.
E lei vorrebbe avere, a questo punto, un piano di riserva, qualcosa che riesca a salvarli entrambi.
Sa di non averlo.
E sa anche che, quando si avvicinerà, anche questa sera, al letto di Adriano, e gli rimboccherà le coperte e gli carezzerà il capo, dovrà chiedergli se desidera qualcosa.
Spererà, perché lo spera sempre, che Adriano dica di volere una cucchiaiata in più di composta di pere, o un budino al cioccolato. Solo che lui non chiederà mai nulla di tutto questo.
Adriano la guarderà, e Alice allora dovrà costringersi a non pensare che c’è ancora qualcosa del lago sotterraneo di Ceneride in quegli occhi, e le chiederà ciò che le domanda ogni sera.
«Puoi aprire la finestra?».
Ma, quando lei allungherà il braccio per accontentarlo, Adriano farà segno di no con la testa, e Alice sarà costretta a capire.
«Non quella finestra».
E lei dovrà pensare che, purtroppo, l’unica finestra che è in grado di aprire è quella sopra il letto. Perché Rocco Petri l’ha chiusa, la sua finestra, e lei non può farci proprio niente.


***


Ha iniziato a segnare i giorni, Alice, su un foglio di carta con righe azzurre che ha appeso sopra il divano, nel soggiorno, che è anche l’unica stanza dove Adriano non entrerà mai.
Perché anche da quella stanza che Rocco è passato prima di andarsene.
Ha segnato i giorni, Alice, i mesi, e il tempo che è passato da quando Adriano ha smesso di avere anche solo un secondo di lucidità. E lei ha capito che ormai sono gli ultimi giorni.
Qualcuno ha detto che i malati terminali, prima di morire, riescono ad avere un breve momento in cui non sembrano più malati. E l’unica scintilla che anima Alice è che ancora Adriano non è riemerso dal suo ingranaggio difettoso.
«Alice? Chiama Rocco. Credo che ci siamo».
Le cade una penna dalle mani, e le manca il respiro, quando vede che si è alzato dal letto e sta parlando.
«Torna a letto, Adriano. Rocco arriverà tra poco».
Ha mentito, e allora lui farà finta di crederle, ma sanno entrambi che Alice ha chiamato Rocco. E gli ha detto, l’ha supplicato, di tornare indietro, almeno per un giorno.
«Ti prego. Non so quanto posso aspettare».
Domani Adriano se ne sarà già andato, pensa lei, ma tace e gli sorride, ricacciando giù le lacrime.
«Va bene. Ora riposati, quando aprirai gli occhi Rocco sarà qui, va bene?».
Adriano forse non li aprirà più, gli occhi.
Ma, di certo, Rocco Petri ha fatto chiaramente intendere che non tornerà per vederlo morire.





_____________

Angolo Autrice
Sono stata puntuale e non ci credo nemmeno io: è che ho questa storia nascosta in un cassetto da chissà quanto tempo e, adesso, mi sto godendo il tempo che ho per scriverla.
Mi rendo conto che non sarà facile seguirmi. Perché capitolo 24 e non 1?
Perché vorrei che si leggesse all’indietro e, una volta giunti al prologo, in avanti. Ma ho pretese molto alte, chissà, vedremo cosa succederà.
Per quel che vale, questo è il capitolo di questo mese, che non cade in mezzo a nessuna festività, ma io l’ho scritto durante Halloween, quindi, buon Halloween.
Gaia
P.S. La frase in corsivo è rielaborata a partire dalla parte seconda delle Ricerche filosofiche di Wittgenstein. 

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