-
Allora andate! Buona fortuna ad entrambi!
Il
professore congeda così me e Moon, salutandoci da quella vecchia barca
scalcagnata che si ostina ad utilizzare. Lylia ci saluta a sua volta,
guardandoci un po’ preoccupata.
Si
preoccupa sempre: teme che i nostri Pokémon si facciano male, che noi ci
facciamo male, che qualsiasi cosa si faccia male. È troppo apprensiva.
Mi
giro verso Moon, con un largo sorriso, che però non rispecchia quello che provo
dentro di me.
-
Allora, tu cosa farai adesso?
Andrà
al centro Pokémon ed esplorerà la città, come sempre fa quando arriva su una
nuova isola. Cerco di trattenermi, di augurarle buona fortuna e basta, ma non
ce la faccio.
-
Non vieni con me a mangiare qualche malasada?
Dovevi
stare zitto, Hau. Ti prego, Moon, vieni con me. Non puoi farti vedere in quello
stato. Tirami fuori da quel dannato negozio.
Mi
stupisco sempre di come la mia testa possa formulare così tanti pensieri in
contrasto tra di loro in quei pochi centesimi di secondo che separano la
domanda dalla risposta.
-
No, grazie. Magari un’altra volta.
Certo
che no. Lei non verrebbe mai. Lei è normale.
Le
sorrido ancora - fingere è così facile! - e la saluto, avviandomi verso le
strade illuminate dai lampioni.
Io
non voglio andare a mangiare malasade. Non voglio più. Lo stomaco mi brucia
tantissimo, spesso mi viene da vomitare e quando mangio altri piatti non riesco
a sentirne il sapore.
Eppure
devo. Anche se cerco di non mangiarne sto male: tremori, brividi, sudori
freddi, sensazione di capogiro e cose simili.
Ogni
tanto mi chiedo cosa succeda, non riesco a capire: mi sembra che io sia malato
e che le malasade siano l’unica medicina. Eppure proprio loro l’hanno causata:
un tempo non stavo così.
Se
n’è accorta anche la mamma. All’inizio cercava di tenermi il più lontano
possibile dai dolci, ma spesso mi venivano delle crisi così violente che me li
comprava per paura che mi facessi troppo male. Era davvero imbarazzante:
bastavano poco più di due giorni senza e pur di averne mi buttavo a terra,
strillavo, piangevo.
Facevo
i capricci come un bambino piccolo.
Alla
mia età non dovrei più: dovrei contenermi, stare tranquillo, sapere che non
posso vivere solo di dolci. Ma l’autoconvincimento non funziona per nulla, non
so perché.
Ormai
mi sono messo quasi a correre. Spero che il negozio di malasade sia chiuso:
almeno sarò costretto a cercare altro da fare. Nemmeno il viaggio e le lotte mi
aiutano a distrarmi: i dolci sono sempre nella mia testa, non posso farne a
meno.
Il
negozio invece è aperto: muovo qualche passo all’interno, titubante, mentre la
commessa mi saluta con un sorriso. Non riesco nemmeno a registrare quello che
la mia mente fa: vado al bancone e ordino due malasade.
Non
posso, non devo. Fermati, Hau!
Mi
accomodo al tavolino e in pochi minuti arrivano. Solo quando affondo i denti
nel dolce e sento il sapore dello zucchero nella mia bocca riesco a calmarmi.
Per pochi secondi sono in paradiso: i muscoli del mio corpo si rilassano
completamente, il mio respiro si fa più calmo, il cuore rallenta e la mente si
svuota. Vorrei rimanere così per sempre.
Ma
subito dopo torna l’ansia: Moon potrebbe scoprirmi. O se non lei, il Professor
Kukui o Lylia. Potrei incrociare qualcuno che conosco.
L’unico
modo per calmare questi pensier è mangiare di nuovo, ed ecco che prendo un
altro boccone.
Ormai
la mia vita è così: zucchero, ansia, zucchero, ansia. Pensavo sarebbe stata
diversa.
Le
malasade finiscono troppo in fretta, ma cerco di impormi autocontrollo. Mi alzo
e ne ordino tre per il viaggio.
Spero
che riescano a resistere fino a domani.
Guardo
tutte le carte sparpagliate sulla mia scrivania e il computer davanti a me. È
un caso veramente difficile da risolvere, speravo che riordinare i miei appunti
mi potesse aiutare.
In
realtà si sta rivelando più una seccatura che altro: devo continuamente
scorrere avanti e indietro tra le pagine del documento di testo, correggere le
informazioni, spostare dati da una parte all’altra.
Con
la mano sinistra scrivo, mentre la destra va automaticamente alla tazza di
caffè che tengo sempre accanto a me.
Ne
bevo un sorso: ormai è freddo. Il sapore amaro della bevanda è ormai diventato
insopportabile e mi dà anche un bruciore di stomaco non indifferente, ma non
posso farne a meno. Faccio girare il caffè con dei leggeri movimenti del polso,
come se servisse a cambiarne il gusto, e lo riappoggio.
Immediatamente
gli occhi viaggiano verso l’orologio che si trova nella parte bassa dello
schermo: le quattro meno dieci.
Dovrei
mettermi a dormire, sono sveglio da più di ventiquattro ore. Ma i criminali non
mi aspettano: mentre dormo, continuano ad agire e a tramare. Devo stare più
sveglio possibile per combatterli.
Mio
malgrado, il caffè è l’unica cosa che mi può aiutare in questo: all’inizio non
mi sembrava un problema. Lo preparavo nella mia caffettiera, lo versavo nella
tazza, lo zuccheravo e lo diluivo un pochino, poi lo bevevo per il resto della
nottata.
Ma
non è l’ideale tutte le notti per diversi mesi consecutivi: dopo un po’ il suo
sapore annoia e sono costretto a mangiucchiare caramelle o a lavami i denti per
cacciarlo. Anche il mio stomaco non ne è contento: brucia spesso, ogni tanto
addirittura vomito.
Mi
fa anche dormire poco. Il che è ironico, se penso che lo prendo proprio per
stare sveglio, ma quando finisco finalmente di lavorare e mi stendo nel letto
non riesco mai a prendere sonno. Passo diverse ore a rigirarmi a destra e a
sinistra, a leggere qualche libro per cercare di conciliare il sonno, a
guardare programmi noiosi in TV solo per ammazzare il tempo. E quando
finalmente riesco ad addormentarmi, si tratta sempre di un sonno agitato e
leggero, costellato di sogni strani e inquietanti. Non ricordo nemmeno più
l’ultima volta in cui abbia fatto una dormita decente.
E,
nonostante tutto, non riesco a fare a meno del caffè: è la prima cosa che bevo
al mattino e l’ultima prima di andare a dormire. Quando riposo particolarmente
male, ne bevo diverse tazze anche durante la giornata. Ho provato a variare, a
prendere del tè invece del caffè, ad assumere quei beveroni energetici di cui
decantano le lodi nelle pubblicità.
Ma
nulla può sostituire l’effetto della bevanda scura di cui ho appena preso un
altro sorso. È come se mi chiamasse, quasi, come se mi dicesse che l’unica cosa
di cui ho bisogno è lui.
Ormai
è più che un’abitudine: lo bevo senza neanche accorgermene, come si berrebbe
dell’acqua in una calda giornata estiva.
Mi
riscuoto e tento di concentrarmi: far riposare ogni tanto il cervello va bene,
ma devo riuscire a compiere questo ultimo sforzo.
Riabbasso
la testa sugli appunti: faccio fatica a leggerli dal sonno che ho. Mi sembra
che le parole saltino da una riga all’altra, che i numeri cambino forma, il
tutto condito da delle fastidiose lucine colorate che pulsano sul foglio.
Forse
per stanotte dovrei smettere qui.
Il
pensiero ha tempo solo per una frazione di secondo di attraversare la mia
mente, prima che finisca annegato da una sorsata di caffè più lunga delle
altre.
Non
posso fermarmi adesso, devo finire almeno di riordinare gli appunti. Domani li
leggerò con la mente più, si fa per dire, fresca e riposata, e magari mi verrà
un’intuizione vincente.
Per
il momento continuo a lavorare, a passare gli occhi dallo schermo alla carta,
col fido compagno di ogni notte che mi fissa invitandomi a berlo.
NDA.
Ciao
a tutti e bentornati a questa edizione di Addictions! Non preoccupatevi, non
manca molto alla fine, prevedo solo altre due uscite.
Comunque,
in questa edizione ho scelto di trattare due sostanze che tutti assumiamo ogni
giorno (e non fate finta di no), ma che se prese in grandi quantità possono
dare problemi. Il caffè non parecchio, in realtà, ma gli zuccheri possono
diventare molto pericolosi.
Perché
Bellocchio e Hau? Beh, Hau, soprattutto se avete giocato a
Sole/Luna/Ultrasole/Ultraluna, vi sarete resi conto che ha effettivamente
qualche problema con le malasade. Insomma, arrivi su un’isola e la prima cosa
che fai è assaggiare una malasada?! Quindi dipendenza da zuccheri e buonanotte.
Bellocchio
è un detective abbastanza stakanovista, per mantenere quei ritmi sicuramente si
inietta caffè in endovena come se non ci fosse un domani. In realtà la
dipendenza da caffeina non dà problemi gravissimi come la dipendenza da altre
sostanze (almeno non si è ancora osservato un fenomeno del genere), perciò la
parte su Bellocchio è un pochino più tranquilla delle altre. C’era anche
bisogno di staccare un attimo dalle altre cose tragiche che ho scritto, no?
Comunque,
grazie a voi di avere letto e ad Andy Black per avermi concesso questo spazio!
Alla prossima!
Alla prossima!
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