
Piego
le braccia verso il pavimento.
-
Cinquanta. - mormoro a denti stretti. Faccio fatica a ritornare alla posizione
di partenza: le braccia, nonostante il buon numero di muscoli, mi tremano e
implorano pietà: sembra debbano cedere da un momento all’altro.
-
Signore, tra poco dobbiamo chiudere.
Non
ascolto neanche e faccio un altro piegamento.
-
Cinquantuno.
Non
posso fermarmi in questo momento, il mio allenamento non varrebbe a niente. Ho
le gambe indolenzite, mi dolgono gli addominali e le braccia iniziano a
formicolare. Ma non cederò: non sono un debole.
-
Signore.
L’inserviente
mi tocca sulla spalla con una mano: non posso più ignorarlo.
-
Lo so. - rispondo, con un tono più duro di quello che vorrei. Mi mordo il
labbro.
Faccio
un ultimo piegamento e le mie braccia si ribellano definitivamente: crollo a
terra e per poco non sbatto la faccia.
Rimango
lì un attimo, mentre scariche di dolore mi attraversano il corpo, poi
lentamente mi alzo: l’inserviente non dà cenno di aver visto alcunché.
Prendo
l’asciugamano e la mia borraccia, ormai vuota, e mi dirigo in fretta verso gli
spogliatoi. Mi sembra di non aver lavorato abbastanza: forse dopo cena potrei
andare a fare una corsa.
È
solo sotto la doccia che mi rendo conto che probabilmente dopo cena non andrò
da nessuna parte: ho dolore ovunque, non so neanche come faccio a stare in
piedi.
Impreco
ad alta voce, tirando un pugno al muro piastrellato. Sono un inetto: mi alleno
tutti i giorni, eppure mi sembrava di non migliorare mai. Pensavo si trattasse
di un problema di tempo e ho iniziato a ritagliarmi un’ora in più per fare
sport ogni giorno, destreggiandomi tra i miei impegni di Superquattro.
In
realtà non sto dedicando molto tempo alla Lega Pokémon: ormai ci passo
pochissime ore, di solito sono sempre fuori. O in palestra o ad allenarmi nella
Via Vittoria.
Ma
non posso farne a meno: l’essere sempre più forte mi ossessiona.
Tutti
gli sportivi (o meglio, tutti gli sportivi di talento) sanno che il traguardo
più importante è superare i propri limiti. Io agli occhi degli altri sono già
l’uomo più forte di Unima, non ho bisogno di mostrarglielo ancora.
Ma
ho bisogno di mostrare a me stesso che posso ancora migliorare, che non ho
finito il mio percorso. Eppure mi sembra di sbattere contro un muro: più mi
impegno e meno riesco a combinare qualcosa.
Sono
anche arrivato al punto di controllare pedissequamente ogni cosa che mangio per
essere certissimo di seguire la dieta migliore, ma non aiuta affatto.
Ogni
tanto gli altri Superquattro mi consigliano di riposarmi, di staccare, di fare
una mangiata come si deve. Ma loro non conoscono il fuoco che brucia dentro di
me, non possono capire come mi sento: per loro è facile.
Loro
sono soddisfatti così come sono, non cercano mai di migliorare un minimo. Rimangono
nel loro limbo e se ne beano.
Mentre
esco dalla doccia, però, mi attraversa il pensiero che forse non sono loro ad
essere in torto.
Scuoto
la testa: seguo la strada delle arti marziali da quando ero piccolo, so io
quello che è meglio per me e quello che devo fare. L’unica persona che può
capirmi sono io stesso.
Esco
dalla palestra e una brezza quasi fredda mi accarezza il volto. Alzo lo
sguardo: il sole sta tramontando.
Mi
incammino di buon passo verso la Lega Pokémon, riflettendo già sulla routine di
domani.
Cerco
di essere ottimista e di pensare che sicuramente domani andrà meglio e inizierò
a vedere dei risultati ulteriori, ma una parte di me è sicura che ancora una
volta sarà tutto inutile: forse mi sono veramente infilato in una cosa più
grande di me.
Forse
la vera sfida da vincere è riuscire ad accettare i miei limiti.
Sono
buttata sul divano. Ho tolto le scarpe, slacciato i pantaloni e allentato la
giacca.
Non
ho voglia di pensare a nulla, né tantomeno di alzarmi. Chiudo gli occhi e porto
vicino alle mie labbra la sigaretta.
L’odore
è ottimo, come al solito, ma inspirare mi fa bruciare i polmoni. Tossisco un
pochino, ma non ci faccio tanto caso. Non è così terribile come potrebbe
sembrare.
Mi
rigiro sul lato e il mio sguardo si perde fuori dalla finestra di casa mia.
Senza occhiali faccio molta fatica a distinguere qualsiasi cosa, ma non mi
interessa.
Perlomeno
ogni volta mi posso godere un panorama diverso: quella macchia verde là fuori a
volte è un albero, a volte una persona in abiti verdi, a volte un Pokémon
misterioso mai visto da nessuno.
In
questo preciso momento mi ricorda della muffa.
Scoppio
a ridere e riesco solo a pensare che sono veramente fatta.
Non
dovrebbe essere una cosa di cui andare fieri, ne sono consapevole, ma non
riesco a farne a meno: la mia vita non mi piace.
Non
mi piace il controllo che mio padre ha su di me, non mi piace l’essere sempre
un passo indietro rispetto a Black e White, non mi piace nulla.
Mi
metto seduta e continuo a tenere lo sguardo verso la finestra, anche se ormai
ho già iniziato a pensare a tutt’altro.
Una
volta non vedevo l’ora di uscire e vivere nuove avventure, esplorare posti
nuovi, anche mettermi nei guai. Il tutto ovviamente all’insaputa di mio padre.
Se ero triste, mi bastava correre a piedi nudi su un prato, guardare le nuvole
o accarezzare un Pokémon per sentirmi meglio.
Non
so dire quando tutto questo ha iniziato a cambiare, so solo che a un certo
punto non mi bastava più. Anche se uscivo e cercavo di distrarmi, non riuscivo
a togliermi la malinconia e la tristezza di dosso.
E
allora ho cercato altre scappatoie. Finora l’erba è quella che ha funzionato di
più: quando fumo, per un po’ riesco veramente a non pensare a nulla. Mal che
vada, mi concentro sulle mosche che volano e cerco di prevedere dove andranno o
di seguire il loro volo col dito indice. Altrimenti crollo addormentata e mi
sveglio dopo diverse ore.
Mio
padre non ha mai sospettato niente, o comunque non ha mai dato cenno di aver
capito qualcosa. Adesso che vivo da sola è anche molto più facile nascondersi.
Certo,
è passato un po’ di tempo: avrei dovuto risollevarmi e trovare qualcosa da fare
con la mia vita.
Ma
la verità, anche se odio ammetterlo, è che è più comodo così: soffrire un po’ e
poi dimenticare tutto fumando marijuana. Il fatto che me ne serva sempre di più
per dimentare è secondario, o almeno mi piace credere che sia così.
Semplicemente
non tutti sono fatti per avere successo nella vita: se nessuno fallisse, i
talenti passerebbero inosservati.
Mi
bruciano gli occhi, ormai: strofinandomeli, li sento bagnati. Forse dovrei
fumare qualcosa di più, mi potrebbe aiutare.
Faccio
per alzarmi e andare a cercare qualcosa da bere (sballarsi è una sensazione
fantastica, ma dà un fastidio terribile alla gola e ai polmoni), ma il
cellulare che squilla mi distrae.
Afferro
la borsa e ne rovescio l’intero contenuto per terra: cercare il telefono in
altro modo è troppo difficile nelle mie condizioni.
Effettivamente
non ci metto molto a trovarlo: è la professoressa Aralia.
Forse
dovrei lasciarlo squillare e richiamarla dopo, quando sarò più lucida, ma il
mio dito scorre automaticamente verso il tasto verde.
-
Bianca!
Sembra
molto contenta di sentirmi. La lascio parlare, rispondendo a monosillabi alle
sue domande: non mi è molto facile concentrarmi.
-
Ti ho chiamata per farti una proposta.
Sbatto
le palpebre un paio di volte e mi concentro meglio che posso per ascoltarla.
Vuole che vada ad aiutarla nelle sue ricerche al laboratorio. Dice che sono la
prima persona a cui ha pensato, che non potrebbe assolutamente fare a meno di
me, che sarò assolutamente all’altezza del compito. Non so se mi sono messa a
piangere mentre ero ancora al telefono, ma ricordo di aver pensato che forse
c’è spazio anche per me.
COMMENTO
PERSONALE
Con
un ritardo immenso (che dipende solo da me e dalla mia incapacità di gestire
gli impegni) siamo giunti all’ultima puntata di Addictions. Ho scelto di
portare la dipendenza dallo sport e quella dalla droga. Abbinare Marzio alla
dipendenza da sport è stato abbastanza facile, potete immaginare tutti i motivi
che mi hanno spinta a farlo. Per Bianca ci ho un po’ rimuginato, ma alla fine
l’ho scelta per chiudere con un pochino di leggerezza, offrendole anche
un’occasione di riscatto che praticamente nessuno ha avuto in questa serie.
Che
dire? Grazie a voi di avermi seguita e un grazie grandissimo a Andy per avermi
concesso di pubblicare qui (e che faranno santo per essermi corso dietro con
immensa pazienza). È stata una grande occasione per confrontarmi con altri
scrittori e crescere un po’. Spero ci rivedremo presto, anche se per un bel po’
sarò completamente immersa in un altro progetto che non c’entra coi Pokémon.
Grazie
mille a tutti e alla prossima!
Sakichan
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