- Lucas. Dove sei?
- La domanda è dove sei
tu.
- Eh?
- Sono andato a
Canalipoli, nella biblioteca nazionale. Ho qualcosa d’importantissimo da farti
vedere.
- Sono a casa, e quanto
pare ci rimarrò. Ti aspetto qui.
- Sono a Pratopoli. Il
tempo che il treno mi porti a Flemminia e ci vediamo.
- Sì, ma vieni
direttamente da me, senza passare dal via.
*
Lucas
aveva sorriso, poi Barry si era seduto a gambe incrociate sul letto, rimanendo
immobile a guardare le nuvole di neve oltre le finestre addensarsi. Proprio
quando una linea di sole penetrò attraverso i vetri opachi della sua camera,
Lucas entrò trapelato.
Aveva
la fronte che grondava di sudore, mentre il viso grassoccio e paonazzo veniva
strofinato contro le maniche infeltrite del maglioncino di cotone grigio che
indossava.
-
E allora?! – tuonò Barry. – Non farmi aspettare oltre!
-
Sì, sì, tranquillo... eccomi...
-
Ti sbrighi?!
Lucas
tirò fuori dallo zainetto il libro, facendo attenzione a non rovinarlo, e si
sedette sul letto accanto all’altro.
-
Ho scoperto… Cioè, sono stato in biblioteca, te l’ho detto, e ho scoperto delle
cose.
La
voce già gli tremava, prima che cominciasse a sfogliare con attenzione le
pagine. Era zitto e concentrato, non voleva certo che si rovinassero. Non
appena raggiunse la pagina che cercava, ricominciò a parlare.
-
Ecco, vedi… Non c’erano tantissime informazioni sul pozzo, ma questo libro
parla di una leggenda che mi ha dato da pensare...
Guardò
Barry; quello annuì, per indicare che stesse seguendo il discorso.
-
Ecco… in pratica…
-
In pratica che?
-
Non mettermi fretta.
-
Dannazione! – urlò quello. – Da’ qua! – e gli strappò il libro da mano. Lo
sfogliò delicatamente, ma rapido, sentendo sotto le dita la carta ruvida, un
po’ umidiccia, consumata dal tempo.
-
Fai attenzione… è antico… Se lo riporto rovinato quella tipa come minimo
collassa...
-
Lo so… - sbuffò Barry, cominciando la lettura, e più leggeva più sentiva il
freddo aumentare intorno e dentro di sé. Di tanto in tanto alzava la testa e
guardava Lucas, con lo sguardo assente. L’espressione che però indossava sul
viso era preoccupata.
-
Posso saltare la lista di nomi? - chiese quello dai capelli biondi, più per
smorzare la tensione che altro.
-
Sì, quella sì. A meno che non pensi di riuscire a riconoscere qualche lontano
parente…
-
Tu ne hai trovati?
Lucas
scosse il capo e Barry si sentì autorizzato ad andare direttamente alla fine.
Poi chiuse il libro più forte di quanto avesse voluto e scrollò le spalle.
-
E allora?! È una leggenda. Non c’è niente di vero...
Lucas
sospirò, sentendo la sua voce tradire le sue parole. Lo fissò per qualche
secondo, accorgendosi delle labbra che tremavano, e della gamba destra che non
riusciva a stare ferma, rimbalzando su e giù sulle coperte ormai sgualcite.
-
Che guardi?
-
Non credo sia una coincidenza che…
-
Ma andiamo! Non possono essere morte così tante persone qui in così pochi
giorni! A Flemminia, poi! Dove il clacson di un furgone equivale a una festa di
paese!
-
Se non mi interrompessi ogni due e tre... - sibilò Lucas. L’altro
sospirò e alzò le mani, ruotando gli occhi verso l’alto. – Dicevo... – continuò
il primo. – So bene che sia una leggenda, e probabilmente non sarà
completamente vera ma... beh, mi ha dato da riflettere. E dietro ogni leggenda
c’è un fondo di verità…
Barry
si alzò rapido in piedi e lanciò il libro sulle gambe del ragazzo, che lo
afferrò impaurito.
-
E attento!
-
Come diamine dovrebbe avere a che fare con noi, ‘sta roba!
-
Col pozzo! - replicò Lucas, quasi incredulo. - Hai visto?! Anche loro hanno
avuto delle disgrazie a causa del pozzo e hanno dovuto sacrificare una bambina!
-
Ma va’! – esclamò ancora l’altro, allargando entrambe le mani, platealmente. -
Sarà stata un’epidemia! Che c’entra col pozzo?! E Mary Lou, poi! Sono sicuro
che non fosse una bambina! Sarà stata un Ponyta, o che so…
-
Ma hai letto che dice il libro!
-
Nessuno sacrifica una bambina, Lucas!
Quello
fece un altro respiro, più profondo dei precedenti, cercando di trovare la
forza di non sbottare a sua volta.
-
Lo ripeto, è una leggenda, non so quanto ci sia di vero… Anche secondo me il
numero di morti è eccessivo. Però… andiamo, ricordi l’altra volta? Lo dicesti
proprio tu…
Barry
abbassò il volto, fissando passivamente la moquette grigia e infeltrita sotto i
piedi dell’amico. Ricordò quasi immediatamente le sue parole.
“Non
hai mai pensato che è una coincidenza strana?”.
“Ho
paura che siamo noi la causa di tutto.”.
Rabbrividì,
sentendo che, finalmente, una parte di lui sentisse di aver trovato le prove di
quanto avesse detto. Ma un’altra parte si rifiutava categoricamente di
accettarlo: il pozzo non poteva avere il potere di esaudire desideri, meno
ancora quello di causare così tante disgrazie.
Aveva
ragione Lucinda, quando gli sbraitava contro. Allontanò quei pensieri,
ragionando e immaginandola arrabbiata, che li avrebbe presi entrambi a
schiaffi. Guardò gli occhi di Lucas, tristi e impauriti, ripensando poi alle
loro mani che si stringevano.
Lui…
lui avrebbe preferito sentirsi dare dello stupido cento volte al giorno
piuttosto che vivere senza di lei...
- Ti sei spento? – domandò il ragazzino dal basco
rosso, sistemando il nodo della sciarpa e stringendolo.
-
Che dovrei dirti? Ero nervoso... e triste. E comunque cosa suggerisci di fare,
eh? Trovare qualcuno e buttarlo nel Pozzo Memoria?
L’altro
sospirò e poggiò gli occhi sul libro, carezzandone la copertina consunta.
-
Forse hai ragione. Forse è una leggenda del piffero e tutta questa storia non
c’entra niente... - disse più a se stesso che a Barry. Alzò gli occhi è
sospirò. - Domani riporto il libro. Ci vediamo a scuola.
E
si alzò, guardando oltre i vetri delle finestre. Stava cominciando a nevicare,
e il ricordo di Lucinda con la neve si faceva sempre più vivido, dato che la
ricordava spesso mentre, da bambini, si ricorrevano nei campi congelati e
totalmente imbiancati. Tuttavia non riusciva a smettere di pensare a quella
faccenda: pregava che fosse tutto un incubo, che si risvegliasse all’improvviso
e che Lucinda fosse ancora lì, a prenderlo per mano e a tirarlo via.
E
nei suoi occhi era tutto troppo chiaro. Barry lo vedeva.
-
Oi… - gli fece, alzandosi e posandogli una mano sulla spalla.
-
Che c’è?
-
Non farti strane idee. Ma ti voglio bene…
Quello
annuì, sorridendo a mezza bocca, giusto per un attimo.
-
Lo so. Anche io. Prestami un ombrello, che il mio l’ho dimenticato in
biblioteca.
-
Sì. È… è fuori, lì… nel portaombrelli. Prendi il mio.
-
A domani.
Barry
annuì, fermo davanti al suo letto.
-
A domani.
Sentì
la porta sbattere, poi vide l’ombrello rosso stagliarsi nel verde che diventava
bianco.
Mise
una mano sul vetro congelato, lui, sentendo il freddo aggredirgli il volto
Quanti domani possono
esistere nel cuore di chi non ha più un oggi?
Sbatté
le palpebre velocemente, tre o quattro volte, prima che la sua figura sparisse
oltre il muro di cinta del vialetto di casa sua.
*
L’ombrello
rosso continuò a muoversi lungo le vie di Flemminia, ormai diventate candide
come la neve che le copriva. Quando nevicava, quel piccolo paese pareva
congelarsi, come se attorno alla piazza qualche dio senza senso dell’umorismo
avesse piazzato una cupola di vetro e avesse creato il proprio globo di neve,
privato, monotono.
Solo
l’acqua della fontana continuava a cantare, monotona e stanca, prima che le
temperature si irrigidissero ulteriormente e congelasse le tubature. Lucas non
rimase a pensarci troppo, ma il suo passo prese a rallentare, fino a quando non
si voltò, vedendo nella neve fresca soltanto i suoi passi, non molto distanti
gli uni dagli altri.
E
parevano raccontassero una storia, lunga e melensa, che parlava di un principe
calmo e tranquillo, forse bello, forse no, a sua madre piaceva così, che viveva
rinchiuso in una prigione di cristallo.
E
per quanto fosse una prigione, con tanto di sbarre trasparenti, lui non si era
mai reso conto di non esser mai uscito dai sei metri quadri della sua vita,
fatta di comodità mentali, di incapacità nel mettersi in gioco e di paura di
chiedere di più. Il principe viveva le sue giornate con ciò che aveva, senza
aspirare a qualcosa di più e senza lavorare per migliorarsi.
Faceva
di necessità virtù, si adattava. Pensava che quella fosse la sua forza.
Ma
capitò, un giorno, che una meravigliosa principessa dalla frangetta pettinata e
dagli occhi lucidi gli si parò davanti. E lui se ne innamorò follemente, tanto
che si ricordò di avere la forza necessaria per rompere quelle fragili sbarre,
che non credeva di riuscire a infrangere, soltanto per stringerle la mano.
E
in quella storia, lunga e melensa, il principe baciava la principessa e rendeva
il mondo che aveva attorno il suo regno, conquistandolo un po’ alla volta,
scacciando la paura di essere troppo per se stesso e prendendosi ciò che
voleva.
Ciò
che era lì, e che aspettava soltanto di essere preso.
Lo
fece. Lo prese. E fu come saltare oltre il baratro, senza mai atterrare;
sentiva l’aria fendergli il volto, la paura diventare mano a mano eccitazione,
le farfalle nello stomaco, il calore aumentare in tutto il corpo, e poi tutto
s’allontanava, diventava minuscolo sotto di lui.
In
quella storia, lunga e melensa, il principe pensò di vivere un sogno.
Poi
però la principessa sparì, tutto a un tratto, lasciandolo a mezz’aria in caduta
libera verso gli aculei velenosi che la vita spargeva generosa. Quella era
andata via, senza avergli insegnato ad atterrare.
E
rovinò dolorosamente. Non morì, ma si fece male.
Quella
storia, lunga e melensa, finiva col principe che, col volto livido e una
caviglia slogata, tornava nella sua prigione di cristallo dalle sbarre rotte,
per rimanervi per sempre.
Non
se ne accorse, mentre guardava le sue orme nella neve, ma Lucas stava
piangendo. Tornò a casa, saltò la cena e si mise direttamente nel letto,
addormentandosi sconsolato.
*
Un
ramo batté contro la finestra, quando Lucas riaprì gli occhi. Era ancora notte
fonda ma riusciva distintamente a vedere i numeri sullo schermo della sveglia
segnare le quattro e quarantaquattro.
Sbuffò,
girò il cuscino in cerca della faccia più fresca e si voltò dall’altra parte,
con gli occhi spalancati. Poi prese a battere con l’unghia sul muro.
Pensava
e ripensava a Lucinda, impastando il suo ricordo nella mente, in modo da
renderlo ancora più difficile da rimuovere. Pensava al suo sorriso e
all’eleganza del suo portamento, e poi pensò a come potesse essere fare l’amore
con lei.
Sua mamma gli aveva detto, quand’era più
piccolo, che quando due persone si amavano molto, poteva succedere una cosa del
genere, e lui pensò di amare molto quella ragazza. Spesso si sorprendeva a
immaginarla accanto a lui, mentre faceva le sue cose. Delle volte canticchiava
qualche canzone con la sua voce dolce, e lui le diceva che se non l’avrebbe
smessa avrebbe finito per innamorarsi di lei.
E lei continuava. E lui le si avvicinava
e la prendeva di nuovo per mano, e poi la baciava e l’abbracciava. E tutto
diventava più morbido, più lento, più caldo.
Tutto diventava migliore.
Ma era tutto nella sua testa, perché lei
non c’era più e lui era soltanto un timido ragazzino che non avrebbe mai avuto
il coraggio di fare tutte quelle cose, che piangeva in silenzio alle quattro e
quarantasette del mattino.
Poi però successe.
“Lucas”.
Spalancò gli occhi, lui. Era tutto buio,
tutto silenzioso, ma aveva sentito chiaramente qualcuno chiamare il suo nome.
Si guardò attorno, quindi tagliò il respiro.
- Ma’?! – urlò sottovoce, in direzione
della camera accanto, dove i suoi genitori stavano dormendo.
-
Lucas. Mi senti, Lucas?
Era una voce di donna. Quello
rabbrividì.
- C-chi è-è?
- Lucas.
Mi senti?
-
Sì
che ti sento! – urlò ancora, quello, senza alzare il tono della voce. Si alzò
rapidamente, spostando le pesanti coperte e alzandosi in piedi. Era spaventato,
ma provava quel pizzico di curiosità che sapeva che lo avrebbe ucciso. Prese
una scarpa da terra e la battezzò come arma, seppur non sapesse quanta
efficacia avrebbe potuto avere, dato che non riusciva mai a fare centro con la
pallina di carta nel cestino.
Non era propriamente un tiratore scelto,
ma aveva letto da qualche parte che l’adrenalina ti poteva rendere Superman, ed
era sicuro che quella mise gli avrebbe donato. Si mosse lentamente verso il
centro della camera, strusciando i piedi nudi sulle mattonelle congelate, prima
di salire sul tappeto morbido, proprio davanti alla scrivania.
- D-dove sei?!
- Proprio
qui, Lucas...
E la riconobbe. Una lacrima evase galeotta
dalle rime dei suoi occhi blu.
- Lu... L-lu... Luci...
-
Dietro di te, Lucas...
Perse le forze, quello, in balia delle
emozioni e di quella paura atavica che non riusciva a controllare in alcun
modo. La scarpa gli cadde dalle mani, fece quindi per voltarsi, e lei era
effettivamente lì, nel riflesso dello specchio montato all’interno dell’anta
sinistra dell’armadio.
Quello la vide e sussultò.
- S-sei...
Le lacrime cominciarono a scendere
copiose, coprendogli il volto e tuffandosi coraggiose dal mento, per finire sul
pavimento.
- Lucas...
Lucinda sorrideva, era proprio
dall’altra parte del vetro, coi lunghi capelli raccolti in una treccia molto
doppia e la frangetta ben pettinata a coprirle il volto. Era luminosa, come se
la sua pelle fosse rivestita dalla superficie della luna.
- Tu... sei qui...
La mano di Lucas si poggiò su quella
della ragazza. Percepiva il freddo del vetro, e in fondo lo sapeva che quella
non fosse lì, ma il suo cuore parve accontentarsi di quella bugia.
- Ciao.
Come stai?
-
Male...
– piangeva quello, poggiando anche la fronte contro lo specchio. Sentì Lucinda
fare altrettanto.
-
Io sono qui...
- No... Tu non ci sei più...
-
Fammi tornare...
- N-non posso! No! Non posso!
M-morirebbe qualcun altro!
-
Ma tu non vuoi stare con me?
- Sì! Sì! Sì, sì, sì! È la cosa che
voglio di più al mondo, credimi! Ma quel pozzo farebbe qualcosa di peggio a
qualcuno!
Lucinda lo fissò dritto negli occhi e
sospirò.
- Quindi...
alla fine, la storia di quel pozzo era vera?
-
Barry
dice di n-no... – sussurrò quello, piangendo e tirando su col naso. – Ma io so
che è vero... Il pozzo dà e poi toglie. C’è il diavolo, lì...
La ragazza sospirò e si allontanò,
lenta.
- N-non andare via...
- Non
vuoi che io torni?
La voce della donna rimbalzò nella sua
testa più e più volte, confondendolo. Il respiro aveva cominciato a creare una
patina di condensa sul vetro.
- Io ti vorrei sempre qui, con me...
-
E anche io vorrei tornare lì. E vedere il sole. Qui fa freddo...
Lucas alzò lo sguardo, detergendosi le
lacrime con la manica del pigiama, poi vide il proprio riflesso alle spalle
della ragazza. Le tremavano le labbra.
- Dove sei?
- In
realtà non lo so... ma qui è vuoto e buio. E di tanto in tanto si apre qualche
finestra, la notte, e noi vi chiamiamo... Certo, non ci sentite mai...
-
E...
e tu... e tu mi... tu mi hai chiamato già?
Lucinda sorrise dolcemente, non
riuscendo però a levare quella maschera triste dal viso.
-
Io ti ho chiamato dal primo giorno...
Lucas rimase zitto, quasi impaurito,
stanco.
- Perché?
Lei allargò il sorriso e annuì.
- Perché
sei l’unico con l’anima pura che potrebbe sentirmi...
- Anima pura?
- Sì.
Tu sei pulito. Tu sei buono.
Lucas lasciò sedimentare quelle parole e
rimase immobile. Guardava gli occhi di luna di Lucinda e poi sospirò, quando aveva
finalmente capito.
- Io sono buono... continuerà a morire
gente...
- Sì.
Tu sei buono... – ripeté la ragazza. Lui invece si chiese se, quando si
voltò, lei fosse rimasta lì a guardarlo.
- Io devo andare... – sospirò lui, con
l’ansia a consumarlo rapido come faceva il fuoco sulle sterpaglie rinsecchite.
Infilò dei vestiti pesanti e i grossi scarponi da neve e uscì fuori, dove il
cielo si era rotto e stava crollando giù, sottoforma di cristalli congelati e
leggeri. Il vento però infuriava, alimentava quel freddo impietoso e spostava i
rami degli alberi, che si esibivano con le loro mille braccia in quella danza
macabra.
Lui infossò il collo e abbassò la testa,
muovendo lenti passi nel prato imbiancato di casa sua, sentendo il vento
ululare furioso, e intanto piangeva lacrime incandescenti che perdevano tutto
il loro calore lungo la discesa del suo viso.
-
Lucas... Dove vai? – domandò poi Lucinda, la cui voce
rimbombava forte e profonda nella sua mente.
- Sono... sono morte troppe persone. Sono
successe tante brutte cose e...
- Riportami
da te...
- No.
Aumentò il passo, e lo fece
gradualmente, fino a che prese a correre senza che se ne accorgesse. Arrivò
nella piazza congelata e dormiente, dribblò la fontana e scivolò sulla
pavimentazione ghiacciata, ruzzolando e slogandosi la caviglia.
- Cazzo! – urlò, nel buio della notte,
mentre la neve gli copriva capelli e sopracciglia.
- Dove
vai?
-
A chiudere questa storia...
Non riusciva più a camminare, zoppicava,
trascinava la gamba lungo la piazza e anche oltre, sul grosso stradone, che
impiegò circa venti minuti a percorrere, alla fine dei quali giunse accanto al
cartello di benvenuto di Flemminia, dove le mattonelle baciavano dispiaciute
l’erba bruciata attorno al percorso in terra battuta; lì, fanghiglia e neve
s’erano uniti in un abbraccio vischioso che avrebbe accompagnato il passo
claudicante del ragazzo fino alla pensione della vecchia Miley, ormai
abbandonata a se stessa, e poi oltre, al Pozzo Memoria.
Quando vi arrivò, Lucas grondava di
sudore. La gamba gli faceva veramente male ma non gli interessava. Era tutto
differente, tutto strano.
Tutto stranamente lucido.
- Lucas
– tuonò la voce di Lucinda, esplodendo nella sua testa, - Come vorresti chiudere questa storia? Non
fare stronzate... Butta una monetina in quel pozzo e desidera che io torni lì
con te! E poi andremo via! Torneremo a Sabbiafine, faremo qualcos’altro,
aiuteremo Rowan e staremo assieme...
-
NO!
– esclamò quello, urlando disperato in preda alla rabbia. – QUESTA NEVE NON
SMETTERÀ PIÙ DI SCENDERE! SOMMERGERÀ FLEMMINIA, UCCIDERÀ MIA MADRE, MIO PADRE,
BARRY E TUTTI GLI ALTRI!
- Ma
che dici? Fammi tornare da te...
-
No...
– rise l’altro, in maniera provata. Gli occhi erano spalancati, mentre la
fronte continuava a imperlarsi di gocce di sudore. – Non posso... io non posso
condannare queste persone...
- Voglio
tornare, Lucas...
-
Anche
io! Anche io voglio che torni qui! Ma non è la soluzione ai problemi che ci
creerà questo pozzo!
- Basta
con questo pozzo!
-
Mary
Lou è morta e tutto è finito. La piccola Mary Lou...
- Basta
una moneta...
La rabbia che montò nel petto del
ragazzo lo investì forte. Afferrò i mattoni dell’anello superiore del pozzo e
li strinse con vigore, stringendo i denti e continuando a piangere lacrime,
quasi dolorose.
-
No!
Io non so neppure se tu sia vera! Potrei essere soltanto pazzo!
- Una
moneta... e io sarò tua...
-
Una
moneta e condannerò questa città! Una moneta tutti moriranno! E io non posso
uccidere nessuno! Io sono buono!
- Lucas...
-
Mary
Lou è morta e...
- Lucas...
-
Mary
Lou era buona... – piangeva quello, sollevandosi a fatica e mettendosi a sedere
sul bordo. La gamba doleva, e il vento che saliva dal pozzo era più freddo
della neve che aveva sul viso.
- Lucas...
Voglio tornare da te...
-
Anche
io sono buono...
Si voltò, fissando il buio del baratro
che viveva alle sue spalle. Non sapeva quanti metri fosse profondo, quel pozzo,
ma sapeva che al suo interno avrebbe trovato le ossa della piccola ragazza che
avevano sacrificato e qualche dollaro in spiccioli, oltre che acqua congelata.
-
Lucas...
-
Lucinda...
- Lucas,
voglio tornare da te...
-
No,
amore. Sarò io a raggiungere te...
Si diede slancio con la gamba, quella
che funzionava, sentendo le dita scivolare sulla pietra gelida, velocemente
eppure troppo lentamente.
E il buio lo mangiò.
Ciao a tutti! Qui Sakichan, una degli autori di questa long che si è protratta un po’ oltre l’occasione. Grazie a tutti di averci letto e averci seguito, spero abbiate gradito e vi siate… beh, questa storia non è fatta per essere divertente, quindi spero di avervi spaventati o avervi lasciato un po’ di tristezza. Dopo la temuta sessione invernale conto di tornare con qualcosa di nuovo e diverso sia da questa long sia dalla mia serie precedente, in modo da strapparvi una risata. Per il momento è tutto, colgo l’occasione per augurare a tutti voi buone feste (e, mi raccomando, non mangiate troppo poco)! A presto!
______________________________________________
Invece qui è Andy Black, che vi ringrazia per aver letto questo ritorno alla pubblicazione e vi da appuntamento a Natale, con Against Me, il continuo, di fatto, di Unravel Me.
Se non l'avete letta ancora, beh, fatelo.
Se l'avete già fatto, rifatelo.
Buon appetito, buon Natale.
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