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Courage for Halloween 2019 - Sakichan24 e Andy Black - Desires - Capitolo 6









- Lucas. Dove sei?
- La domanda è dove sei tu.
- Eh?
- Sono andato a Canalipoli, nella biblioteca nazionale. Ho qualcosa d’importantissimo da farti vedere.
- Sono a casa, e quanto pare ci rimarrò. Ti aspetto qui.
- Sono a Pratopoli. Il tempo che il treno mi porti a Flemminia e ci vediamo.
- Sì, ma vieni direttamente da me, senza passare dal via.

*

Lucas aveva sorriso, poi Barry si era seduto a gambe incrociate sul letto, rimanendo immobile a guardare le nuvole di neve oltre le finestre addensarsi. Proprio quando una linea di sole penetrò attraverso i vetri opachi della sua camera, Lucas entrò trapelato.
Aveva la fronte che grondava di sudore, mentre il viso grassoccio e paonazzo veniva strofinato contro le maniche infeltrite del maglioncino di cotone grigio che indossava.
- E allora?! – tuonò Barry. – Non farmi aspettare oltre!
- Sì, sì, tranquillo... eccomi...
- Ti sbrighi?!
Lucas tirò fuori dallo zainetto il libro, facendo attenzione a non rovinarlo, e si sedette sul letto accanto all’altro.
- Ho scoperto… Cioè, sono stato in biblioteca, te l’ho detto, e ho scoperto delle cose.
La voce già gli tremava, prima che cominciasse a sfogliare con attenzione le pagine. Era zitto e concentrato, non voleva certo che si rovinassero. Non appena raggiunse la pagina che cercava, ricominciò a parlare.
- Ecco, vedi… Non c’erano tantissime informazioni sul pozzo, ma questo libro parla di una leggenda che mi ha dato da pensare...
Guardò Barry; quello annuì, per indicare che stesse seguendo il discorso.
- Ecco… in pratica…
- In pratica che?
- Non mettermi fretta.
- Dannazione! – urlò quello. – Da’ qua! – e gli strappò il libro da mano. Lo sfogliò delicatamente, ma rapido, sentendo sotto le dita la carta ruvida, un po’ umidiccia, consumata dal tempo.
- Fai attenzione… è antico… Se lo riporto rovinato quella tipa come minimo collassa...
- Lo so… - sbuffò Barry, cominciando la lettura, e più leggeva più sentiva il freddo aumentare intorno e dentro di sé. Di tanto in tanto alzava la testa e guardava Lucas, con lo sguardo assente. L’espressione che però indossava sul viso era preoccupata.
- Posso saltare la lista di nomi? - chiese quello dai capelli biondi, più per smorzare la tensione che altro.
- Sì, quella sì. A meno che non pensi di riuscire a riconoscere qualche lontano parente…
- Tu ne hai trovati?
Lucas scosse il capo e Barry si sentì autorizzato ad andare direttamente alla fine. Poi chiuse il libro più forte di quanto avesse voluto e scrollò le spalle.
- E allora?! È una leggenda. Non c’è niente di vero...
Lucas sospirò, sentendo la sua voce tradire le sue parole. Lo fissò per qualche secondo, accorgendosi delle labbra che tremavano, e della gamba destra che non riusciva a stare ferma, rimbalzando su e giù sulle coperte ormai sgualcite.
- Che guardi?
- Non credo sia una coincidenza che…
- Ma andiamo! Non possono essere morte così tante persone qui in così pochi giorni! A Flemminia, poi! Dove il clacson di un furgone equivale a una festa di paese!
- Se non mi interrompessi ogni due e tre... - sibilò Lucas. L’altro sospirò e alzò le mani, ruotando gli occhi verso l’alto. – Dicevo... – continuò il primo. – So bene che sia una leggenda, e probabilmente non sarà completamente vera ma... beh, mi ha dato da riflettere. E dietro ogni leggenda c’è un fondo di verità…
Barry si alzò rapido in piedi e lanciò il libro sulle gambe del ragazzo, che lo afferrò impaurito.
- E attento!
- Come diamine dovrebbe avere a che fare con noi, ‘sta roba!
- Col pozzo! - replicò Lucas, quasi incredulo. - Hai visto?! Anche loro hanno avuto delle disgrazie a causa del pozzo e hanno dovuto sacrificare una bambina!
- Ma va’! – esclamò ancora l’altro, allargando entrambe le mani, platealmente. - Sarà stata un’epidemia! Che c’entra col pozzo?! E Mary Lou, poi! Sono sicuro che non fosse una bambina! Sarà stata un Ponyta, o che so…
- Ma hai letto che dice il libro!
- Nessuno sacrifica una bambina, Lucas!
Quello fece un altro respiro, più profondo dei precedenti, cercando di trovare la forza di non sbottare a sua volta.
- Lo ripeto, è una leggenda, non so quanto ci sia di vero… Anche secondo me il numero di morti è eccessivo. Però… andiamo, ricordi l’altra volta? Lo dicesti proprio tu…
Barry abbassò il volto, fissando passivamente la moquette grigia e infeltrita sotto i piedi dell’amico. Ricordò quasi immediatamente le sue parole.

“Non hai mai pensato che è una coincidenza strana?”.
“Ho paura che siamo noi la causa di tutto.”.

Rabbrividì, sentendo che, finalmente, una parte di lui sentisse di aver trovato le prove di quanto avesse detto. Ma un’altra parte si rifiutava categoricamente di accettarlo: il pozzo non poteva avere il potere di esaudire desideri, meno ancora quello di causare così tante disgrazie.
Aveva ragione Lucinda, quando gli sbraitava contro. Allontanò quei pensieri, ragionando e immaginandola arrabbiata, che li avrebbe presi entrambi a schiaffi. Guardò gli occhi di Lucas, tristi e impauriti, ripensando poi alle loro mani che si stringevano.

Lui… lui avrebbe preferito sentirsi dare dello stupido cento volte al giorno piuttosto che vivere senza di lei...

- Ti sei spento? – domandò il ragazzino dal basco rosso, sistemando il nodo della sciarpa e stringendolo.
- Che dovrei dirti? Ero nervoso... e triste. E comunque cosa suggerisci di fare, eh? Trovare qualcuno e buttarlo nel Pozzo Memoria?
L’altro sospirò e poggiò gli occhi sul libro, carezzandone la copertina consunta.
- Forse hai ragione. Forse è una leggenda del piffero e tutta questa storia non c’entra niente... - disse più a se stesso che a Barry. Alzò gli occhi è sospirò. - Domani riporto il libro. Ci vediamo a scuola.
E si alzò, guardando oltre i vetri delle finestre. Stava cominciando a nevicare, e il ricordo di Lucinda con la neve si faceva sempre più vivido, dato che la ricordava spesso mentre, da bambini, si ricorrevano nei campi congelati e totalmente imbiancati. Tuttavia non riusciva a smettere di pensare a quella faccenda: pregava che fosse tutto un incubo, che si risvegliasse all’improvviso e che Lucinda fosse ancora lì, a prenderlo per mano e a tirarlo via.
E nei suoi occhi era tutto troppo chiaro. Barry lo vedeva.
- Oi… - gli fece, alzandosi e posandogli una mano sulla spalla.
- Che c’è?
- Non farti strane idee. Ma ti voglio bene…
Quello annuì, sorridendo a mezza bocca, giusto per un attimo.
- Lo so. Anche io. Prestami un ombrello, che il mio l’ho dimenticato in biblioteca.
- Sì. È… è fuori, lì… nel portaombrelli. Prendi il mio.
- A domani.
Barry annuì, fermo davanti al suo letto.
- A domani.
Sentì la porta sbattere, poi vide l’ombrello rosso stagliarsi nel verde che diventava bianco.
Mise una mano sul vetro congelato, lui, sentendo il freddo aggredirgli il volto

Quanti domani possono esistere nel cuore di chi non ha più un oggi?

Sbatté le palpebre velocemente, tre o quattro volte, prima che la sua figura sparisse oltre il muro di cinta del vialetto di casa sua.

*

L’ombrello rosso continuò a muoversi lungo le vie di Flemminia, ormai diventate candide come la neve che le copriva. Quando nevicava, quel piccolo paese pareva congelarsi, come se attorno alla piazza qualche dio senza senso dell’umorismo avesse piazzato una cupola di vetro e avesse creato il proprio globo di neve, privato, monotono.
Solo l’acqua della fontana continuava a cantare, monotona e stanca, prima che le temperature si irrigidissero ulteriormente e congelasse le tubature. Lucas non rimase a pensarci troppo, ma il suo passo prese a rallentare, fino a quando non si voltò, vedendo nella neve fresca soltanto i suoi passi, non molto distanti gli uni dagli altri.
E parevano raccontassero una storia, lunga e melensa, che parlava di un principe calmo e tranquillo, forse bello, forse no, a sua madre piaceva così, che viveva rinchiuso in una prigione di cristallo.
E per quanto fosse una prigione, con tanto di sbarre trasparenti, lui non si era mai reso conto di non esser mai uscito dai sei metri quadri della sua vita, fatta di comodità mentali, di incapacità nel mettersi in gioco e di paura di chiedere di più. Il principe viveva le sue giornate con ciò che aveva, senza aspirare a qualcosa di più e senza lavorare per migliorarsi.
Faceva di necessità virtù, si adattava. Pensava che quella fosse la sua forza.
Ma capitò, un giorno, che una meravigliosa principessa dalla frangetta pettinata e dagli occhi lucidi gli si parò davanti. E lui se ne innamorò follemente, tanto che si ricordò di avere la forza necessaria per rompere quelle fragili sbarre, che non credeva di riuscire a infrangere, soltanto per stringerle la mano.
E in quella storia, lunga e melensa, il principe baciava la principessa e rendeva il mondo che aveva attorno il suo regno, conquistandolo un po’ alla volta, scacciando la paura di essere troppo per se stesso e prendendosi ciò che voleva.
Ciò che era lì, e che aspettava soltanto di essere preso.
Lo fece. Lo prese. E fu come saltare oltre il baratro, senza mai atterrare; sentiva l’aria fendergli il volto, la paura diventare mano a mano eccitazione, le farfalle nello stomaco, il calore aumentare in tutto il corpo, e poi tutto s’allontanava, diventava minuscolo sotto di lui.
In quella storia, lunga e melensa, il principe pensò di vivere un sogno.
Poi però la principessa sparì, tutto a un tratto, lasciandolo a mezz’aria in caduta libera verso gli aculei velenosi che la vita spargeva generosa. Quella era andata via, senza avergli insegnato ad atterrare.
E rovinò dolorosamente. Non morì, ma si fece male.
Quella storia, lunga e melensa, finiva col principe che, col volto livido e una caviglia slogata, tornava nella sua prigione di cristallo dalle sbarre rotte, per rimanervi per sempre.
Non se ne accorse, mentre guardava le sue orme nella neve, ma Lucas stava piangendo. Tornò a casa, saltò la cena e si mise direttamente nel letto, addormentandosi sconsolato.

*

Un ramo batté contro la finestra, quando Lucas riaprì gli occhi. Era ancora notte fonda ma riusciva distintamente a vedere i numeri sullo schermo della sveglia segnare le quattro e quarantaquattro.
Sbuffò, girò il cuscino in cerca della faccia più fresca e si voltò dall’altra parte, con gli occhi spalancati. Poi prese a battere con l’unghia sul muro.
Pensava e ripensava a Lucinda, impastando il suo ricordo nella mente, in modo da renderlo ancora più difficile da rimuovere. Pensava al suo sorriso e all’eleganza del suo portamento, e poi pensò a come potesse essere fare l’amore con lei.
Sua mamma gli aveva detto, quand’era più piccolo, che quando due persone si amavano molto, poteva succedere una cosa del genere, e lui pensò di amare molto quella ragazza. Spesso si sorprendeva a immaginarla accanto a lui, mentre faceva le sue cose. Delle volte canticchiava qualche canzone con la sua voce dolce, e lui le diceva che se non l’avrebbe smessa avrebbe finito per innamorarsi di lei.
E lei continuava. E lui le si avvicinava e la prendeva di nuovo per mano, e poi la baciava e l’abbracciava. E tutto diventava più morbido, più lento, più caldo.
Tutto diventava migliore.

Ma era tutto nella sua testa, perché lei non c’era più e lui era soltanto un timido ragazzino che non avrebbe mai avuto il coraggio di fare tutte quelle cose, che piangeva in silenzio alle quattro e quarantasette del mattino.
Poi però successe.

“Lucas”.

Spalancò gli occhi, lui. Era tutto buio, tutto silenzioso, ma aveva sentito chiaramente qualcuno chiamare il suo nome. Si guardò attorno, quindi tagliò il respiro.
- Ma’?! – urlò sottovoce, in direzione della camera accanto, dove i suoi genitori stavano dormendo.

- Lucas. Mi senti, Lucas?

Era una voce di donna. Quello rabbrividì.
- C-chi è-è?
- Lucas. Mi senti?
- Sì che ti sento! – urlò ancora, quello, senza alzare il tono della voce. Si alzò rapidamente, spostando le pesanti coperte e alzandosi in piedi. Era spaventato, ma provava quel pizzico di curiosità che sapeva che lo avrebbe ucciso. Prese una scarpa da terra e la battezzò come arma, seppur non sapesse quanta efficacia avrebbe potuto avere, dato che non riusciva mai a fare centro con la pallina di carta nel cestino.
Non era propriamente un tiratore scelto, ma aveva letto da qualche parte che l’adrenalina ti poteva rendere Superman, ed era sicuro che quella mise gli avrebbe donato. Si mosse lentamente verso il centro della camera, strusciando i piedi nudi sulle mattonelle congelate, prima di salire sul tappeto morbido, proprio davanti alla scrivania.
- D-dove sei?!
- Proprio qui, Lucas...
E la riconobbe. Una lacrima evase galeotta dalle rime dei suoi occhi blu.
- Lu... L-lu... Luci...
- Dietro di te, Lucas...
Perse le forze, quello, in balia delle emozioni e di quella paura atavica che non riusciva a controllare in alcun modo. La scarpa gli cadde dalle mani, fece quindi per voltarsi, e lei era effettivamente lì, nel riflesso dello specchio montato all’interno dell’anta sinistra dell’armadio.
Quello la vide e sussultò.
- S-sei...
Le lacrime cominciarono a scendere copiose, coprendogli il volto e tuffandosi coraggiose dal mento, per finire sul pavimento.
- Lucas...
Lucinda sorrideva, era proprio dall’altra parte del vetro, coi lunghi capelli raccolti in una treccia molto doppia e la frangetta ben pettinata a coprirle il volto. Era luminosa, come se la sua pelle fosse rivestita dalla superficie della luna.
- Tu... sei qui...
La mano di Lucas si poggiò su quella della ragazza. Percepiva il freddo del vetro, e in fondo lo sapeva che quella non fosse lì, ma il suo cuore parve accontentarsi di quella bugia.
- Ciao. Come stai?
- Male... – piangeva quello, poggiando anche la fronte contro lo specchio. Sentì Lucinda fare altrettanto.
- Io sono qui...
- No... Tu non ci sei più...
- Fammi tornare...
- N-non posso! No! Non posso! M-morirebbe qualcun altro!
- Ma tu non vuoi stare con me?
- Sì! Sì! Sì, sì, sì! È la cosa che voglio di più al mondo, credimi! Ma quel pozzo farebbe qualcosa di peggio a qualcuno!
Lucinda lo fissò dritto negli occhi e sospirò.
- Quindi... alla fine, la storia di quel pozzo era vera?
- Barry dice di n-no... – sussurrò quello, piangendo e tirando su col naso. – Ma io so che è vero... Il pozzo dà e poi toglie. C’è il diavolo, lì...
La ragazza sospirò e si allontanò, lenta.
- N-non andare via...
- Non vuoi che io torni?
La voce della donna rimbalzò nella sua testa più e più volte, confondendolo. Il respiro aveva cominciato a creare una patina di condensa sul vetro.
- Io ti vorrei sempre qui, con me...
- E anche io vorrei tornare lì. E vedere il sole. Qui fa freddo...
Lucas alzò lo sguardo, detergendosi le lacrime con la manica del pigiama, poi vide il proprio riflesso alle spalle della ragazza. Le tremavano le labbra.
- Dove sei?
- In realtà non lo so... ma qui è vuoto e buio. E di tanto in tanto si apre qualche finestra, la notte, e noi vi chiamiamo... Certo, non ci sentite mai...
- E... e tu... e tu mi... tu mi hai chiamato già?
Lucinda sorrise dolcemente, non riuscendo però a levare quella maschera triste dal viso.
- Io ti ho chiamato dal primo giorno...
Lucas rimase zitto, quasi impaurito, stanco.
- Perché?
Lei allargò il sorriso e annuì.
- Perché sei l’unico con l’anima pura che potrebbe sentirmi...
- Anima pura?
- Sì. Tu sei pulito. Tu sei buono.
Lucas lasciò sedimentare quelle parole e rimase immobile. Guardava gli occhi di luna di Lucinda e poi sospirò, quando aveva finalmente capito.
- Io sono buono... continuerà a morire gente...
- Sì. Tu sei buono... – ripeté la ragazza. Lui invece si chiese se, quando si voltò, lei fosse rimasta lì a guardarlo.
- Io devo andare... – sospirò lui, con l’ansia a consumarlo rapido come faceva il fuoco sulle sterpaglie rinsecchite. Infilò dei vestiti pesanti e i grossi scarponi da neve e uscì fuori, dove il cielo si era rotto e stava crollando giù, sottoforma di cristalli congelati e leggeri. Il vento però infuriava, alimentava quel freddo impietoso e spostava i rami degli alberi, che si esibivano con le loro mille braccia in quella danza macabra.
Lui infossò il collo e abbassò la testa, muovendo lenti passi nel prato imbiancato di casa sua, sentendo il vento ululare furioso, e intanto piangeva lacrime incandescenti che perdevano tutto il loro calore lungo la discesa del suo viso.
- Lucas... Dove vai? – domandò poi Lucinda, la cui voce rimbombava forte e profonda nella sua mente.
-  Sono... sono morte troppe persone. Sono successe tante brutte cose e...
- Riportami da te...
- No.
Aumentò il passo, e lo fece gradualmente, fino a che prese a correre senza che se ne accorgesse. Arrivò nella piazza congelata e dormiente, dribblò la fontana e scivolò sulla pavimentazione ghiacciata, ruzzolando e slogandosi la caviglia.
- Cazzo! – urlò, nel buio della notte, mentre la neve gli copriva capelli e sopracciglia.
- Dove vai?
- A chiudere questa storia...
Non riusciva più a camminare, zoppicava, trascinava la gamba lungo la piazza e anche oltre, sul grosso stradone, che impiegò circa venti minuti a percorrere, alla fine dei quali giunse accanto al cartello di benvenuto di Flemminia, dove le mattonelle baciavano dispiaciute l’erba bruciata attorno al percorso in terra battuta; lì, fanghiglia e neve s’erano uniti in un abbraccio vischioso che avrebbe accompagnato il passo claudicante del ragazzo fino alla pensione della vecchia Miley, ormai abbandonata a se stessa, e poi oltre, al Pozzo Memoria.
Quando vi arrivò, Lucas grondava di sudore. La gamba gli faceva veramente male ma non gli interessava. Era tutto differente, tutto strano.
Tutto stranamente lucido.
- Lucas – tuonò la voce di Lucinda, esplodendo nella sua testa, - Come vorresti chiudere questa storia? Non fare stronzate... Butta una monetina in quel pozzo e desidera che io torni lì con te! E poi andremo via! Torneremo a Sabbiafine, faremo qualcos’altro, aiuteremo Rowan e staremo assieme...
- NO! – esclamò quello, urlando disperato in preda alla rabbia. – QUESTA NEVE NON SMETTERÀ PIÙ DI SCENDERE! SOMMERGERÀ FLEMMINIA, UCCIDERÀ MIA MADRE, MIO PADRE, BARRY E TUTTI GLI ALTRI!
- Ma che dici? Fammi tornare da te...
- No... – rise l’altro, in maniera provata. Gli occhi erano spalancati, mentre la fronte continuava a imperlarsi di gocce di sudore. – Non posso... io non posso condannare queste persone...
- Voglio tornare, Lucas...
- Anche io! Anche io voglio che torni qui! Ma non è la soluzione ai problemi che ci creerà questo pozzo!
- Basta con questo pozzo!
- Mary Lou è morta e tutto è finito. La piccola Mary Lou...
- Basta una moneta...
La rabbia che montò nel petto del ragazzo lo investì forte. Afferrò i mattoni dell’anello superiore del pozzo e li strinse con vigore, stringendo i denti e continuando a piangere lacrime, quasi dolorose.
- No! Io non so neppure se tu sia vera! Potrei essere soltanto pazzo!
- Una moneta... e io sarò tua...
- Una moneta e condannerò questa città! Una moneta tutti moriranno! E io non posso uccidere nessuno! Io sono buono!
- Lucas...
- Mary Lou è morta e...
- Lucas...
- Mary Lou era buona... – piangeva quello, sollevandosi a fatica e mettendosi a sedere sul bordo. La gamba doleva, e il vento che saliva dal pozzo era più freddo della neve che aveva sul viso.
- Lucas... Voglio tornare da te...
- Anche io sono buono...
Si voltò, fissando il buio del baratro che viveva alle sue spalle. Non sapeva quanti metri fosse profondo, quel pozzo, ma sapeva che al suo interno avrebbe trovato le ossa della piccola ragazza che avevano sacrificato e qualche dollaro in spiccioli, oltre che acqua congelata.
- Lucas...
- Lucinda...
- Lucas, voglio tornare da te...
- No, amore. Sarò io a raggiungere te...
Si diede slancio con la gamba, quella che funzionava, sentendo le dita scivolare sulla pietra gelida, velocemente eppure troppo lentamente.
E il buio lo mangiò.









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Ciao a tutti! Qui Sakichan, una degli autori di questa long che si è protratta un po’ oltre l’occasione. Grazie a tutti di averci letto e averci seguito, spero abbiate gradito e vi siate… beh, questa storia non è fatta per essere divertente, quindi spero di avervi spaventati o avervi lasciato un po’ di tristezza. Dopo la temuta sessione invernale conto di tornare con qualcosa di nuovo e diverso sia da questa long sia dalla mia serie precedente, in modo da strapparvi una risata. Per il momento è tutto, colgo l’occasione per augurare a tutti voi buone feste (e, mi raccomando, non mangiate troppo poco)! A presto!
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Invece qui è Andy Black, che vi ringrazia per aver letto questo ritorno alla pubblicazione e vi da appuntamento a Natale, con Against Me, il continuo, di fatto, di Unravel Me.
Se non l'avete letta ancora, beh, fatelo.
Se l'avete già fatto, rifatelo.
Buon appetito, buon Natale.
 

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