Buona serata a tutti, finalmente ha inizio la nostra storia. Un'esclusiva di Pokémon Adventures ITA, non dimenticate di commentare! Fateci sapere cosa ne pensate!
Andy $
Andy $
“No...”. Una voce
femminile tagliò la tranquillità di quella notte. “Basta...”
Qualcosa la turbava.
Rintanata sotto uno
spesso strato di coperte, una ragazza dormiva un sonno agitato. Si lamentava di
continuo ed il silenzio notturno faceva rimbalzare i suoi mugolii contro le
bianche mura della stanza.
Dei lunghi capelli
corvini erano sparsi a raggiera sulle lenzuola bianche, mentre la sua pelle
candida era segnata da alcune goccioline di sudore, che le imperlavano la
fronte e scintillavano nell’aria illuminata dalla luna.
Era stanca. Stanca di
agitarsi. Voleva dormire. E qualcosa o qualcuno esaudì il suo desiderio.
Improvvisamente, smise
di lamentarsi e rimase immobile nel silenzio, riprendendo a respirare
tranquillamente.
Fra le sue braccia
stringeva un ragazzino. Avrà avuto al massimo sei anni. Si svegliò, stirando
leggermente le spalle e osservando il sonno della ragazza con aria
interrogativa.
Il ragazzino aveva
grandi occhi cerulei, i capelli rossi erano spettinati, arruffati sulla fronte,
e vestiva una maglia decisamente troppo grande per lui, che gli lasciava metà
del busto scoperto, calandogli su una delle gracili spalle. Fissò la ragazza
per qualche secondo, senza emettere alcun suono, poi, piegando nuovamente la
testa di lato, le scosse debolmente una spalla, tentando di svegliarla, come se
si fosse preoccupato per l’improvvisa mancanza di suoni della giovane. Non
ottenendo risposta al primo scrollone, decise di riprovare con maggior
veemenza, facendo emettere un lamento alla ragazza che si limitò a lamentarsi
con voce impastata sul fatto che fosse troppo presto per svegliarsi. Adesso il
piccolo sembrava decisamente contrariato, quindi si mise in piedi sul letto e
iniziò a saltare, in modo da smuoverla definitivamente. Questa volta il suo
tentativo ebbe effetto tant’è che la ragazza desistette dall’idea di dormire
ancora e aprì gli occhi, osservando con aria seccata il ragazzino e piantando
gli occhi di ghiaccio in quelli del bimbo che la fissava soddisfatto. Con un
ultimo salto cadde sulle ginocchia, davanti a lei, mostrandole un sorriso
furbo.
“Ma si può sapere
cos’hai da saltellare alle...”. La ragazza, con voce assonnata si girò verso il
comodino. Una sveglia al led segnava le quattro del mattino.
Prima di parlare emise
un lamento. “...diamine, Zorua, non sono nemmeno le sei, torna a dormire, per
favore...”
Il Pokémon, che come
tutte le notti per dormirle accanto prendeva sembianze umane, scrollò
nuovamente la testa, e indicò fuori dalla finestra. La camera della ragazza
divideva con quella del fratello a mansarda di una piccola casa a tre piani e
dalla finestra che prendeva buona parte del soffitto spiovente si poteva
ammirare sia il cielo che il paesaggio sottostante. Quella notte non aveva
nevicato, ma un sottile strato di brina si era posato sul vetro. La
ragazza vi pose sopra la mano, senza ritrarla quando il contatto col vetro
gelido le trasmise un brivido per tutto il braccio. Il Pokémon le si avvicinò
abbracciandola da dietro e guardando fuori con lei.
“Se stai pensando di
uscire, piccolo disgraziato, sappi che puoi scordartelo” lo avvertì subito,
mentre si sistemava una felpa sulla maglia del pigiama. Il suo fiato formava
timide nuvolette nell’aria e intuiva il gelo esterno dalla mano posata sul
vetro. Nossignore, non era davvero il caso di uscire, per niente al mondo.
Si rimise a letto,
dando le spalle al ragazzino, che continuava a fissarla, senza spostare lo
sguardo di un solo millimetro dal centro delle sua scapole.
Dopo un quarto d’ora
il Pokémon era tornato ad avere il suo aspetto originario e la ragazza si stava
cambiando, maledicendo a bassa voce la sua incapacità nel negare qualcosa al
piccolo Pokémon.
La ragazza si muoveva
silenziosamente, attenta a non fare il minimo rumore, eppure le sembrava che
ogni passo risuonasse amplificato, quasi stridulo. Lasciò un post-it attaccato
alla porta della propria camera:
"Torno fra poco, Zorua
ha uno dei suoi momenti no. Cerca di non preoccuparti.
Rachel"
si infilò il cappotto
e si avvolse la lunga sciarpa attorno al collo sottile, quindi si immerse nel
buio della città.
La loro casa era in
periferia, e appena un centinaio di metri più avanti si intravedevano gli
alberi che costellavano lo stretto e tortuoso sentiero per i pochi folli che
non volevano usare mezzi di trasporto per arrivare alla periferia della
metropoli della regione. Gli alberi sembravano inglobare la luce lunare, che
non riusciva a penetrare con i suoi raggi argentei la fitta vegetazione,
sembrava ritirarsene sdegnata. Zorua sembrava osservare anch’esso la piccola
voragine oscura. Per lui, un Pokémon di tipo buio tutto ciò era il suo ambiente
naturale, ma Rachel preferiva starsene alla larga, si sentiva inquieta quando
gli si avvicinava ed ora, alle quattro e mezza del mattino, non sembrava una
buona idea avventurarvisi.
“No, tutto tranne
quello e sappi che stavolta sono seria”
Ogni parola era una
nuvoletta nell’aria gelida e la ragazza stava per iniziare a tremare, si pentì
immediatamente di non aver preso i guanti e si infilò le mani ghiacciate nelle
tasche del cappotto, trovando immediato sollievo. Zorua osservò ancora per
qualche secondo il baratro nero del bosco, poi decise di risparmiare alla
ragazza quell’ulteriore seccatura e le trotterellò accanto, strusciandosi
contro le gambe slanciate della sua allenatrice. La passeggiata li portò nelle
vie interne della città, esplorando quei vicoli che ormai la ragazza conosceva
bene e che erano spesso meta delle loro camminate, del loro vagare senza meta.
Rachel amava camminare, adorava i vicoli stretti di quella città antica, le
viuzze con quelle mura alte che permettevano brevi sprazzi di cielo la
proteggevano e la tranquillizzavano, dandole l’impressione che tutto ciò che la
circondava esistesse al solo fine di farla sentire sicura e lontana da ogni
possibile problema.
Continuò a camminare
fino circa all’alba, quando Zorua sembrò ritenersi soddisfatto dell’escursione.
La ragazza non si
sentiva più i piedi. Non sapeva se fosse più per il freddo o per la stanchezza.
Desiderava solo il suo letto e poter dormire di nuovo quel sonno profondo che
aveva prima di svegliarsi. Per un attimo si fermò a pensare, era davvero un
sonno scuro e pesante, quello che aveva avuto quella notte? Si bloccò un attimo
a riflettere, cercando di concentrarsi sulla sensazione provata appena sveglia,
ma le sfuggiva. Decise di rinunciare e tornò a casa, percorrendo in fretta gli
ultimi passi che la separavano dalla porta.
‘Il ritorno è sempre
più breve’ Pensò mentre infilava la chiave nella serratura, facendola girare
due volte ed entrando nel familiare ambiente riscaldato che era il salotto.
Velocemente si richiuse la porta alle spalle, beandosi del calore della casa,
senza notare la luce accesa che dalla cucina illuminava anche la sala.
“Ce ne hai messo di
tempo!”
La voce maschile che
veniva dalle sue spalle la fece sobbalzare, facendole quasi perdere la presa
sulle chiavi, che riuscì a reggere per puro istinto. Si voltò di scatto, verso
il ragazzo coi capelli dorati e gli occhi cremisi, che la fissava con aria
divertita.
Con un gesto fluido le
prese le chiavi dalle mani e le ripose sulla griglia accanto alla porta. In
quel momento Rachel notò che aveva in mano il biglietto che aveva lasciato
poche ore fa quando era uscita. Era notevolmente stropicciato, come se il
ragazzo l’avesse tenuto per tutto il tempo.
“È da tanto che sei
sveglio?” si limitò a chiedergli con aria innocente.
Lui la guardò da sopra
la spalla, accennando al fatto che l’aveva sentita uscire e si era preoccupato.
Dopodiché sembrò voler chiudere il discorso, indicandole l’orologio e facendole
notare che se correva a letto aveva almeno altre due ore di sonno. La ragazza
lo guardò brevemente, poi annuì e si diresse in camera sua, salendo
silenziosamente le due rampe di scale che la separavano dalla sua stanza e
buttandosi sul letto.
Il sonno la stava
riaccogliendo tra le sue braccia, ed intanto lei si abbandonava ai suoi soliti
pensieri sulla sua vita.
Aveva diciassette anni
e la vita le sembrava incredibilmente vuota. Viveva nella città di Primaluce da
sempre, senza mai essersi spostata o trasferita, era rimasta orfana assieme a
suo fratello tre anni prima, in seguito ad un incidente stradale che aveva
coinvolto i loro genitori. Era stato un periodo buio, ma piano piano, forse, ne
erano usciti facendosi forza l’uno con l’altra. Oltre quello in lei non c’era
niente di strano, nessuna malattia, nessun problema.
Sospirò e tornò a
ragionare. Era contenta di avere una vita tranquilla, non chiedeva niente di
eccessivo, ma a volte si sentiva incapace di apprezzare quella tranquillità, e
segretamente se ne vergognava.
Poi crollò.
Due ore dopo si
svegliò ancora più confusa, tanto da chiedersi perché si fosse addormentata
vestita e ricordando solo per una manciata di secondi cosa fosse accaduto
durante la notte. Erano le otto del mattino e la casa era nuovamente vuota.
Nessun foglietto in casa stavolta, e nessuna voce provenire dal corridoio, Ryan
era in giro ad allenarsi. Decise di prepararsi un rapido pranzo al sacco, un
paio di panini e uscire in strada col suo Pokémon.
Il sole stavolta
l’accolse abbagliandola. Aveva asciugato tutta la brina della notte e dal
pallido cerchio bianco che era all’alba adesso un disco d’oro iniziava ad
imporsi sulla città, illuminando il sabato mattina invernale di una luce quasi
primaverile. Una volta arrivata al limite del percorso buio della notte, Rachel
constatò che la prepotente luce del sole era riuscita laddove quella della luna
aveva fallito, ora il sentiero era chiaramente visibile e non la spaventava
più, si limitò a lanciare un occhiata a Zorua, che le annuì di rimando e si
inoltrarono nel fitto della vegetazione.
Era stato suo
fratello, anni prima ad insegnarle a combattere, ed a farle capire che se si
voleva davvero diventare bravi bisognava allenarsi quotidianamente, quindi la
ragazza, ogni sabato mattina, quando non aveva da fare in casa si concedeva
qualche ora nel bosco, ad affinare le capacità di Zorua.
Il sentiero si perdeva
nel fitto della boscaglia e continuava così fino alla città successiva,
tuttavia se si seguiva una stradina secondaria dopo essersi inoltrati per il
bosco si arrivava in una piccola radura. Era lì che andava ad allenarsi, quasi
sempre da sola. Ricordava vagamente di una volta in cui Ryan l’aveva seguita e
lei l’aveva scacciato arrabbiata per l’intrusione in quello che considerava una
specie di luogo segreto.
Come sempre buona
parte del suo allenamento con Zorua era volto ad incrementare la potenza dei
suoi attacchi, l’altra per le sue abilità fisiche, come velocità e resistenza.
Era con quest’ultime che aveva iniziato quella giornata. Zorua si muoveva
agile, saltando da una roccia all’altra dello spiazzo, e cercando di afferrare
dei piccoli oggetti che l’allenatrice gli tirava in rapida successione. Era
migliorato da quando avevano iniziato ad allenarsi, ma Rachel sapeva che
l’unico vero modo per testare le proprie abilità era in un vero combattimento,
ma fino ad allora non ne avevano mai fatto nemmeno uno.
Zorua decise che era
arrivato il momento di concedersi una pausa, e repentinamente si fermò
acciambellandosi su se stesso e trovandosi un bel posticino all’ombra. Rachel,
avvolta nel suo cappotto non capiva come potesse starsene all’ombra con un
freddo tanto pungente. Fu mentre rifletteva su questo ininfluente dramma
esistenziale che sentì una voce alle sue spalle
“Ma allora ci viene
davvero qualcuno qui!”
Rachel si voltò di
scatto, allarmata. Anche Zorua reagì prontamente affiancandola, dal fitto del
bosco uscì fuori un ragazzo, sembrava avere al massimo un paio d’anni più
della ragazza e aveva capelli castani scompigliati, un piumino verde oliva
corto, e un semplice paio di jeans, gli occhi erano chiari, ma il ragazzo aveva
la luce del sole sul viso e socchiudeva gli occhi, quindi la ragazza non riuscì
a distinguerne il colore. Sembrava essere più alto di lei di una manciata di
centimetri.
“Scusate, non era mia
intenzione spaventarvi”
Il ragazzo alzò le
mani, con fare scherzoso, aveva un sorriso caldo, solare, ma la ragazza non
poté fare a meno di vederlo come un intruso.
“Sei un’allenatrice,
vero? Oh, uno Zorua, è raro trovarne! So che sono capaci di creare illusioni
davvero realistiche ma non le ho mai viste! Comunque fa freddo qui, eh? E che
allenamento stavate facendo? Una specie di prova di agility? E da quanto vi
allenate?”
Il ragazzo iniziò a
sparare domande a raffica, tanto che Rachel inconsciamente fece un passo
indietro, non aveva mai visto persone che si dimostravano tanto loquaci col
primo che incontravano, cercò di blaterare una qualche risposta, ma la
parlantina del ragazzo sembrava sommergerla tanto da paralizzarla.
Improvvisamente il ragazzo tacque, per un breve secondo, come se stesse
pensando a qualcosa di importante, poi risollevò lo sguardo sulla ragazza
“Che ne dici di una
lotta?”
Lo propose col tono
allegro che aveva avuto fino a poco fa, e con lo sguardo che gli brillava.
Rachel era tentata,
aveva bisogno di allenarsi, ma d’altra parte né lei né Zorua avevano mai
combattuto seriamente prima di allora.
Il ragazzo sembrò
intuire la sua indecisione e le venne incontro
“Non sto dicendo una
lotta all’ultimo sangue, tranquilla!” si limitò a dirle sorridendo “Giusto un
modo diverso per allenarsi, un’amichevole!”
Rachel guardò Zorua,
che annuì lievemente. Se il suo Pokémon voleva lottare... bé, lei non si
sarebbe tirata certo indietro!
“Okay... va bene,
accetto!”
Non sapeva che tipo di
Pokémon avrebbe usato il suo avversario, ma sapeva che Zorua era un Pokémon
abbastanza versatile, quindi non era eccessivamente preoccupata.
Il ragazzo le sorrise,
contento del suo entusiasmo, e tirò fuori la sua Poké Ball.
“Bene, iniziamo! Non
ci sono regole, ma cerchiamo di non farci troppo male e ricordiamoci che questo
è un allenamento!”
Si limitò a dirle
mentre lanciava la ball in campo. Da quella uscì un Growlithe piuttosto
arzillo, il pelo era stato lasciato crescere un po’ più lungo del classico e
aveva la stessa aria arruffata dei capelli del suo proprietario. Ma soprattutto
era di un colore alquanto particolare, la ragazza non aveva mai visto molti
Growlithe (forse nessuno) ma era sicura che c’era qualcosa di sbagliato nel
colore di quell’esemplare. Tuttavia cercò di tralasciare quella questione,
sapeva sì che Zorua era un Pokémon abbastanza versatile, ma sapeva di non avere
alcuna mossa efficace contro il suo tipo. Guardò di nuovo il suo Pokémon, ma
Zorua sembrava abbastanza sicuro di sé da trasmettere fiducia anche a lei. Fu
di nuovo il suo avversario a parlare
“Quando ti senti
pronta possiamo iniziare, dal canto nostro, noi siamo nati pronti!”
Aveva un entusiasmo
inarrestabile, la ragazza dovette ammetterlo.
“Siamo pronti anche
noi, vero Zorua?” Zorua rispose mettendosi in posizione, piantandosi bene a
terra, pronto ad eseguire l’ordine della sua allenatrice.
“Bene...” proseguì il
ragazzo “Allora pronti... Via!” diede l’attacco ed entrambi i Pokémon
scattarono in avanti, pronti a ricevere istruzioni sul da farsi. Rachel fu più
la prima ad imporsi
“Zorua, Agilità,
subito!”
La piccola volpe
oscura eseguì immediatamente l’attacco, iniziando a correre ed aumentando
sempre di più la propria velocità
“Una mossa
strategica... buon inizio, ma non ci spaventa! Growlithe, Ruotafuoco!”
Il contrattacco del
giovane non tardò a farsi vedere, e il canide attaccò il volpino a piena
potenza dopo essersi ricoperto di fiamme. Rachel stava per farsi prendere dal
panico, ma poco prima che l’attacco riuscisse a raggiungere il suo Pokémon
riuscì a pensare ad una difesa.
“Zorua, Protezione!”
Zorua riuscì ad uscire
illeso dall’attacco avversario e sfruttò la sua velocità per portarsi a
distanza di sicurezza dal Pokémon infuocato. Il suo avversario sembrò voler
temporeggiare, dando il tempo a Rachel di chiamare un attacco. Era sicuramente
più esperto di lei e già da quei due primi colpi se ne era probabilmente reso
conto anche lui, e forse per cavalleria le concedeva più tempo per pensare ai
propri attacchi. Poco male, pensò la ragazza, sarebbe riuscita a sfruttare
questa sua galanteria per provare a sconfiggerlo sul serio.
“Zorua, non c’è tempo
per riposare, attacca con Finta!”
Il Pokémon attaccò
frontalmente il Growlithe nemico, svanendo all’ultimo momento, tanto che il
Pokémon avversario e il suo allenatore rimasero spiazzati, per qualche secondo,
che gli impedì di notare il piccolo Pokémon apparire alle spalle del suo
avversario e colpirlo alla massima potenza. Il Pokémon cagnolino subì in pieno
il colpo, restando un poco stordito e scuotendo la testa per riprendersi.
“Però” fece eco il
ragazzo “credevo di avere davanti una principiante e invece direi che le basi
le conosci più che bene!” sembrava sinceramente stupito. Gli occhi, che Rachel
adesso riuscì a identificare come verdi erano genuinamente sorpresi.
“Comunque, signorina,
non credere che sarà così facile, adesso il contrattacco è mio e non potrai
difenderti di nuovo come prima! Avanti, Growlithe attacca con Rigodenti”
Stavolta Rachel non
poté far nulla. L’attacco colpi diretto e preciso, lasciando Zorua incapace di
reagire e scottato.
“Zorua!”
Rachel lo gridò senza
rendersene conto: era la prima volta che vedeva il suo Pokémon subire un
attacco e venir ferito e si accorse anche di non aver rimedi con sé per
curarlo, probabilmente Ryan ne aveva con sé, ma non era con lei in quel
momento. La ragazza rimase pietrificata per qualche secondo finché il ragazzo
non richiamò il suo Pokémon nella sua sfera.
“Basta così” si limitò
a dire quello. Rachel voleva protestare, ma lui la fermò con un gesto della
mano.
“È solo un
allenamento, mica una lotta vera, non dobbiamo continuare finché uno dei due
non finisce esausto. Rilassati.” il suono tono era rassicurante, calmo. Si
avvicinò al piccolo Pokémon con una bacca in mano, Rachel non riuscì a
distinguerla finché il ragazzo non gliela posò direttamente in mano.
“È per la scottatura,
fagliela mangiare, non è molto buona ma vedrai che gli farà bene!” le sorrise
cercando di rassicurarla e le mise una mano sulla testa “Te la sei cavata bene
per essere una principiante, sul serio, ma cerca di tranquillizzarti un po’ e
di rilassarti, in battaglia ci si deve divertire, non bisogna farne una
questione di vita o di morte!” La ragazza lo ascoltava un po’ assente, fissando
la bacca nella sua mano, alzando lo sguardo incrociò un ciondolo bizzarro che
il ragazzo portava al collo. Era una pietra ovale, di circa cinque centimetri
di grandezza, sotto la luce del sole sembrava cambiare colore, come gli occhi
cangianti dei gatti, passando da un verde smeraldo ad un viola, ad un blu, un
giallo e... sbatté gli occhi, staccandoli dal ciondolo del ragazzo, cercando di
rimettere a fuoco quello che le stava dicendo.
“Sì, hai ragione,
grazie mille” si limitò a rispondere sperando di apparire anche solo vagamente
convincente. Il ragazzo sembrò soddisfatto, quindi le batté delicatamente la
mano sulla testa prima di andarsene.
“Stammi bene!” le
esclamò allontanandosi mentre la salutava con un cenno della mano.
Rachel rimase ancora
imbambolata per qualche istante poi si ricordò della bacca nella sua mano e del
suo Pokémon che, più in forma di quanto pensasse si leccava la ferita sulla
zampa che Growlithe gli aveva procurato. Gli si inginocchiò accanto, guardando
con aria perplessa la bacca che teneva in mano e la ferita di Zorua, fu quest’ultimo
a venirle in aiuto, mordendo la bacca e leccandosi poi la ferita. Una volta
intuito come funzionasse fu la ragazza stessa a medicargliela. Mentre aspettava
che facesse effetto mangiarono entrambi. Il sole ormai era arrivato allo zenit
e entrambi erano stanchi. Rachel non dovette chiedere al suo Pokémon per capire
che era il caso di tornare a casa.
Camminò lentamente per
il percorso di ritorno, Zorua adesso riposava nella sua Ball e la giovane
dovette attraversare il percorso da sola. Pensava a quello strano tipo e al
fatto che l’avesse sconfitta, perché non era né un pareggio né una vittoria, lo
sapeva bene. Aveva avuto la sua prima lotta. E l’aveva persa. Stava iniziando a
rendersi conto solo adesso della cosa e non le piaceva affatto. Non voleva far
ferire il suo Pokémon, non voleva perdere, non voleva restare paralizzata tanto
da non capire cosa fare.
Tornò a casa dopo una
mezz’ora passata a camminare con una lentezza quasi allarmante, aveva la testa
completamente fra le nuvole e si rese conto solo in quel momento di non sapere
nemmeno come quel ragazzo si chiamasse. Era stato uno scontro casuale,
un’amichevole fra sconosciuti e tanti saluti. L’aveva sconfitta ed era
spartito. Non era tanto l fatto che fosse sparito il problema, meno persone in giro
conoscevano quella radura più pace aveva lei, ma il fatto che non avrebbe più
avuto modo di ottenere una rivincita, di dimostrare che, bé, sì, aveva perso
una lotta, ma che era stato a causa dell’inesperienza e non dell’inabilità e
che la prossima volta che qualcuno dovesse decidere di sfidarla gli avrebbe
fatto vedere chi comandava.
Una volta tornata a
casa sentì il rumore della doccia al piano superiore, suo fratello doveva
essere tornato da poco. Non aveva la forza di salire i due piani di scale, quindi
si buttò sul divano del soggiorno, rigirandosi fra le mani la Poké Ball dove
Zorua dormiva e recuperava dalle sue ferite, valutò l’idea di guardare un po’
di tv, ma realizzò che il telecomando era decisamente troppo lontano dal posto
dove si era seduta e sbuffò pesantemente, sprofondando ancora di più nei
cuscini e chiudendo gli occhi. Lì riaprì dopo qualche secondo, sentendosi
toccare sulla spalla. Era il Gallade di suo fratello, che le allungava il
telecomando. Non si era accorta della sua presenza nella stanza, ma non ne
rimase sorpresa. Conosceva Gallade da quando era piccola, era stato il primo
Pokémon di suo fratello e quando lei aveva 7 anni era un timido Ralts che
raramente si mostrava a qualcuno oltre il suo allenatore. Adesso che era
arrivato al capolinea della sua evoluzione era potente e veloce e si occupava
generalmente sia delle lotte sia di aiutare in casa sia di difendere la stessa
casa.
“Grazie, Gallade. È da
tanto che siete tornati tu e Ryan?”
Rachel lo chiese
mentre con le dita affusolate prendeva il telecomando dal Pokémon e lo usava
per fare un rapido zapping nei canali. Il Pokémon le annuì brevemente, e poi
tornò a fissarla. Nonostante si fosse evoluto da molto il Pokémon aveva
mantenuto la capacità di percepire le sensazioni di chi gli stava attorno, e
probabilmente aveva anche percepito il malumore della ragazza. Rachel distolse
lo sguardo dal Pokémon, concentrandosi sulle figure di una pubblicità di
prodotti di cura per i Pokémon che promettevano risultati incredibili.
“È tutto a posto,
tranquillo.” cercò di giustificarsi “In ogni caso, non è che potresti chiedere
a Ryan di scendere quando ha fatto?”
Cercai di evadere lo
sguardo del Pokémon, nella vana illusione che bastasse a far sì che non
intuisse il mio umore. Se non altro era dotato di una comprensione ai problemi
incredibile, quindi si limitò ad annuire nuovamente ed a dirigersi verso il
piano superiore muovendosi tanto silenziosamente da credere che non stesse
affatto camminando, ma galleggiando a pochi centimetri da terra.
Guardò noiosamente la
tv, continuando a passare in fretta da un canale all’altro, senza trovare
qualcosa che la interessasse veramente.
Mentre continuava
imperterrita nella sua opera di zapping intravide qualcosa che le era
familiare. Dapprima non se ne curò, fu solo dopo essere andata avanti di
numerosi canali che le tornò in mente. Era il ragazzo. Quello che aveva
incontrato in tarda mattinata. Quello che l’aveva sconfitta. Quello che col suo
Growlithe aveva ferito Zorua (bé, okay, era normale nel contesto, ma lei ancora
stentava a farsela piacere come situazione). Cercò di tornare indietro, senza
riuscire a ritrovare il canale giusto, e iniziando ad imprecare a bassa voce.
Quando Ryan entrò nel
salotto si trovò davanti sua sorella, quasi seduta sul tavolino che teneva il
telecomando quanto più vicino al tv, intimando parole come ti troverò, stanne
pure sicuro.
“Sei impazzita del
tutto, oppure c’è un valido motivo per questa bizzarra sceneggiata?”
La ragazza si bloccò
alla voce del fratello, e si girò verso di lui, che la osservava con aria
perplessa, subito dopo cercò di fare mente locale su quello che stava facendo e
notando la posizione che aveva assunto lentamente riprese una postura umana sul
divano. Guardò per altri due secondi il televisore, dubbiosa sulla possibilità
di continuare a cercare oppure rinunciare e convincersi che forse alla fine era
solo entrata in fissa con quella storia ridicola. Osservò di nuovo suo
fratello, che la fissava con la testa leggermente piegata a destra, e decise di
lasciar stare la ricerca e di raccontargli quello che era accaduto durante
l’allenamento di poche ore prima.
Rachel iniziò a
riassumere gli eventi di quella mattinata, erano appena le quattro del
pomeriggio ma era già stanca. Mentre raccontava, aveva fatto uscire Zorua dalla
sfera, e Ryan stava vedendo di curare la ferita del piccolo Pokémon e per farlo
si erano spostati in cucina.
“In pratica stai
facendo tutto questo casino solo perché sei stata sconfitta, cosa normale per
una principiante, e perché ti è sembrato di vederlo alla tv?” lo disse con voce
atona, e con gli occhi concentrati sulla piccola fasciatura che aveva messo
alla zampa del Pokémon malavolpe e che il cucciolo si guardava con aria
incuriosita e che spiccava nel pelo nero.
“Ecco, vedi? Tu
semplifichi troppo” brontolò la giovane “Non è tutto così semplice e lineare
nella psiche di una ragazza.” mormorò riprendendo in braccio Zorua e
carezzandogli distrattamente il ciuffo rosso.
“E allora qual è il
problema?”
“Non ho saputo fare
nulla, non sono stata in grado di reagire!” si voltò a guardare il fratello “Mi
sono allenata con te, abbiamo anche lottato contro Pokémon selvatici. Ma
niente! Adesso che c’era un altro allenatore non ho saputo fare niente!”
Ryan sospirò
nuovamente.
“Ma da come sono
andate le cose non hai davvero perso, avete solo trattato un pareggio, avete
usato attacchi con potenza simile ed entrambi sono andati a segno... Forse tu
saresti stata in svantaggio a continuare, ma la situazione si è conclusa lì e
non c’è modo di dire che non avresti reagito in modo diverso se la sfida fosse
continuata, magari mettendoci più rabbia e mettendolo ko...” fece una pausa
mentre rimetteva a posto le bende avanzate e il disinfettante “adesso riposati
e pensa bene a quello che è successo, a come ti senti e a cosa vorrai fare in
futuro. Tieni presente che non è scritto ad nessuna parte che dovrai combattere
con i tuoi Pokémon” rimase in silenzio per un attimo. Ryan era abbastanza
rinomato in città come allenatore, oltre a Gallade aveva anche un esemplare
piuttosto giovane di Trapinch, che non usava in battaglia ma che aveva comunque
iniziato ad allenare con molta precisione. Rachel immaginò che per lui dire
quella frase non era affatto facile. “Puoi restare con Zorua e mantenere il
rapporto che avete adesso, senza dover per forza allenarlo per le lotte”
“Hm.”
Più che una risposta,
quella di Rachel era stata un grugnito. Non si sentiva soddisfatta per il
semplice motivo che la risposta che le era stata data era estremamente sensata.
Se non sai farlo e non ne sopporti le conseguenze non farlo.
“Ma se volessi farlo?”
chiese innocentemente.
“Allora cerca qualcuno
da sfidare in città e fatti le ossa così, se vuoi posso venirti dietro e a fine
match dirti cosa sbagli e come potresti migliorare, se vuoi, ma non posso fare
miracoli, lo sai bene”
La ragazza annuì
nuovamente, conosceva abbastanza bene suo fratello da sapere che se glielo
avesse chiesto l’avrebbe riallenata da zero, ma non voleva arrivare a quello.
Ringraziò il fratello
per la disponibilità e corse su in camera, quella giornata poco a poco l’aveva
stancata.
“E non è ancora
finita, eh?” chiese a Zorua, che aveva lasciato sul letto e che adesso vi si
rotolava beatamente, cercando di acciambellarsi per schiacciare un pisolino.
Gli si sedette accanto, accarezzandogli il pelo.
Combattere e allo
stesso tempo desiderare che il proprio Pokémon non si ferisse era assurdo,
eppure la sensazione che provava quando si allenava, quando lottava contro un
Pokémon selvatico le piaceva, le faceva capire quanto realmente fossero
connessi lei e Zorua.
Per oggi aveva fatto
abbastanza, erano appena le cinque quindi avrebbe passato il resto della
giornata a rilassarsi, ma la salita sarebbe iniziata immediatamente il giorno
dopo.
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