Pokémon Adventures ITA. Qui troverete tutto ciò che un vero Pokéfan ha bisogno. Inoltre, per tutti i lettori di questa fan fiction, su Facebook abbiamo aperto un gruppo, in cui potete sbizzarrirvi facendo domande sulla nostra storia e sul mondo dei Pokémon in generale. Lo potrete trovare qui, appena vedremo la vostra richiesta l'accetteremo senza remore.
Ricordo inoltre che le uscite sono sempre il lunedì, per quello che concerne il racconto in se, mentre un sabato si ed uno no verranno pubblicati dei consigli utili.
Ebbene. Questo è uno degli ultimi interludi.
La storia di Rachel e Zack richiede più tempo per essere compresa, ma ogni cosa, ha bisogno delle fondamenta. E senza gli interludi non ci sarebbe comprensione per la storia.
Prima. Oggi tocca a lei.
E a voi.
Stay Ready! Go!
Ricordo inoltre che le uscite sono sempre il lunedì, per quello che concerne il racconto in se, mentre un sabato si ed uno no verranno pubblicati dei consigli utili.
Ebbene. Questo è uno degli ultimi interludi.
La storia di Rachel e Zack richiede più tempo per essere compresa, ma ogni cosa, ha bisogno delle fondamenta. E senza gli interludi non ci sarebbe comprensione per la storia.
Prima. Oggi tocca a lei.
E a voi.
Stay Ready! Go!
“Il bosco Memoria è così
silenzioso...” osservò Prima, nascosta da mille scialli attorno al capo. Non
potevano rischiare che la riconoscessero.
“Già. È un posto molto
tranquillo per rilassarsi” rispose Sandra, guardandola per poco, per poi
tornare a mantenere lo sguardo fisso su qualunque cosa si muovesse nel bosco.
“Una volta che questa storia sarà finita, verrò tutti i giorni a rilassarmi qui”
“Spero tu possa farlo davvero. Sei stanca?”
“Un pochino...”
“Siamo quasi arrivati”
“Una volta che questa storia sarà finita, verrò tutti i giorni a rilassarmi qui”
“Spero tu possa farlo davvero. Sei stanca?”
“Un pochino...”
“Siamo quasi arrivati”
“I tuoi genitori saranno
propensi ad ospitarci?”
“Non lo so. Non li vedo da dieci anni, circa. Ma non credo che rinnegheranno la loro figlia maggiore in questo modo”
“Lo spero proprio...”
“Non lo so. Non li vedo da dieci anni, circa. Ma non credo che rinnegheranno la loro figlia maggiore in questo modo”
“Lo spero proprio...”
Prima sospirava, sotto il
caldo impellente della copertura che Sandra le aveva magistralmente propinato.
Abra fluttuava a meno di un metro dietro le loro spalle, e di tanto in tanto
faceva qualche capriola su se stesso.
“Ha voglia di divertirsi”
giustificò Prima, allo sguardo interrogativo di Sandra.
Camminarono per ancora
dieci minuti, quando videro la prima canna fumaria, e di conseguenza il fumo
che usciva da una casa.
“Siamo arrivati”
Uscirono dalla folta
coltre di fogliame e dopo pochi passi i loro piedi calpestavano dei ciottoli.
“Eccoci. Questa è
Nuovaluce” sorrise Sandra.
Nuovaluce era un paesino
non molto grande, e sembrava che lì gli effetti della grande guerra non fossero
proprio arrivati. Le case erano fatte di pietra, non superavano i due piani, e
componevano piccoli quartieri. Erano tanti agglomerati di case, che si
affacciavano su di una piazza, con al centro una grande fontana.
Era piccola. Ma ridente.
Si stava bene. Sembrava
un classico paesino di montagna. L’aria era fresca, il sole caldo, e sullo
sfondo c’era il monte Trave.
“Ottimo” sorrise Prima.
Le urla giocose dei
bambini nella piazza, mentre giocavano e si inseguivano, aumentava le loro
speranze di vivere una vita normale.
Prima voleva scrollarsi
da dosso il peso di essere l’oracolo. Cioè, voleva ancora essere l’oracolo, ma
non voleva che la gente lo sapesse. Storse il labbro, ma ora come ora Arceus
aveva già preso la sua decisione. Non poteva più cambiare le cose, quindi
nessuno avrebbe avuto nessun vantaggio dal sapere che lei potesse parlare con
Arceus. Anzi. Sarebbe stato scomodissimo per lei, che aveva vissuto tutta la
sua vita, o quasi, in un posto dove i segreti non esistevano, e adesso aveva
bisogno di diventare la migliore tra le bugiarde.
Sandra invece non
l’avrebbe mai ammesso, ma voleva vivere la vita di una qualunque bella donna
quale lei era. Trovare un uomo, e magari avere dei bambini. Ma doveva accudire
Prima. Un po’ le pesava, ma in queste condizioni, l’oracolo non poteva non
avere bisogno di lei.
Era importante che le
stesse vicino.
Camminavano spedite,
cercando di assecondare il passo di Prima, che pregna, ogni tanto si fermava a prendere fiato.
“Tutto ok?”
“Si...” ansimava. “Andiamo”
“Si...” ansimava. “Andiamo”
“Ok. Comunque siamo quasi
arrivati. La casa dei miei genitori è proprio dietro questa curva.
Prima sorrise, vedendo la
fedeltà e l’assiduità con cui quella donna dai capelli lunghi e ricci la
seguiva ovunque in ogni suo piano bislacco.
Girarono quella curva, e
si fermarono. Prima poggiò la mano al muro di pietra di quella casa, fermandosi
a recuperare il fiato, mentre Sandra, lentamente
e non senza qualche remora, si avvicinava al grande portone di legno.
Guardò Prima, poi
sospirò. E bussò.
Pochi secondi, il cuore
di Sandra stava prendendo le sembianze di una pallina da flipper prima che il
flipper stesso andasse in tilt, e mentre la circolazione del sangue aumentava,
le gambe cominciavano a tremare.
“Stai tranquilla” sorrise
Prima. “Ti amano”
Fu proprio quando quella
porta si aprì, che Sandra fece un passo indietro. Era un passettino, niente di
che, ma doveva guardare per intero colei che aveva davanti.
Sua madre.
Quella inclinò di poco la
testa sul lato sistemandosi gli occhiali e quei maledettissimi ricci che le
cadevano davanti agli occhi.
“Sandra?”
“Mamma” scoppiò in un
pianto silenzioso la ragazza, che si avvinghiò al collo della sua ormai anziana
madre come fa un bambino piccolo appena uscito da scuola.
“Sandra... pensavo fossi
morta” disse quella, quasi rassegnata mentre la stringeva, e sentiva sotto le
sue mani sua figlia diventata donna.
“Possiamo entrare? Qui
c’è una mia amica”
“È incinta” osservò la
donna.
“Abbiamo bisogno di un posto dove stare”
“Entrate pure”
“Abbiamo bisogno di un posto dove stare”
“Entrate pure”
Prima camminava con
fatica, ma Sandra la andò ad aiutare subito, prendendole una mano.
Entrarono in casa di
Sandra.
Qui e li giravano Pokémon
di tutte le razze e specie. Quasi tutti di piccola taglia.
Prima era in grado di
vedere con una sola occhiata due Chatot, un Caterpie, un Budew, ed uno Psyduck.
Non era molto illuminato,
come ambiente, il pavimento era di legno, come i mobili ed il tavolo. Un grosso
pentolone era stato messo a scaldare con qualcosa dentro, ma da dov’erano non
riuscivano a capirne il contenuto.
“Chi è la tua amica?”
chiese la più anziana, poi, dopo essersi accomodata al tavolo principale.
Sandra guardò Prima. Nel
suo sguardo c’era preoccupazione. Poi Sandra annuì.
Prima levò gli scialli, e
mostrò il volto.
La donna spalancò la
bocca.
“Che Arceus mi perdoni...
ma che diavolo sta succedendo?!” chiese leggermente alterata.
“Signora... mi chiamo
Prima, e sono...”
“So benissimo chi sei! Ma dovevi essere morta anche tu!”
“So benissimo chi sei! Ma dovevi essere morta anche tu!”
“Beh, non è così”
“Mamma, ci serve un posto dove stare. Prima è incinta, sta quasi per dare alla luce la sua creatura, ed abbiamo vissuto in una caverna per quasi tutta la durata della sua gravidanza. Ha bisogno di vezzi ed affetto. E qualche comodità. Siamo venute qui, a piedi, scendendo da una montagna ed attraversando il bosco, da sole. Siamo impaurite. Ed affamate...”
“Oh... ragazze, scusatemi. È che non mi aspettavo di trovarvi qui. Comunque io mi chiamo Flavia” sorrise la donna più anziana, offrendo la mano a Prima, che l’accettò volentieri.
“Mamma, ci serve un posto dove stare. Prima è incinta, sta quasi per dare alla luce la sua creatura, ed abbiamo vissuto in una caverna per quasi tutta la durata della sua gravidanza. Ha bisogno di vezzi ed affetto. E qualche comodità. Siamo venute qui, a piedi, scendendo da una montagna ed attraversando il bosco, da sole. Siamo impaurite. Ed affamate...”
“Oh... ragazze, scusatemi. È che non mi aspettavo di trovarvi qui. Comunque io mi chiamo Flavia” sorrise la donna più anziana, offrendo la mano a Prima, che l’accettò volentieri.
“Non si preoccupi
signora” sorrise quella.
“Sandra. Portala di la,
nella stanza accanto, e falle mettere qualcosa di più comodo. Tra un po’ vi servirò
un po’ di zuppa”
“Grazie mamma” sorrise la figlia. Prese Prima per mano ed andarono nell’altra stanza.
“Grazie mamma” sorrise la figlia. Prese Prima per mano ed andarono nell’altra stanza.
Flavia si alzò e portò le
mani ai fianchi. Sorrise, e poi sbuffò. Non si finisce mai di essere madri.
L’ospitalità di Flavia
era deliziosa. Era una donna amorevole, piena di cure, ma soprattutto sola, che
non aveva aspettato altro momento per riempire il vuoto lasciato dalla morte
del marito con i Pokémon, compagni di una vita.
“E così papà è morto...”
Sandra guardava il fuoco
del camino scoppiettare, seduta per terra, mentre sua madre pelava delle
patate.
“Già. E’ morto qualche
anno fa, mentre progettavano la costruzione del ponte per Sabinia”
Sabinia era un’isola non
molto lontana da Adamanta.
“Lavorava ancora per quel
ponte?”
“Già. Era il suo sogno costruire quel ponte. Far entrare nuove persone, nuovi Pokémon, e dare a noi la possibilità di uscire. Di scappare”
Sandra abbassò lo sguardo.
“Ebbene, ora è scappato anche lui”
“Già. Era il suo sogno costruire quel ponte. Far entrare nuove persone, nuovi Pokémon, e dare a noi la possibilità di uscire. Di scappare”
Sandra abbassò lo sguardo.
“Ebbene, ora è scappato anche lui”
“Quanti anni aveva?”
“Beh, aveva l’età di un uomo che aveva visto il mondo attorno a se. Nonostante tutto sapeva che sarebbe potuto succedere qualcosa da un momento all’altro”
“Capisco... e tu... come fai a tirare avanti?”
“Grazie a Martino. Il giovane figlio di un collega di tuo padre. Ogni giorno mi porta qualcosa da mangiare. È un ragazzo d’oro. E invece... tu?”
“Io cosa?”
“Insomma... Olimpia venne a prenderti quando avevi otto anni. Mi ricordo” sorrise. “Avevi già questi lunghi boccoli” disse, prendendoli in mano. “Te ne andasti, e non avemmo più notizia di te”
“Vuoi sapere quello che facevo al tempio?”
“Se vuoi dirmelo”
“Beh... era... un posto particolare. C’erano molte regole da seguire. Ad esempio non potevamo parlare con Prima senza che lei ci avesse rivolto la parola. Potevo stare solo con le vergini, al massimo potevo accennare qualche parola ad Olimpia, ma sempre tenendo il capo chino”
“Beh, aveva l’età di un uomo che aveva visto il mondo attorno a se. Nonostante tutto sapeva che sarebbe potuto succedere qualcosa da un momento all’altro”
“Capisco... e tu... come fai a tirare avanti?”
“Grazie a Martino. Il giovane figlio di un collega di tuo padre. Ogni giorno mi porta qualcosa da mangiare. È un ragazzo d’oro. E invece... tu?”
“Io cosa?”
“Insomma... Olimpia venne a prenderti quando avevi otto anni. Mi ricordo” sorrise. “Avevi già questi lunghi boccoli” disse, prendendoli in mano. “Te ne andasti, e non avemmo più notizia di te”
“Vuoi sapere quello che facevo al tempio?”
“Se vuoi dirmelo”
“Beh... era... un posto particolare. C’erano molte regole da seguire. Ad esempio non potevamo parlare con Prima senza che lei ci avesse rivolto la parola. Potevo stare solo con le vergini, al massimo potevo accennare qualche parola ad Olimpia, ma sempre tenendo il capo chino”
“Oh. Deve essere stato
davvero dura”
“Beh... neanche tanto. L’unica cosa che ti metteva in difficoltà erano i templari. Non potevamo avere alcun tipo di contatti con loro. E quelli che stavano a guardia del tempio... insomma, mi parlavano. Ed ero costretta a scappare a testa bassa, perché non volevo correre il rischio di inquinare la mia virtù”
“Capisco. Non è stato facile”
“Beh... neanche tanto. L’unica cosa che ti metteva in difficoltà erano i templari. Non potevamo avere alcun tipo di contatti con loro. E quelli che stavano a guardia del tempio... insomma, mi parlavano. Ed ero costretta a scappare a testa bassa, perché non volevo correre il rischio di inquinare la mia virtù”
“Capisco. Non è stato facile”
“Ma è stato formativo”
“Forse qualche volta ti sarà sembrata brutta la questione... la nostra scelta è stata dettata dall’amore che proviamo per te. Io e tuo padre ci siamo privati di vederti, per donarti una vita regolare che non avesse il cancro della povertà e delle preoccupazioni ordinarie. Che sono tanto deleterie. E sono felice di vederti ora. Sei viva, e... sei bellissima”
“Forse qualche volta ti sarà sembrata brutta la questione... la nostra scelta è stata dettata dall’amore che proviamo per te. Io e tuo padre ci siamo privati di vederti, per donarti una vita regolare che non avesse il cancro della povertà e delle preoccupazioni ordinarie. Che sono tanto deleterie. E sono felice di vederti ora. Sei viva, e... sei bellissima”
“Ti ringrazio, mamma. Di
tutto”
Una mattina di dicembre
pioveva. La pioggia batteva forte sui ciottoli delle strade e sulle tegole
delle case, ed il sole sembrava bel lungi dal voler uscire dal suo letto di
nuvole.
Un urlo squarciò il
silenzio, tagliandolo di netto.
“È ora!”
La voce di Prima era
forte, ed un gran dolore le si radicò in tutto il corpo.
Sandra saltò giù dal
letto, con gli occhi spalancati. Ringraziò Arceus, perché se Prima avesse dovuto
partorire in quella grotta non avrebbe saputo quali pesci prendere.
Flavia si alzò con calma.
Prima la vide entrare nella sua stanza con una pentole ed una benda di lino.
“Calmati. È la tua
creatura che sta nascendo”
Prima sorrise leggermente, mentre si contorceva per il dolore.
Prima sorrise leggermente, mentre si contorceva per il dolore.
Sandra entrò in stanza,
preoccupata ed impacciata.
“Che devo fare?” domandò
alla madre.
“Imbevi d’acqua questa
benda e tienila sulla sua fronte. Ricambiala ogni cinque minuti. Dobbiamo
tenere bassa la sua temperatura”
“Abra può aiutare in qualche modo?”
“No. Non possiamo neanche addormentarla. Abbiamo bisogno che Prima spinga, per farlo uscire. A proposito... credi che sia un maschio o una femmina?” chiese poi all’oracolo.
“Abra può aiutare in qualche modo?”
“No. Non possiamo neanche addormentarla. Abbiamo bisogno che Prima spinga, per farlo uscire. A proposito... credi che sia un maschio o una femmina?” chiese poi all’oracolo.
“È uguale. Se sarà
maschio lo chiamerò Timoteo”
“E se sarà femmina?”
“Non lo so” e poi urlò di nuovo.
“Non lo so” e poi urlò di nuovo.
Sandra le posa la benda
sulla fronte, mentre le stringeva la mano sinistra. Le carezzava il volto,
asciugandole il volto sudato e bagnato dall’acqua che trasudava dalla benda.
Flavia si posizionò tra
le sue gambe.
“Ok. Ci siamo. Prima, ora
devi spingere”
Lo fece. Ed urlò. Faceva male. Un male assurdo.
Lo fece. Ed urlò. Faceva male. Un male assurdo.
“Dai, so che è doloroso,
ma immagina la pace che proverai quando avrai il tuo Timoteo tra le braccia!”.
Flavia la incitava, mentre Sandra sentiva Prima stringere la sua mano, come per
avere maggiore energia da immettere nella spinta.
Ancora. Altre spinte.
Di nuovo.
Ad un certo punto Prima
lasciò la mano di Sandra, ed afferrò il letto sotto di se, urlando più forte di
tutte le altre volte.
Una vocina nuova si
espanse nella stanza. Il torace di Prima, in precedenza compresso per lo
sforzo, si rilassò. Sandra le carezzò la testa, ridendo, e le cambiò la benda.
Prima accasciò la testa sul guanciale, e si abbandonò ad un meritato riposo in
dormiveglia, mentre Flavia sciacquava il neonato e lo schiaffeggiò sulle
natiche. Il nascituro pianse, attivando la respirazione.
Sandra prese di nuovo la
mano di Prima, sorridente, ma in lacrime. “Prima... è nato”
“No, Sandra. È nata. Ecco
qui” fece Flavia, poggiando la bambina sul grembo della madre.
Prima cercò dentro di se
la forza di aprire gli occhi e di sorridere. La trovò.
“Cosa provi?” chiese
Sandra.
“Pace”
“Hai pensato a un nome?”
Prima abbassò il capo. La
bambina era stupenda, dai tratti delicati e dagli occhi grandi. Lo stesso
sguardo di Timoteo era sul volto della bimba.
“Beatrice. Sarà Beatrice” disse con un ultimo accenno di forza della donna, prima di porgere la bambina a Sandra e cadere in un sonno profondo.
“Beatrice. Sarà Beatrice” disse con un ultimo accenno di forza della donna, prima di porgere la bambina a Sandra e cadere in un sonno profondo.
Nestore guardava il
tempio, o quello che ne rimaneva. Dalle sue stanze, il monte Trave era davvero
lontano. Era passato quasi un anno, ma il dolore ed il risentimento per
quell’unica battaglia che non dovevano perdere gli infilzavano lo stomaco con
tanti piccoli spunzoni di ferro appuntiti.
“No” disse. Ormai lo
ripeteva da ore, giorni, mesi. Tirò un pugno nel muro e sospirò.
La mano gli doleva. La
testa bassa, sotto il peso della corona. La prese e la gettò sul suo letto.
Non doveva finire così.
No. Ora Adamanta sarebbe
stata solo il passato. E via per la conquista di nuove terre. Per la conquista
di nuove ricchezze.
Avrebbe posseduto Arceus.
Il Pokémon più importante di tutti, il più forte, quello che tutto può.
Si era dovuto
accontentare di quegli inutili Pokémon che aveva.
Li fece uscire dalle sue
Poké Ball.
Persian stava li, e lo
guardava.
“Siete... inutili. Voi
Pokémon siete inutili. E deboli!” prese ad urlare. Persian, dal canto suo, non
capiva niente.
Ma lo sentiva ostile.
Non si sarebbe mai
sognato di attaccarlo. No. Nestore era lo stesso bambino che giocava con lui
quando era un Meowth.
“Se non fosse stato per
la vostra debolezza avrei vinto la guerra! Ora sarei il re del mondo!”
Persian si leccò la
zampa.
Nestore aveva il volto
contrito, la rabbia fluiva dentro e fuori dal suo corpo come se fosse un fiume in piena.
Riprese la Poké Ball di
Persian e lo fece rientrare. Provava tanto odio in quel momento.
Levò il mantello e lo
lasciò cadere ai suoi piedi. “Wilma!” urlò.
Pochi secondi dopo entrò
nella stanza del re una donna di mezz’età, i capelli neri, pittati di candido
qua e la. Il volto smagrito e scavato. Gli occhi erano l’unico elemento di luce
di quella donna che aveva perso l’estro della femminilità.
“Si, mio re?”
“Prendi le mie Poké Ball. E distruggile”
“Ehm... non credo di aver capito bene...”
“Devi distruggere le Poké Ball. E basta”
“Ed i Pokémon all’interno?”
Nestore abbassò il volto.
“Prendi le mie Poké Ball. E distruggile”
“Ehm... non credo di aver capito bene...”
“Devi distruggere le Poké Ball. E basta”
“Ed i Pokémon all’interno?”
Nestore abbassò il volto.
Wilma deglutì. Le sembrò
di avere della sabbia in gola.
“Vuole che uccida i suoi
Pokémon?”
“È difficile?”
“Io.. .io non credo di poter fare una cosa del genere”
“È difficile?”
“Io.. .io non credo di poter fare una cosa del genere”
“Peccato. Perché è la
fine che faranno tutti i Pokémon del mio regno. Devono pagare per la loro
inutilità e per la loro debolezza”
Wilma non disse nulla.
“Ora vai”
Prima camminava per casa,
con in braccio Beatrice. Sandra sorrideva, mentre tagliava degli ortaggi. Le
sarebbe piaciuto provare quelle sensazioni. Lo spirito di maternità spingeva
dentro di lei.
Flavia rientrò in casa, e
guardò la scena. Prima alzava in aria Beatrice, le chiedeva se sapesse quanto
bella fosse, e la vedeva ridere.
Quella bambina era uno
splendore.
“Ciao” disse poi la più
anziana.
“Oh, salve Flavia”
rispose la neomadre.
Con difficoltà poggiò un
pesante sacco sul tavolo.
Sandra, curiosa, andò ad
aprirlo. “Ancora carote?”
Flavia fece spallucce, e
si avvicinò a Prima. “Vuoi che la tenga un po’ per te?”
“Sarebbe fantastico... posso chiudere la porta?” chiese, mentre passava sua figlia a Flavia, come fossero due corridori col testimone.
“Sarebbe fantastico... posso chiudere la porta?” chiese, mentre passava sua figlia a Flavia, come fossero due corridori col testimone.
“No, aspetta. Martino sta
portando altri due sacchi”
“Martino?” chiese Sandra.
“Si, te l’ho detto. È il
ragazzo che ci aiuta a tirare avanti”
Dalla porta entrò
Martino. Le larghe spalle erano cariche di due pesanti sacchi, ma non sembrava
curarsene. Il sorriso splendente sottendeva il naso dritto. Gli occhi castani,
molto chiari, quasi gialli, ed i capelli rossi, lunghi fino alle spalle. Alto
ed atletico.
Prima guardava Sandra. E
voleva chiederle di chiudere la bocca.
“Oh, grazie Martino.
Volevo presentarti mia figlia. Sandra. E questa è... mia nipote... la figlia di
mia sorella. Si chiama... Frida”
Martino sorrise, e fece
un cenno col capo.
“Non sapevo che avessi
una figlia che ti somigliasse così tanto, Flavia. E soprattutto così bella”
“Grazie” risposero
all’unisono madre e figlia.
“Allora vado... ciao
signore”
Prima sorrise. Ma
qualcosa non andava.
Lo sentiva.
Spingeva da dentro.
Inciampò, riuscendo a
mantenere l’equilibrio.
Poi urlò.
Flavia strinse Beatrice,
che prese a piangere per lo spavento. Sandra invece era abituata a quelle
manifestazioni, quindi prontamente lasciò cadere il coltello sul tavolo, e
corse a pochi passi dall’oracolo.
La luce si espanse dal
corpo di Prima. La donna cominciò a fluttuare a mezzo metro da terra.
“Mamma! Le tende!” urlò
Sandra.
Già. Non potevano
rischiare che qualcuno vedesse la luce. D’altronde stavano cercando di
nascondere Prima.
Flavia corse a chiudere
le tende.
“Prima... cerca di
contenere le urla” fece ancora Sandra.
Ma Prima non sentiva più
niente.
Prima era immersa nella
sua visione.
Luce. Tanta luce. Tutto
bianco.
Arceus non c’era. Non
parlava.
Ma una scena era chiara
davanti ai suoi occhi, secondo dopo secondo.
Era un uomo. Un uomo, e
c’era il fuoco.
Si.
Cercava di iperscrutare,
ma non riusciva a intravedere nulla. Immaginava che l’uomo, dalle spalle
muscolose e scoperte, stesse ravvivando il fuoco.
Poi si girò. Non lo
conosceva.
Aspettò alcuni secondi.
Vide prendere una sacca. Era bianca.
Pane?
No. Svuotò il sacco sul
fuoco. Erano Poké Ball.
Prima spalancò la bocca.
Poi il bianco tornò a riempire la sua vista.
Arceus. Era li.
“Ecco come l’umanità apprezza
il mio creato. Il responsabile soffrirà terribili sofferenze durante il mio
giudizio”
“Si, mio Arceus. Mi
perdoni, mio Arceus”
E poi il bianco scomparve. Prima lentamente scese verso il pavimento, e si abbandonò alle braccia di Sandra.
E poi il bianco scomparve. Prima lentamente scese verso il pavimento, e si abbandonò alle braccia di Sandra.
Aprì lentamente gli
occhi, l’unico rumore era lo scoppiettare del fuoco del camino, e le urla di
pianto di Beatrice.
“Cosa ha detto?” chiese
la vergine, mentre la portava nella stanza da letto.
Prima si stese, e
sospirò.
“Arceus... mi... mi ha
fatto vedere...”
“Cosa?”
“Una scena”
“Che scena?”
“Qualcuno ammazzava dei Pokémon”
“...ok...”
“Ha detto che provvederà da solo a punire il responsabile. Ma voleva farmi capire come l’umanità ha sbagliato nei suoi confronti”
“...va bene. Ora riposati e non pensarci. Pretendere che gli uomini facciano il giusto è utopia”
“Cosa?”
“Una scena”
“Che scena?”
“Qualcuno ammazzava dei Pokémon”
“...ok...”
“Ha detto che provvederà da solo a punire il responsabile. Ma voleva farmi capire come l’umanità ha sbagliato nei suoi confronti”
“...va bene. Ora riposati e non pensarci. Pretendere che gli uomini facciano il giusto è utopia”
Il tramonto aveva dipinto
il cielo di chiazze rosa. Un po’ di vento spostava le cime degli alberi, ma
tutto sommato il sole splendeva chiaro sul promontorio.
Un ragazzino aveva il
volto in lacrime.
“Si... non ti lascerò
morire...”
Camminava lentamente lungo la salita, tenendo tra le mani la sua Poké Ball.
Camminava lentamente lungo la salita, tenendo tra le mani la sua Poké Ball.
Il suo Pokémon. Il suo
unico Pokémon. Era poco più di un bambino, e non aveva ancora imparato a
catturare altri Pokémon, ma in quel momento pensò che fosse stata una fortuna.
Dover abbandonare una
cosa che ti sta tanto a cuore deve essere difficilissimo. Figurarsi a farlo più
di uno.
Arrivò su quel
promontorio. Una ringhiera di ferro battuto divideva la strada, dove i più
romantici venivano la sera a guardare le stelle, e la scarpata.
Tirò la sua Poké Ball, da
cui ne uscì uno Starly.
Quello sbatté le ali, e
si andò a poggiare sulla ringhiera. Vide il volto affranto del suo allenatore
ed inclinò il capo.
“Allora... domani
verranno gli scagnozzi del re Nestore nel nostro quartiere. Cercheranno
ovunque, e metteranno la nostra casa sottosopra. Cercheranno te. Se ti
trovassero ti porterebbero in una stanza, e ti getteranno sul fuoco con tutta
la Poké Ball. E morirai”
Starly continuava a fissare il suo allenatore. Una lacrima rigò il viso del ragazzino.
Starly continuava a fissare il suo allenatore. Una lacrima rigò il viso del ragazzino.
“Ed io non voglio che tu
muoia. Vorrei vederti un giorno diventare grande. E forte. Uno Staraptor. Sarai
bellissimo, con le piume lucide, e le ali lunghe. Sarai fortissimo. E per far
sì che questo accada, ora devi andare via”
Lo sconforto lo investì
come un tir e le lacrime trovarono il via libera per scendere in tutto il loro
vigore.
“Vai! Vai via!”
Starly si alzò in volo,
sbattendo velocemente le ali. Guardava piangere il suo allenatore. Aveva
capito. E avrebbe voluto ringraziarlo.
Il giovanotto sentì
l’uccello gracchiare, e poi una folata di vento, che lo aiutò nel salire
nell’aria, e spiccare il volo verso mete lontane.
“Ecco... sei andato
via...” piangeva il ragazzo. Si girò, in lontananza vedeva il castello del re
Nestore.
Era furioso con lui.
Ed urlò.
“Che tu sia maledetto!”
La voce del giovanotto si
espanse lungo la valle, e viaggiò velocemente fino a sparire velocemente.
La notte era scesa,
ormai. Il buio era pesante, e non tutto era semplice da mettere a fuoco.
Poi un forte sibilo.
E del vento. Tantissimo
vento.
Vento molto forte. Il
ragazzino fu costretto a stringersi alla ringhiera. Qualcosa stava succedendo,
e la curiosità, anche quella volta, ebbe la meglio sulla paura di morire.
Alzò gli occhi al cielo,
e vide una cosa che non aveva mai visto.
Un drago. Un enorme drago
verde, con delle linee luminose sul corpo, che velocemente si muoveva verso il
castello di Nestore. A poco meno di 100 metri una forte luce uscì dalla sua
bocca, ed il castello fu letteralmente distrutto.
Il ragazzo impallidì,
l’esplosione prodotta fu terribile.
Il drago verde ruggì
rabbioso, poi partì ancora più veloce, in verticale, verso l’alto.
E sparì. La notte era
scesa.
Starly era scappato via.
Ma il castello non c’era
più. E Nestore era morto.
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