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Nono Capitolo - 9

Gente, gente, gente. Ancora non avete messo mi piace a Pokémon Adventures ITA?!
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Finisco presto di scocciarvi ricordandovi che lunedì prossimo uscirà il prossimo capitolo, e vi auguro una buona lettura.

Stay Ready!
Go!

Andy $




Si capisce che qualcosa non va quando attorno a noi le cose cominciano a cambiare.
Insomma, non sono come ce le aspettavamo. La nostra mente crea uno scenario immaginario dove proietta la nostra persona, ci disegna su di uno sfondo più o meno utopico che troppe poche volte si rivela essere reale.
In quel disegno, Ryan teneva la mano di Rachel. Nella sua casa.
E tutto era finito.
Ed era felice di aprire le finestre per far entrare la luce del sole.
Invece no.
Sospirò, Ryan, e tornò a stringere i pugni e a digrignare i denti.
Rachel volutamente era rimasta dov’era. Ovvero lontana da lui.
Gli mancava che quella goffa e sbadata ragazza girasse per casa urlando al suo Zorua dispettoso di fare qualsiasi cosa oltre a dormire.
Sorrise per un momento.
Non era sua sorella. No, non lo era mai stata, ma in cuor suo sapeva di volerle bene come se lo fosse. E non capiva i motivi di quell’allontanamento, di quella fuga.
Il lato positivo c’era. Ormai non era più difficile rintracciarla, sapevano da dove partire, le telecamere avrebbero lavorato per lui e se non fossero bastate era stato messo alle calcagna di Rachel un agente novizio, a pedinarla.
Gallade riposava. Lottare contro quel Lucario lo aveva stremato.
Quel Lucario ultrallenato di Zackary Recket, alias il fottutissimo campione della fottutissima lega del fottutissimo Pokémon. Ricordava sul suo volto la determinazione, la forza che esprimevano i suoi occhi, i denti che digrignavano, proprio come Ryan in quel momento.
Ricordava le mani strette, quei pugni rabbiosi che teneva bassi, e la sua fastidiosissima voce. Quella voce che gli aveva impedito di riportare Rachel con se.
“Bah...”
Non era rilevante, per Marianne dirgli che fosse il campione.
Incompetenti. Sono ovunque.
Aveva saggiato la forza di quel ragazzo, e probabilmente non sarebbe stata l’ultima sfida tra di loro. Ryan non avrebbe ceduto.
Nonostante questo la sua testa si tormentava, quasi cercava di rigirarsi su se stessa, nel tentativo di capire per quale dannatissimo motivo Rachel fosse scappata.
Era stata solo la menzogna? L’omissione di un importantissimo dettaglio?
Immaginava la voce di Rachel ad urlargli che quello non era un dettaglio.
Un momento... non la stava immaginando.
Rachel era li. Davanti a lui.
“Non è un dettaglio! È la mia vita! La mia vita! Tu hai voluto rubare la mia vita!”
Era davvero li. Ryan sentiva la sua voce, e nel suo naso inalava il suo odore.
“Rachel... io... io ero solo un bambino quando...”
“Ma poi sei cresciuto! Dovevi dirmi che non eri mio fratello!”
“Sei cresciuta con me però! Sei mia sorella!”
Rachel cominciò a prendere a pugni il muro con una forza fuori luogo. Non si aspettava tale veemenza nel percuotere quelle pareti. Pareti che rimbombavano forte, come rintocchi di una campana. E la testa cominciava a fare male.
Ryan portò le mani alle orecchie. “Basta! Rachel, Basta!”. Si alzò dal letto e corse da lei, ma non c’era più. Era andata via.
Gallade era tranquillo, e questo era strano. Una persona che manifestava tale rabbia avrebbe avuto delle ripercussioni sull’umore di Gallade.
Invece no.
Ryan necessitava della presenza di Rachel accanto. Si, altrimenti sarebbe impazzito. E forse era già sulla buona strada.
Rachel non era li. Si rese conto di ciò mentre si lasciava cadere sul letto, sconfitto dalle lacrime e dal malessere, e mentre immaginava i suoi segni di squilibrio, si abbandonò sfinito al sonno.


La notte passò lenta, e Rachel fu convinta da Zack a dormire fuori, in tenda e sacco a pelo, per via dei terremoti.
“Non sappiamo se il sisma abbia compromesso la stabilità delle fondamenta dei palazzi. Non è saggio dormire in albergo. Potrebbero crollare, o essere pericolanti. Staremo qui...”
Avevano scelto uno spiazzo lontano da ogni cosa. Un bel prato verde all’interno del parco cittadino di Plamenia.
Il freddo congelava tutto, e quando uscì dalla tenda, Rachel non si sorprese di vedere la cima del Monte Trave imbiancata.
Non smetteva di pensare al giorno prima.
Non smetteva di pensare alle parole di Ryan.
“Perché mai Rachel dovrebbe accettare le vostre menzogne, quelle che le avete detto sia tu, sia la dottoressa che ho avuto il piacere d’incontrare qualche ora fa, riguardo questa situazione?”
Possibile che fosse tutta una montatura? Possibile che Zack sapesse già tutto?
“Ti sembra un caso che proprio tu, la figlia di colui che ha fondato la ricerca, sia stata avvicinata e circuita in modo da cooperare con loro?”
La voce di Ryan sembrava così sicura.
Ma che senso avrebbe avuto?
Mosse dei leggeri passi sull’erba umida mentre il sole nasceva, disinteressato come il giorno prima e quello prima ancora.
Era possibile, ed era solo un ipotesi, che Zack l’avesse volutamente incontrare nel Bosco Memoria, quando lottò contro Wizard. O forse prima ancora, quando combatté contro il suo Growlithe.
Il Growlithe del campione della lega di Adamanta...
“Dannazione!”
C’era qualcosa che Zack le stava nascondendo. C’era da dire, inoltre, che dopo l’incontro con Ryan del giorno prima, la situazione tra Rachel e Zack era entrata in fase di stallo. I due non si parlavano se non per cose necessarie.
Non ricordava nemmeno quello che si erano detti. Solo uno stralcio di conversazione riguardante Mia. Zack voleva andarla a trovare nel campo medico, dove aveva passato la notte.
Zack sentì il volto investito dal freddo. Intuì che la tenda fosse aperta. Allungò la gamba, cercando di toccare Rachel, ma non la sentì. Si alzò di scatto, gli occhi spalancati, mentre cercava di mettere a fuoco ciò che aveva attorno.
Aveva timore che quel Ryan potesse tornare nel cuore della notte.
“Rachel!” urlò.
“Zack, sono qui...”
Era fuori alla tenda.
Quello sciolse la tensione che aveva in petto e si lasciò cadere, steso nel caldo e morbido sacco a pelo di lana.
Si alzò, passò una mano sul volto per allontanare il sonno ed uscì dalla tenda. Il freddo era massiccio.
Lei però era a piedi scalzi sull’erba.
“Hey... come stai?” domandò lui. Quella non si muoveva, e continuava a guardare il Monte Trave.
“Io sto bene. E tu? Stavolta cerca di non omettere informazioni importanti”
“Rachel...”
Quella si voltò di scatto. “Ok! Può essere successo ogni dannatissimo evento nella tua vita, ma credo che io debba sapere con chi viaggio e con chi condivido la tenda! Oppure quali dannatissimi Pokémon possiedi!”
“Voglio che tu faccia una netta distinzione tra le cose...”
Il volto di Zack sembrava differente. Rachel non lo aveva mai visto con quell’espressione. O forse solo mentre lottava.
Era estremamente, dannatamente serio.
Gli occhi verdi incrociavano lo sguardo infuocato e contemporaneamente glaciale di Rachel.
“L’unica mia colpa è quella di non averti detto che sono il campione. Quello che ha detto tuo fratello non è assolutamente vero”
Nella mente di Rachel rimbombava la voce di Ryan. “Non ti fidare di lui” diceva, come se le stesse sussurrando nelle orecchie e lei non lo vedesse. Sentiva le sue mani carezzarle il collo, scostarle i capelli, il suo naso carezzarle il viso.
Poi riaprì gli occhi. C’era solo l’alter ego di Zack, granitico come non mai, a pochi metri da lei.
“E il resto? Il piano che avresti architettato?”
“Non so neanche chi è tuo padre, Rachel, e non so cosa contengano le sue fantomatiche ricerche. Ho cercato solo di difenderti nel momento in cui ti ho vista in difficoltà. E questo perché ti voglio bene”
“Anche io te ne voglio”
Il volto di Zack si ammorbidì leggermente, ed una piccolo sorriso fece la sua comparsa.
“Non ti mentirei mai. Non vorrei mai farti del male. E se pensi che abbia architettato tutto questo con Alma ti sbagli. Mi sono affidato alle sue conoscenze perché è molto competente in materia”
“Già”
“Inoltre non credo che se fossi venuto a conoscenza dei dati delle ricerche di tuo padre, avremmo girato a vuoto l’intera regione” sorrise ancora lui.
“Si. Anche questo è vero”
“Insomma... in quel caso te ne avrei parlato, mi sarei presentato direttamente a casa tua... e non avrei coinvolto né Bill né Mr. Fuji in questa situazione... è da loro che ho appreso per la prima volta la leggenda di Arceus”
Rachel annuì.
“Ti fidi di me?” domandò poi il ragazzo, con lo sguardo sincero.
Rachel tentennò. Ma si perse nel verde dei suoi occhi, e sorrise leggermente prima di annuire. Zack esplose in una risata e corse ad abbracciarla. La testa di Rachel si poggiò sul petto del ragazzo, dopodiché lo cinse con le braccia.
“Ho avuto paura. Devo abituarmi a pensare con la mia testa, ma purtroppo Ryan ha ancora molta influenza su di me”
“Mi pare giusto, ma devi allenare il tuo senso del giudizio. Non ti ingannerei mai”
“Ok”
E l’abbraccio terminò. Gli occhi di Zack fissarono per un momento quelli di Rachel. Stavolta erano davvero vicini. Poi il ragazzo si voltò verso il Monte Trave.
“È innevato. Le temperature sono scese molto, stanotte”
“È vero”
“Ancora non vuoi parlarmi?”
“No. Ho freddo”
Zack sorrise. “Se non sbaglio abbiamo una piccola fiammella per riscaldarci”
Lei sorrise, ed entrò nella tenda. Infilò le scarpe, e prese le Poké ball.
“Vai, Litwick”

Il Pokémon Candela uscì, sbadigliando. Zack sorrise, mentre Rachel esplose in un “quanto sei carino!”. Zack scommise di aver visto stormi di uccelli volare a più di un chilometro per via dell’urlo della ragazza.
Quello si guardò attorno. Sorrise velocemente allo sguardo allegro di Rachel. Poi guardò Zack e la sua fiammella si ingrossò.
“Oh, santo cielo!” Zack fece un balzo indietro.
“Che cosa?! Zack, che c’è?!”
“La fiamma! Hai visto la fiamma?!”
“Si che ho visto la fiamma! Ma perché sei scappato?!”
“Mi ha guardato ed ha cominciato a succhiare la mia energia vitale!”
“Eh?!” Rachel sembrava confusa. Prese Litwick in braccio. Era morbido e profumato, e la fiammella viola era calda. Donava un po’ di colorito alle sue guance, dove il sangue stava per smettere di passare.
“Mangia l’energia vitale. Si nutre di quella” spiegò Zack, a distanza.
“Oh... davvero?”
“Già”
“Alma vuole uccidermi?” chiese ingenuamente.
“Non penso”
“Me l’ha dato lei”
“Sei la sua allenatrice, non ti farà del male”
“Invece tu verrai mangiato” concluse lei, sorridendo sardonicamente, alzando in aria la candela. “Mi è già simpatico”
Zack storse il muso, e si girò.
In venti minuti si erano vestiti e rifocillati, avevano smontato la tenda ed erano pronti per camminare.
Il campo medico non era molto lontano.

Marianne aprì la porta. Ryan dormiva come un bambino, in posizione fetale, mentre Gallade era poggiato al muro, e vegliava il suo riposo come una balia premurosa.
Sorrise a quella vista, poi si diede un contegno, e tossì, per farlo svegliare.
“Ehm...”
Niente.
“Ryan”
Gallade la fissava. Marianne aveva leggero timore di quel Pokémon. E Gallade lo sentiva, trovandolo ingiustificato. Lui era un Pokémon dalle buone intenzioni, ben allenato ed educato.
La ragazza scostò qualche ciuffo corvino dalla pelle scura, e sbattè lentamente le ciglia. Il sole in quella stanza, forse, non ci era mai entrato. E a quanto le sembrava, Ryan non aveva intenzione di invitarlo ad illuminare quel posto, e a diradare i suoi dubbi.
Vedere un uomo in posizione fetale ti faceva rivalutare alcuni aspetti della vita in generale.
Ad esempio la sicurezza.
Molte persone possono sembrare sicure e preparate, molte volte ostentano dei sorrisi che non hanno la forza materiale di mantenere sui loro volti, e dentro di loro crollano come castelli di carte al minimo soffio di vento, lasciando solo full e poker alla rinfusa sul pavimento.
Eppure non pensava lui fosse così. Credeva riuscisse a sopportare quella pressione.
La pressione della sconfitta. Non a tutti riesce semplice perdere.
A nessuno riesce semplice. Ma qualcuno lo somatizza di meno, e continua a testa alta la propria vita.
“Ryan” lo chiamò ancora.
Quello non accennava a muoversi.
Si sedette sul letto, dietro di lui. Da quando era arrivato li, nell’edificio dell’Omega Group, il ragazzo aveva temprato il suo corpo, con duri allenamenti quotidiani.
Questi allenamenti comprendevano ore di corsa, di sollevamento pesi e di isometria.
Forse dormiva per la stanchezza. E forse, e si intende forse, stare in quella posizione lo faceva solo stare più comodo.
Gli toccò il braccio sinistro, rigonfio dall’allenamento mattutino, e lo strinse. “Ryan” lo chiamò.
Ancora nulla.
Rimase in silenzio ad ascoltare, concentrandosi sul respiro del ragazzo. Respiro che c’era, non era morto.
Non lo voleva sulla coscienza.
I suoi occhi si poggiarono di nuovo su Gallade. Aveva visto il combattimento che aveva avuto contro Braviary. Molto duro. Molto crudo. Aveva messo fuori combattimento uno dei Pokémon più forti della regione di Adamanta.
Già, perché era uno dei Pokémon dell’allenatore più forte di Adamanta.
Il campione della lega Pokémon.
“Dovevi dirmelo” disse Ryan, steso di fianco. Gli occhi chiusi, le braccia contro il petto, come a proteggersi dal freddo, dato che quella aderentissima maglietta grigia non aveva alcuna funzione in tal senso.
“Cosa?”
“Non ritenevi fosse un’informazione importante dirmi che Zackary Recket fosse il campione della lega Pokémon?” chiese lui, con una punta di sarcasmo.
“No. Anche se non so come faccia tu a non sapere chi sia il campione della lega”
“Prima di conoscervi, lavoravo tutta la giornata, e la televisione per me era uno strumento nocivo e di disturbo. Tendevo a non accenderla quasi mai. Disturbano Gallade”
Marianna fece una strana smorfia in volto. “Mi spiace”
“Era Rachel a stare tanto tempo davanti alla tv. Forse anche troppo. Infatti l’ho dovuta letteralmente costringere ad allenare quel suo Zorua”
“Ho capito...”
“Resta il fatto che mi hai consegnato un... come lo chiamate voi? Dossier? Ad ogni modo era incompleto”
“È stata un’idea di Lionell. Temeva tu potessi essere colto da una sorta di... sudditanza psicologica” disse, fermandosi a pensare alle parole che doveva dire.
“Beh, avrei usato un’altra strategia. Avrei messo in campo Vibrava. Anzi, Flygon”

“Si è evoluto?”
“Già. Sono tornato e mi sono chiuso nella sala allenamento per Pokémon. E Vibrava si è evoluto”
“Fantastico” sorrise sinceramente Marianne.
“Che notizie abbiamo ora di Rachel?”
“Nulla di nuovo. È seguita dalle nostre reclute. E dalle telecamere sparse per la regione. È ancora a Plamenia, ed è ancora con Zack”
“Non riesce proprio a capire che la stanno sfruttando...”
“Non farti il sangue amaro. Anzi... dovresti uscire da questa stanza. Andiamo a fare una passeggiata”
Ryan si girò, e guardò i suoi occhi lucidi, mentre sottendevano un sorriso splendente. Poi vide Marianne offrirgli la mano.
Ryan l’afferrò. “Peggio di così non potrò sentirmi. Andiamo”
“Infatti. Andiamo”

“Hai posato quel fiammifero succhia anime?”
“È una candela... comunque sì... è nella sfera”
“Andiamo allora”
Cominciarono a camminare, seguendo una stradina di terra battuta, immettendosi sulla strada principale del parco.
“E quindi hai... difficoltà... con il tuo ruolo?”
“No, a dire il vero no. Non mi da molte responsabilità materiali. Ma mi da molta tensione. Non posso perdere una sfida, altrimenti mi sentirei deriso. È strano. Inoltre non voglio che una persona che ho appena conosciuto cambi il proprio comportamento perché so utilizzare i Pokémon un po’ meglio degli altri...”
“Beh... se sei il campione della lega sai davvero utilizzare i Pokémon meglio degli altri”
“Io non utilizzo i Pokémon” rispose scuro in volto Zack. “Io ed i miei Pokémon abbiamo gli stessi obiettivi. E collaboriamo. Io dipendo da loro quanto loro dipendono da me. Siamo una squadra”
“Oh... è una bella cosa. Un momento... hai detto che la gente cambia atteggiamento quando sa che sei il campione della lega?”
“Sì”
“E che farebbero?”
“Cominciano col chiedere consigli, vogliono vedere i Pokémon, vogliono scambiare, lottare, ed io già mi vergogno a stare sotto i riflettori”
“Non si direbbe”
“Non mi sento a mio agio. Mi sento... controllato”
“In molti ti ammirano”
“Nessuno capisce cosa si prova quando sei costretto a non perdere nessun incontro”
“Non la vedo così... però è la tua opinione, e la rispetto”
“Non credo sia una cosa opinabile. La gente comincerà a guardarmi come fanno con il vecchio campione, quello che ho battuto”
“E chi sarebbe?”
“Oh, un certo Hugh. Usava Pokémon di tipo buio, spettro e psico. E poi perse. Era un tipo molto pieno di se”
“In che senso?”
“Antipatico. Credeva che il mondo fosse suo, che i suoi Pokémon fossero i migliori. Lucario mi fu molto utile in quella lotta”
“È davvero molto ben allenato”
“Lo so. I miei Pokémon sono spaventosamente forti” sorrise, audacemente.
“Il mio Litwick li farà scappare a gambe levate” civettò lei.
Arrivarono al campo medico. Zack credeva fosse stato pieno di persone.
Invece si sbagliava. C’erano pochi feriti gravi, la maggior parte se l’erano cavata con una fasciatura o un gesso.
Certo, qualcuno aveva perso la vita, era ragionevole pensarlo in una situazione del genere, ma si aspettava di peggio.
Qui e li erano piantate grandi tende verdi con su dei cartelli bianchi con una croce rosse. Chansey e Blissey si affrettavano a destra e sinistra, mentre pochi esemplari di Audino seguivano gli infermieri.

Il cielo era carico di dense nubi. Da lontano riuscivano a vedere il Monte Trave.
Stava nevicando.
Davanti la loro faccia si formano fastidiose nuvolette.
“Vedo il mio respiro” disse Zack, pensando ad alta voce. “Quando succede così dobbiamo riscaldarci”
L’infermiera di turno era davvero indaffarata. Sembrava stanca.
“Infermiera...” si fermò Zack.
“Oh, ciao Zack. Come stai? Mica ti sei fatto male anche tu?!”
Rachel capì che i due si conoscevano.
“No, tranquilla, sto benissimo, io. Sto cercando una ragazza. Si chiama Mia. Mi sa dire dove la trovo?”
“Oh, la biondina con intossicazione da fumo”
“Eh?! Intossicazione da fumo?!”
“Si... aveva respirato cenere e fumo in quantità esagerate. Ora sta meglio”
“Meno male...” sorrise Rachel.
“Dove possiamo trovarla?” domandò il giovane.
“È nella tenda 5. Li”. La ragazza gliela indicò con le sue dita affusolate, avvolte in guanti di lattice. Zack e Rachel ringraziarono con un cenno della testa e si incamminarono verso la tenda numero 5.
“Magari avessimo delle tende così grandi” sospirò Rachel, portando le mani ai fianchi.
“Sono tendoni... vorrei vedere dove lo mettiamo, una volta smontato.
“Ok, calmati. Entriamo”
“È permesso?” domandò Zack, entrando.
C’era poca luce, entrava da delle aperture nella tenda, una sorta di finestrella plastificata e quindi impermeabile.
C’erano due persone che dormivano. Erano sul lato sinistro. E poi a destra c’era una ragazza, bionda, dal viso angelico, seduta mentre le fasciavano una mano.
Zack e Mia si scambiarono un’occhiata. Lei lo riconobbe immediatamente, e sorrise.
“Avanti” fece poi. Che voce dolce che aveva. Rachel vide l’infatuazione crescere come un fungo sul volto di Zack.
“Ciao” la salutò lui, avvicinandosi lentamente, temendo di far rumore.
“Ciao”
“Come stai?”
“Ora meglio. Volevo ancora ringraziarti... per ieri. Se non ci fossi stato tu sarebbe stato tutto molto complicato”
“Diciamo letale” sorrise Zack.
“Diciamo letale” ripeté Mia.
Blissey terminò la fasciatura, salutò ed andò fuori. Rachel si avvicinò.
“Ti ricordi di lei, vero? È Rachel, la mia compagna di viaggio”
“Ciao, Rachel. Ricordo vagamente di te. Come mai siete qui?”
“Siamo venuti a vedere come stavi” sorrise lui.
“Te l’ho detto, ora sto meglio. Comunque ancora mi devo presentare. Mi chiamo Mia, Mia Vernon, molto piacere”
“Zackary Recket, per gli amici Zack. E lei è Rachel Livingstone, per gli amici Rachel Livingstone”
E Mia sorrise.
“Un momento. Hai detto Vernon? Proprio quei Vernon?! Thomas Vernon?!” Rachel impallidì.
“Si, è mio padre” sorrise imbarazzata Mia.
“Chi è Thomas Vernon?” domandò poi Zack, appena ritornato sulla Terra.
“Non conosci Thomas Vernon?! È uno degli uomini più ricchi è potenti di Adamanta!” esclamò Rachel.
“Non esagerare” fece l’altra, imbarazzata più di prima.
“Thomas Vernon possiede il 50% delle industrie sul suolo di Adamanta. Ha un fiuto per gli affari incredibile!”
Mia e Zack guardarono Rachel interdetti.
“Hey! Basta guardare un tg per sapere queste cose!”
Zack sorrise e le scarmigliò i capelli. “Comunque eravamo passati per sapere come stavi”
“Lo hai già detto sei volte” riprese la mora.
“Nel caso lo avesse dimenticato. Che ci facevi li, ieri?”
“Il parco divertimenti appartiene a mio padre. Ed io sono andata li, un po’ negli uffici... da piccola lo facevo sempre, mi è salita la nostalgia e... così mi sono levata lo sfizio”
Maligna. Rachel pensò che con un padre del genere e con tutti i suoi soldi si sarebbe potuta levare tutti gli sfizi che le sarebbero venuti. “E com’è che nel palazzo c’eri solo tu?”
“Ma che ne so?! Sono entrata in bagno, e quando sono uscita sembrava di essere sulla superficie del sole! Meno male che Zack era li”
Zack sorrise sornione.
“E voi invece? Che ci facevate nel parco divertimenti? Coppietta in gita?” sorrise Mia, dolcemente.
“Ma non pensarci nemmeno! Io e lei siamo solo amici! Non riuscirei a starci insieme, troppo lunatica!”
Rachel lo guardò corrucciata. Non credeva di essere così malaccio, in fondo. “In realtà staremmo cercando una persona” disse poi.
“Chi cercate? Magari la conosco”
“Non cerchiamo una persona in particolare. Cerchiamo una persona con determinate caratteristiche”
“Caratteristiche? Quali?”
Poi l’infermiera entrò nella tenda. Tutti la guardarono.
“Devo levare la benda dietro la schiena di Mia. Zack, esci un minuto”
“Oh... ok” annuì il ragazzo, che si dileguò.
Mia si alzò dal lettino, e levò il maglioncino, mostrando un fisico di tutto rispetto, nonostante l’esilità delle carni poco esperte. Si girò, dando le spalle all’infermiera, mentre guardava Rachel, che si era appena seduta sul lettino.
“Che caratteristiche?” richiese poi, la bionda.
Rachel sbuffò. Onestamente si vergognava a dire che doveva essere vergine e perfetta. Ma un tentativo con Mia Vernon doveva farcelo, sai che risate se era lei la prescelta.
Anzi no.
Zack avrebbe reso quella missione un inferno. Un po’ le dava fastidio il suo comportamento.
“Caratteristica essenziale deve essere quella di far emozionare questa stele”
“Stele?”
“Si... è nella borsa, sul lettino, accanto a te. Prendila”
Mia prese la tavola, e la poggiò sul lettino. “Che strana”
“Sinceramente ho visto di peggio. Allora... vediamo un po’ se puoi essere tu la persona giusta per questa cosa”
“Cosa?”
“Poi ti spiego. Metti la mano sulla sagoma”
Rachel prese la tavola e Mia mise la mano nel punto indicato. Pochi secondi dopo la stele sprigionò una luce enorme, che costrinse i presenti a chiudere gli occhi.
“Oddio! Zack! È Mia!” urlò Rachel, svegliando gli altri degenti.
“Cosa?!” Zack entrò nella tenda.
“Zack! Esci fuori!” urlò l’infermiera.
“Si! Mi scusi! Rachel! Che succede?!”
“La stele si è illuminata! È Mia! Proprio Mia Vernon!”
Mia però non ci stava capendo niente. “Chi sono? Cosa? Perché sei così entusiasta?!”
Rachel volle aspettare che l’altra finisse di medicare la piccola ustione sulla schiena della ragazza per cominciare. Anche per dare adito a Zack di entrare.
“Allora... credici o meno... puoi salvare il mondo” disse Rachel.
“Eh?!”
“Già. Hai l’animo puro e caratteristiche fisiche che... ehm... dimostrano la tua integrità morale...”
“Wow” sorrise Zack, sorpreso per il complesso giro di parole. Rachel lo fulminò con lo sguardo e continuò.
“...e per questo abbiamo bisogno di te. Devi venire con noi”
“Voi?! Aspetta un momento... io non vi conosco e non so perché dovrei seguirvi”
“Zack, sei tu che convinci le persone. Tocca a te”
Mia puntò i fari su di lui.
“Ehm... Arceus...”
“Sshh!” Rachel gli fece segno di stare zitto. “Usciamo da qui. Troppe orecchie indiscrete”

Zack, Rachel e Mia raggiunsero un posto più isolato. Erano tra i campi incolti appena fuori Plamenia. L’erba alta rendeva Mia inquieta.
“In pratica per un profezia antica, Arceus sta distruggendo il mondo. E noi dobbiamo opporci a questa cosa” riassunse in breve lui.
“Questo è il vero motivo dei terremoti” aggiunse Rachel, mentre carezzava Zorua, che intanto si era svegliato.
Mia pareva confusa. “Credevo fosse dovuto a Groudon”
“Che è comandato da Arceus. Stiamo cercando di fare luce su questo mistero. È tutto da ricercare in una battaglia di mille anni fa, tra ribelli ed i protettori del tempio di Arceus” continuò il ragazzo.
“Quello sul monte Trave?”
“Si. Indipendentemente dal vincitore della guerra, Arceus era adirato, per via delle troppe morti e dell’uso sbagliato che l’uomo faceva dei Pokémon. E così, dopo un ultimatum, Arceus ha maledetto queste terre, ed ora sta uccidendo tutti, riprendendosi ciò che era suo”
Mia sbiancò. “E... e cosa c’entro io?”
“In quel periodo, nel tempio di Arceus, viveva un oracolo. Prima, si chiamava. Lei aveva il potere di parlare con Arceus”
“Oh... ma ancora non capisco”
“Anche Prima poteva far emozionare la stele” tagliò corto Rachel.
Le sopracciglia di Mia si inarcarono.
“Avete le stesse caratteristiche. Tu sei il nuovo oracolo di Arceus”
Quello bastò. Mia si lasciò cadere sul sedere, incrociando velocemente le gambe e prendendo fiato.
“E quindi?! Io non posso! Non ho mai parlato con Arceus! Cioè...”
“Capisco che tu possa essere confusa”
“Non ho mai parlato con Arceus” ripetè.
“Perché ti mancava questo”. Zack levò il ciondolo dal collo e lo diede a Mia. “Questo è il cristallo di Arceus”
Mia lo teneva in mano come se mantenesse l’ultima goccia d’acqua del mondo.
“Cosa posso fare per voi?”
“Concentrati. Cerca di metterti in contatto con Arceus, e di farlo desistere”
Mia mise il cristallo attorno al collo, proprio come ce l’aveva Zack, e strinse la pietra tra le mani. La concentrazione era alta, stava focalizzando il proprio centro con la sua testa, respirando lentamente, cercando di non perdere quella linea che stava cercando. Quella linea, la sua strada.
Doveva salvare il mondo.
Doveva riuscirci. E aveva paura. Stava piangendo.
“Mia” la fermò Rachel. Quella aprì gli occhi.
“Non ci riesco” lacrimava la bionda, sentendo all’improvviso un forte senso di responsabilità investirla come un treno.
“Non preoccuparti, hai fatto del tuo meglio” la giustificò Zack, abbracciandola. Sì, un po’ se ne stava approfittando.
Rachel portò le mani ai fianchi, mentre una goccia d’acqua la colpì sul naso.
“Piove. Dobbiamo ripararci” disse Zack.
“No. Secondo me... dobbiamo cambiare luogo”
“Eh?!” chiese Mia.
Il dito di Rachel andò a puntare il Monte Trave. “È li che dobbiamo andare. Al tempio. Forse li il cristallo funzionerà”

Lionell fumava un sigaro, mentre un po’ di musica soul fuoriusciva dalle casse del suo pc. Adorava quel genere. Lo rilassava.
Di solito non era una persona che perdeva la calma, anzi, molti si sorprendevano del sangue freddo che riusciva a mantenere e che, in certe situazioni, sorprendeva anche lui stesso.
Si trattava solo di tenere bene a mente i propri obiettivi. I propri traguardi, le mete da raggiungere. Tutto ciò che succede attorno a quel segmento di vita non deve turbare l’animo.
E mentre tirava un po’ di pace da quel sigaro, appoggiato alla sua scrivania di mogano, guardava le reclute allenarsi, nel giardino della sede dell’Omega Group.
Certo, li guardava attraverso le tapparelle, che creavano un effetto veramente fenomenale all’interno di quell’ufficio in penombra. Il soul si ascolta così.
In penombra.
E intanto sorrideva. Stava andando tutto come previsto. La ricerca di John Livingstone, il padre di Ryan, era stata smembrata e ripresa interamente daccapo.
Avevano fatto nuove scoperte, e ciò faceva ben sperare.
Si. Sperava che sulla sua scrivania di mogano, proprio accanto alla penna laccata in oro e la fotografia di una giovane donna, un po’ sbiadita, ci fosse al più presto una pila di documenti, di informazioni.
Perché le informazioni portano alla conoscenza.
E la conoscenza porta al potere.
E chi non vorrebbe essere potente?
Tirò ancora dal suo sigaro, e si perse nella sua fantasia, mentre la tromba di Miles Davis entrava nella sua testa, volteggiava ed usciva, morbida e dolce come era entrata.
Sognava. Sognava di controllare il mondo da quell’ufficio.
Si, forse era un po’ troppo banale, ma andiamo... sarebbe stato perfetto. Finalmente tutto avrebbe avuto una funzione, le persone avrebbero avuto qualcosa da fare.
Credeva che le sue capacità avrebbero potuto creare un mondo migliore. Un mondo dove i bambini fossero cresciuti con la piena consapevolezza delle proprie capacità, più autonomi, e dove gli adulti avrebbero basato i loro discorsi e le loro relazioni interpersonali maggiormente nell’ambito professionale.
Lavorare.
Produrre.
Creare.
Arricchire il capo, che poi avrebbe dato ai cani un po’ del suo pasto.
Tutti cani. Tutti per terra, a scodinzolare, a quattro zampe. Ed un mondo utopico.
Con il potere tra le mani.


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