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Dodicesimo Capitolo - 12

È così bello aspettare il lunedì... vuol dire che dobbiamo pubblicare!
Qui è Andy Black che vi parla, e che vi chiede con cortesia di passare su Pokémon Adventures ITA, e mettere un piccolo mi piace. Potrete trovare tutte le novità riguardo Pokémon X ed Y, ed anche immagini, uno staff simpaticissimo con il quale collaboro, ed in più avrete la possibilità di leggere l'omonimo manga.
Che aspettate?
Ricordo a tutti che siamo anche su EFP, ci trovate QUI, se siete frequentatori del sito potete passare lì, e lasciarci una recensione. Sarà accolta con molto entusiasmo, Rachel impazzisce ogni volta che vede che il numero di recensioni sale.
La storia è più o meno a metà. Ma Pokémon Courage (se non sai cos'è Pokémon Courage ti consiglio di passare qui) è un ciclo di storie, che necessita di tempo per essere ben congegnato, e questo potrebbe portare il blog a non essere attivo come prima. Ci saranno lo stesso tante attività, che coinvolgeranno me, come anche Rachel Aori, coautrice di questa storia, come qualche one shot, in attesa che vengano stesi i primi capitoli della prossima vicenda (che è solo da scrivere, è tutto nella mia testa cari).
Seguendo le pagine linkate sopra, nel momento in cui questa fan fiction arriverà alla fine, potrà tenervi aggiornati sulle nostre attività.
Ad ogni modo bando alle ciance e basta comunicazioni.
Dodicesimo capitolo.
'Npoddenso...

Stay ready.
Go...


Andy $






Un cerchio alla testa.
Come se qualcuno gli stesse tagliando il cranio, staccandogli la calotta cranica.
Zack era seduto sul letto del centro Pokémon e stringeva la testa con le mani, come se fosse un brufolo, per far uscire i cattivi pensieri e liberarsi di quel dolore fastidioso.
Aveva freddo, ed il Natale si avvicinava.
I suoi pensieri si susseguivano in un miscuglio di terrore, per il destino di quel mondo, e di dispiacere, per via della questione di Rachel.
Riguardo la prima situazione si chiedeva come potesse essere possibile, che un Pokémon, che per quanto raro potesse essere era qualcosa di tangibile, potesse minare alla vita di miliardi di individui, umani e non.
Arceus era un Pokémon unico. Era una divinità.
Tutto era regolato dalle sue volontà. E se i terremoti stavano devastando il mondo, era per via sua, che controllava Groudon come se fosse una pedina di un vasto scacchiere.
La seconda situazione, invece, lo stancava mentalmente.
Rachel se n’era andata. E se Ryan non si fosse messo di mezzo, probabilmente nel lettino sopra al suo non ci sarebbe stata Mia, ma proprio Rachel.
Segreti. Tanti piccoli segreti.
Forse non proprio.
Emily White. Si chiedeva come Ryan sapesse di quella faccenda.
Si chiedeva come Ryan sapesse di Emily.
Sorrise leggermente, ricordando il suo sorriso, e si accasciò sul letto, abbandonandosi ai ricordi, con le lacrime appuntate alle palpebre con gli spilli, pronti a spezzarsi, a rompere gli argini.

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Prima che a Zack venne la voglia di stabilirsi ad Adamanta, viaggiò molto.
Vide tante cose, lottò contro i Pokémon più potenti, e contro i loro allenatori.
All’epoca aveva voglia di muoversi, di viaggiare forte come un auto da corsa.
Beh... all’epoca. Otto anni prima.
Non aveva ancora avuto molte delle esperienze che lo avrebbero segnato per la vita, cose che ti marchiano. Non era un uomo, ma un giovanotto.
Niente sigarette, niente alcool, niente patente, non ne aveva l’età, e non aveva neanche mai fatto l’amore con una donna.
L’incoscienza costituiva per lui una sorta di arma a doppio taglio, che da un lato lo portava a fare delle scoperte incredibili, e da un altro lo mettevano in costanti situazioni di pericolo.
Aveva bisogno di una doppia armatura di mattoni ed acciaio per andare avanti, perché agli occhi di chi gli stava accanto pareva fosse diventato una calamita per le calamità.
Problemi qui e lì, e la voglia di superare tutto.
Era giovane, partito da qualche anno, con la sfrontatezza unica solo dei giovani.
Di quei giovani che non avevano ancora preso batoste.
Era appena sbarcato a Porto Selcepoli, una ridente cittadina sul mare nella regione di Hoenn.
Mise piede nel porto della città, sentendo la gradevole sensazione della terra stabile. Il sole splendeva, il rumore del mare faceva da sottofondo ad ogni attività.
Qua e là gracchiavano dei Wingull, che placidamente planavano lungo la costa sabbiosa, gremita di gente.
C’erano varie spiagge, vari chalet, tanta folla, e non sembrava ci fosse uno spazio libero nel mare. Poco più lontano dalla riva si vedeva qualche scoglio un po’ più grande, sul quale i ragazzi adoravano tuffarsi.
 L’estate urlava “presente!” ad alta voce, ed un po’ di sudore cominciò a grondare dalla fronte di Zack, coperta dalla bandana rossa che portava sempre.
Portafortuna, segno distintivo, capo di alta moda (almeno per lui), non se ne disfaceva mai.
Quella volta si trovò costretto a farlo.
Guardava le nuvole, mentre camminava, cercando di riconoscere qualche sagoma.
Non ci riusciva mai, e si sorprendeva di questo. Del resto aveva molta fantasia.
Poggiava le scarpe, con le doppie suole di gomma, sulla pavimentazione non livellata della piazza centrale, dove si teneva il mercato. Il vociare aumentava, mentre qualche venditore di bacche urlava a squarciagola che ci fosse un’offerta speciale prendi tre paghi due.
“Quella nuvola... sembra... sembra un Unown...”
“Hey!” urlò qualcuno. Qualcuno che aveva urtato.
Zack abbassò la testa. Qualcuno che aveva urtato ed era caduto a terra.
Guardò meglio. Qualcuno che aveva urtato, era caduto per terra, ed era dotato di graziosissimi occhi color nocciola... era una lei. Una bella lei.
Capelli, in quel momento sconvolti per l’incidente, lunghi, castani. Il ciuffo vaporoso, in condizioni normali, le avrebbe coperto l’occhio destro.
Il naso pareva un punto, quasi inesistente, mentre le labbra erano pronunciate. Quello superiore era screpolato, forse era il caldo. Oppure no, forse lo mordicchiava per il nervosismo.
Indossava il pezzo di sopra di un bikini, rosa.
Fu onesto e coerente con il suo modus facendi, e diede un’occhiata anche li.
Gradevole. Sorrise lui, arrossì, poi continuò il tour di sguardi sulla malcapitata. Fisico magro, giusto per lei, un pantaloncino bianco ed un paio di scarpe da ginnastica dello stesso colore..
Sembrava avessero la stessa età.
“Scusami tanto”
“Guarda un po’ dove metti i piedi!” urlò quella, mentre afferrava la mano di Zack che la tirava su.
“Ero assorto a guardare il cielo e...”
“Come ti pare!” esplose quella, prendendo a correre.
“Eh?!”
Zack era ufficialmente confuso. Si guardò attorno, cercando il motivo di cotanta irruenza, ma oltre a quattro persone vestite di nero che camminavano sospetti non vedeva niente.
“Eccola li!” esclamò uno di quelli, magro, levandosi il sudore dalla fronte con il guanto. La sua divisa, come anche quella dei suoi colleghi, era aderentissima. Una R imperava sul petto di quelli.
Indossavano un basco dello stesso colore della tuta, abbinato a degli stivaloni di gomma dura.
La ragazza, dalla lontananza sobbalzò alla loro vista, e prese a correre velocemente.
Quattro contro uno. Non va bene.
Quattro tizi vestiti in modo ridicolo contro una ragazza in bikini. Non va bene per niente.
Zack prese a correre, inseguendo i quattro sgherri, seguendo fin dove lo sguardo gli permetteva i movimenti della ragazza.
Quella entrò nella spiaggia.
Compatti come in un file rar, le persone davano poco spazio per permettere il passaggio, e siccome tutti bramavano un po’ d’agognata freschezza, scendevano velocemente verso la battigia, muovendosi e rendendo l’individuazione della bella ragazza in bikini ancora più difficoltoso.
Zack entrò in spiaggia e si fermò. Frenò, un po’ di sabbia calda si alzò, toccandogli lo stinco.
Il caldo sembrava essere maggiore, lì. Tanti ombrelloni, tutti colorati con fantasie differenti, spuntavano come funghi di tessuto.
Non era difficile vedere i quattro brutti ceffi.
Erano vestiti di nero, e la maggior parte delle persone non indossavano un berretto come loro.
E poi la vide. La ragazza carina.
Era entrata in un negozio sulla spiaggia.
Zack corse velocemente verso quel posto.
Lo sguardo della ragazza, prima che sparisse oltre l’uscio di quel negozio, sembrava davvero un oblò per guardarle dentro. Preoccupazione, paura, la concentrazione e l’autocontrollo si persero all’improvviso come pezzi rotti di uno specchio.
“Eccola, è entrata li!” fece uno dei men in black.
“Fermi!” urlò Zack.
“Cosa?!” disse quello.
“Fermatevi dove siete!”
“Stai cercando anche tu l’acrocongegno, vero?!” chiese un secondo.
“Acrocosa?!”
“Levati di mezzo, prima che perdiamo la pazienza” fece un terzo.
“Non vi vergognate a mettervi contro una ragazza indifesa?!”
Uno di quelli guardò un suo compagno. “Tanto indifesa non direi. Levati davanti e facci entrare, oppure lo faremo lo stesso. Calpestandoti”
“Provateci” li sfidò Zack, mettendo mano alle Poké Ball.
“Me la vedo io... non sarà difficile” fece uno di quelli, fermando due dei suoi compagni. Sembrava sicuro di se. “Vedi, ragazzino. Sfidare noi, per uno come te, è come lottare per la Lega Pokémon. Dannatamente difficile”
“Eppure ho fatto entrambe le cose. Vai Crobat. Finiamo questo tipo velocemente”
“Come osi?! Vai, Seviper!”
Era la prima volta che Zack vedeva quel Pokémon. Tirò fuori il Pokédex, e lo analizzò.
“Uhm... Crobat, attento alla sua coda. Può farti male. Fortunatamente non può avvelenarci. Sarebbe impossibile, dato che sei un tipo veleno”
Crobat fece un cenno di assenso, muovendosi velocemente in tondo. Mal sopportava la luce del sole.
“Cominciamo! Seviper, usa Stridio!”
Tutti i presenti portarono automaticamente le dita alle orecchie, e Seviper emise uno strano suono, che fece girare la gran parte delle persone in spiaggia e le fece accumulare attorno ai duellanti. E soprattutto ebbe l’effetto di far vacillare Crobat, che abbassò la guardia, e calò di qualche metro la sua volata.
Ora era fattibile per Seviper attaccarlo fisicamente.
“Morso, ora!”. Per l’appunto.
Seviper balzò in aria, ed allungò i suoi due metri e settanta, azzannando Crobat per un’ala. Quello urlò dal dolore.
Zack non poteva perdere. Si girò, la ragazza lo stava guardando, nascosta dietro ad un uomo più grande.
“Dai Crobat. Con l’ala rimasta libera usa Alacciaio!”
E prima che Seviper ricadesse dal suo grande balzo con Crobat tra le fauci, l’ala sinistra del pipistrello si illuminò, e venne sbattuta sul muso della vipera.
Quella lasciò la presa, e tornò per terra.
“Crobat! Sei in grado di volare?” chiese poi Zack. Quello sembrava non aver subito danni ingenti.
“Ok. Ora vai con Malosguardo”
“Seviper non guardarlo per nessuna ragione al mondo!”
Crobat usò la mossa, fissando imperterrito il suo avversario, che, come ipnotizzato, non riusciva a muoversi con velocità e convinzione.
Stava solo li, a guardare distrattamente Crobat.
“Bene, Crobat, ora usa Eterelama!”
Crobat partì come un missile e colpì in pieno Seviper, che si rese conto solo alla fine delle urla del proprio allenatore.
K.O. tecnico. E con quelli si va a casa senza altri round.
Tyson insegna.
Lo sgherro digrignò i denti. “Non finisce qui!” e poi i tre sparirono.
La folla sorrideva, ed applaudiva Zack, che si avvicinò a Crobat per controllargli l’ala.
“Non hai gravi danni, ma ti voglio portare lo stesso al centro Pokémon. Sei stato bravissimo”
Zack fece per girarsi quando una mano lo trattenne sulla spalla.
“Hey...”
Voce di donna. Zack girò la testa. Era bikini rosa.
“Ciao”
“Ciao. Scusami per prima”
“Non... non preoccuparti. Ma perché ce l’avevano tanto con te?”
“Quelle non sono persone raccomandabili. Mia cugina ha già avuto a che fare con loro... sai, abita a Jotho, lì hanno combinato tante brutte cose”
“Bel posto Jotho. Sono appena sbarcato da Olivinopoli”
“Si trova a Jotho? Non sono pratica”
Zack sorrise. “Si. È la città del faro”
“Bene... allora grazie”
“Lo avrei fatto per chiunque” concluse Zack, girandosi.
Qualcosa gli diceva che non sarebbe stata l’ultima volta che i due si sarebbero visti.
Non poteva essere l’ultima volta che si incontravano.

Zack curò Crobat e decise di passare la notte nel centro Pokémon. Fece un lauto pasto, e finalmente col buio la temperatura si abbassò, lasciando lo zaino in stanza.
Uscì, andò a fare una camminata. Comprò diversi strumenti al mercato, che pareva non chiudesse mai, poi decise di godersi un po’ la calma serale della spiaggia
Non un’anima sulla sabbia. Qui e li piccoli versi di Pokémon.
L’aria aperta portava anche a questo.
Si sedette sulla spiaggia, che nel tardo pomeriggio sembrava fosse stata pettinata con un rastrello.
Poi lasciò uscire Growlithe.
“Attento al mare... va a farti un giro”
Quello abbaiò, e prese a scorrazzare per la spiaggia, scavando buche e rotolandosi.
Il mare era vasto, immenso, e la luna si specchiava su di essa come una candida sfera al centro del cielo.
Chissà oltre cosa c’era.
Oltre a tutto. La sua testa cominciava a porgli domande esistenziali a cui i vari Nietzsche, Schopenhauer e simili non erano riusciti a rispondere senza tirare in ballo la divinità.
Ma lui era Zack, non parlava tedesco ed in ogni caso non si sarebbe interessato di quel tipo di filosofia.
Preferiva Platone. Gli piaceva davvero tanto.
Leggeva di tanto in tanto qualche libro di filosofia antica, rimanendo affascinato dai meccanismi e dai concetti elementari che muovevano il mondo.
Cose di cui non ti accorgi finché qualcuno non te ne fa rendere conto.
E intanto il mare cantava e danzava davanti ai suoi occhi, sporcato di tanto in tanto dei riflessi argentati della luna.
Zack affondò le mani nella sabbia calda, poi gettò la testa all’indietro.
Qualcuno accarezzava Growlithe.
Pochi secondi, poi il cervello gli impose di girarsi per bene, e vedere chi poteva essere quell’individuo.
“Come sei bello” faceva quello, riferito al Pokémon.
Zack si alzò e si avvicinò. Si preoccupava.
La voce era dolce. Femminile.
L’aveva già sentita.
“Bikini rosa” pensò. Quella alzò la testa, mentre carezzava Growlithe sulla pancia, quindi sorrise.
“Ancora qui?” chiese.
Zack annuì. “Posso stare qui, vero? O la spiaggia è privata?”
“Non preoccuparti, mio padre non ti darà problemi. Almeno non dopo quello che hai fatto oggi”
“Ti ho vista in difficoltà... ti ripeto, l’avrei fatto per chiunque”
“Grazie ancora”
Zack si sedette accanto a lei, mentre Growlithe gli poggiò il muso sulla gamba.
“È bellissimo questo Pokémon. È tuo?”
“Si. Growlithe è stato il mio primo Pokémon”
“Hai anche un Crobat”
“Ho molti altri Pokémon. Questo Crobat era uno Zubat, che ho catturato a Kanto”
“Sei stato a Kanto?”
“Sono nato a Kanto”
“Kanto, Jotho... sei un allenatore in viaggio?”
“Già” sorrise Zack. La guardò in volto, sembrava molto più distesa. Indossava ora lo stesso paio di pantaloncini, ed una camicetta bianca.
Gli occhi brillavano al riflesso della luna.
Era bella.
“Come mai ti inseguivano?”
“Dirtelo rappresenterebbe un rischio”
Zack inarcò le sopracciglia, mentre disegnava con le dita dei cerchietti nella sabbia.
“Sono pronto a correre tutti i rischi del mondo per avere delle risposte”
“Poi però quando lo saprai dovrò ucciderti” sorrise lei.
“Sarà un piacere farmi uccidere da una ragazza così bella”
Quella arrossì. “Comunque mi chiamo Emily. Emily White”
“Zackary Recket. Zack per te”
“Piacere”
Si strinsero la mano.
“Piacere mio. Ora spara”
“Sono... sono venuta a conoscenza, tramite questa mia amica, Jennifer, che io chiamo Jenna, che un’organizzazione criminale sta cercando di catturare un Pokémon rarissimo che si trova qui ad Hoenn, per assoggettare al loro potere umani e Pokémon. E per farlo hanno rubato ad un’altra organizzazione criminale uno strumento”
“L’acrocongegno”
“Esatto. Io sono riuscita ad entrare nella loro base e a rubarlo”
Zack rimase in silenzio. Emily lo guardò, arrossendo ancora sotto il suo sguardo.
“Chiamare la polizia no, eh?”
“Uff... non potevo aspettare. Alla fine ho rubato l’acrocongegno, e proprio quando stavo per scappare mi hanno vista. Poi ho sbattuto addosso a te e sai com’è andata...”
“Torneranno di sicuro alla carica”
“Già. Il problema, più che altro è che questo acrocongegno non era il pezzo che dovevano usare. Lo hanno utilizzato per creare un prototipo che sfrutta molto di più le potenzialità del Pokémon su cui questo viene applicato”
“A che serve questo acrocongegno?”
“A sfruttare le potenzialità del Pokémon su cui questo viene applicato” ripeté lei, quasi sorridendo.
“Quindi dobbiamo introdurci nella base di questa organizzazione e sabotare questo strumento per sfruttare le potenzialità del Pokémon su cui questo viene applicato”
“Dobbiamo?! Mi vuoi aiutare?!” chiese quella, sgomenta.
“Certo”
“Andiamo” sorrise lei.

“Ecco... qui dovrebbe essere il posto giusto”
Erano davanti ad una ventola enorme, che spuntava dal terreno, attorno al nulla più assoluto.
“Non sono molto furbi, eh?” chiese Zack.
“Non molto. Una ventola che spunta da terra senza che ci siano edifici indica che gli edifici sono sottoterra”
“Si entra da Ciclanova”
“E che è?”
“Poi ti spiego. In ogni caso non possiamo entrare per l’ingresso principale”
“Quindi entriamo dalla ventola. Hai un Pokémon d’acqua non molto alto?”
“Vai Marshtomp!” fece quella.
“Bene. Growlithe!”. Il cane dorato uscì dalla sfera, scodinzolando. “Usa l’attacco Lanciafiamme sulla ventola!”
Emily e Zack fecero un passo indietro, e Growlithe sputò fuoco come un drago mitologico. La ventola cambiò colore, diventando rovente, ma continuando a girare velocemente. L’aria calda veniva spinta sui volti dei ragazzi che si coprirono gli occhi per non lacrimare.
“Ho capito cosa vuoi fare. Marshtomp, vai con Idropompa!”
Quest’ultimo attaccò con un massivo getto d’acqua la ventola, che ritornò ad una temperatura normale. Poi questa cominciò a fare un po’ di rumori strani, fino a che non si fermò.
“Ottimo. Rientra nella sfera, Growlithe!”
Emily fece altrettanto con il suo Pokémon, e seguì il ragazzo all’interno della tubatura. Inizialmente era un tratto verticale.
“Crobat”
Quello usci, e si fermò a testa in giù sulla tubatura.
“Portaci giù lentamente”
Il pipistrello li afferrò con le zampe, e lentamente planò giù, fino a che Zack ed Emily toccarono il pavimento della tubatura.
“Bravo. Ora rientra. Dove andiamo?”
“Verso la luce. Poi saprò orientarmi meglio” rispose Emily. Una decina di metri davanti a loro c’erano delle grate. Da lì, la giovane avrebbe potuto vedere dove si trovavano.
Lentamente gattonarono, limitando al massimo i rumori.
Zack si domandò per quale motivo fosse in un posto come quello. Poi si voltò, facendo attenzione a non fare rumore.
Lei era li, e guardava attentamente tutto ciò che accadeva. Un ciuffo le usciva fuori posto, coprendole l’altro occhio, e lei lo spostava, soffiandolo via.
Col senno di poi si accorse che lo avrebbe fatto spesso.
E nel profondo dei pensieri arrivarono all’apertura. Una griglia li divideva da un corridoio sterile, con pochi elementi colorati. Il bianco imperava.
Di tanto in tanto passava qualche persona, sempre con lo stesso vestito dei quattro ceffi.
“Bene... ho capito, siamo nell’ala 4C” fece Emily.
“Colpito e affondato”
“Hai voglia di scherzare?” sorrise leggermente quella.
“Decisamente. Qual è il piano?”
“Entriamo, sabotiamo ed usciamo. La stanza dell’acrocongegno potenziato è pochi metri davanti a noi. Non dovremmo neanche avere impedimenti da parte di guardie o altro. Nessuno può entrare li dentro, tranne pochi eletti, che la sera tornavano a casa”
“Ho capito. Quindi quando si accorgeranno che sono stati sabotati noi avremo già un giorno di vantaggio”
“All’incirca”
Zack ed Emily continuarono a gattonare lentamente, cercando di ammortizzare al massimo i rumori. Delle voci, però, catturarono la loro attenzione. Delle ombre si muovevano davanti la prossima apertura.
“C’è qualcuno nella stanza dell’acrocongegno” fece lei.
“E... ora?”
“Andiamo a vedere”
Raggiunsero la grata. Un uomo con un completo elegante nero ed i capelli castani, corti, era in piedi davanti ad un grosso macchinario. Tre uomini in camice lavoravano attorno a quell’enorme meccanismo, una sorta di anello gigante, metallico.
Emily guardò Zack e viceversa.
Un altro uomo in camice, con i capelli lunghi e bianchi, come la barba, parlava ad alta voce.
“Il macrocongegno e pronto”
L’uomo con il completo sorrise. “Ottimo. Ora dobbiamo solo individuare dove dorme il Pokémon... lo cattureremo e domineremo Hoenn... poi il mondo”
La voce di quello era profonda, ed un subdolo scintillio viveva nei suoi occhi.
“Ora caricatelo nel camion. Dobbiamo arrivare a Porto Alghepoli entro una settimana. Dite all’autista di partire domattina alle 10”
“Ok, signor Giovanni”
Emily guardava terrorizzata Zack, che le fece segno di tornare indietro.
Gattonarono, mentre i pensieri si avviluppavano attorno alle volontà.
Zack cercava questo. Avventura, ragazze da aiutare, salvare. Amare.
Emily aveva solo molto senso della giustizia.
“Non guardarmi il sedere” fece la ragazza, che gattonava davanti a lui.
“Anche se volessi è tutto buio”
Uscirono dalla tubatura tramite Crobat, quindi si diedero appuntamento per il giorno dopo, davanti al centro Pokémon.

La mattina arrivò troppo in fretta.
Zack si alzò controvoglia. Cambiò opinione, poi, ricordandosi che doveva vedere Emily. Sarebbero partiti per il viaggio.
Per quel viaggio. Dovevano camminare tanto, aveva visto la cartina di Hoenn, e raggiungere Porto Alghepoli non era molto semplice, specialmente facendolo a piedi. Non avrebbero dovuto destare sospetti, ed avevano decurtato dalla lista di opzioni utili quella di prendere una nave per raggiungere la destinazione, in quanto avrebbero cercato di fermare il camion con il carico incriminato prima che raggiungesse l’obiettivo.
Quella mattina si vestì come se avesse dovuto sopportare le peggiori situazioni climatiche ed ambientali, e nonostante il caldo scelse di indossare un jeans in denim.
Zaino in spalla e scese, salutando l’infermiere del centro Pokémon, quindi uscì fuori. Il sole splendeva, come il giorno prima.
Emily aspettava con le cuffiette nelle orecchie. Era appoggiata ad una parete esterna del centro Pokémon e canticchiava una canzone.
Zack la vide e sorrise.
Aveva indosso un gilet nero, sopra ad una canottiera totalmente bianca. Indossava un cappello, di quelli gonfi, beige anch’esso, con su delle strisce dei colori dell’arcobaleno, abbinato alle scarpe ed alla borsa.
“Ciao” sorrise Zack.

“Hey”
Che bella voce, pensò Zack. Le piaceva. Era il classico tipo che gli faceva perdere la testa.
Il classico tipo per cui sarebbe morto per amore. Per il suo amore.
“Allora, andiamo... tra un po’ partirà il pullman”
Mossero i passi lungo la strada acciottolata della piazza, un Pelipper che era li prese il volo, forse spaventato dalla vicinanza con i due.
“Dormito bene?” chiese Zack.
“Non tanto. Ero preoccupata”
“Cerca di rimanere concentrata”
“Certo”
Arrivarono fino alle rive di un laghetto, che divideva Porto Selcepoli da Ciclamipoli.
Un’isola si scorgeva al centro di esso.
“Ecco... quella è Ciclanova” disse la ragazza.
“Il camion come uscirà di li?”
Appena le parole del ragazzo si sedimentarono, videro da lontano un battello che si avvicinava.
“Ecco come” aggiunse Zack.
“Dobbiamo raggiungere velocemente l’altra sponda del lago”
“Potremmo camminare velocemente lungo la riva, o attraversarlo con i Pokémon d’acqua”
“No... passeremo per la pista ciclabile. Seguimi”
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I ricordi erano pochi.
Tuttavia molto vividi. Spezzoni di vita vissuta si alternavano a momenti forse immaginati.
Con gli occhi aperti nel letto, Zack aveva immaginato molte volte come sarebbe stato se le avesse parlato dell’amore che provava per lei.
Immaginava.
Immaginava lei e lui, a baciarsi, sotto casa, sotto il palazzo di Edesea, spingendo il corpo contro il suo, e sentendo il calore aumentare.
“Andiamo su” diceva Zack.
“Ma qui abita Alma”
“Non è in casa, ed ho le chiavi”
Poi tornavano ad utilizzare le loro bocche per qualcosa che non fosse parlare.
Salivano e si spogliavano.
Gli occhi di Emily splendevano nel buio, mentre si cibavano di quell’amore goloso, ed andare avanti in un turbinio strano e piacevole di emozioni, dove la cosa più difficile era smettere.
La sua fantasia però non si fermava qua. Pensava ancora più distante, loro che si scambiavano i regali di Natale, mentre la casa, la loro casa, era addobbata a festa, piena di foglie di agrifoglio.
L’immaginazione riempiva i buchi che il suo bisogno d’amore creava.
Continuava a pensare, immaginandosi come sarebbe potuta andare avanti la sua vita con Emily.

Era innamorato, e se era innamorato, Zack riusciva a muovere il mondo.

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I ragazzi arrivarono a Forestopoli. Una città molto particolare, costruita all’interno degli alberi.
Il posto perfetto per chi come lavoro faceva il giardiniere.
Nonostante tutto era molto suggestiva.
Il caldo però ammazzava.
Le nuvole si muovevano velocemente, mentre un acquazzone si alternava spesso con il sole del deserto.
Zack guardava Emily, e sorrideva. Non aveva mai avuto quell’attaccamento ad una persona.
Lei era ostinata nelle sue scelte.
Come lui.
E le piaceva stare a capo, guidare, comandare.
Come lui.
Forse non andava bene. Ma più Zack guardava quegli occhi, e più se ne innamorava.
Sentiva il petto esplodergli, e ad ogni sua occhiata si sentiva come ucciso, impotente nelle sue voglie, pregne d’affetto.
Sapeva che in fondo anche lei provava lo stesso, ed in quel caso sembrava un kamikaze, perché con il suo immobilismo uccideva sia lui che lei.
Pura dinamite, quei due.
Zack alzò la testa al cielo.
Le nuvole sbattevano le ali.
“Sono Altaria. I Pokémon della capopalestra Alice” fece Emily, come se sapesse quello che stava pensando Zack.
E già. Perché Zack sapeva tante cose, ma Emily le sapeva meglio.
“Sono velocissimi”

“Infatti”
“Potremmo chiederne due in prestito”
“E perché dovrebbe darci due Altaria?”
“Provar non nuoce”
Si arrampicarono su di una scaletta fatta di legno, che saliva sugli alti alberi della foresta, e presero a camminare su pontili che a lui non sembravano stabili. Emily si manteneva sulla spalla del ragazzo, facendo vibrare l’anima del ragazza ad ogni stretta.
Si stava cuocendo davvero.
Totalmente irrazionale.
Arrivarono infine alla palestra di Alice.
Entrarono, lei era seduta su di una panca, sudata. Stava facendo esercizio.
I capelli sfatti, lunghi, di quella strana colorazione lilla, vedevano in due ciuffi laterali il termine della pettinatura. Lei era in una tuta piuttosto larga, che non impreziosiva le sue curve.
Tante luci illuminavano quel posto. A Zack fece strano rientrare in una palestra, dopo che l’ultima volta lo aveva fatto ad Ebanopoli.
Ricordava ancora Sandra, ed il suo temibile Kingdra.
“Si?” chiese Alice, non appena si rese conto che qualcuno fosse entrato.
“Ehm... salve... io sono Emily e questo è il mio amico Zack. Stiamo cercando di evitare una catastrofe”
“Di che tipo di catastrofe parlate?”. Temeva in un risveglio di Groudon e Kyogre.
“Non lo sappiamo di preciso. Ma le volevamo chiedere il piacere di poter utilizzare due dei suoi Altaria per raggiungere velocemente Porto Alghepoli”
“Perché dovrei darvi i miei Altaria?” Alice non capiva.
“Ha perfettamente ragione a non fidarsi di noi, non ci conosce, ma ne va del destino di Hoenn”
“Se veramente ne andasse del destino di Hoenn avrei saputo qualcosa, no?”
“E se stavolta i cattivi sono stati davvero bravi da non far scappare alcuna notizia?”
Alice rimase perplessa, in silenzio.
“Come so che siete in buona fede?”
Emily esplose. “Signorina, stiamo perdendo tempo! Chissà con cosa verrà abbinato quel marchingegno malefico!”
“Cosa?! Marchingegno?!”
“Si!”
“Come vi chiamate?”
Risposero.
“Mi fido di voi”
Emily sorrise, ed abbracciò Zack.
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Zack sorrise nel ricordare quella stretta. Ricordava il suo profumo, ricordava il suo sguardo, e rimpiangeva il suo angelo perduto, sapendo che avrebbe potuto stringerlo tra le sue braccia.
È tutta una questione di attimi, e con persone come loro, di impulsi.
Prendevano la vita così come veniva, e la prima occasione per loro era il treno da prendere. Tutto ciò che c’era dopo non importava. Non bisognava perdere tempo, non bisognava aver paura di nulla, ed affrontare tutto con il massimo dell’impegno.
Si girò nel suo lettino, abbracciando il guanciale che aveva sotto la testa.
Mia si mosse leggermente, e la rete del suo letto cigolò proprio sul capo del ragazzo.
Pensava ancora al volto angelico di quella, alla sua dolce voce.
Adorava cantare.
Adorava la musica.
E Zack, che era un folle, si convinse, una volta finito tutto il teatrino di imparare a suonare il pianoforte, magari per cantare le canzoni di Natale, o qualcosa del tipo anni 20.
E magari fare l’amore, proprio sul piano.
Che bella voce che aveva Emily. Le mancava molto.
Quante volte il cuscino che stringeva era diventato Emily.
Quanti baci su quel cuscino.
Quanto lacrime.
Quante volte aveva chiesto scusa a quel cuscino.

“No, Emily. Non andare di là”

Ricordava quelle parole come se le avesse appena pronunciate. La testa dura di quella ragazza non era comparabile a nulla.
Alla fine si era ritrovato senza di lei. Ma sempre con il suo ricordo nel cuore.
Emily alla fine scelse.
Scelse male.
E lui non la fermò.
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Le piume degli Altaria erano morbide. Sembrava di toccare batuffoli di ovatta.
Zack volava su Chicago, l’esemplare più forte che Alice avesse a disposizione, mentre Emily su Paris, quello più veloce.
I due si mantenevano con forza, mentre l’uno inseguiva l’altro.
Il sole picchiava, il mare era tranquillo, e si avvicinavano ad una zona perennemente piena di nebbia.
“Ecco... quella deve essere la Torre dei Cieli... si stanno dirigendo li” fece Emily.
“Benissimo, cerchiamo di non farci distanziare troppo”
Una grande nave stava portando il Macrocongegno, assieme a tutto l’equipaggio di bordo, probabilmente persone al soldo di Giovanni.
“Più in alto” fece Zack. In questo modo si sarebbe confuso con le nuvole, e non avrebbe corso il rischio di essere avvistato.
Emily lo seguì.
La nebbia cominciava a diventare sempre più densa, fino a che il sole non passò più. Ora faceva freddo, e c’era molto buio. Il faro della nave puntava dritto verso un piccolo pontile di legno, abbandonato a se stesso.
“Scendiamo” fece Emily.
Gli Altaria in effetti erano stanchi, avevano volato per molto, molto tempo.
Atterrarono vicino l’ingresso della torre. C’erano calcinacci ovunque. La torre sembrava potesse crollare da un momento all’altro, non sembrava per niente un posto accogliente.
“Vieni qui” fece Zack, nascondendosi dietro un piccolo muretto, in modo da vedere chiaramente tutti i movimenti della nave.
Emily lo seguì, e sospirò.
Una dozzina di Salamence erano stati legati al Macrocongegno, e lo trainavano su, abbastanza spediti.
“Oddio!” rabbrividì Emily. “Il Pokémon si trova sopra questa torre!”
“Dobbiamo andare! Usiamo gli Altaria!”
“Non ce la faranno, Zack. Hanno volato per tanti chilometri. Dobbiamo salire a piedi”
“Ma saranno un centinaio di piani!”
“Io voglio bene ai Pokémon. Non voglio che stiano male”
“Hai ragione, anche io. Andiamo”
Spalancarono la porta della torre. Non entrava un po’ di luce da li dentro da veramente tanto tempo. I ragazzi videro diversi Rattata correre a nascondersi in angoli più protetti.
“Ci sono dei Pokémon qui” osservò Emily.
“Tranquilla”. La mano del ragazzo erano sulle sue Poké Ball. “Dobbiamo aiutarci in qualche modo. Ed il primo accorgimento che potremmo prendere è utilizzare Absol”
Lui lo tirò fuori. Lo aveva catturato poco prima di volare via da Forestopoli. Era stata una lotta difficile per Crobat, ma alla fine Absol entrò nella Premier Ball.
“Lo sapevo... ti affidi troppo a quel Pokémon. Non è accertato che sappia prevedere le catastrofi” rispose Emily, con un po’ di sufficienza.
“Intanto fino ad ora non ha mai sbagliato”
“Io non seguirò un cane con una spada infilzata nella testa”
“Avanti... cominciamo a salire”
Il pavimento di legno si lamentava sotto i passi cauti dei due ragazzi. Absol si muoveva con eleganza, guardandosi attorno.
“Zack... sei innamorato” osservò Emily.
Quello avvampò. “Ehm...”
“Da quando hai catturato questo Absol non hai più occhi per niente”
Zack respirò ed il sangue riprese a circolare nelle mani, dopo aver slegato i pugni stretti.
Il sovraccarico di emozioni, in quel momento, gli stava per dare alla testa. Troppe sensazioni tutte assieme, non si era accorto che Absol abbaiava.
“Che vuole adesso quest’uccellaccio del malaugurio?” chiese la ragazza.
Tutti fermi, solo il pavimento che scricchiolava. Qualcosa si stava avvicinando. I due ragazzi non riuscivano a vedere cosa fosse, poiché si trovavano sulla rampa di scale.
Zack si ridestò e corse verso Emily, immobile. Absol poi prese a ringhiare, vedendo svolazzare via un Duskull, mentre ululava.
Quel verso metteva i brividi.
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Per l’ennesima volta quella pellicola stava per concludersi nella sua testa.
Atto finale di un qualcosa che non avrebbe mai voluto recitare. Non così vividamente.
Non così vero.
Ed invece si trovò a dover affrontare la realtà, per l’ennesima volta.
I suoi occhi aperti proiettavano lungo il muro accanto al letto i ricordi del ragazzo, in quello show privato.
Nonostante la neve di quella notte non gli permettesse di uscire all’aria aperta senza morire assiderato, lui aveva lo stesso voglia di strapparsi quelle catene da dosso, e correre velocemente dove la sua testa avrebbe potuto dimenticare quelle brutte cose in modo semplice.
Dove avrebbe potuto leggere il suo destino nelle stelle, dove era felice di vivere la sua vita per quello che era.
Un cretino.
Si alzò dal letto, andando verso la finestra, e come sempre vi appoggiò le dita sul vetro.
Era freddo.
Aveva bisogno di qualcosa di confortevole. Di caldo.
Qualcosa che gli tenesse i piedi ben saldati per terra.
Almeno per quella notte.

__________________________________________________________

Intorno al trentesimo piano, Zack era davvero stanco. Absol camminava davanti a loro, sempre utilizzando movimenti sinuosi.
Emily teneva stretta la mano di Zack, che la tirava su, scalino dopo scalino. Era davvero massacrante come allenamento.
“Ho fame” disse la ragazza.
“Non c’è tempo. I Salamence saranno arrivati da più di dieci minuti li sopra!”
“Hai ragione... andiamo”
Absol rizzò il pelo. Anche Zack.
“Sta per succedere qualcosa”

“Non sta per succedere niente! Finiscila di mettere il tuo destino in mano ad Absol! Affronta la vita come capita!”
“Smettila di dirmi queste cose! Io mi fido dei miei Pokémon!”
“Appena hai visto questo Absol ti sei dimenticato di tutto il resto del mondo!”
“Emily smettila!”
“Adesso che vorrà spadaintesta?!”
Absol continuava a ringhiare, e prese a camminare verso sinistra. Il pavimento era gravemente danneggiato. Un enorme foro bucava il pavimento al centro.
Era una voragine e due piccoli viottoli passavano alla destra e alla sinistra di esso.
Absol abbaiò e si avviò a sinistra.
Zack ed Emily si guardarono.
“Di qua” fece lui, prendendola per mano.
“Non seguirò quel cagnaccio!”
Zack non capiva i motivi di cotanta rabbia.
“Calma i toni”
“Io parlo come mi pare di chi mi pare!”
“Sei arrogante! Io sto cercando di rendere le cose più veloci e sicure!”
“E lo fai mettendo in campo un Pokémon che non ti da sicurezza in tal senso?”
“Ma che ne sai tu?! Ovunque si parla della capacità premonitoria degli Absol”
“Ovunque... sono solo leggende... e poi non sono neanche ventiquattro ore che hai visto un Absol, e già fai l’esperto”
“Vieni di qua”
“No. Ti dimostrerò che ti sbagli. Il pavimento qui è sicuro”
Zack ribolliva di rabbia. “Mmmhaaaaa! Fai come ti pare! Ma non dire che non te l’avevo detto!”
“E certo! Anzi, faresti bene a seguirmi!”
“Io mi fido del mio Absol! Perché so riconoscere il vero potenziale dei Pokémon!”
“Non sai riconoscere una ceppa!” rispose a tono lei. Camminò lentamente lungo la lingua di pavimento alla destra del buco. Zack si ostinò e fece altrettanto. Sentivano dei forti scricchiolii.
"No, Emily...non andare di là..." Zack sospirò, con le mani ai fianchi.
Emily si fermò, quindi mosse leggermente la testa, ed incrociò le braccia.
Zack invece passò inerme, preceduto da Absol, fino ad arrivare alla scalinata.
“Avanti. Vieni!”
“Vengo! Ti dimostro che questa parte di pavimento non cederà”
E aveva ragione.
Arrivò a pochi centimetri dalla scala, e dentro di lei sentì una sorta di liberazione. Aveva sfidato il fato ed aveva vinto.
Oppure no. Poggiò il peso sulla gamba destra, ed uno scricchiolio impercettibile si trasformò in una rottura fragorosa del pavimento. Emily spalancò gli occhi, e cadde giù, sepolta da quintali di legno marcio e roccia umida.
“Emily!” esclamò Zack, correndo velocemente verso la scalinata che portava al piano di sotto, fregandosene del pavimento che cadeva e del Macrocongegno.
Scese le scale tre a tre, poi si avvicinò al cumulo di macerie.
Rimase a scavare per più di dieci minuti, con le mani nude nel legno marcio, quando finalmente riuscì ad afferrarla.
La liberò in fretta dalle altre macerie, riportandola alla luce e chiamandola innumerevoli volte, nel tentativo di svegliarla. Gli occhi di Zack erano spalancati dall’agitazione, le iridi si erano ristrette.
C’era qualcosa che non andava.
Il corpo di Emily sembrava impallidire a vista d’occhio, e un leggero rivolo di sangue le scorreva da un lato della testa. Strinse fra le braccia l’esile fisico della ragazza dal bikini rosa, sollevandola e spostandosi dalle macerie laddove sembrava passare un filo d’aria. Le avrebbe fatto bene, fu l’unica cosa che riusciva a pensare.
Perché ancora non riusciva a rendersene conto.
Emily era morta.
Era morta nella Torre dei Cieli.
E Zack non aveva fatto niente per salvarla.


Zack stava piangendo, come ogni volta che finiva di pensare a questa storia.
La testa e le mani poggiate al vetro, vi si era formata la condensa, ed una goccia scivolava sul vetro, emulando una lacrima sulla guancia del giovane. La città dormiva, assopita e coccolata dal caldo dei lampioni, di quel colore arancione, che modificava i colori, certo, ma che creava quella straordinaria atmosfera.
Il pensiero però non gli permetteva di evadere. Doveva salvarla.
“Emily...” disse, trafitto dal pianto.
Bastava dare uno sguardo a quel ragazzo, in quel momento, per chiedersi chi fosse davvero. Come faceva a nascondere il proprio sguardo dietro quella maschera di simpatia?
Si diede un paio di pugni sulle gambe. Se li meritava tutti.
La neve scendeva, e lui stava ancora aspettando un miracolo.
Lei era andata, lui era lì. Non era pronto per quella cosa, non era pronto per salutare il suo primo amore, senza neanche aver ammesso a questo di provare dei sentimenti per lui.
Lei. Emily White.
Emily White sarebbe vissuta per sempre nei ricordi più vividi di Zack, negli incubi ricorrenti e nei sogni di una vita migliore. Sognava un amore scoppiettante.
Ed invece aveva un cristallo, l’oracolo di Arceus, e tanto freddo.
Le continue responsabilità che si prendeva, che erano notoriamente più grandi di lui, servivano a distoglierlo da quei pensieri truci, di morte e paura.
Insieme avrebbero sconvolto il mondo.
Pensieri, ricordi, tutto si mescolava nella sua testa, in quel momento. Credeva che nonostante fosse continuamente distratto dalla bellezza di quella, lui cercava di essere abbastanza tenace da piacerle. Da farle pensare “ecco, questo è l’uomo per me!”.
Avrebbe voluto avere una macchina del tempo, per tornare indietro, per poter gustarsi il sapore di un suo bacio, ed una volta fatto sarebbe diventato l’uomo più ricco del mondo.
Ricco di autostima, d’amore, di carica, di perfezione.
Si sarebbe rammollito, pensò simpaticamente. Lei aveva troppa personalità per non prevalere tra i due.
Ricordava quando lo salutava.
Ciao.
Ciao, e la voce della ragazza.
Adesso quella voce non lo avrebbe più salutato.
Il pianto lo tartassava, e svegliò Mia, che scese dal letto, con un po’ di difficoltà. Aveva indosso un pigiama di flanella, caldo, e molto antiestetico.
“Zack” lo chiamò.
Quello si girò.
“Che succede?”
Zack rimase in silenzio, e tornò a guardare la delicatezza della neve che si posava sui tetti delle case.
Aveva lasciato fare Emily di testa sua, quando sapeva che avrebbe dovuto convincerla a seguirlo.
Anche per Rachel era così. Spalancò gli occhi quando se ne rese conto. Vecchi terrori presero a scorrergli neri nel sangue.
“Zack... perché piangi?”


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