Piccolo ritardo, ma nulla di grave, gente. Anche oggi siamo fuori con un nuovo capitolo. Passate a dare un'occhiata ai nuovi Pokémon della sesta generazione, mettendo un mi piace a Pokémon Adventures ITA, la pagina del manga più bello di sempre.
Oggi fuori il capitolo 14. Buona lettura.
Stay ready. Go.
Andy $
Il muro d’acqua camminava veloce e potente sulla superficie del mare, avvicinandosi sempre di più alla costa della città di Solarea.
Rachel lo fissava attonita. Non aveva mai visto uno spettacolo simile se non in alcuni di quei film catastrofici che davano il venerdì in tv. Non si era resa conto di star nuovamente tremando. Fissava le schiene di Milla, Rupert e di quel misterioso uomo mascherato senza riuscire a trovarvi conforto.
Tuttavia non era quello il momento adatto per bloccarsi. Si morse il labbro, sentendo dopo qualche istante il sapore metallico del sangue. Aveva liberato tutti i suoi Pokémon, ma sapeva che nessuno di loro era davvero adatto.
“Come...” si bloccò, cercando di deglutire, e poi riprese “Come possiamo bloccare un’onda simile?”
La sua mente lavorava nel tentativo di pensare ad una soluzione in cui anche lei potesse far qualcosa. Invano.
Le spalle di Kendrick sussultarono leggermente.
“Hey, non mi sembra il caso di ridere così della ragazza. È inesperta.” Lo apostrofò gioviale Rupert.
‘Era una... risata?’ Rachel lo guardò perplessa.
“Kendrick non parla” le spiegò Milla, telegrafica.
Rachel annuì, lasciandosi sfuggire un “oh” di sorpresa e fissando il dandy in nero col malcelata curiosità.
“Non gli va di parlare, non è che muto. E non è sordo, tienilo a mente. Sente davvero tutto” Rupert glielo sussurrò con tono ilare, alzando il tono nell’ultima frase.
Rachel trovava tutto ciò... surreale.
Nonostante la situazione fosse critica quei tre sembravano mantenere un tono abbastanza tranquillo e Rupert si permetteva addirittura di scherzare.
Quelli nel frattempo si scambiavano sguardi e qualche commento, dopodiché Kendrick che aveva solo annuito un paio di volte salì nuovamente in groppa al suo Pidgeot, dirigendosi verso l’onda.
“Che cosa vuole fare?” Rachel sembrò volergli correre dietro, ma fu trattenuta da Milla.
“Lui disturberà l’onda con i venti, noi dobbiamo occuparci delle correnti marine e di proteggere la costa. Diamoci tutti da fare”
La ragazza piantò i suoi occhi in quelli di Rachel, che piano a piano si calmò.
“Ho capito” le rispose. “Ditemi cosa posso fare”
“Questi sono tutti i Pokémon che hai?” si intromise Rupert. I suoi occhi gentili fissavano i Pokémon della giovane, cercando di valutarne capacità e potenza. Rachel gli annuì di rimando, osservando Kendrick tirar fuori un Tropius e un Crobat, che iniziarono a loro volta a creare dei piccoli tornado in alcuni punti della baia.
Il capopalestra d’acqua si grattò la testa, pensoso.
“Okay, pendi questo” si decise alla fine. “Non posso controllare alla perfezione tutti i miei Pokémon contemporaneamente, quindi del mio Carracosta dovrai occupartene tu, per questa missione. Prendi il tuo Zebstrika e raggiungi la zona al limite del molo, da lì la vista è migliore. Una volta fatto, cerca di fare in modo che Carracosta crei correnti marine contrarie all’onda. Perpendicolari sarebbe l’ideale. Devono congiungersi con i Tornado, chiaro?” Rachel osservò l’Esca Ball. Le sembrava pesante. Sapeva bene che più che il peso fisico era quello psicologico che la rendeva pesante ai suoi occhi.
Accettandola si stava davvero mettendo in gioco. Senza possibilità di ritirata. Pensò a tutto ciò che aveva visto fino ad allora. Il terremoto che l’aveva colta con Zack all’alba della sua fuga, la ruota inclinata di Plamenia e i feriti sotto le macerie visti qualche istante prima.
Annuì all’uomo, e con un fischiò fece avvicinare Zebstrika. Milla l’avvicinò.
“Se permetti nel frattempo io utilizzerò il tuo Pupitar, servono quante più barriere naturali si possano creare per impedire l’avanzata dell’onda, hai qualche problema?”
L’allenatrice scosse la testa e fece un cenno a Pupitar, che diede mostra di aver capito la conversazione e che seguì l’atletica capopalestra verso la parte centrale della costa. Zorua e Litwick salirono anch’essi in groppa a Zebstrika e Rachel si spinse così verso il punto che le era stato indicato.
Rupert era rimasto nel luogo iniziale, e aveva chiamato il suo Blastoise. Il possente Pokémon Crostaceo osservava placido il mare. Nemmeno
l’impressionante onda in avvicinamento sembrava spaventarlo.
“Eccoci di nuovo, vecchio mio, di nuovo in pista!”
Rupert fece scrocchiare le mani, preparandosi ad impartire gli ordini ad i suoi Pokémon. Sapeva che non ci sarebbe stata una seconda possibilità e che tutto doveva andare alla perfezione. Chiamò in campo Lanturn e Golduck, scoccando un’occhiata a Rachel, mentre la vedeva raggiungere la sua posizione, controllare la situazione e tirar fuori il Carracosta.
Tornò a concentrarsi sui Pokémon, spiegandogli il piano e lasciando loro qualche istante per assimilarlo. Dopodiché tornò a rivolgere la sua attenzione al muro d’acqua. Sempre più vicino.
“È il momento!”
I Pokémon non avevano bisogno di nessun altro comando. Si diressero verso i punti che il capopalestra gli aveva indicato, avvicinandosi alle trombe d’aria create dai Pokémon volanti.
Il capopalestra era preoccupato. Aveva visto altre onde anomale, nel corso della sua vita, ma quella superava ogni precedente. L’unica strategia che era riuscito ad elaborare, sfruttando al massimo le abilità dei presenti era quella di creare nuove correnti, sia aeree che marine che convogliassero l’onda in altri punti e poi la disperdessero con calma. Milla si sarebbe occupata di creare delle barriere naturali, per proteggere la costa da eventuali residui della potenza dell’onda che si sarebbero abbattuti sulla terra e anche il suo Walrein era lì per quello scopo.
Tuttavia si sentiva inquieto. Non era la ragazzina a preoccuparlo, il suo Carracosta sapeva bene o male già cosa fare e l’aveva comunque spostata in una zona relativamente più sicura. Ma aveva un brutta sensazione su tutta quella faccenda.
Tutti quei casini non erano naturali. Terremoti e maremoti non erano mai capitati prima con quella frequenza. Non nella placida regione di Adamanta, dove persino i Capipalestra facevano così poco da potersi permettere di girovagare senza alcun problema. Sospirò, carezzando la testa del Pokémon Spaccagelo e preparandosi al peggio.
Rachel osservava la situazione con un’agitazione crescente. La baia sembrava divisa da una linea formata dai quattro tornado, cui gli attacchi acquatici dei vari Pokémon di Rupert si stavano congiungendo.
Era uno spettacolo mozzafiato.
In breve le colonne d’aria sembravano avere un doppio nel mare. Mulinelli d’acqua creavano una depressione sulla superficie marina,come se vi avessero scavato profonde buche.
Dopo pochi istanti, l’onda vi si infranse.
Nonostante la velocità a cui viaggiasse fosse decisamente alta, questa s’infranse contro i muri d’aria e contro le correnti marine. I Pokémon volanti di Mister Kendrick continuavano ad alimentare la potenza dei mulinelli d’aria, che avevano assorbito l’acqua al loro interno. Nel frattempo i mulinelli sottostanti continuavano ad ingrandirsi, ospitando man mano tutta l’acqua che gli s’infrangeva contro.
La ragazza aveva gli occhi sbarrati e si era lasciata cadere a terra. Era davvero questa la potenza di capipalestra e super4? Com’era possibile che esistessero allenatori e Pokémon simili?
Le onde pian piano si stavano calmando, la potenza dell’onda che era riuscita a sfuggire ai vari mulinelli non faceva altro che contrarsi con i muri di sabbia o ghiaccio che Rupert e Milla ergevano nei vari punti della costa.
Durò tutto meno di quanto credesse. Quando si riscosse dall’agitazione che l’aveva immobilizzata, la situazione si stava calmando. I Pokémon controllavano le correnti in modo da far placare gli attacchi e presto la superficie del mare tornò scossa solo da onde, che per quanto alte erano pressoché innocue.
Carracosta le si riavvicinò, scuotendosi di dosso l’acqua che gli si era accumulata sul guscio. Rachel lo guardò davvero per la prima volta. Era un esemplare gigantesco. Non sapeva quanto dovesse essere grande un esemplare medio, ma quello sembrava toccare i due metri. Una volta che le fu vicino la osservò incuriosito per qualche istante, prima di guardarsi intorno ed individuare il proprio allenatore.
Rachel si rialzò lentamente, osservando la situazione nuovamente sottocontrollo e si rimise in groppa a Zebstrika.
“Ehm... rientra nella tua sfera, ti riporto dal tuo padrone” Rachel lo guardava dubbiosa, nonostante fosse salita in groppa al suo Pokémon poteva quasi guardare la tartaruga negli occhi.
Carracosta annuì lievemente e lei lo richiamò nella sfera.
Si avviò con lentezza verso il centro della città, osservando la distruzione che il terremoto aveva portato.
Solarea era per lo più vuota. Il terrore dell’onda aveva fatto fuggire tutti gli abitanti. Era spaventata. Dai terremoti e dalle persone. Erano fuggiti tutti, abbandonando forse qualcuno sotto le macerie, abbandonando ciò che avevano di caro.
Sentì un brivido percorrerle la schiena. Era davvero così diversa da loro?
Si guardò intorno. Anche lei era scappata. Aveva abbandonato Ryan. Zack e Mia. La missione che aveva accettato.
Era davvero giusto quello che aveva fatto?
Zorua era con lei, sembrava aver intuito lo stato d’animo della ragazza, tant’è che, dal suo aspetto umano, allungò una mano, per carezzarle la testa. Il risultato fu piuttosto impacciato, ma Rachel lo apprezzò.
“Che devo fare?” la sua voce era un sussurro. Era confusa. Troppo.
Mentre era lì, in groppa al suo Pokémon a pensare alla pessima decisione presa, si accorse di essere arrivata al luogo d’incontro.
Milla era già lì, con Pupitar al suo fianco. Rachel smontando gli andò incontro.
“Allora, si è fatto valere?” chiese con aria orgogliosa.
La capopalestra annuì.
“È stato davvero preciso, è un buon Pokémon” esclamò contenta. Era sollevata, glielo si leggeva in viso. Nonostante nessuno l’avesse dato a vedere, era stato uno stress non indifferente anche per loro.
“Chissà cosa diamine sta succedendo... Sembra l’inizio dell’apocalisse” sospirò.
Rachel strinse i pugni d’istinto. “Finirà” disse “Presto finirà”
Più che Milla, Rachel stava cercando di convincere se stessa. Pensava a Zack. Lui era bravo. Ce l’avrebbe fatta. Lo ripeteva dentro di sé, come un mantra, nel tentativo di scacciare il dubbio.
Ma se si trovasse in difficoltà?
Quel pensiero le strisciava dentro. Era preoccupata. Non doveva, ma continuava ad esserlo.
Il ritorno di Rupert e Kendrick.
“Visto ragazze? Ce l’abbiamo fatta!” sembrava che il vociare del capopalestra compensasse anche il silenzio del Superquattro, che si limitò ad annuire, un movimento tanto elegante da risultare visibile solo per il cambio di luce che attraversò la sua maschera. Rachel si chiedeva come fosse realmente il suo viso. E la sua voce.
“Allora, come ti è sembrata la strategia?” chiese il capopalestra a Rachel.
Quella annuì. “È stata una fortuna che foste qui. Da sola... sarei stata persa.” lo disse guardando in basso. Quasi vergognandosi della sua inutilità.
“Nah, sbagli a pensarla così” le rispose Milla. “Hai aiutato anche tu, a salvare le persone dalle macerie, a tenere sotto controllo al situazione” aveva un sorriso caldo in viso.
“Certo” le fece eco il collega “...forse non sei stata indispensabile... ma è sempre meglio avere una riserva pronta!” era tornato ad aleggiare sul gruppo lo spirito ilare che governava l’ambiente prima dell’arrivo dell’onda.
“Solo perché non avevo Pokémon adatti” rispose puntuta Rachel “Se avessi avuto un Pokémon d’acqua mio avrei gestito la situazione anche da sola” scherzò di rimando.
Dentro di sé però lo pensava sul serio. Era colpa della sua debolezza. Di spirito, d’animo e fisica.
“Ma davvero?” sembrò prenderla sul serio il capopalestra. Kendrick scosse la testa, quasi a volerlo invitare a lasciar perdere l’argomento, ma quello non se ne accorse.
“Alla fine hai agito bene, quindi probabilmente hai ragione... Dove ti stavi dirigendo, eh, signorinella?”
Rachel si trovò impreparata per un istante.
“A... A Primaluce, signore.” rispose incuriosita dalla curiosità di quello.
“Come mai? Stai tornando a casa?” continuò incessante Rupert.
Rachel annuì, anche se non era vero. Ci passava solo, per casa. Se voleva partire doveva prendere altri bagagli. Se voleva.
Improvvisamente si sentì vacillare.
“Hmmm... non sembri convinta” la incalzò.
Milla e Kendrick sospirarono all’unisono. Consapevoli del fatto che l’uomo era ormai partito con il suo questionario.
“Non lo sono, infatti. Non del tutto.” titubava.
“Hm. Ragazza, non ti conosco e non ho il diritto di dirti nulla. Non so a cosa stai pensando, ma... Cerca di scegliere qualcosa di cui non ti pentirai in futuro. Sei giovane, ma ogni occasione ci appare davanti una volta sola. Devi scegliere con attenzione” rimase in silenzio per un istante.
“Ti auguro di scegliere il meglio per te.” esitò prima di continuare.
“Portalo con te. Il mio Carracosta, dico” Potresti trovarti nei guai sulla strada per Primaluce. Se un giorno ripasserai per Edesea me lo riporterai. E mi dirai se la scelta che hai fatto è stata quella che ti ha resa più serena.”
Milla lo osservava sbalordita. “Hey, Hey, Hey!” lo interrusse “Cosa diamine significa? Sei un capopalestra, non puoi liberarti dei tuoi Pokémon così!”
Quello la guardava confuso.
“I capipalestra proteggono i cittadini, no? Lei è una cittadina che senza quel Pokémon non sarebbe protetta, quindi è un’azione giusta per il mio ruolo”. E mentre rispondeva, Rupert strizzò l’occhio a Rachel, sorridendo, concludendo poi la conversazione con un gesto impaziente della mano.
“Adesso rimettiamoci al lavoro, non abbiamo tempo da perdere, presto qui tornerà la gente, vediamo di ripulire la città per allora!”
Si stava rimettendo in marcia, ma Rachel li trattenne.
“Io... non posso restare. Se voglio arrivare a casa prima che sia notte, devo muovermi adesso... Grazie. Di tutto”
I tre la guardarono. Kendrick le annuì e Rupert le dette una pacca sulla spalla, abbastanza vistosa da lasciarle un possibile livido. Milla invece le si avvicinò, sistemandole i capelli che la corsa in groppa a Zebstrika le aveva scompigliato.
“Stai attenta. Questo posto non sembra più sicuro... Sii responsabile e bada a te stessa”
Rachel annuì, facendo un passo indietro. Osservò l’Esca Ball di Carracosta, e la mise nel suo zaino, dopodiché risalì in groppa al suo Zebstrika, saluto con un cenno i tre e si avviò.
E mentre il sole spento cominciava a scendere la lunga scalinata del tramonto, Rachel si ritrovò a camminare lungo un percorso sterrato e fuori mano.
Strinse meglio il cappotto, il freddo non era poco, e si era alzato quel fastidioso vento, quello che quandò vedeva il mare soffiava e soffiava e non la finiva più.
Ed il vento, quando il sole non riscaldava, era una pugnalata nelle gambe.
Girò la testa verso sinistra, camminava verso est, poi avrebbe deviato, per raggiungere Primaluce.
Per raggiungere casa.
Casa. Questa parola, da un po’ di tempo, suonava sempre più poetica.
In fondo si chiedeva cosa fossa realmente una casa. E non si limitava all’essenziale, ovvero alle quattro mura ed al tetto.
La casa era qualcosa di diverso.
La casa è un posto in cui ti puoi sentire protetto, libero, dove dopo la scuola, o anche il lavoro, ti levi le scarpe e ti butti sul divano, stanco e fiero di esserlo.
“Sono a casa...”
Parole dette con un attimo di amarezza, certe volte può anche capitare questo. Sì, perché c’è chi senza muoversi, senza viaggiare non può stare. E nonostante tutto, quando tornano, amano godersi le mura amiche e tutti i comfort che contenevano.
Essenzialmente, quindi, per Rachel, la casa era un rifugio, che teneva lontano il mondo esterno.
La casa era una roccaforte, un castello. Una tana.
E se si ritrovò a correggersi, quando pensò di non aver mai avuto una casa, perché una casa che l’aveva avuta, convenne con sé stessa che se prima l’avesse avuto, in quel momento lei un casa non ce l’aveva.
Eh già, perché non dormiva nello stesso posto da giorni, lunghi e pieni di guai, almeno da quando aveva lasciato casa di Alma, che comunque gli lasciava un senso di inquietudine addosso.
Ed ora, che quella casa si era scoperta essere contemporaneamente la sua tana e quella del lupo, non sapeva che fare.
Doveva essere veloce. Dopo quella mattinata non voleva però sforzare di più i suoi Pokémon. Wizard sarebbe rimasto nella sfera, niente trotto quel giorno. Le avrebbe fatto bene un po’ di sana e buona camminata. Il mare era alla sua sinistra, e mormorava sicuramente riguardo quello che era successo.
Le avevano fatto un’impressione esagerata i Pokémon fermi e bloccati sul fondale, senza acqua.
Segnò mentalmente il fatto che, ove ma il mare si ritirasse all’improvviso, doveva scappare.
Onda anomala...ci mancava anche quella.
Nonostante tutto, però, assieme ai capipalestra ed a quel fortissimo e misterioso componente dei Superquattro, erano riusciti a scongiurare il pericolo.
In più Rupert le aveva dato anche un Carracosta. Quel Pokémon era davvero gagliardo. Si sentiva molto più competitiva ora.
In fondo era il Pokémon di un allenatore fortissimo.
Rupert, Milla e Mr. Kendrick. Avevano sfoderato una forza eccezionale, tanto da contrastare la natura stessa ed i suoi tentativi di riportare tutto alla normalità, di riprendersi ciò che era sua.
Era stato avvilente non poter aiutare più attivamente i tre, ma sembravano essersela cavata egregiamente anche senza il suo apporto.
Le sarebbe piaciuto diventare forte in quel modo, ma aveva capito che la sua vita non poteva basarsi su desideri come quello.
Essì, perché nel momento in cui si fosse ritenuta più forte, si sarebbe messa in cerca di nuove sfide, e quindi nuove avventure. E l’unica cosa di cui Rachel aveva seriamente bisogno, in quel momento, era un’altra doccia calda, anzi forse era meglio un bagno, di un cambio di vestiti, e di vedere nuovi orizzonti ed il sole da un’altra angolazione.
Avrebbe lasciato l’indomani Adamanta. E non l’avrebbe rimpianta.
Avrebbe incominciato una nuova vita.
Immaginava il suo futuro, ad Unima. Aveva sentito parlare di quello che era successo, lì, ma poi tutto si era risolto.
Unima era tranquilla, e ricca di possibilità.
Avrebbe imparato un mestiere, e si sarebbe data da fare fino a quando la sua salute glielo avrebbe permesso. Magari avrebbe incontrato un bel ragazzo, si sarebbe innamorata e stop.
Il resto faceva parte del fantastico libro dei desideri fatti da bambina, quello con la copertina rosa ed i fiocchettini.
Non le piacevano i fiocchettini, ma inevitabilmente immaginava così i pensieri d’infanzia.
Stava divagando troppo.
Quello che doveva fare era semplice: arrivare a Primaluce, truffare il gestore del supermercato dicendo che il conto lo avrebbe pagato Ryan, alla strafacciaccia sua, tornare a casa e chiudersi dentro. Doccia, cena abbondantissima, del tipo: se mangio ancora un po’ non posso più ingoiare tanto sono piena dal cibo, quindi relax, sonno e sveglia.
Semplice, lineare.
Al mattino si sarebbe servita di Zebstrika per raggiungere velocemente Solarea. Un’ora di trotto, due e mezza di cammino. Non distava molto.
La visuale del mare fu abbandonata non appena Rachel voltò ad una curva: di lì in poi sarebbe stato un solo e lungo rettilineo, che l’avrebbe portata a Primaluce, passando accanto a Miracielo.
Cercava di orientarsi, ma se non avesse viaggiato con Zack, quelle strade non se le sarebbe mai ricordate.
“Zack...”
Pensava a lui.
Quel ragazzo sfacciatamente vivace. E fottutamente bastardo.
Lo odiava. Ed in un certo senso il contrario, in un certo senso gli voleva bene. Sì, perché non voleva che il destino del mondo fosse segnato. Zack ci avrebbe provato, lui era ostinato.
Lui si doveva ostinare, o altrimenti lei avrebbe convissuto con i sensi di colpa fino a che non fosse morta. Aveva abbandonato la nave, lasciato Zack ed una pivella totale piena di soldi a guidare quella che dovrebbe essere la riconciliazione tra Arceus e l’umanità.
“Arceus...” fece poi. Alzò la testa al cielo, ancora celeste, ma quasi rosato. Il tramonto stava invadendo prepotentemente quella tela blu, macchiata di qualche nuvola qui e lì. Era proprio lì che viveva Arceus, nelle sue fantasie.
In cielo. Dove nessuno poteva vederlo.
Le domande le sorsero spontanee. Come poteva un dio far morire tutti per le azioni di pochi?
Forse non esisteva nessun dio. Forse gli antichi avevano solo troppa fantasia, forse Prima era una fanatica e Timoteo era morto senza alcun motivo plausibile.
Non ci voleva Arceus a far risvegliare Groudon. Avrebbe potuto benissimo risvegliarsi da solo, come aveva già fatto in precedenza più di una volta.
Ed anche gli altri Pokémon leggendari.
“Sì”
Arceus forse non esisteva neppure. Lei non lo aveva mai visto, né conosceva qualcuno che lo avesse fatto. Poi pensò che non aveva visto la stragrande maggioranza dei Pokémon esistenti, ma esistono vari criteri per classificare la rarità di un Pokémon.
Uno può essere raro, e vedere alcuni esemplare di specie di Feebas, per esempio, era davvero difficile.
Ma vedere alcuni esemplari di un Pokémon unico, era impossibile.
Di Arceus ne esisteva solo uno.
Sapeva che sarebbe potuta restare tutto il tempo possibile ed immaginabile a scervellarsi su quella cosa, ma non avrebbe fatto altro che aumentare i suoi dubbi.
Del resto quei pensieri servivano unicamente ad accompagnare i suoi passi pesanti e pieni di preoccupazione.
“Ciao”
Quella voce la conosceva già, era di un ragazzo. Non era Zack, no. E nemmeno Ryan.
Rachel si guardò attorno, senza vedere nulla, oltre che campi incolti di grano ed erba troppo alta per lasciare tranquilla la ragazza.
“Hey...non mi vedi?” chiese poi, lanciandole un sassolino sulla scarpa.
Rachel allora si voltò verso la sua destra; seduto per terra, con le gambe distese, c’era un ragazzo.
“Io...io ti conosco” fece Rachel.
“Certo che mi conosci”
“Non mi ricordo come ti chiami, ma mi ricordo che sfidasti il mio Larvitar”
“Esatto”
“E perdesti”
“Esatto anche questo...dove vai di bello?”
“Me ne vado”
“Per dove?”
“Fatti miei” rispose scontrose Rachel. Non le piacevano le persone troppo indiscrete.
“Eddai, non farti pregare...voglio solo fare due chiacchiere”
“Non ho tempo per chiacchierare, ora”. Rachel ricominciò a camminare, lasciando il ragazzo da solo, disteso sull’erba appiattita.
“Ma...aspetta!” quello si alzò velocemente e la raggiunse.
“Che vuoi, ancora?!”
“Lottare!”
“E perché?!”
“Ho allenato il mio Corphish, ora si è evoluto...voglio mostrarti i suoi miglioramenti”
“Ti credo sulla parola”
“Eddai!” quello gli balzò davanti, fermandola per le spalle. Era dannatamente alto.
Rachel sospirò, e girò la testa, cercando il mare con lo sguardo, senza risultato.
“Hey, tizio...”
“Mi chiamo Hugh”
“Ok, come ti chiami ti chiami...io non posso perdere tempo, ora”
“Ma che allenatrice sei?! Fai lottare i tuoi Pokémon!”
“È per via delle persone come te che ora Arceus è infuriato”
“Cosa?!”
“No, niente...”
“Ok...e comunque io ti ho detto il mio nome...tu non lo hai fatto”
“Ha importanza?”
“Certo che la ha. Dovrò vantarmi di averti battuto con i miei amici, e non posso dire che ho battuto la ragazza con i capelli neri e gli splendidi occhi azzurri”
Rachel inarcò un sopracciglio. Squallido tentativo di avances. “Spostati”
“Solo una lotta!”
“Ok...solo una lotta”
Hugh prese un’altra espressione in volto, e si allontano di qualche metro, per creare un po’ di spazio tra lui e la sua avversaria.
“Sceptile, scelgo te!” urlò quello.
“Sceptile?! Ma non avevi detto che utilizzavi Crawdant?”
“Non ero esattamente rimasto in questo modo...”
“Oh, sei il solito scorretto...non ho voglia di lottare, e spero finisca al più presto. Vai!”
Rachel lanciò una sfera per terra, dalla quale ne uscì Litwick.
“Un...un Litwick?!” chiese Hugh, incredulo. Poi però partì con una risata isterica e nervosa, da perfetto maniaco. “Questo è uno Sceptile! Uno Sceptile! E tu vorresti combattere con un Pokémon che non arriva nemmeno alle sue ginocchia?! Ma stiamo scherzando?!” e riprese a ridere
Rachel era sicura di ciò che faceva. Nonostante Litwick fosse molto incosciente da quando aveva conosciuto Zack aveva imparato ad allenare meglio i suoi Pokémon. E da quando si erano separati, voleva passare il suo tempo in modo costruttivo.
“Che ha che non va, Litwick? È perfetto”
“Come ti pare...vorrà dire che stavolta vincerò io...”
“Vedremo. Litwick comincia con Smog...” fece calma, Rachel. Ed era una calma irreale su di lei. Lei era sempre irrequieta, ma quella volta si sentiva così dannatamente tranquilla e sicura che niente avrebbe potuto smuovere le sue condizioni zen.
“Sceptile! Allontanati, quindi usa la coda come un ventaglio per spazzare lo smog”
Dalla candelina uscì del fumo viola, ricco di solo Arceus sa quali sostante nocive, e quando si stavano avvicinando a Sceptile, quello fece un enorme balzo finendo accanto a Hugh. Quindi sventaglio la grossa coda, disperdendo il fumo.
Hugh sogghignò.
“Ora utilizza l’Attacco Rapido!”
Sceptile si rivelò essere davvero veloce. Fisicamente quel Pokémon aveva delle caratteristiche incredibili. Tanta forza, ma soprattutto tanta velocità. Per non contare l’attacco speciale.
“Minimizzato” disse Rachel, e vide la sua piccola candelina scomparire sotto il corpo sfrecciante di Sceptile, che lo mancò. Quello si fermò, frenò, e per girarsi diede un colpo con le fronde della sua coda a Rachel, che perse l’equilibrio e ricadde nell’erba.
“Non vi nasconderete!” urlò Hugh. “Usa Battiterra! Calpestiamo lui e la sua piccola fiammella!”
Rachel incrociò le gambe, e vide Sceptile utilizzare ancora la coda come martello, per cercare di colpire Litwick.
Hugh sapeva dove si trovava. La ragazza dai bellissimi occhi azzurri non aveva ordinato di muoversi a Litwick, e quindi quello era ancora dove si era rimpicciolito.
Se fosse andato a segnò, l’attacco sarebbe stato superefficace.
“Facciamola finita. Litwick, vai con Fuocofatuo”
Proprio davanti a Rachel, che non accennava ad alzarsi, ricomparve Litwick. Una fiamma blu, come quelle ricche di gas, come quelle dei fornelli, colpi sulla schiena Sceptile.
Inizialmente quasi non si accorse dell’attacco, ma poi il tempo passava, ed il bruciore lo costrinse ad urlare dal dolore.
“Sceptile! Utilizza Forbice X!”
Quello avrebbe fatto male, una volta andato a segno.
“Litwick, Distortozona”
E d’improvviso l’attacco di Sceptile diventò così lento da permettere a Litwick di schivarlo con una facilità assurda.
“Io ho da fare, chiudiamola in fretta. Usa Lanciafiamme”
“Sceptile! Schivalo!”
Ma Sceptile era troppo lento, e la fiammata lo colpì in pieno, sul torace e sul collo. In più la scottatura sulla schiena non migliorava, anzi, portava sempre più allo stremo le forze di Sceptile.
“Non possiamo perdere contro un Litwick! Non posso perdere di nuovo contro di lei!”
Rachel sorrise, tronfia.
“Chiudiamola, ho fretta. Palla Ombra, Litwick”
La piccola candela, con il volto perfido, creò una sfera ricca di rabbia e cattiveria, che scagliò contro l’enorme lucertolone. Sceptile ruzzolò per terra.
Hugh ragionava.
“Attacco rapido!”
Quella doveva funzionare.
“Schivalo!”
Sceptile attaccò, e fece in tempo a colpire Litwick, che indietreggiò per terra di qualche metro.
Rachel sorrise e si rialzò da terra. Quello era troppo carino.
“Litwick...”
Qualcosa era cambiato.
“L’effetto di Distortozona è finito! Approfittiamone! Sceptile, Verdebufera!”
Sceptile allargò le braccia, e cominciò a sbattere la coda vorticosamente. Un vento enorme, e pieno di fronde, foglie e terreno cominciò ad abbattersi contro Rachel ed il povero Litwick.
“Lit...Litwick, resisti” sussurrò lei, a denti stretti.
“Soffia, Sceptile!” urlava felice Hugh.
Rachel doveva fare qualcosa. Non avrebbe potuto utilizzare mosse di fuoco, quel vento non creava le giuste condizioni per fare in modo che l’attacco andasse a segno.
Nonostante non fosse molto efficace, quell’attacco Verdebufera aveva arrecato molti danni al suo Pokémon.
Ci voleva una strategia intelligente.
“Litwick...usa Malcomune!”
Gli occhi del piccolo Litwick si oscurarono del tutto, e la candela quasi si spense, quando Sceptile terminò di attaccare, e prese a strillare in modo immane.
“Che cosa succede?!” urlò Hugh, sgomento.
“L’attacco Malcomune somma le energia residue dei nostri Pokémon, e le distribuisce equamente”
Hugh guardava il suo Sceptile semistremato, ripiegato su sé stesso.
Era vulnerabile.
“Ora, Litwick, vai con Sciagura!”
Litwick sorrise, e scattò verso l’avversario, ruotandogli attorno con calma quasi irreale. Un velo nero si stava lentamente abbassando su Sceptile. Questo poi lo ricoprì.
Sceptile urlò ancora, stavolta per l’ultima volta, prima di finire fuori combattimento.
Rachel sorrise, e ripose Litwick nella sua sfera. “Bravissimo, piccolo. L’allenamento funziona”
“Cosa?! Come è possibile?! Il mio Sceptile ha perso contro una candela!”
A Rachel quella cosa faceva ridere davvero tanto. Insomma, sapeva che Litwick fosse vicinissimo all’evoluzione, ma ad ogni modo era lo stesso un Pokémon potentissimo. Avrebbe dovuto ringraziare Alma.
“Non è il Pokémon a essere forte o debole. È l’allenatore ad essere uno scarso”
Rachel godette nel proferire quelle parole.
“Ma come ti permetti?! Tu non sai contro chi ho combattuto io! Dove sono arrivato con i miei Pokémon!”
“Ma so dove sei ora...in un campo, dopo aver perso una sconfitta contro una pivella”
“Tu imbrogli. Non può essere possibili. I tuoi Pokémon sono troppo forti”
“Non esistono Pokémon deboli e forti. Esistono allenatori bravi e non”
“Bah!” Hugh voltò le spalle e incamminandosi verso Edesea.
Fortunatamente il suo cammino si divideva da quello di Rachel.
“I tempi stringono, e non possiamo più aspettare. Ryan ha avuto notevoli difficoltà nello sconfiggere Zackary Recket, ma ora ha un team completo, si è allenato ed è motivato”
Lionell era in piedi, appoggiato col sedere sulla parte davanti della sua scrivania, mentre la luce gli inondava le spalle.
Chi aveva di fronte non riusciva a mettere a fuoco la sua faccia, bensì vedeva la sua silhouette scurita dal contrasto con la luce del sole del tramonto.
“Ryan e Marianne. Ora è il caso che a voi si affianchi Linda. Mi fa da aiutante, conosce benissimo il mio modo di ragionare e sa cosa farei in ogni momento. Siamo praticamente la stessa persona. Un tempo anche lei era una recluta, poi è passata ai piani alti...”
“Ciao, ragazzi” fece Linda, seria, alla loro sinistra. Marianne la squadrò, da brava donna vanitosa qual era e cominciò a segnarsi mentalmente tutti i suoi difetti fisici.
I pochi difetti fisici.
“Da oggi Linda seguirà le operazioni con voi. Il nostro obiettivo primario è Rachel Livingstone”
“Dobbiamo rapirla” sottolineò Linda.
Ryan deglutì. Doveva rapire sua sorella. Sì, per riaverla accanto.
“Quello che sappiamo su di lei è tutto in questa cartellina. Le ultime informazioni ci portano all’idea che Rachel stia per lasciare Adamanta. E questo è un peccato, perché a noi Rachel serve qui”
“E come mai?” domandò Marianne.
“Marianne” Lionell si staccò dalla scrivania e prese a camminare lentamente lungo il pavimento del suo ufficio, lasciando dietro i suoi passi un leggero velo d’inquietudine. “...tanti anni fa, più di mille, in questa stessa isola, le cose erano un po’ diverse. Il dio Arceus veniva adorato con convinzione da parte degli abitanti di Adamanta, e sul Monte Trave c’era un tempio in cui viveva l’oracolo di Arceus. Lei cercava di proteggere tutti, ma un malvagio re, chiamato Nestore, voleva impadronirsi del cristallo che permetteva all’oracolo di invocare la divinità, e fare suo il Pokémon tanto unico quanto potente. Non riuscì a farlo, e preso dall’ira ordinò a tutti i suoi sudditi di ammazzare i propri Pokémon. Noi dobbiamo tornare indietro ed evitare tutto questo, perché sarà quello il motivo di tutte le calamità di oggi”
“Cosa?!” Marianne spalancò gli occhi.
“Dobbiamo tornare indietro nel tempo, ed evitare questo inutile eccidio”
“E come pensa di poter tornare indietro nel tempo?!”
“Ragazzi...siete mai stati a Sinnoh?”
“No...” rispose Ryan.
“Beh, lì vive un leggendario Pokémon, padrone del tempo. Il suo nome è Dialga. Noi dovremo catturarlo, e tornare nell’Adamanta di mille anni fa”
“Oh...ma non cambieremo il tempo?” domandò Ryan.
“Dialga è in grado di modificare il flusso del tempo a suo piacimento. Certo, questo avrà delle ripercussioni sullo spazio...tempo e spazio vivono in simbiosi, e se si contrae uno dei due l’altro si espande. Quindi dobbiamo per forza gestire anche lo spazio”
“E come dovremmo fare?” domandò ancora Ryan.
“Esiste, sempre a Sinnoh, un Pokémon chiamato Palkia. Lui si occupa del tempo”
“Oh...ok...”
“Ma non siamo in grado di decidere un momento specifico ed esatto per tornare indietro. Dobbiamo per forza provare. E nel caso l’eccidio sia già avvenuto, dobbiamo rivolgerci direttamente ad Arceus. Ed è qui che entra in gioco Rachel”
“Rachel?”
“L’oracolo di Arceus, Prima, possedeva un cristallo, l’ho già detto. Poi lo fece sparire, nascondendolo dentro di sé. E lo trasmise a sua figlia, quando nacque e così via”
“Quindi...” Marianne si fece un rapido calcolo mentale.
“Quindi Rachel è una discendente di Prima. Rachel è il cristallo”
Attimo di sgomento.
“Ma loro credono che sia quella ragazza bionda, Mia, ad essere il cristallo!” esclamò Marianne.
“E noi dobbiamo approfittare di questa cosa per catturare Rachel, perché oltre al cristallo, ci serve anche l’oracolo, ovvero Prima. Dovremo tornare indietro nel tempo con Rachel, e fare in modo che Nestore non uccida nessuno”
“Benissimo...” sorrise Linda. “Se permettete ho un piano”
Le stelle fiorivano nel cielo di quel 22 Dicembre come non avevano mai fatto. Rachel si perse nel guardarle, mentre stava provando sulla sua pelle sensazioni contrastanti.
Era sul vialetto di casa sua, con lo zaino sulla spalla, i suoi cinque Pokémon nelle sfere e la spesa in mano.
Primaluce non era praticamente cambiata.
C’era solo una casa inabitata in più. Ryan aveva abbandonato il nido senza neanche curarsi di chiudere le persiane. Lo sciacallaggio, fortunatamente, in quei posti non era stato mai scoperto.
Cercò nel suo zaino, le chiavi di casa tintinnarono al tocco delle sue dita.
Era stanca. Aveva camminato per tantissimo tempo.
Infilò le chiavi nella serratura, e quasi le sembrò che qualcuno stesse facendo lo stesso, su di lei però, e con un coltello.
Sentiva che stava per aprire una ferita, e nel momento stesso in cui girò quella chiave, ed il meccanismo della serratura rispose buonasera con un semplice “tlac”, aveva capito che quella notte c’era poco da restar tranquilli.
Entrò dentro, il buio assorbiva tutto.
Preferì rimanere per un attimo al buio, dopo aver chiuso la porta. Ascoltava. Voleva accertarsi che non ci fosse davvero nessuno lì dentro, ed il buio aumentava la concentrazione uditiva, non ricordava dove lo aveva letto.
“Niente...nessun rumore”
Accese la luce. Quell’interruttore la salutò illuminando il salone per lei. Si guardò attorno.
Tutto era come lo ricordava. C’era un po’ di disordine, ma era naturale, pensò. Il terremoto aveva fatto i suoi danni, naturalmente.
Guardò il divano, c’erano due cuscini per terra e poi vide quel vecchio lampadario di tela, infeltrito e sporco.
Da quando sua madre, anzi, la madre di Ryan, se n’era andata, a quelle cose non ci faceva neanche più caso.
Martha Livingstone era davvero una santa donna. Nonostante gli impegni di lavoro non le permettessero di essere sempre presente, faceva di tutto per essere una brava madre.
Non le aveva mai fatto mancare niente.
Almeno fin quando non era stata strappata via dalle sue braccia.
Una lacrima era involontariamente scesa sulla guancia destra. Aveva voglia di rilassarsi.
“Uscite tutti fuori” disse Rachel. Voleva animare quella casa, sentire un po’ di compagnia, premiare gli sforzi dei suoi Pokémon ed in più avere qualcuno che la proteggesse efficacemente e con costanza.
I suoi compagni ebbero tutti una reazione particolare.
“Non rompete niente. Questa è la mia casa. O almeno lo è stata. Ci tengo”
Rachel si concentrò in particolar modo sulle sensazioni di Zorua. Lui si guardava attorno, felice e perplesso contemporaneamente.
Era nella casa dove correva e scorrazzava libero. Ricordava vagamente la sua routine, ma quello che non dimenticava mai era in assoluto il suo posto, quello nell’angolo a destra sul divano. Si acciambellò lì, prendendo sonno.
Gli altri si muovevano un po’ qui e lì, nel tentativo di esplorare quel nuovo ambiente.
Quell’espediente permise a Rachel di non sentire la solitudine e di evitare di perdersi nei meandri della sua mente.
Lo sapeva, e ne era più che convinta. Se avesse varcato la soglia della memoria, in quel posto, non ne sarebbe più uscita, e sarebbe caduta in un baratro incolmabile.
Non si sarebbe salvata.
Non sarebbe uscita.
Pensava, ed intanto accese il televisore. Lo schermo polveroso prese a dare notizie sparse.
“Come sempre. Ryan ed il suo dannato telegiornale”
Lo guardava sempre, il ragazzo. Era come ossessionato dalle cose che succedevano attorno a lui.
Quella casa ora sembrava un po’ più animata.
Si meritava una bella cena. Mise un po’ di mangiare per i suoi Pokémon in alcune ciotole. Qualcuna era di Zorua, altre del piccolo Trapinch di Ryan.
Carracosta e Litwick ne rimasero senza. “Poco male” si disse Rachel. Litwick avrebbe mangiato con le mani, mentre Carracosta avrebbe trovato il modo per nutrirsi.
Entrò infine in cucina, accendendo la luce. I mobili bianchi risplendevano lucidi al bagliore della lampadina. Il tavolo era capovolto. Con qualche difficoltà lo rimise in piedi, ed alzò anche una sedia.
Si era comprata un bel pezzo di pane, un paio di salsicce ed un sacchetto di patate surgelate.
Aveva voglia di patatine fritte.
Con tanto ketchup e maionese. Adorava la maionese.
Mise a preparare tutto, ed intanto apparecchiò la tavola. Ci voleva ancora un po’ di tempo prima che il cibo fosse pronto, quindi decise di salire, a controllare la sua stanza.
“Zorua...”
Quello alzò la testa dal suo cibo, poi la riabbassò.
“Seguimi...mangerai dopo”
Zorua a malincuore obbedì alla sua allenatrice, quindi salì lentamente le scale davanti a lei.
Rachel si premurò di accendere tutte le luci che trovava a portata di mano, se non altro per manifestare la sua presenza lì.
Zorua si voltava velocemente, rizzava le orecchie, cercava di capire cosa se veramente ci fosse qualcuno.
Rachel cominciò a pensare che forse avrebbe fatto meglio a far salire tutta la truppa. Più erano e più sarebbe stata protetta.
Invece era solo lei, con il suo Zorua, fuori la porta della sua stanza.
Fino ad allora era tutto tranquillo.
Rachel notò dei piccoli graffi nella parte bassa della porta. Erano stati fatti da Zorua, quando lei aveva scoperta della lettera di suo padre, o quello che era, e si era chiusa dentro da sola. Zorua era rimasto fuori, e grattò la porta nel tentativo di attirare l’attenzione ed entrare.
Zorua, d’altronde, reagiva d’istinto. Avvicinatosi alla porta, la toccò con la zampa. Rachel fece un passo indietro, non appena vide che quella si mosse con facilità. Uno scricchiolio, proveniente dai cardini, fece rabbrividire entrambi.
Zorua, piccolo cuor di leone, spinse più forte la porta, e la spalancò.
Rachel spalancò gli occhi. La finestra della sua stanza era totalmente spalancata. E non era questo a preoccuparla. Bensì quegli occhi rossi che la fissavano nel buio più che totale della stanza.
“Zorua...” quella indietreggiò.
Zorua prese a ringhiare. Poi abbaiò, facendo volare via l’intruso.
“Era...era solo un...un luridissimo Noctowl...” Rachel aveva il battito accelerato. Quegli occhi le avevano messo un’inquietudine addosso senza pari.
Zorua entrò nel buio, tranquillo. Era nel suo elemento.
Rachel lo seguì, quindi accese la luce.
Zorua era diventato un bambino. Il solito bambino con i capelli rossi ed arruffati. Si stese sul letto, e sorrise, allungando le mani.
A Zorua mancavano le notti in cui i due dormivano stretti, vicini.
Era stato costretto ad abituarsi alla Pokéball. Non gli piaceva assai.
“Non è il momento...”
Rachel aprì l’armadio, e ne prese la sua valigia. Poi notò le grucce per terra, gli abiti ed i pantaloni gettati per aria. Aveva davvero cercato di fare il più in fretta possibile quando aveva lasciato quella casa.
E ripiegare i vestiti e sistemare i pantaloni non le avrebbe di certo fatto dimezzare il tempo.
Aprì la valigia sul letto, accanto a Zorua, che la analizzò curioso, come con ogni cosa nuova che vedeva del resto.
Poi prese pantaloni, vestiti, ed accessori per la toeletta assolutamente necessari e non rimpiazzabili facilmente, quindi riempì la valigia.
Sorrise, e a fatica la portò giù, piazzandola vicino al divano, davanti alla porta.
“Oddio! Si stanno bruciando le patate!”
Le patate non si bruciarono.
Era tutto pronto, tutti erano in posizione.
Ryan visse un momento di agitazione purissima non appena vide che le luci in casa sua erano accese.
“Rachel...”
In mente gli ritornarono quelle immagini perverse ed incestuose.
Le rimosse con una manata, preparandosi mentalmente.
Poggiò la testa alla porta, quindi bussò, e fece un passo indietro.
Toc – toc.
La porta reclamava attenzione.
Rachel spalancò gli occhi.
Aveva appena finito di lavarsi, ed i capelli erano ancora umidi, ora legati con una bacchetta, in una pettinatura alta. Si alzò dal divano, indossando semplicemente dei comodi pantaloncini ed una canottiera bianca, evitando il reggiseno.
I piedi scalzi creavano un rumore piatto a contatto con il pavimento, e nonostante i passi fossero i più lenti possibili, arrivò alla porta in men che non si dica.
Avrebbe voluto evitare quell’incontro con il mondo esterno almeno fino al giorno dopo.
I capelli erano irrequieti come il suo respiro, anche Zorua aveva captato l’agitazione di Rachel. Si alzò e l’affiancò.
La ragazza non si accorse di essere stata accompagnata fino alla porta.
La mano viaggiò lentamente dai fianchi della ragazza fino alla maniglia della porta.
Sapeva che stava per commettere l’errore più grande della sua vita.
Lo sapeva.
“Lo sapevo...” disse tra sé e sé una volta che i suoi occhi azzurri incrociarono il fuoco di quelli di Ryan.
“Rachel...” quello pareva stranito.
“Ryan...”
Oggi fuori il capitolo 14. Buona lettura.
Stay ready. Go.
Andy $
Il muro d’acqua camminava veloce e potente sulla superficie del mare, avvicinandosi sempre di più alla costa della città di Solarea.
Rachel lo fissava attonita. Non aveva mai visto uno spettacolo simile se non in alcuni di quei film catastrofici che davano il venerdì in tv. Non si era resa conto di star nuovamente tremando. Fissava le schiene di Milla, Rupert e di quel misterioso uomo mascherato senza riuscire a trovarvi conforto.
Tuttavia non era quello il momento adatto per bloccarsi. Si morse il labbro, sentendo dopo qualche istante il sapore metallico del sangue. Aveva liberato tutti i suoi Pokémon, ma sapeva che nessuno di loro era davvero adatto.
“Come...” si bloccò, cercando di deglutire, e poi riprese “Come possiamo bloccare un’onda simile?”
La sua mente lavorava nel tentativo di pensare ad una soluzione in cui anche lei potesse far qualcosa. Invano.
Le spalle di Kendrick sussultarono leggermente.
“Hey, non mi sembra il caso di ridere così della ragazza. È inesperta.” Lo apostrofò gioviale Rupert.
‘Era una... risata?’ Rachel lo guardò perplessa.
“Kendrick non parla” le spiegò Milla, telegrafica.
Rachel annuì, lasciandosi sfuggire un “oh” di sorpresa e fissando il dandy in nero col malcelata curiosità.
“Non gli va di parlare, non è che muto. E non è sordo, tienilo a mente. Sente davvero tutto” Rupert glielo sussurrò con tono ilare, alzando il tono nell’ultima frase.
Rachel trovava tutto ciò... surreale.
Nonostante la situazione fosse critica quei tre sembravano mantenere un tono abbastanza tranquillo e Rupert si permetteva addirittura di scherzare.
Quelli nel frattempo si scambiavano sguardi e qualche commento, dopodiché Kendrick che aveva solo annuito un paio di volte salì nuovamente in groppa al suo Pidgeot, dirigendosi verso l’onda.
“Che cosa vuole fare?” Rachel sembrò volergli correre dietro, ma fu trattenuta da Milla.
“Lui disturberà l’onda con i venti, noi dobbiamo occuparci delle correnti marine e di proteggere la costa. Diamoci tutti da fare”
La ragazza piantò i suoi occhi in quelli di Rachel, che piano a piano si calmò.
“Ho capito” le rispose. “Ditemi cosa posso fare”
“Questi sono tutti i Pokémon che hai?” si intromise Rupert. I suoi occhi gentili fissavano i Pokémon della giovane, cercando di valutarne capacità e potenza. Rachel gli annuì di rimando, osservando Kendrick tirar fuori un Tropius e un Crobat, che iniziarono a loro volta a creare dei piccoli tornado in alcuni punti della baia.
Il capopalestra d’acqua si grattò la testa, pensoso.
“Okay, pendi questo” si decise alla fine. “Non posso controllare alla perfezione tutti i miei Pokémon contemporaneamente, quindi del mio Carracosta dovrai occupartene tu, per questa missione. Prendi il tuo Zebstrika e raggiungi la zona al limite del molo, da lì la vista è migliore. Una volta fatto, cerca di fare in modo che Carracosta crei correnti marine contrarie all’onda. Perpendicolari sarebbe l’ideale. Devono congiungersi con i Tornado, chiaro?” Rachel osservò l’Esca Ball. Le sembrava pesante. Sapeva bene che più che il peso fisico era quello psicologico che la rendeva pesante ai suoi occhi.
Accettandola si stava davvero mettendo in gioco. Senza possibilità di ritirata. Pensò a tutto ciò che aveva visto fino ad allora. Il terremoto che l’aveva colta con Zack all’alba della sua fuga, la ruota inclinata di Plamenia e i feriti sotto le macerie visti qualche istante prima.
Annuì all’uomo, e con un fischiò fece avvicinare Zebstrika. Milla l’avvicinò.
“Se permetti nel frattempo io utilizzerò il tuo Pupitar, servono quante più barriere naturali si possano creare per impedire l’avanzata dell’onda, hai qualche problema?”
L’allenatrice scosse la testa e fece un cenno a Pupitar, che diede mostra di aver capito la conversazione e che seguì l’atletica capopalestra verso la parte centrale della costa. Zorua e Litwick salirono anch’essi in groppa a Zebstrika e Rachel si spinse così verso il punto che le era stato indicato.
Rupert era rimasto nel luogo iniziale, e aveva chiamato il suo Blastoise. Il possente Pokémon Crostaceo osservava placido il mare. Nemmeno
l’impressionante onda in avvicinamento sembrava spaventarlo.
“Eccoci di nuovo, vecchio mio, di nuovo in pista!”
Rupert fece scrocchiare le mani, preparandosi ad impartire gli ordini ad i suoi Pokémon. Sapeva che non ci sarebbe stata una seconda possibilità e che tutto doveva andare alla perfezione. Chiamò in campo Lanturn e Golduck, scoccando un’occhiata a Rachel, mentre la vedeva raggiungere la sua posizione, controllare la situazione e tirar fuori il Carracosta.
Tornò a concentrarsi sui Pokémon, spiegandogli il piano e lasciando loro qualche istante per assimilarlo. Dopodiché tornò a rivolgere la sua attenzione al muro d’acqua. Sempre più vicino.
“È il momento!”
I Pokémon non avevano bisogno di nessun altro comando. Si diressero verso i punti che il capopalestra gli aveva indicato, avvicinandosi alle trombe d’aria create dai Pokémon volanti.
Il capopalestra era preoccupato. Aveva visto altre onde anomale, nel corso della sua vita, ma quella superava ogni precedente. L’unica strategia che era riuscito ad elaborare, sfruttando al massimo le abilità dei presenti era quella di creare nuove correnti, sia aeree che marine che convogliassero l’onda in altri punti e poi la disperdessero con calma. Milla si sarebbe occupata di creare delle barriere naturali, per proteggere la costa da eventuali residui della potenza dell’onda che si sarebbero abbattuti sulla terra e anche il suo Walrein era lì per quello scopo.
Tuttavia si sentiva inquieto. Non era la ragazzina a preoccuparlo, il suo Carracosta sapeva bene o male già cosa fare e l’aveva comunque spostata in una zona relativamente più sicura. Ma aveva un brutta sensazione su tutta quella faccenda.
Tutti quei casini non erano naturali. Terremoti e maremoti non erano mai capitati prima con quella frequenza. Non nella placida regione di Adamanta, dove persino i Capipalestra facevano così poco da potersi permettere di girovagare senza alcun problema. Sospirò, carezzando la testa del Pokémon Spaccagelo e preparandosi al peggio.
Rachel osservava la situazione con un’agitazione crescente. La baia sembrava divisa da una linea formata dai quattro tornado, cui gli attacchi acquatici dei vari Pokémon di Rupert si stavano congiungendo.
Era uno spettacolo mozzafiato.
In breve le colonne d’aria sembravano avere un doppio nel mare. Mulinelli d’acqua creavano una depressione sulla superficie marina,come se vi avessero scavato profonde buche.
Dopo pochi istanti, l’onda vi si infranse.
Nonostante la velocità a cui viaggiasse fosse decisamente alta, questa s’infranse contro i muri d’aria e contro le correnti marine. I Pokémon volanti di Mister Kendrick continuavano ad alimentare la potenza dei mulinelli d’aria, che avevano assorbito l’acqua al loro interno. Nel frattempo i mulinelli sottostanti continuavano ad ingrandirsi, ospitando man mano tutta l’acqua che gli s’infrangeva contro.
La ragazza aveva gli occhi sbarrati e si era lasciata cadere a terra. Era davvero questa la potenza di capipalestra e super4? Com’era possibile che esistessero allenatori e Pokémon simili?
Le onde pian piano si stavano calmando, la potenza dell’onda che era riuscita a sfuggire ai vari mulinelli non faceva altro che contrarsi con i muri di sabbia o ghiaccio che Rupert e Milla ergevano nei vari punti della costa.
Durò tutto meno di quanto credesse. Quando si riscosse dall’agitazione che l’aveva immobilizzata, la situazione si stava calmando. I Pokémon controllavano le correnti in modo da far placare gli attacchi e presto la superficie del mare tornò scossa solo da onde, che per quanto alte erano pressoché innocue.
Carracosta le si riavvicinò, scuotendosi di dosso l’acqua che gli si era accumulata sul guscio. Rachel lo guardò davvero per la prima volta. Era un esemplare gigantesco. Non sapeva quanto dovesse essere grande un esemplare medio, ma quello sembrava toccare i due metri. Una volta che le fu vicino la osservò incuriosito per qualche istante, prima di guardarsi intorno ed individuare il proprio allenatore.
Rachel si rialzò lentamente, osservando la situazione nuovamente sottocontrollo e si rimise in groppa a Zebstrika.
“Ehm... rientra nella tua sfera, ti riporto dal tuo padrone” Rachel lo guardava dubbiosa, nonostante fosse salita in groppa al suo Pokémon poteva quasi guardare la tartaruga negli occhi.
Carracosta annuì lievemente e lei lo richiamò nella sfera.
Si avviò con lentezza verso il centro della città, osservando la distruzione che il terremoto aveva portato.
Solarea era per lo più vuota. Il terrore dell’onda aveva fatto fuggire tutti gli abitanti. Era spaventata. Dai terremoti e dalle persone. Erano fuggiti tutti, abbandonando forse qualcuno sotto le macerie, abbandonando ciò che avevano di caro.
Sentì un brivido percorrerle la schiena. Era davvero così diversa da loro?
Si guardò intorno. Anche lei era scappata. Aveva abbandonato Ryan. Zack e Mia. La missione che aveva accettato.
Era davvero giusto quello che aveva fatto?
Zorua era con lei, sembrava aver intuito lo stato d’animo della ragazza, tant’è che, dal suo aspetto umano, allungò una mano, per carezzarle la testa. Il risultato fu piuttosto impacciato, ma Rachel lo apprezzò.
“Che devo fare?” la sua voce era un sussurro. Era confusa. Troppo.
Mentre era lì, in groppa al suo Pokémon a pensare alla pessima decisione presa, si accorse di essere arrivata al luogo d’incontro.
Milla era già lì, con Pupitar al suo fianco. Rachel smontando gli andò incontro.
“Allora, si è fatto valere?” chiese con aria orgogliosa.
La capopalestra annuì.
“È stato davvero preciso, è un buon Pokémon” esclamò contenta. Era sollevata, glielo si leggeva in viso. Nonostante nessuno l’avesse dato a vedere, era stato uno stress non indifferente anche per loro.
“Chissà cosa diamine sta succedendo... Sembra l’inizio dell’apocalisse” sospirò.
Rachel strinse i pugni d’istinto. “Finirà” disse “Presto finirà”
Più che Milla, Rachel stava cercando di convincere se stessa. Pensava a Zack. Lui era bravo. Ce l’avrebbe fatta. Lo ripeteva dentro di sé, come un mantra, nel tentativo di scacciare il dubbio.
Ma se si trovasse in difficoltà?
Quel pensiero le strisciava dentro. Era preoccupata. Non doveva, ma continuava ad esserlo.
Il ritorno di Rupert e Kendrick.
“Visto ragazze? Ce l’abbiamo fatta!” sembrava che il vociare del capopalestra compensasse anche il silenzio del Superquattro, che si limitò ad annuire, un movimento tanto elegante da risultare visibile solo per il cambio di luce che attraversò la sua maschera. Rachel si chiedeva come fosse realmente il suo viso. E la sua voce.
“Allora, come ti è sembrata la strategia?” chiese il capopalestra a Rachel.
Quella annuì. “È stata una fortuna che foste qui. Da sola... sarei stata persa.” lo disse guardando in basso. Quasi vergognandosi della sua inutilità.
“Nah, sbagli a pensarla così” le rispose Milla. “Hai aiutato anche tu, a salvare le persone dalle macerie, a tenere sotto controllo al situazione” aveva un sorriso caldo in viso.
“Certo” le fece eco il collega “...forse non sei stata indispensabile... ma è sempre meglio avere una riserva pronta!” era tornato ad aleggiare sul gruppo lo spirito ilare che governava l’ambiente prima dell’arrivo dell’onda.
“Solo perché non avevo Pokémon adatti” rispose puntuta Rachel “Se avessi avuto un Pokémon d’acqua mio avrei gestito la situazione anche da sola” scherzò di rimando.
Dentro di sé però lo pensava sul serio. Era colpa della sua debolezza. Di spirito, d’animo e fisica.
“Ma davvero?” sembrò prenderla sul serio il capopalestra. Kendrick scosse la testa, quasi a volerlo invitare a lasciar perdere l’argomento, ma quello non se ne accorse.
“Alla fine hai agito bene, quindi probabilmente hai ragione... Dove ti stavi dirigendo, eh, signorinella?”
Rachel si trovò impreparata per un istante.
“A... A Primaluce, signore.” rispose incuriosita dalla curiosità di quello.
“Come mai? Stai tornando a casa?” continuò incessante Rupert.
Rachel annuì, anche se non era vero. Ci passava solo, per casa. Se voleva partire doveva prendere altri bagagli. Se voleva.
Improvvisamente si sentì vacillare.
“Hmmm... non sembri convinta” la incalzò.
Milla e Kendrick sospirarono all’unisono. Consapevoli del fatto che l’uomo era ormai partito con il suo questionario.
“Non lo sono, infatti. Non del tutto.” titubava.
“Hm. Ragazza, non ti conosco e non ho il diritto di dirti nulla. Non so a cosa stai pensando, ma... Cerca di scegliere qualcosa di cui non ti pentirai in futuro. Sei giovane, ma ogni occasione ci appare davanti una volta sola. Devi scegliere con attenzione” rimase in silenzio per un istante.
“Ti auguro di scegliere il meglio per te.” esitò prima di continuare.
“Portalo con te. Il mio Carracosta, dico” Potresti trovarti nei guai sulla strada per Primaluce. Se un giorno ripasserai per Edesea me lo riporterai. E mi dirai se la scelta che hai fatto è stata quella che ti ha resa più serena.”
Milla lo osservava sbalordita. “Hey, Hey, Hey!” lo interrusse “Cosa diamine significa? Sei un capopalestra, non puoi liberarti dei tuoi Pokémon così!”
Quello la guardava confuso.
“I capipalestra proteggono i cittadini, no? Lei è una cittadina che senza quel Pokémon non sarebbe protetta, quindi è un’azione giusta per il mio ruolo”. E mentre rispondeva, Rupert strizzò l’occhio a Rachel, sorridendo, concludendo poi la conversazione con un gesto impaziente della mano.
“Adesso rimettiamoci al lavoro, non abbiamo tempo da perdere, presto qui tornerà la gente, vediamo di ripulire la città per allora!”
Si stava rimettendo in marcia, ma Rachel li trattenne.
“Io... non posso restare. Se voglio arrivare a casa prima che sia notte, devo muovermi adesso... Grazie. Di tutto”
I tre la guardarono. Kendrick le annuì e Rupert le dette una pacca sulla spalla, abbastanza vistosa da lasciarle un possibile livido. Milla invece le si avvicinò, sistemandole i capelli che la corsa in groppa a Zebstrika le aveva scompigliato.
“Stai attenta. Questo posto non sembra più sicuro... Sii responsabile e bada a te stessa”
Rachel annuì, facendo un passo indietro. Osservò l’Esca Ball di Carracosta, e la mise nel suo zaino, dopodiché risalì in groppa al suo Zebstrika, saluto con un cenno i tre e si avviò.
E mentre il sole spento cominciava a scendere la lunga scalinata del tramonto, Rachel si ritrovò a camminare lungo un percorso sterrato e fuori mano.
Strinse meglio il cappotto, il freddo non era poco, e si era alzato quel fastidioso vento, quello che quandò vedeva il mare soffiava e soffiava e non la finiva più.
Ed il vento, quando il sole non riscaldava, era una pugnalata nelle gambe.
Girò la testa verso sinistra, camminava verso est, poi avrebbe deviato, per raggiungere Primaluce.
Per raggiungere casa.
Casa. Questa parola, da un po’ di tempo, suonava sempre più poetica.
In fondo si chiedeva cosa fossa realmente una casa. E non si limitava all’essenziale, ovvero alle quattro mura ed al tetto.
La casa era qualcosa di diverso.
La casa è un posto in cui ti puoi sentire protetto, libero, dove dopo la scuola, o anche il lavoro, ti levi le scarpe e ti butti sul divano, stanco e fiero di esserlo.
“Sono a casa...”
Parole dette con un attimo di amarezza, certe volte può anche capitare questo. Sì, perché c’è chi senza muoversi, senza viaggiare non può stare. E nonostante tutto, quando tornano, amano godersi le mura amiche e tutti i comfort che contenevano.
Essenzialmente, quindi, per Rachel, la casa era un rifugio, che teneva lontano il mondo esterno.
La casa era una roccaforte, un castello. Una tana.
E se si ritrovò a correggersi, quando pensò di non aver mai avuto una casa, perché una casa che l’aveva avuta, convenne con sé stessa che se prima l’avesse avuto, in quel momento lei un casa non ce l’aveva.
Eh già, perché non dormiva nello stesso posto da giorni, lunghi e pieni di guai, almeno da quando aveva lasciato casa di Alma, che comunque gli lasciava un senso di inquietudine addosso.
Ed ora, che quella casa si era scoperta essere contemporaneamente la sua tana e quella del lupo, non sapeva che fare.
Doveva essere veloce. Dopo quella mattinata non voleva però sforzare di più i suoi Pokémon. Wizard sarebbe rimasto nella sfera, niente trotto quel giorno. Le avrebbe fatto bene un po’ di sana e buona camminata. Il mare era alla sua sinistra, e mormorava sicuramente riguardo quello che era successo.
Le avevano fatto un’impressione esagerata i Pokémon fermi e bloccati sul fondale, senza acqua.
Segnò mentalmente il fatto che, ove ma il mare si ritirasse all’improvviso, doveva scappare.
Onda anomala...ci mancava anche quella.
Nonostante tutto, però, assieme ai capipalestra ed a quel fortissimo e misterioso componente dei Superquattro, erano riusciti a scongiurare il pericolo.
In più Rupert le aveva dato anche un Carracosta. Quel Pokémon era davvero gagliardo. Si sentiva molto più competitiva ora.
In fondo era il Pokémon di un allenatore fortissimo.
Rupert, Milla e Mr. Kendrick. Avevano sfoderato una forza eccezionale, tanto da contrastare la natura stessa ed i suoi tentativi di riportare tutto alla normalità, di riprendersi ciò che era sua.
Era stato avvilente non poter aiutare più attivamente i tre, ma sembravano essersela cavata egregiamente anche senza il suo apporto.
Le sarebbe piaciuto diventare forte in quel modo, ma aveva capito che la sua vita non poteva basarsi su desideri come quello.
Essì, perché nel momento in cui si fosse ritenuta più forte, si sarebbe messa in cerca di nuove sfide, e quindi nuove avventure. E l’unica cosa di cui Rachel aveva seriamente bisogno, in quel momento, era un’altra doccia calda, anzi forse era meglio un bagno, di un cambio di vestiti, e di vedere nuovi orizzonti ed il sole da un’altra angolazione.
Avrebbe lasciato l’indomani Adamanta. E non l’avrebbe rimpianta.
Avrebbe incominciato una nuova vita.
Immaginava il suo futuro, ad Unima. Aveva sentito parlare di quello che era successo, lì, ma poi tutto si era risolto.
Unima era tranquilla, e ricca di possibilità.
Avrebbe imparato un mestiere, e si sarebbe data da fare fino a quando la sua salute glielo avrebbe permesso. Magari avrebbe incontrato un bel ragazzo, si sarebbe innamorata e stop.
Il resto faceva parte del fantastico libro dei desideri fatti da bambina, quello con la copertina rosa ed i fiocchettini.
Non le piacevano i fiocchettini, ma inevitabilmente immaginava così i pensieri d’infanzia.
Stava divagando troppo.
Quello che doveva fare era semplice: arrivare a Primaluce, truffare il gestore del supermercato dicendo che il conto lo avrebbe pagato Ryan, alla strafacciaccia sua, tornare a casa e chiudersi dentro. Doccia, cena abbondantissima, del tipo: se mangio ancora un po’ non posso più ingoiare tanto sono piena dal cibo, quindi relax, sonno e sveglia.
Semplice, lineare.
Al mattino si sarebbe servita di Zebstrika per raggiungere velocemente Solarea. Un’ora di trotto, due e mezza di cammino. Non distava molto.
La visuale del mare fu abbandonata non appena Rachel voltò ad una curva: di lì in poi sarebbe stato un solo e lungo rettilineo, che l’avrebbe portata a Primaluce, passando accanto a Miracielo.
Cercava di orientarsi, ma se non avesse viaggiato con Zack, quelle strade non se le sarebbe mai ricordate.
“Zack...”
Pensava a lui.
Quel ragazzo sfacciatamente vivace. E fottutamente bastardo.
Lo odiava. Ed in un certo senso il contrario, in un certo senso gli voleva bene. Sì, perché non voleva che il destino del mondo fosse segnato. Zack ci avrebbe provato, lui era ostinato.
Lui si doveva ostinare, o altrimenti lei avrebbe convissuto con i sensi di colpa fino a che non fosse morta. Aveva abbandonato la nave, lasciato Zack ed una pivella totale piena di soldi a guidare quella che dovrebbe essere la riconciliazione tra Arceus e l’umanità.
“Arceus...” fece poi. Alzò la testa al cielo, ancora celeste, ma quasi rosato. Il tramonto stava invadendo prepotentemente quella tela blu, macchiata di qualche nuvola qui e lì. Era proprio lì che viveva Arceus, nelle sue fantasie.
In cielo. Dove nessuno poteva vederlo.
Le domande le sorsero spontanee. Come poteva un dio far morire tutti per le azioni di pochi?
Forse non esisteva nessun dio. Forse gli antichi avevano solo troppa fantasia, forse Prima era una fanatica e Timoteo era morto senza alcun motivo plausibile.
Non ci voleva Arceus a far risvegliare Groudon. Avrebbe potuto benissimo risvegliarsi da solo, come aveva già fatto in precedenza più di una volta.
Ed anche gli altri Pokémon leggendari.
“Sì”
Arceus forse non esisteva neppure. Lei non lo aveva mai visto, né conosceva qualcuno che lo avesse fatto. Poi pensò che non aveva visto la stragrande maggioranza dei Pokémon esistenti, ma esistono vari criteri per classificare la rarità di un Pokémon.
Uno può essere raro, e vedere alcuni esemplare di specie di Feebas, per esempio, era davvero difficile.
Ma vedere alcuni esemplari di un Pokémon unico, era impossibile.
Di Arceus ne esisteva solo uno.
Sapeva che sarebbe potuta restare tutto il tempo possibile ed immaginabile a scervellarsi su quella cosa, ma non avrebbe fatto altro che aumentare i suoi dubbi.
Del resto quei pensieri servivano unicamente ad accompagnare i suoi passi pesanti e pieni di preoccupazione.
“Ciao”
Quella voce la conosceva già, era di un ragazzo. Non era Zack, no. E nemmeno Ryan.
Rachel si guardò attorno, senza vedere nulla, oltre che campi incolti di grano ed erba troppo alta per lasciare tranquilla la ragazza.
“Hey...non mi vedi?” chiese poi, lanciandole un sassolino sulla scarpa.
Rachel allora si voltò verso la sua destra; seduto per terra, con le gambe distese, c’era un ragazzo.
“Io...io ti conosco” fece Rachel.
“Certo che mi conosci”
“Non mi ricordo come ti chiami, ma mi ricordo che sfidasti il mio Larvitar”
“Esatto”
“E perdesti”
“Esatto anche questo...dove vai di bello?”
“Me ne vado”
“Per dove?”
“Fatti miei” rispose scontrose Rachel. Non le piacevano le persone troppo indiscrete.
“Eddai, non farti pregare...voglio solo fare due chiacchiere”
“Non ho tempo per chiacchierare, ora”. Rachel ricominciò a camminare, lasciando il ragazzo da solo, disteso sull’erba appiattita.
“Ma...aspetta!” quello si alzò velocemente e la raggiunse.
“Che vuoi, ancora?!”
“Lottare!”
“E perché?!”
“Ho allenato il mio Corphish, ora si è evoluto...voglio mostrarti i suoi miglioramenti”
“Ti credo sulla parola”
“Eddai!” quello gli balzò davanti, fermandola per le spalle. Era dannatamente alto.
Rachel sospirò, e girò la testa, cercando il mare con lo sguardo, senza risultato.
“Hey, tizio...”
“Mi chiamo Hugh”
“Ok, come ti chiami ti chiami...io non posso perdere tempo, ora”
“Ma che allenatrice sei?! Fai lottare i tuoi Pokémon!”
“È per via delle persone come te che ora Arceus è infuriato”
“Cosa?!”
“No, niente...”
“Ok...e comunque io ti ho detto il mio nome...tu non lo hai fatto”
“Ha importanza?”
“Certo che la ha. Dovrò vantarmi di averti battuto con i miei amici, e non posso dire che ho battuto la ragazza con i capelli neri e gli splendidi occhi azzurri”
Rachel inarcò un sopracciglio. Squallido tentativo di avances. “Spostati”
“Solo una lotta!”
“Ok...solo una lotta”
Hugh prese un’altra espressione in volto, e si allontano di qualche metro, per creare un po’ di spazio tra lui e la sua avversaria.
“Sceptile, scelgo te!” urlò quello.
“Sceptile?! Ma non avevi detto che utilizzavi Crawdant?”
“Non ero esattamente rimasto in questo modo...”
“Oh, sei il solito scorretto...non ho voglia di lottare, e spero finisca al più presto. Vai!”
Rachel lanciò una sfera per terra, dalla quale ne uscì Litwick.
“Un...un Litwick?!” chiese Hugh, incredulo. Poi però partì con una risata isterica e nervosa, da perfetto maniaco. “Questo è uno Sceptile! Uno Sceptile! E tu vorresti combattere con un Pokémon che non arriva nemmeno alle sue ginocchia?! Ma stiamo scherzando?!” e riprese a ridere
Rachel era sicura di ciò che faceva. Nonostante Litwick fosse molto incosciente da quando aveva conosciuto Zack aveva imparato ad allenare meglio i suoi Pokémon. E da quando si erano separati, voleva passare il suo tempo in modo costruttivo.
“Che ha che non va, Litwick? È perfetto”
“Come ti pare...vorrà dire che stavolta vincerò io...”
“Vedremo. Litwick comincia con Smog...” fece calma, Rachel. Ed era una calma irreale su di lei. Lei era sempre irrequieta, ma quella volta si sentiva così dannatamente tranquilla e sicura che niente avrebbe potuto smuovere le sue condizioni zen.
“Sceptile! Allontanati, quindi usa la coda come un ventaglio per spazzare lo smog”
Dalla candelina uscì del fumo viola, ricco di solo Arceus sa quali sostante nocive, e quando si stavano avvicinando a Sceptile, quello fece un enorme balzo finendo accanto a Hugh. Quindi sventaglio la grossa coda, disperdendo il fumo.
Hugh sogghignò.
“Ora utilizza l’Attacco Rapido!”
Sceptile si rivelò essere davvero veloce. Fisicamente quel Pokémon aveva delle caratteristiche incredibili. Tanta forza, ma soprattutto tanta velocità. Per non contare l’attacco speciale.
“Minimizzato” disse Rachel, e vide la sua piccola candelina scomparire sotto il corpo sfrecciante di Sceptile, che lo mancò. Quello si fermò, frenò, e per girarsi diede un colpo con le fronde della sua coda a Rachel, che perse l’equilibrio e ricadde nell’erba.
“Non vi nasconderete!” urlò Hugh. “Usa Battiterra! Calpestiamo lui e la sua piccola fiammella!”
Rachel incrociò le gambe, e vide Sceptile utilizzare ancora la coda come martello, per cercare di colpire Litwick.
Hugh sapeva dove si trovava. La ragazza dai bellissimi occhi azzurri non aveva ordinato di muoversi a Litwick, e quindi quello era ancora dove si era rimpicciolito.
Se fosse andato a segnò, l’attacco sarebbe stato superefficace.
“Facciamola finita. Litwick, vai con Fuocofatuo”
Proprio davanti a Rachel, che non accennava ad alzarsi, ricomparve Litwick. Una fiamma blu, come quelle ricche di gas, come quelle dei fornelli, colpi sulla schiena Sceptile.
Inizialmente quasi non si accorse dell’attacco, ma poi il tempo passava, ed il bruciore lo costrinse ad urlare dal dolore.
“Sceptile! Utilizza Forbice X!”
Quello avrebbe fatto male, una volta andato a segno.
“Litwick, Distortozona”
E d’improvviso l’attacco di Sceptile diventò così lento da permettere a Litwick di schivarlo con una facilità assurda.
“Io ho da fare, chiudiamola in fretta. Usa Lanciafiamme”
“Sceptile! Schivalo!”
Ma Sceptile era troppo lento, e la fiammata lo colpì in pieno, sul torace e sul collo. In più la scottatura sulla schiena non migliorava, anzi, portava sempre più allo stremo le forze di Sceptile.
“Non possiamo perdere contro un Litwick! Non posso perdere di nuovo contro di lei!”
Rachel sorrise, tronfia.
“Chiudiamola, ho fretta. Palla Ombra, Litwick”
La piccola candela, con il volto perfido, creò una sfera ricca di rabbia e cattiveria, che scagliò contro l’enorme lucertolone. Sceptile ruzzolò per terra.
Hugh ragionava.
“Attacco rapido!”
Quella doveva funzionare.
“Schivalo!”
Sceptile attaccò, e fece in tempo a colpire Litwick, che indietreggiò per terra di qualche metro.
Rachel sorrise e si rialzò da terra. Quello era troppo carino.
“Litwick...”
Qualcosa era cambiato.
“L’effetto di Distortozona è finito! Approfittiamone! Sceptile, Verdebufera!”
Sceptile allargò le braccia, e cominciò a sbattere la coda vorticosamente. Un vento enorme, e pieno di fronde, foglie e terreno cominciò ad abbattersi contro Rachel ed il povero Litwick.
“Lit...Litwick, resisti” sussurrò lei, a denti stretti.
“Soffia, Sceptile!” urlava felice Hugh.
Rachel doveva fare qualcosa. Non avrebbe potuto utilizzare mosse di fuoco, quel vento non creava le giuste condizioni per fare in modo che l’attacco andasse a segno.
Nonostante non fosse molto efficace, quell’attacco Verdebufera aveva arrecato molti danni al suo Pokémon.
Ci voleva una strategia intelligente.
“Litwick...usa Malcomune!”
Gli occhi del piccolo Litwick si oscurarono del tutto, e la candela quasi si spense, quando Sceptile terminò di attaccare, e prese a strillare in modo immane.
“Che cosa succede?!” urlò Hugh, sgomento.
“L’attacco Malcomune somma le energia residue dei nostri Pokémon, e le distribuisce equamente”
Hugh guardava il suo Sceptile semistremato, ripiegato su sé stesso.
Era vulnerabile.
“Ora, Litwick, vai con Sciagura!”
Litwick sorrise, e scattò verso l’avversario, ruotandogli attorno con calma quasi irreale. Un velo nero si stava lentamente abbassando su Sceptile. Questo poi lo ricoprì.
Sceptile urlò ancora, stavolta per l’ultima volta, prima di finire fuori combattimento.
Rachel sorrise, e ripose Litwick nella sua sfera. “Bravissimo, piccolo. L’allenamento funziona”
“Cosa?! Come è possibile?! Il mio Sceptile ha perso contro una candela!”
A Rachel quella cosa faceva ridere davvero tanto. Insomma, sapeva che Litwick fosse vicinissimo all’evoluzione, ma ad ogni modo era lo stesso un Pokémon potentissimo. Avrebbe dovuto ringraziare Alma.
“Non è il Pokémon a essere forte o debole. È l’allenatore ad essere uno scarso”
Rachel godette nel proferire quelle parole.
“Ma come ti permetti?! Tu non sai contro chi ho combattuto io! Dove sono arrivato con i miei Pokémon!”
“Ma so dove sei ora...in un campo, dopo aver perso una sconfitta contro una pivella”
“Tu imbrogli. Non può essere possibili. I tuoi Pokémon sono troppo forti”
“Non esistono Pokémon deboli e forti. Esistono allenatori bravi e non”
“Bah!” Hugh voltò le spalle e incamminandosi verso Edesea.
Fortunatamente il suo cammino si divideva da quello di Rachel.
“I tempi stringono, e non possiamo più aspettare. Ryan ha avuto notevoli difficoltà nello sconfiggere Zackary Recket, ma ora ha un team completo, si è allenato ed è motivato”
Lionell era in piedi, appoggiato col sedere sulla parte davanti della sua scrivania, mentre la luce gli inondava le spalle.
Chi aveva di fronte non riusciva a mettere a fuoco la sua faccia, bensì vedeva la sua silhouette scurita dal contrasto con la luce del sole del tramonto.
“Ryan e Marianne. Ora è il caso che a voi si affianchi Linda. Mi fa da aiutante, conosce benissimo il mio modo di ragionare e sa cosa farei in ogni momento. Siamo praticamente la stessa persona. Un tempo anche lei era una recluta, poi è passata ai piani alti...”
“Ciao, ragazzi” fece Linda, seria, alla loro sinistra. Marianne la squadrò, da brava donna vanitosa qual era e cominciò a segnarsi mentalmente tutti i suoi difetti fisici.
I pochi difetti fisici.
“Da oggi Linda seguirà le operazioni con voi. Il nostro obiettivo primario è Rachel Livingstone”
“Dobbiamo rapirla” sottolineò Linda.
Ryan deglutì. Doveva rapire sua sorella. Sì, per riaverla accanto.
“Quello che sappiamo su di lei è tutto in questa cartellina. Le ultime informazioni ci portano all’idea che Rachel stia per lasciare Adamanta. E questo è un peccato, perché a noi Rachel serve qui”
“E come mai?” domandò Marianne.
“Marianne” Lionell si staccò dalla scrivania e prese a camminare lentamente lungo il pavimento del suo ufficio, lasciando dietro i suoi passi un leggero velo d’inquietudine. “...tanti anni fa, più di mille, in questa stessa isola, le cose erano un po’ diverse. Il dio Arceus veniva adorato con convinzione da parte degli abitanti di Adamanta, e sul Monte Trave c’era un tempio in cui viveva l’oracolo di Arceus. Lei cercava di proteggere tutti, ma un malvagio re, chiamato Nestore, voleva impadronirsi del cristallo che permetteva all’oracolo di invocare la divinità, e fare suo il Pokémon tanto unico quanto potente. Non riuscì a farlo, e preso dall’ira ordinò a tutti i suoi sudditi di ammazzare i propri Pokémon. Noi dobbiamo tornare indietro ed evitare tutto questo, perché sarà quello il motivo di tutte le calamità di oggi”
“Cosa?!” Marianne spalancò gli occhi.
“Dobbiamo tornare indietro nel tempo, ed evitare questo inutile eccidio”
“E come pensa di poter tornare indietro nel tempo?!”
“Ragazzi...siete mai stati a Sinnoh?”
“No...” rispose Ryan.
“Beh, lì vive un leggendario Pokémon, padrone del tempo. Il suo nome è Dialga. Noi dovremo catturarlo, e tornare nell’Adamanta di mille anni fa”
“Oh...ma non cambieremo il tempo?” domandò Ryan.
“Dialga è in grado di modificare il flusso del tempo a suo piacimento. Certo, questo avrà delle ripercussioni sullo spazio...tempo e spazio vivono in simbiosi, e se si contrae uno dei due l’altro si espande. Quindi dobbiamo per forza gestire anche lo spazio”
“E come dovremmo fare?” domandò ancora Ryan.
“Esiste, sempre a Sinnoh, un Pokémon chiamato Palkia. Lui si occupa del tempo”
“Oh...ok...”
“Ma non siamo in grado di decidere un momento specifico ed esatto per tornare indietro. Dobbiamo per forza provare. E nel caso l’eccidio sia già avvenuto, dobbiamo rivolgerci direttamente ad Arceus. Ed è qui che entra in gioco Rachel”
“Rachel?”
“L’oracolo di Arceus, Prima, possedeva un cristallo, l’ho già detto. Poi lo fece sparire, nascondendolo dentro di sé. E lo trasmise a sua figlia, quando nacque e così via”
“Quindi...” Marianne si fece un rapido calcolo mentale.
“Quindi Rachel è una discendente di Prima. Rachel è il cristallo”
Attimo di sgomento.
“Ma loro credono che sia quella ragazza bionda, Mia, ad essere il cristallo!” esclamò Marianne.
“E noi dobbiamo approfittare di questa cosa per catturare Rachel, perché oltre al cristallo, ci serve anche l’oracolo, ovvero Prima. Dovremo tornare indietro nel tempo con Rachel, e fare in modo che Nestore non uccida nessuno”
“Benissimo...” sorrise Linda. “Se permettete ho un piano”
Le stelle fiorivano nel cielo di quel 22 Dicembre come non avevano mai fatto. Rachel si perse nel guardarle, mentre stava provando sulla sua pelle sensazioni contrastanti.
Era sul vialetto di casa sua, con lo zaino sulla spalla, i suoi cinque Pokémon nelle sfere e la spesa in mano.
Primaluce non era praticamente cambiata.
C’era solo una casa inabitata in più. Ryan aveva abbandonato il nido senza neanche curarsi di chiudere le persiane. Lo sciacallaggio, fortunatamente, in quei posti non era stato mai scoperto.
Cercò nel suo zaino, le chiavi di casa tintinnarono al tocco delle sue dita.
Era stanca. Aveva camminato per tantissimo tempo.
Infilò le chiavi nella serratura, e quasi le sembrò che qualcuno stesse facendo lo stesso, su di lei però, e con un coltello.
Sentiva che stava per aprire una ferita, e nel momento stesso in cui girò quella chiave, ed il meccanismo della serratura rispose buonasera con un semplice “tlac”, aveva capito che quella notte c’era poco da restar tranquilli.
Entrò dentro, il buio assorbiva tutto.
Preferì rimanere per un attimo al buio, dopo aver chiuso la porta. Ascoltava. Voleva accertarsi che non ci fosse davvero nessuno lì dentro, ed il buio aumentava la concentrazione uditiva, non ricordava dove lo aveva letto.
“Niente...nessun rumore”
Accese la luce. Quell’interruttore la salutò illuminando il salone per lei. Si guardò attorno.
Tutto era come lo ricordava. C’era un po’ di disordine, ma era naturale, pensò. Il terremoto aveva fatto i suoi danni, naturalmente.
Guardò il divano, c’erano due cuscini per terra e poi vide quel vecchio lampadario di tela, infeltrito e sporco.
Da quando sua madre, anzi, la madre di Ryan, se n’era andata, a quelle cose non ci faceva neanche più caso.
Martha Livingstone era davvero una santa donna. Nonostante gli impegni di lavoro non le permettessero di essere sempre presente, faceva di tutto per essere una brava madre.
Non le aveva mai fatto mancare niente.
Almeno fin quando non era stata strappata via dalle sue braccia.
Una lacrima era involontariamente scesa sulla guancia destra. Aveva voglia di rilassarsi.
“Uscite tutti fuori” disse Rachel. Voleva animare quella casa, sentire un po’ di compagnia, premiare gli sforzi dei suoi Pokémon ed in più avere qualcuno che la proteggesse efficacemente e con costanza.
I suoi compagni ebbero tutti una reazione particolare.
“Non rompete niente. Questa è la mia casa. O almeno lo è stata. Ci tengo”
Rachel si concentrò in particolar modo sulle sensazioni di Zorua. Lui si guardava attorno, felice e perplesso contemporaneamente.
Era nella casa dove correva e scorrazzava libero. Ricordava vagamente la sua routine, ma quello che non dimenticava mai era in assoluto il suo posto, quello nell’angolo a destra sul divano. Si acciambellò lì, prendendo sonno.
Gli altri si muovevano un po’ qui e lì, nel tentativo di esplorare quel nuovo ambiente.
Quell’espediente permise a Rachel di non sentire la solitudine e di evitare di perdersi nei meandri della sua mente.
Lo sapeva, e ne era più che convinta. Se avesse varcato la soglia della memoria, in quel posto, non ne sarebbe più uscita, e sarebbe caduta in un baratro incolmabile.
Non si sarebbe salvata.
Non sarebbe uscita.
Pensava, ed intanto accese il televisore. Lo schermo polveroso prese a dare notizie sparse.
“Come sempre. Ryan ed il suo dannato telegiornale”
Lo guardava sempre, il ragazzo. Era come ossessionato dalle cose che succedevano attorno a lui.
Quella casa ora sembrava un po’ più animata.
Si meritava una bella cena. Mise un po’ di mangiare per i suoi Pokémon in alcune ciotole. Qualcuna era di Zorua, altre del piccolo Trapinch di Ryan.
Carracosta e Litwick ne rimasero senza. “Poco male” si disse Rachel. Litwick avrebbe mangiato con le mani, mentre Carracosta avrebbe trovato il modo per nutrirsi.
Entrò infine in cucina, accendendo la luce. I mobili bianchi risplendevano lucidi al bagliore della lampadina. Il tavolo era capovolto. Con qualche difficoltà lo rimise in piedi, ed alzò anche una sedia.
Si era comprata un bel pezzo di pane, un paio di salsicce ed un sacchetto di patate surgelate.
Aveva voglia di patatine fritte.
Con tanto ketchup e maionese. Adorava la maionese.
Mise a preparare tutto, ed intanto apparecchiò la tavola. Ci voleva ancora un po’ di tempo prima che il cibo fosse pronto, quindi decise di salire, a controllare la sua stanza.
“Zorua...”
Quello alzò la testa dal suo cibo, poi la riabbassò.
“Seguimi...mangerai dopo”
Zorua a malincuore obbedì alla sua allenatrice, quindi salì lentamente le scale davanti a lei.
Rachel si premurò di accendere tutte le luci che trovava a portata di mano, se non altro per manifestare la sua presenza lì.
Zorua si voltava velocemente, rizzava le orecchie, cercava di capire cosa se veramente ci fosse qualcuno.
Rachel cominciò a pensare che forse avrebbe fatto meglio a far salire tutta la truppa. Più erano e più sarebbe stata protetta.
Invece era solo lei, con il suo Zorua, fuori la porta della sua stanza.
Fino ad allora era tutto tranquillo.
Rachel notò dei piccoli graffi nella parte bassa della porta. Erano stati fatti da Zorua, quando lei aveva scoperta della lettera di suo padre, o quello che era, e si era chiusa dentro da sola. Zorua era rimasto fuori, e grattò la porta nel tentativo di attirare l’attenzione ed entrare.
Zorua, d’altronde, reagiva d’istinto. Avvicinatosi alla porta, la toccò con la zampa. Rachel fece un passo indietro, non appena vide che quella si mosse con facilità. Uno scricchiolio, proveniente dai cardini, fece rabbrividire entrambi.
Zorua, piccolo cuor di leone, spinse più forte la porta, e la spalancò.
Rachel spalancò gli occhi. La finestra della sua stanza era totalmente spalancata. E non era questo a preoccuparla. Bensì quegli occhi rossi che la fissavano nel buio più che totale della stanza.
“Zorua...” quella indietreggiò.
Zorua prese a ringhiare. Poi abbaiò, facendo volare via l’intruso.
“Era...era solo un...un luridissimo Noctowl...” Rachel aveva il battito accelerato. Quegli occhi le avevano messo un’inquietudine addosso senza pari.
Zorua entrò nel buio, tranquillo. Era nel suo elemento.
Rachel lo seguì, quindi accese la luce.
Zorua era diventato un bambino. Il solito bambino con i capelli rossi ed arruffati. Si stese sul letto, e sorrise, allungando le mani.
A Zorua mancavano le notti in cui i due dormivano stretti, vicini.
Era stato costretto ad abituarsi alla Pokéball. Non gli piaceva assai.
“Non è il momento...”
Rachel aprì l’armadio, e ne prese la sua valigia. Poi notò le grucce per terra, gli abiti ed i pantaloni gettati per aria. Aveva davvero cercato di fare il più in fretta possibile quando aveva lasciato quella casa.
E ripiegare i vestiti e sistemare i pantaloni non le avrebbe di certo fatto dimezzare il tempo.
Aprì la valigia sul letto, accanto a Zorua, che la analizzò curioso, come con ogni cosa nuova che vedeva del resto.
Poi prese pantaloni, vestiti, ed accessori per la toeletta assolutamente necessari e non rimpiazzabili facilmente, quindi riempì la valigia.
Sorrise, e a fatica la portò giù, piazzandola vicino al divano, davanti alla porta.
“Oddio! Si stanno bruciando le patate!”
Le patate non si bruciarono.
Era tutto pronto, tutti erano in posizione.
Ryan visse un momento di agitazione purissima non appena vide che le luci in casa sua erano accese.
“Rachel...”
In mente gli ritornarono quelle immagini perverse ed incestuose.
Le rimosse con una manata, preparandosi mentalmente.
Poggiò la testa alla porta, quindi bussò, e fece un passo indietro.
Toc – toc.
La porta reclamava attenzione.
Rachel spalancò gli occhi.
Aveva appena finito di lavarsi, ed i capelli erano ancora umidi, ora legati con una bacchetta, in una pettinatura alta. Si alzò dal divano, indossando semplicemente dei comodi pantaloncini ed una canottiera bianca, evitando il reggiseno.
I piedi scalzi creavano un rumore piatto a contatto con il pavimento, e nonostante i passi fossero i più lenti possibili, arrivò alla porta in men che non si dica.
Avrebbe voluto evitare quell’incontro con il mondo esterno almeno fino al giorno dopo.
I capelli erano irrequieti come il suo respiro, anche Zorua aveva captato l’agitazione di Rachel. Si alzò e l’affiancò.
La ragazza non si accorse di essere stata accompagnata fino alla porta.
La mano viaggiò lentamente dai fianchi della ragazza fino alla maniglia della porta.
Sapeva che stava per commettere l’errore più grande della sua vita.
Lo sapeva.
“Lo sapevo...” disse tra sé e sé una volta che i suoi occhi azzurri incrociarono il fuoco di quelli di Ryan.
“Rachel...” quello pareva stranito.
“Ryan...”
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