Caspita, anche a tarda notte ho tanto piacere nel pubblicare un capitolo della nostra storia. Questo è arrivato un po' in ritardo, purtroppo impegni improvvisi mi hanno impedito di essere puntuale al nostro appuntamento settimanale. Avete messo mi piace alla pagina Facebook migliore di sempre? Come "quale"? Ma Pokémon Adventures ITA naturalmente! Se non lo avete letto, Venerdì sul gruppo di Facebook, è stato fatto un comunicato importante sul nostro lavoro, che coinvolgerà il nostro futuro di scrittori di Fan Fiction. Lo potrete leggere solo - QUI!!! -. Aumentiamo quel numero, creiamo una grande comunità, fateci sapere che quello che leggete vi piace, noi saremo ancora più motivati a fare meglio!
Ricordo che Sabato 8 Giugno uscirà un pezzo della rubrica consigli utili. È il continuo dello Speciale uscito il 25 Maggio, quindi se ancora non lo avete fatto, andate a dare un'occhiata...tutte le nostre uscite sono qui -->
Per il resto...leggete.
Stay Ready.
Go!
Andy $
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Esiste uno stato di
incoscienza del corpo, che è quasi più un’incoscienza finta. Quel classico
momento in cui gli occhi sono chiusi, ma il cervello è ancora acceso, e le
orecchie sentono ancora, e le labbra non si sono schiuse.
Dormiveglia.
Una neomadre non conosce
altro. Non ci sono alternative al riposo che non siano una dormiveglia.
Essì, perché i neonati si
muovono, gesti inconsulti, piangono, hanno fame.
Hanno dei bisogni che il
senso di maternità rende primari agli occhi di una madre.
E quindi una neomadre che
dorme non dorme.
Fa finta.
Ma in quel finto sonno
stava bene.
Prima riposava, gli occhi
pesanti, messa sul fianco nel tentativo di tenere più sotto controllo la
piccola Beatrice.
Profumava, la bimba. Ed
aveva una voce che per lei era una delizia.
Piangeva raramente, anzi,
al contrario rideva spesso.
Era bellissima. Timoteo
viveva in lei, ed usciva ad ogni sguardo della bambina, ad ogni sospiro, ad
ogni sorriso e ad ogni lamento.
La mano di Prima la
cingeva, quella piccola di Beatrice afferrava il dito della madre.
La luce era coperta dalle
tende scure, c’era buio nella camera e tutto era immobile. Sandra e sua madre
cercavano di preservare il riposo dell’oracolo, e nel contempo si godevano i
momenti in cui Beatrice dormiva.
Ma quella volta Sandra
non poteva assolutamente lasciar passare.
“Prima” la chiamò, a voce
bassa, aprendo la porta della camera da letto.
“Sandra” rispose quella.
“Esci”
“Beatrice sta dormendo”
“Entrerà mia madre”
Prima cercò di liberare il dito dalla stretta di Beatrice, ed uscì lentamente. I postumi del parto li sentiva tutti, nonostante fossero passati quasi cinque mesi dal giorno in cui aveva dato alla luce la bimba.
“Entrerà mia madre”
Prima cercò di liberare il dito dalla stretta di Beatrice, ed uscì lentamente. I postumi del parto li sentiva tutti, nonostante fossero passati quasi cinque mesi dal giorno in cui aveva dato alla luce la bimba.
Uscì fuori, nel salotto,
assieme alla ragazza con i capelli ricci, e si sedette al tavolo. Aveva una
pessima cera.
“Prima...c’è un problema”
“Cosa?”
“Cosa?”
“Qualcuno ti ha visto.
Circola voce che una commissione del re ti verrà a prendere e ti giustizierà”
“Prendere? Re?! Nestore è morto mesi fa, Sandra”
“Il successore non è da meno” sospirò la riccia, arrotolandosi un ciuffo tra i capelli.
“Prendere? Re?! Nestore è morto mesi fa, Sandra”
“Il successore non è da meno” sospirò la riccia, arrotolandosi un ciuffo tra i capelli.
“Ma sei sicura?”
“Voce di popolo, voce di Dio”
“Voce di popolo, voce di Dio”
Prima deglutì, e sospirò.
Aveva cominciato ad abituarsi a quella situazione, e mentre una linea di dubbi
e paure le si disegnò sulla fronte, mise in discussione tutto ciò che stava
cercando di consolidare.
Le sue sicurezze, le sue
certezze.
“Prima. Io ti voglio
bene. Ma devi andare via da qui”
Quella sapeva che prima o
poi sarebbe successa una cosa del genere. Sapeva che prima o poi sarebbe dovuta
fuggire.
Ma per andare dove?
Sbuffò, stanca di tutto
quello che succedeva. Abra fluttuava steso, dietro la testa di Sandra. Aveva
Abra con se.
Poteva difendersi.
Ma contro chi avrebbe
combattuto?
Lo sapeva. Timoteo glielo
ripeteva in continuazione, i Pokémon degli ingiusti venivano allenati in modo
innaturale, in cattività, e crescevano oltremodo, manifestando grande ferocia e
rabbia.
E se avesse avuto di
fronte un Pokémon terribile? Come quel Nidoking della sua infanzia.
Ricordava con orrore
tutto quello che successe.
Quel Nidoking attaccò un
Ursaring, la madre di un piccolo Teddiursa, infilandole il corno che aveva
sulla fronte nell’addome.
Fortunatamente
quell’Ursaring fu salvato da Olimpia, pace all’anima sua, e poi liberato nel
Bosco Memoria.
Divagava, se ne rendeva
conto. Ed il tempo passava inesorabile; c’era bisogno di più tempo, e di idee
fresche.
Dopo aver scartato l’idea
della lotta contro gli ingiusti, pensò alla fuga, peraltro suggerita da Sandra.
Si, ma come si poteva
fuggire con una bambina di nemmeno un anno?
C’erano dei bisogni...
no, quella cosa non era pratica abbastanza da essere fattibile.
“Non posso scappare”
concluse.
“Invece devi”
“E come farò con Beatrice?! Come dovrei crescerla?! Come una nomade che non potrà trovare una dimora?!”
“E come farò con Beatrice?! Come dovrei crescerla?! Come una nomade che non potrà trovare una dimora?!”
Sandra abbassò la testa.
Le spiaceva.
Poi sentirono dei vagiti.
Beatrice si era svegliata, e piangeva.
L’impulso primario della
madre era quello di andare verso di lei, ma qualcosa la tratteneva sulla sedia,
forse proprio la necessità di trovare una soluzione.
Una soluzione.
Una soluzione indolore.
Prima non doveva morire,
altrimenti Arceus non avrebbe avuto più il suo oracolo.
Scomoda come cosa.
Inoltre non poteva
scappare, non aveva speranza di crescere bene, Beatrice, in quel modo.
“Dovete separarvi”
sorrise amaramente Sandra.
Prima spalancò gli occhi.
Abra girò la testa, percependo forse lo stupore ed il timore dell’oracolo. Lo
sguardo di Prima analizzava tutto ciò che si trovasse sul volto della giovane
donna dai capelli ricci. Lo sguardo basso, le labbra piegate verso l’interno
della bocca, il colorito candido, forse più del normale.
Era delusa.
Delusa dalla situazione.
Certo, anche Prima lo
era. Era sotto shock, sinceramente non si aspettava di dover fuggire ancora,
soprattutto dopo il tanto tempo passato nella grotta dietro le cascate Armonia,
ma a quanto pareva qualcuno campava sulle disgrazie altrui.
Nestore era morto eppure
qualcuno continuava a perseguitarla.
“Ma perché?!” sbatté il
pugno sulla tavola, sentendo subitamente aumentare il pianto di sua figlia.
Figlia.
Sua.
Sua figlia. La sua dolce
figlia. Quella che rideva d’amore, felice, senza i denti ma piena di gioia
negli occhi, ancora di uno strano colore scuro.
Il colore degli occhi dei
bambini.
Separarsi da lei era la
soluzione? Abbandonarla lì, con Sandra e la madre, e farla crescere senza farle
sapere chi sia realmente la sua famiglia.
Crudele come cosa, ma col
senno di poi la cosa sarebbe fruttata.
Beatrice sarebbe
cresciuta con una donna in grado benissimo di prendersi cura di lei, in un
luogo adatto per una bambina, dove forse l’unico peccato erano le voci che
giravano troppo in fretta.
“Ok”
“Cosa?!”
“Ti lascerò Beatrice”
“Cosa?!”
“Ti lascerò Beatrice”
“Sei sicura di quello che
stai facendo?”
“È l’unico modo per rimanere viva, e per garantire a Beatrice un’infanzia dignitosa”
“È l’unico modo per rimanere viva, e per garantire a Beatrice un’infanzia dignitosa”
Sandra annuì, amaramente.
Era pronta a raccogliere quella grande sfida, però.
Avrebbe aiutato Prima.
Come sempre.
Poi si sentì bussare alla
porta. Abra svolazzò li vicino, mentre il pianto di Beatrice non accennava a
calmarsi, tanto che Prima fu costretta ad andare a prenderla e a cullarla.
Stava mettendo i dentini,
levando il sonno a tutto il vicinato.
“Chi è?” domandò Sandra,
dietro la porta. Un raggio di sole la colpiva giusto negli occhi,
costringendola a chiuderla.
“Sono Martino”. La voce
penetrante di quello fu in grado di risvegliare un primordiale senso di
inadeguatezza in quel momento. Sandra si sistemò i capelli con le mani, e poi
sospirò. Aprì la porta.
Martino.
Sempre più biondo.
Sempre più bello.
“Guarda che quello vuole
sposarti” ripeteva in continuazione sua madre, mentre un “magari...” sospirato
si espandeva nella testa della ragazza come se ci fosse l’eco.
Adorava quell’uomo.
Tutto. I suoi muscoli, i suoi capelli, il suo sorriso. La sua gentilezza.
E forse anche quel suo
essere così costantemente nella parte del giusto. Era venuto a conoscenza della
storia di Prima, dato che naturalmente sia Sandra che sua madre nutrivano in
lui un gran senso di fiducia. Lui, da gran fedele che era, annuì, poi si
prostrò ai piedi di Prima, baciandole le mani.
Non succedeva da tempo,
tant’è vero che Prima rimase un attimino interdetta in quel momento.
Aveva ancora il pancione,
ricordava. Si toccò il ventre, mentre cullava sua figlia, che lentamente si
stava calmando.
“Martino” disse Sandra,
sorridendo.
Lo sguardo del ragazzo
era torbido.
“Che succede?” chiese
Prima.
“Domani mattina verranno
gli uomini del re. Stanotte devi scappare” rispose quello, con quella voce
fredda e dura.
“E... e dove dovrei
andare?”
“Non lo so, Prima. Purtroppo Adamanta non è più un luogo sicuro. Sarai costretta a vagabondare, con una bambina piccola. Questo però è l’unica via d’uscita perché tu non muoia”
“Sarà il vento a trascinarmi” fece poi.
“Non lo so, Prima. Purtroppo Adamanta non è più un luogo sicuro. Sarai costretta a vagabondare, con una bambina piccola. Questo però è l’unica via d’uscita perché tu non muoia”
“Sarà il vento a trascinarmi” fece poi.
“Stanotte passerò qui, e
ti porterò fuori città, indicandoti i percorsi meno battuti. In questo modo ti
terrai lontana dai guai e dagli sguardi indiscreti. Nuovaluce non è più sicura”
“Tornerò alla grotta per un po’... poi vedrò di andare via da Adamanta”
“Tornerò alla grotta per un po’... poi vedrò di andare via da Adamanta”
“Sei sicura?” chiese
ancora Sandra. Lei non si sarebbe mai separata da sua figlia, ma capiva come
l’istinto di protezione peculiare all’essere madre coincidesse con lo stare
lontano dalla figlia, quando proprio la madre era una calamita per i guai.
Il sole si abbassò
velocemente, quasi si fosse tuffato oltre l’orizzonte, e le stelle sembravano
pennellate sporche di un pittore da strapazzo.
Senza le luci dei
lampioni, quei cieli notturni mettevano in soggezione. Tanti piccoli occhi ti
guardavano, ti illuminavano, ti facevano sognare.
Il camino era acceso, ed
un ceppo scoppiettava, incoraggiato da una calda e sinuosa fiamma.
Prima e Sandra erano
sveglie. Anche la madre di Sandra lo era, mentre si dondolava sulla vecchia
sedia di legno.
“Abra. Torna nella sfera”
fece Prima, facendolo rientrare. Doveva prepararsi per bene. Nella borsa qualche
vecchio straccio caldo, addosso aveva indosso più del dovuto, per tenersi calda
e sformare la sua esile e riconoscibile figura, mentre uno scialle le avvolgeva
la testa.
“Tieni anche questo” fece
Sandra. Era un vecchio bastone, e con esso il camuffamento era perfetto.
Sembrava davvero una vecchina.
“Mi raccomando” fece la
più anziana tra le tre, alzandosi dalla sedia. Quella emise un fastidiosissimo
cigolio.
Prima sospirò, prese il
bastone ed abbracciò la donna.
Passò poi a Sandra, che
non riuscì a trattenere le lacrime.
“Cercherò di provvedere a
me stessa... durante questi mesi mi avete insegnato tanto”
“Baderò a Beatrice come
se fosse mia figlia” disse la ragazza con i capelli ricci.
“Mi fido di te. E conto
anche in tua madre” si voltò poi verso di lei.
“Cerca di farci avere tua
notizia”
“Cercherò di riuscirci. Intanto promettetemi una cosa”
“Cercherò di riuscirci. Intanto promettetemi una cosa”
Le due donne fissavano
immobili l’oracolo, mentre il fuoco dorava il lato destro delle loro facce e
scuriva il sinistro.
Si sentì bussare, e le
tre sussultarono.
“Chi sei?” chiese la
madre di Sandra, guardinga.
“Martino” rispose quello.
Sandra si aggiustò di nuovo i capelli, quindi andò ad aprire.
Martino la vide. Col
volto disteso, caldo, nonostante fossero tutti sotto molto stress e fuori il
freddo pungesse.
Sorrise nel vederla, poi
tornò serio.
“Entra” disse la riccia.
Martino si fece strada
nella piccola casetta, e chiuse la porta. Il sangue tornò a scorrere nelle sue
dita, mentre si abituava al caldo conforto del fuoco del camino.
“Sei arrivato prima del
previsto” osservò Prima, mettendo entrambe le mani sul bastone, poggiato per
terra.
“Sono partiti prima.
Stanno venendo qui, ora. Dobbiamo andare via. E comunque complimenti per il
camuffamento”
Prima sospirò. Le farfalle nello stomaco svolazzavano forte, ed avrebbe voluto tirarle fuori con un bell’urlo.
Prima sospirò. Le farfalle nello stomaco svolazzavano forte, ed avrebbe voluto tirarle fuori con un bell’urlo.
“Fuori!” avrebbe urlato,
lei si sarebbe sentita meglio, e la tensione si sarebbe dissipata.
Beatrice dormiva, e lei
non c’entrava nulla: perché levarle il sonno?
Prese ad ansimare, sudava
freddo, il sistema nervoso si vendicava dei colpi scorretti, quando poi si decise.
Strinse Sandra tra le sue
braccia calde ed imbottite.
“Mi raccomando. È mia
figlia, ma trattala come se fosse tua. Proteggila, falla crescere bella e
felice, e fa che sia in grado di giudicare per bene le persone, carpendone
l’animo. Falla sposare con un uomo giusto, fedele, ed insegnale ad essere una
brava donna. E ricordati di non dirle chi ero io. E non spiegategli nemmeno che
suo padre è l’uomo che è rappresentato dalla statua giù in piazza. Io ti
ringrazio di quello che hai fatto per me, fin dal primo momento mi hai sempre
fatta stare bene. Ed io ci tengo a te. Grazie di tutto” la strinse, mentre le
lacrime rigavano le sue guance rosee. Si voltò poi verso la madre di Sandra.
Annuì, un semplice cenno, come per salutarla.
Ma poi si strinsero di
nuovo, e le lacrime trovarono corrispondenza anche nella donna più anziana.
L’abbraccio fu lungo, e
struggente, ma come ogni cosa terminò.
“Devo fare solo una cosa”
Prima sospirò, pulendosi
le lacrime con la manica del grosso maglione di lana, che inevitabilmente le
strascicò sulla sua guancia. In religioso silenzio aprì la porta della stanza
dove dormiva la sua creatura.
“Beatrice... già sai...”
sorrise. Le prese la manina, la baciò e si levò la sua collana dal collo,
quella col ciondolo d’argento a forma di cuore, quindi la piazzò accanto a lei.
Poi si voltò, velocemente, per non cambiare idea, ed uscì dalla stanza.
“Andiamo, Martino” fece
quella. Quello caricò lo zaino di Prima in spalla, diede un bacio sulla guancia
a Sandra, e chiuse la porta.
Si immisero nel freddo
della notte.
Nuovaluce era spenta.
Calma.
Non c’era un’anima che si
muovesse, e loro erano gli unici a passare silenziosi nella piazza del paese,
che col sole era gremita di gente, grandi o piccoli che siano, assieme ai
Pokémon.
Le montagne erano
lontane, si vedevano delle macchie nere in lontananza, dietro le case, mentre
il blu scuro del cielo si fondeva con il resto.
Prima cercava di captare
ogni cosa, sforzandosi di camminare proprio come una donna anziana, poggiata
sul vecchio bastone, nonostante avesse il passo di una podista.
I ciottoli della pavimentazione
stradale erano sconnessi. Di tanto in tanto inciampava, e Martino doveva
prenderla per le spalle, onde evitare di farla cascare e di bruciare la
copertura.
Passarono poi davanti
alla statua di Timoteo.
Gli assomigliava molto.
Lo scrutò per bene, fermandosi anche per un momento, e ricevendo la
comprensione di Martino.
Avrebbe tanto voluto
averlo accanto. Avrebbe voluto fare l’amore con lui.
E mentre si perdeva in
ricordi più o meno lussuriosi, cullata dallo scroscio dell’acqua della fontana,
erano quasi usciti dalla città. Il sentiero acciottolato diventava sempre più sterrato, fino a che i ciottoli
scomparvero e non rimase terra battuta.
“Ti accompagnerò fino al
limite con il bosco, altrimenti non farò in tempo a tornare indietro. Domani
devo lavorare nella cava”
“Non preoccuparti, Martino. Ti ringrazio lo stesso”
“Ok”
Le case diventavano sempre più sporadiche, mentre quel fastidioso ed imbarazzante silenzio serpeggiava come un alone, o forse come le nuvolette in cui i loro respiri si erano trasformati.
“Non preoccuparti, Martino. Ti ringrazio lo stesso”
“Ok”
Le case diventavano sempre più sporadiche, mentre quel fastidioso ed imbarazzante silenzio serpeggiava come un alone, o forse come le nuvolette in cui i loro respiri si erano trasformati.
I frinii degli insetti
diventavano sempre più forti mano a mano che si allontanavano dalla civiltà, ed
entravano nella parte più selvaggia di Adamanta.
L’erba cominciava a
diventare sempre più alta, e mentre loro seguivano il sentiero, Martino allungava
le mani in basso, per toccare le punte delle spighe, ancora intensamente verdi.
“Senti...” ruppe gli
indugi lei.
“Si?” rispose l’altro,
senza voltarsi.
“Sandra. Non farle del
male”
“Io amo Sandra”
“Sarete una coppia meravigliosa”
“Io lo spero. E cresceremo la tua bambina in modo sano e sicuro”
“Allora per te valgono le stesse raccomandazioni di Sandra. Fate in modo che Beatrice non si senta sola” sorrise Prima, maliziosa.
“Io amo Sandra”
“Sarete una coppia meravigliosa”
“Io lo spero. E cresceremo la tua bambina in modo sano e sicuro”
“Allora per te valgono le stesse raccomandazioni di Sandra. Fate in modo che Beatrice non si senta sola” sorrise Prima, maliziosa.
Intendeva dire di fargli
una sorellina. Sorellastra.
Quello che era...
E mentre parlavano, ed il
cielo li guardava, l’erba diventava sempre più alta.
Ed agitata.
Probabilmente era solo
qualche Furrett, che si muoveva furtivamente, ma non era il caso di rischiare.
Non con l’oracolo.
“Luxio, vieni fuori” fece
Martino. Il Luxio di Martino la guardò, con una luce negli occhi particolare.
Era un Pokémon davvero
bello.
“Almeno in questo modo
non ci faremo trovare impreparati, nel caso di attacco di Pokémon selvatici”
“Già”
E fu proprio mentre
camminavano silenziosi, Prima sempre avvolta in mille indumenti, con lo scialle
in testa ed appoggiata al bastone di legno, che sentirono dei passi.
Proprio davanti a loro.
Martino si fermò, mentre
Luxio rizzò il pelo.
Da lontano si
intravedevano delle fiaccole. “Sono loro” disse freddo il giovane.
“Ci nascondiamo
nell’erba?”
“No, ci vedrebbero lo stesso, hanno le fiaccole. No, piegati di più e camminiamo”
E fu così che Prima recitò come mai fatto prima d’ora, fingendo un po’ d’artrite e di dolori alla cervicale. La madre di Sandra le aveva posto un pezzo di stoffa dietro il collo, tanto che pareva avesse la gobba.
“No, ci vedrebbero lo stesso, hanno le fiaccole. No, piegati di più e camminiamo”
E fu così che Prima recitò come mai fatto prima d’ora, fingendo un po’ d’artrite e di dolori alla cervicale. La madre di Sandra le aveva posto un pezzo di stoffa dietro il collo, tanto che pareva avesse la gobba.
Teneva la testa bassa,
guardava dove i suoi piedi poggiavano, e poi vedeva i talloni di Martino.
La luce arancione delle
fiaccole diventava sempre meno fievole, fino a che il vociare indistinto di
quelli, dei quali non era riuscita ad ottenere il numero esatto, non diventò un
insieme di parole ben distinte.
“Chi va là?!” esclamò uno
di quelli. Luxio prese a ringhiare.
“A bada...” lo
tranquillizzò Martino. “Calmatevi. Mi chiamo Martino, e vengo da Nuovaluce. E
questa è la mia povera madre, che soffre di terribili mal di schiena. Stiamo
raggiungendo una città più grande, in cerca di un medico che possa curarla”
La voce era ferma, ma trapelava un po’ d’emozione.
La voce era ferma, ma trapelava un po’ d’emozione.
L’uomo che aveva davanti
nascondeva il proprio viso dietro la fiamma, quindi Martino non fu in grado di
decifrarne i tratti somatici.
“Uhm... è tarda notte.
Non conviene che una donna anziana viaggi a queste ore” fece quello.
“Lo so, ma io domani ho
da lavorare molto, e non posso tardare. E nessuno può accompagnarla”
“È vero?” domandò poi, a Prima.
“È vero?” domandò poi, a Prima.
Panico. Panico puro, di
quelli tangibili, sotto le mani, sotto i palmi sudati.
“Lei non può parlare. È
muta. Ha fatto un voto” la salvò in corner Martino.
“Ok. Va bene, spostatevi”
fecero quelli.
Erano 18.
Passarono, e si
allontanarono, e intanto Prima ansimava, per lo spavento.
“Beh... ora dovrebbe
essere molto più semplice” sorrise il biondo.
Camminarono per
abbastanza, fino a che il sole non illuminò leggermente le creste dei monti.
La strada sterrata
continuava, e Prima, stanca di stare con la schiena piegata, fu costretta a
fermarsi più di una volta, per riprendersi.
Arrivarono poi ad un
bivio, e la strada sterrata incontrò un’altra strada acciottolata.
Davanti avevano un
cartello. Una freccia puntava a sinistra. Segnava <-- MIRACIELO.
L’altra puntava a
destra. --> GOLFO LIBERO.
“Bene. Io torno indietro.
Fai la tua scelta” disse poi Martino. Prima gli prese le mani.
“Grazie mille. Per tutto”
“Stai attenta”
“Ci proverò”
Martino voltò le spalle e se ne andò.
“Stai attenta”
“Ci proverò”
Martino voltò le spalle e se ne andò.
“Golfo... Golfo
Libero...” Prima camminava verso destra, sempre logorata dalla fatica. L’aria
cominciava a riscaldarsi, mentre la luce del giorno aumentava gradualmente.
Arrivò a Golfo Libero,
salì su di una barca diretta per una città chiamata Aranciopoli, e sparì.
Adamanta la salutava.
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