In questi giorni così succosi, per via delle notizie sulla nuova generazione, non mettere mi piace a Pokémon Adventures ITA sarebbe veramente da incoscienti. Oltre a tutte le news e ad uno staff cordiale e presente, troverete immagini bellissime, ed anche l'omonimo manga, tradotto interamente in italiano.
In questi giorni così caldi, noi di Pokémon Courage stiamo facendo il massimo per farvi vivere questa storia come un'esperienza indimenticabile. Ringraziamo sia io, che Rachel Aori, per tutto il supporto ed il calore con cui ci sostenete.
Qualcosa bolle in pentola per voi.
Oggi grande capitolo. A me piace molto, ma...è logico =)
Ad ogni modo vi auguro buona lettura, e vi aspetto sabato con la consueta uscita della rubrica CONSIGLI UTILI.
Stay ready.
Go!
Andy Black.
La lunga corsa in sella al suo Pokémon l’aveva stremata.
Lentamente Rachel, con gli occhi offuscati e il passo incerto, si fece strada
all’interno della Grotta delle Lanterne. Wizard procedeva al suo fianco e
Pupitar si muoveva agile per sondare il terreno della grotta, cercando un posto
che fosse abbastanza sicuro per passarvi la notte. Zorua e Litwick erano al
sicuro nelle loro sfere, dove sarebbero stati al sicuro.
Una volta arrivati in un posto che il Pokémon terra
reputava sicuro la ragazza si lasciò scivolare a terra e si abbandonò al
pianto.
La notte dall’interno della grotta sembrava più nera del
solito. La ragazza si trovava a poco più di una decina di metri dall’entrata e
da lì poteva osservare una parte della volta celeste.
La luce soffusa che si spandeva dai cristalli della
grotta creava ancora più contrasto con l’oscurità del cielo. Non che Rachel
potesse notarlo. I suoi occhi erano ricoperti da lacrime e il suo pianto non
sembrava volersi arrestare.
Era arrivata ad un livello superiore a quanto potesse
sopportare, non voleva più avere niente a che fare con nessuno. Dopotutto, non
sapeva nemmeno più a chi o cosa potesse credere. Le parole di Ryan avevano
scavato a fondo nel suo petto, gelandole il cuore in modo assoluto, come i
ghiacciai perenni che nemmeno il sole più potente poteva sciogliere. Come
nemmeno Zack poteva sciogliere. Dopotutto anche Zack aveva la sua parte di
colpa in tutta quell’assurda situazione. Colpa non inferiore a quella che aveva
lei stessa.
“Ma che diamine mi ero messa in testa?” parlava tra i
singhiozzi, senza riuscire a controllare la propria voce, né tantomeno i propri
pensieri.
“Salvare il mondo... come no. Chi me lo dice che non si
sono sognati tutto? Dopotutto anche Mia, che doveva essere l’Oracolo, non è in
grado di fare niente!” non riusciva a fermare la valanga di parole che,
spezzate dal pianto, uscivano dalle sue labbra.
“Ho vagato in lungo e in largo, ho rischiato di morire
per colpa di quell’incosciente, con un falso proposito. Su questo, Ryan aveva
ragione. Non era mai stata abile nel capire le persone che aveva di fronte, non
era mai stata in grado, fin da piccola, di capire cosa gli altri pensassero o
volessero davvero. Non era nemmeno mai stata in grado di capire che la famiglia
con cui viveva non era la sua vera famiglia. Cosa pretendeva?
Rise. Di sé stessa e delle sue fragili convinzioni.
Appoggiò la nuca al muro e guardò il soffitto della
grotta, che era illuminato dal bagliore degli innumerevoli cristalli ed era reso
caleidoscopico dalle lacrime che non ne volevano sapere di abbandonare i suoi
occhi.
“Ma chi diamine voglio incolpare... ho fatto tutto da
sola” lo disse chiudendo gli occhi, e cercando di abbandonarsi al sonno.
“E tuttavia, non posso che continuare su questa strada”.
Il malumore continuava a crescere, come se qualcuno
innaffiasse la pianta del dispiacere.
E a testa bassa, il giorno dopo Ryan era costretto a
sorbirsi la paternale di Lionell.
“E così te la sei lasciata scappare...” faceva quello. Ryan guardava
i palmi delle mani, poi le scarpe, e si concentrava su ogni dettaglio che
potesse cogliere con quel colpo d’occhio.
La scrivania, i piedi della sedia, le scarpe di Lionell, la
moquette grigia, polverosa, al di sotto di quelle.
“Scusa, Lionell”
“Non devi scusarti. In fondo hai combattuto contro
l’allenatore più forte di Adamanta, no?”
“Si...”
“Come mai perdi? Cosa ha lui che non hai tu? Cosa ti manca rispetto a lui?”
E quella domanda, che inoltre si stava ponendo da giorni infiniti, gli stava trapanando lo sterno. Ancora un po’ ed avrebbe finito per distruggere tutto.
“Si...”
“Come mai perdi? Cosa ha lui che non hai tu? Cosa ti manca rispetto a lui?”
E quella domanda, che inoltre si stava ponendo da giorni infiniti, gli stava trapanando lo sterno. Ancora un po’ ed avrebbe finito per distruggere tutto.
“Non lo so...”
Ed era vero. Non lo sapeva. Cioè, aveva solo dei Pokémon,
niente di che, e per altro non erano più forti dei suoi.
Feraligatr, per non parlare di Gallade e Flygon, ma anche
Bisharp. Il suo team era forte, allenato, e ben concentrato, ma ad ogni
battaglia aveva dovuto deporre le armi.
C’era un piccolo dettaglio, che era il legame che Zack aveva
con i suoi Pokémon. Loro avevano viaggiato assieme, avevano vissuto tante
avventure, ed avevano lottato contro le avversità.
Per Ryan, oltre a Gallade e Flygon, al secolo un Trapinch, i
suoi Pokémon erano tutti nuovi. E questo non aiutava a crescere il legame, né
tra di loro come Pokémon, né tra loro e l’allenatore.
Zack aveva probabilmente catturato tutti i suoi Pokémon
tanto tempo addietro, e probabilmente li aveva fatti anche evolvere.
Era difficile riuscire ad instaurare un legame più forte di
quello.
“Ti servono Pokémon più forti?” chiese con delicatezza
innaturale Lionell, che fece alzare velocemente la testa al ragazzo.
“Beh...io ho quattro Pokémon...per completare la squadra me
ne servirebbero altri due”
“Dimmi cosa ti serve e vedrò di fartelo avere, allora...l’importante è che mi riporti mia figlia”
“Dimmi cosa ti serve e vedrò di fartelo avere, allora...l’importante è che mi riporti mia figlia”
“Beh...avrei bisogno di un Pokémon alto, molto alto. E di un
tipo elettrico”
“Ne parlerò con Marianne”
Ryan si mostrò riconoscente a quella generosità.
“Ne parlerò con Marianne”
Ryan si mostrò riconoscente a quella generosità.
“Allora? Spiegami un po’ cos’è successo” Lionell si sistemò
meglio sulla sedia.
“Beh...eravamo arrivati sulla cima del Monte Trave. Nevicava
molto. E Zackary Recket e Rachel erano assieme ad un’altra ragazza, una
biondina. Hanno cercato di evocare Arceus”
“Hanno evocato Arceus?!”
“Si...no...loro credono che quella ragazza sia il tramite per Arceus”
“Ah...credono questo?”
“Si”
“...va bene. Ora vai. Chiederò per quei Pokémon che vuoi”
“Hanno evocato Arceus?!”
“Si...no...loro credono che quella ragazza sia il tramite per Arceus”
“Ah...credono questo?”
“Si”
“...va bene. Ora vai. Chiederò per quei Pokémon che vuoi”
“Ti ringrazio, Lionell”
“Ciao”
Ryan si alzò ed uscì da quell’ufficio, rimanendo quel misterioso uomo a rosolare nella sua aura oscura.
Ryan si alzò ed uscì da quell’ufficio, rimanendo quel misterioso uomo a rosolare nella sua aura oscura.
Il giorno seguente la sorprese ancora addormentata, senza
sacco a pelo e rannicchiata vicino al corpo possente di Wizard. Pupitar aveva
vegliato sul suo sonno finché le forze lo avevano sostenuto e poi a sua volta
si era abbandonato all’incanto di Morfeo. Il calore della grotta le aveva
permesso di resistere al clima invernale e quando pian piano iniziò a
svegliarsi si rese conto di avere le gambe appena infreddolite.
I primi istanti li impiegò per capire dove fosse. Un mal
di testa incredibile stringeva una morsa sui suoi pensieri e le lacrime
seccatesi nella notte le avevano arrossato gli occhi. Si guardò intorno,
cercando di ricordare cosa fosse successo la sera precedente e come mai fosse
sola.
Poi ricordò.
Strinse i denti, soffocando l’istinto di piangere che la
stava per assalire, e si alzò in fretta. Wizard e Pupitar, svegliatisi di
soprassalto la fissarono allarmati. Rachel si girò verso di loro, le bastò
guardare le loro espressioni per capire quello che doveva avergli fatto
passare. Si abbassò nuovamente, abbracciandoli.
“Grazie. Vi ringrazio davvero. Scusatemi” il suo tono era
stanco, ma sincero. I due Pokémon le si strinsero vicino, restando per qualche
istante tutti e tre uniti.
Rachel sentiva il calore del corpo di Zebstrika e il
freddo della corazza di Pupitar contro il suo petto. Erano tutto ciò che le era
rimasto. I suoi Pokémon erano gli unici che non le avevano voltato le spalle,
fino ad allora.
“Siamo insieme da davvero poco tempo, ma grazie, grazie
di cuore”
Si staccò dai due, guardandoli poi negli occhi.
Probabilmente è vero, aveva fatto delle scelte sbagliate,
aveva tentennato e forse aveva riposto la sua fiducia nelle persone sbagliate.
Ma non tutto ciò che quel viaggio aveva portato era stato un errore. Se non si
fosse mossa non avrebbe mai trovato dei Pokémon come loro, disposti a
combattere per lei e disposti a proteggerla contro tutto e tutti.
Non c’era niente da rinnegare in ciò che aveva fatto.
Si alzò di nuovo, stavolta più lentamente e guardò Wizard
negli occhi.
“Te la senti di fare un’altra cavalcata?”
Il Pokémon annuì, e quindi si rimisero in marcia.
Il freddo pungente della giornata la rendeva partecipe
della natura selvaggia che stava attraversando.
Per evitare di poter incontrare Zack o di essere
nuovamente rintracciata da Ryan, aveva deciso di muoversi al di fuori delle
grandi città, passando per piccoli paesini, prove tangibili di quel periodo in
cui la regione era ancora divisa in feudi. Non aveva una destinazione precisa e
vagava, così come facevano i suoi pensieri.
Stava scappando di nuovo da tutti, ma poco a poco
quell’idea la spaventava sempre meno. Avrebbe trovato una soluzione.
Intanto però doveva allontanarsi da tutti i posti in cui
era stata e dove qualcuno poteva riconoscerla. E doveva farlo in fretta.
Era abbastanza sicura che Zack avrebbe fatto rapporto ad
Alma, ora che Ryan non li inseguiva più. Mia non riusciva ad entrare in
contatto con Arceus e dovevano capirne il motivo, quindi si sarebbero di nuovo
rivolti ad un esperto.
Che fosse Fuji o chicchessia per lei non aveva
importanza. Col destino del mondo in bilico non avrebbero certo perso tempo a
cercarla.
“Ti getteranno via
non appena avranno ciò che cercano, ossia il cristallo e la persona per
utilizzarlo, puoi starne certa”
Scacciò con rabbia le parole che Ryan le aveva detto quel
giorno, quando lo avevo rincontrato per la prima volta. Non poteva fidarsi
nemmeno di lui.
Nonostante tutte le parole pronunciate da Ryan finora
avevano trovato un lieve fondo di verità nei fatti, c’era qualcosa in lui che
la disturbava. Quello sguardo, quell’atteggiamento. C’era qualcosa in lui che
adesso la spaventava. Ma non riusciva in ogni caso ad ignorare le parole che le
aveva detto.
“Ho trovato la tua
famiglia”
Era vero? E se sì, dove? Come?
Cercava di liberarsi di quelle parole, ma erano un tarlo
fisso.
In più c’era un altro tarlo che le rodeva la mente. Chi
diavolo era Emily White? Zack si era rifiutato di rispondere alle domande e
avevano iniziato a combattere subito dopo. Non aveva avuto il tempo di
chiedere. Di sapere.
Continuava a spronare Wizard, nel tentativo di mettere
quanta più strada possibile fra lei ed i suoi pensieri.
Senza riuscirvi davvero del tutto, ma trovando sollievo
nel paesaggio che la circondava. Gli alberi le sfrecciavano accanto, spogli e
carichi di neve. Il cielo era di un azzurro pallido, poco più intenso del
colore dei suoi occhi. E la neve era bianca e abbagliante.
Stranamente non si sentiva fuori posto. Non si sentiva
soffocare. Forse bastava solo questo, non pensare al passato, concentrarsi
sull’attimo e smettere di affannarsi su domande che non potevano comunque
trovare risposta.
“Tempo al tempo” bisbigliò.
Non poteva continuare a pressarsi così, doveva mettere in
pausa la sua mente e ricominciare a respirare.
Distrarsi.
Poi con uno stato d’animo più sereno sarebbe tornata a
riflettere sui suoi problemi.
Se lo doveva. Prese in mano la Pokéball di Zorua.
All’interno il suo Pokémon riposava placido. Voleva proteggerlo. Proteggere lui
e il resto dei suoi Pokémon. Da se stessa, dagli avversari, dal futuro. E da
quella maledetta profezia, indipendentemente dal fatto che fosse vera o meno.
Ryan aveva finito gli allenamenti fisici, ed era tornato
nella sua stanza. Entrò in bagno, mentre Gallade fluttuava dormiente a
mezz’aria.
Tensione e stanchezza. La testa gli stava scoppiando.
La maglietta sudata volò via. L’avrebbe alzata dopo. Si
fermò davanti allo specchio, mentre si guardava meglio.
I capelli biondi, arruffati, scarmigliati, scombinati,
spettinati, sudati e chi più ne ha più ne metta avevano bisogno di una leggera
sfoltita: stavano crescendo.
Mise una mano tra quei fili dorati, e li spostò tutti sulla
destra, mostrando l’occhio sinistro.
Rosso.
Si era sempre chiesto come mai i suoi occhi fossero rossi, e
sua padre ebbe la costanza ogni volta di rispondergli “genetica” senza
spiegargli effettivamente cosa essa fosse.
Poi studiò, e guardò diverse foto. Sua madre aveva questo
strano colore d’occhi.
Ed aveva dei capelli lunghi, molto gradevoli. Profumavano.
Ricordava quando affondava il naso nei suoi capelli, e si addormentava.
Era piccolo, sua madre lo teneva in braccio e gli cantava
quella tenera ninna nanna.
Abbassò lo sguardo al suo fisico. Una fitta schiera di
addominali era ben ordinata sotto i pettorali sodi. L’allenamento aveva dato i
suoi frutti, le sue braccia e le sue gambe si erano rinforzate, come ogni suo
muscolo del resto.
Sentiva la necessità di lavarsi. Slacciò la cintura, e
lasciò cadere pantaloni e boxer, rimanendo completamente nudo.
Aprì l’acqua, necessitava di calore, perché dopotutto era
quasi Natale, e subito dalla doccia cominciò ad uscire parecchio vapore.
Tornò allo specchio, aspettando che il getto della doccia
raggiungesse la giusta temperatura, e si fissò meglio.
Era decisamente cambiato. Da quel gracile ragazzo che era,
ora era diventato muscoloso, ben piazzato.
“Barba...” disse tra sé e sé. Non si radeva da quattro
giorni, e sottili spilli cominciavano ad uscire dal suo volto. Prese una
lametta usa e getta, e senza utilizzare la schiuma grattò via quel principio di
barba. Stava per mettere il dopobarba quando poi il rumore del getto d’acqua
nello doccia lo persuase: lo avrebbe fatto dopo.
Lentamente mosse ossa e muscoli fino alla cabina doccia, e
vi entrò, lasciandosi possedere dal calore dell’acqua. Ci voleva proprio.
Quella accarezzava le sue linee dure, mentre nuvole di vapore si levavano verso
il soffitto.
Abbassò la testa, l’acqua ci picchiava sopra. Ryan aveva
voglia che quel getto lavasse tutti i suoi cattivi pensieri.
Dov’era? Che stava facendo lì?
Non sapeva nemmeno il motivo per cui lui stesse aiutando
Lionell, quando poteva benissimo fare tutto da solo.
L’acqua scivolava generosa verso il suo petto, carezzava gli
addominali e terminava cadendo lungo le gambe.
Forse non era poi così verso che poteva fare tutto da solo.
Lionell gli aveva messo a disposizione persone, mezzi, Pokémon per riuscire ad
eccellere in quella missione, e l’esito era sempre stato negativo.
Si stava convincendo che Zackary Recket avesse vinto Rachel,
anche se lei era fuggita da entrambi.
Lei preferiva stare con Zack.
Lei non voleva più avere nulla a che fare con lui.
Fu quello il momento in cui le lacrime si mischiarono
all’acqua della doccia, che purificava le sue carni, donandogli un po’ di caldo
sollievo dalle spade dell’inverno.
Le lacrime erano solo il primo passo.
Si scoprì letteralmente a piangere, poggiato con la testa
contro il muro, e le mani su, a proteggerla, ad evitare l’acqua, quel getto che
voleva cancellare tutto e che irrimediabilmente portava nello scarico tutte le
frustrazioni che stava piangendo.
Il vapore continuava ad aumentare.
Chiuse gli occhi, li riaprì. L’acqua creava un caleidoscopio
di colori davanti il suo sguardo. Le mani riportarono tutto all’ordine
iniziale, quando vide la porta della doccia aprirsi.
“Rachel...”
Quella sorrise, mentre il vapore la copriva quasi integralmente. La sua caviglia nuda si posò sul piatto della doccia, e le sue mani cercavano appoggio sulle braccia muscolose del ragazzo per non scivolare.
Quella sorrise, mentre il vapore la copriva quasi integralmente. La sua caviglia nuda si posò sul piatto della doccia, e le sue mani cercavano appoggio sulle braccia muscolose del ragazzo per non scivolare.
“Rachel...che ci fai qui?”
“Ryan”
Era nuda, ma poco gli importava. Ryan la portò sotto il getto con sé per poi stringerla. Sentiva i seni della ragazza compressi sul suo petto.
“Ryan”
Era nuda, ma poco gli importava. Ryan la portò sotto il getto con sé per poi stringerla. Sentiva i seni della ragazza compressi sul suo petto.
La cosa stava diventando un tantino strana.
In fondo Ryan sapeva che Rachel non fosse davvero sua
sorella, ma comunque gli faceva strano trovarsela nuda davanti.
“Non lasciarmi” fece sinuosa e sensuale la ragazza.
“Come?”
“Non lasciarmi andare”
La ragazza aveva i capelli bagnati, legati sulla testa, e
guardava in alto, in corrispondenza delle labbra di Ryan. Non si era mai reso
conto di quanto quella fosse femminile. Di quanta carica erotica fosse piena la
sua voce.
“Rachel...” qualcosa lo frenava. Lei non era lì, e lui lo sapeva. Quel corpo, quella voce, il suo odore, tutto quello non era reale.
“Rachel...” qualcosa lo frenava. Lei non era lì, e lui lo sapeva. Quel corpo, quella voce, il suo odore, tutto quello non era reale.
Eppure sentiva i suoi occhi bruciargli la pelle, e le sue
mani arpionargli le carni.
Alla fine, se la follia lo stava prendendo davvero, che male
c’era nel farsi soggiogare in quel modo?
Avvicinò le labbra, lentamente, e partì un conto alla
rovescia mentale prima che le sue labbra toccassero quelle della bella moretta.
Poi successe, e la strinse, facendola sua con un abbraccio.
“Ryan...” disse lei, una volta chiuso quel legame. Ancora
una fastidiosa goccia davanti l’occhio, ancora un caleidoscopio di colori, e
quando fece per pulirsi gli occhi, davanti Ryan aveva solo vapore.
Quello aguzzò la vista. La cabina era chiusa, l’acqua
entrava normalmente nello scarico ed il vapore si era attaccato alle porta
della doccia.
Lei non era lì.
“No!” urlò Ryan, battendo il pugno contro il muro, con
forza.
Rachel non c’era. Rachel viveva un’altra vita, nella sua
testa, dove giocava un ruolo che in realtà non avrebbe mai potuto giocare, in
una commedia alla quale non si sarebbe mai presentata a fare il provino.
Eppure sentiva ancora le sue mani ancorate alle sue braccia,
al suo petto, al suo collo.
Sentiva il suo profumo.
Il suo sapore sulle labbra.
Ryan chiuse l’acqua, grondante, ed uscì dalla cabina,
asciugandosi con un asciugamano, avvolgendoselo successivamente attorno alla
vita.
Infilò le ciabatte ed entrò nella stanza. Gallade era in
piedi, e fissava Ryan con attenzione. Aveva captato le sue sensazioni, e non
riusciva ad esprimere un giudizio.
Rachel era sua sorella.
No, non lo era. Ma avevano fatto finta che lo fosse per
tanti anni.
Il gioco era durato per troppo tempo, tanto è vero che in
quella recita ognuno si era adeguato al proprio personaggio.
Ryan diede un colpo di spugna a quella situazione, e si
stese sul letto, aspettando che il sole di mezzogiorno gli asciugasse i
capelli.
Davanti agli occhi riviveva confuso quelle scene, senza
sapere se gli piacessero o se gli facessero ribrezzo, e proprio quando quella
bellissima Rachel lo stava baciando, qualcuno bussò alla porta.
Senza neanche rispondere, Ryan si alzò, ed aprì la porta,
con il torace nudo ed un asciugamano a dividere le sue intimità dal mondo
esterno.
“Ryan...ti stavi lavando?” Marianne era lì. Non aveva la
divisa, e gli faceva strano.
Non aveva mai notato avesse un seno così grande.
“No, sono appena uscito dalla doccia”
“Oh, allora ok”
“Entra”
Marianne indossava un maglioncino a collo alto ed un jeans, sopra ad un paio di sneakers.
“Oh, allora ok”
“Entra”
Marianne indossava un maglioncino a collo alto ed un jeans, sopra ad un paio di sneakers.
“Come mai non hai la divisa?” chiese Ryan.
“Sto uscendo dall’Omega Center. Sto raggiungendo casa dei
miei”
“Oh, mi fa piacere”
“Si, Lionell mi ha concesso un pomeriggio di permesso, devo andare a trovare mia madre. Intanto mi ha detto di darti queste”
“Oh, mi fa piacere”
“Si, Lionell mi ha concesso un pomeriggio di permesso, devo andare a trovare mia madre. Intanto mi ha detto di darti queste”
Dalle tasche tirò fuori due Poké Ball.
“Uno è un Manectric...credo tu conosca il Pokémon”
“Certo” rispose Ryan, guardando le sfere, e poi le mani ben curate di Marianne.
“Uno è un Manectric...credo tu conosca il Pokémon”
“Certo” rispose Ryan, guardando le sfere, e poi le mani ben curate di Marianne.
“L’altro è un Tyranitar. Il Pokémon alto che hai richiesto”
Il pensiero di Ryan si proiettò al Pupitar di Rachel.
“Ti ringrazio, Marianne”
“Figurati...anzi...dovresti coprirti. Capisco che vuoi fare colpo sulle reclute mostrando il fisicaccio, ma non puoi permetterti di ammalarti. Dobbiamo cercare tua sorella”
“Non è mia sorella” rispose cupo lui.
“Figurati...anzi...dovresti coprirti. Capisco che vuoi fare colpo sulle reclute mostrando il fisicaccio, ma non puoi permetterti di ammalarti. Dobbiamo cercare tua sorella”
“Non è mia sorella” rispose cupo lui.
Marianne distolse per un momento lo sguardo dallo sguardo
sanguigno del ragazzo, perdendosi in quella griglia di addominali. Poi scosse
il capo, lo salutò con un bacio sulla guancia e se ne andò sculettando.
Rachel era esausta ed era quasi sera quando arrivò a
Solarea. Era andata quanto più a nord gli zoccoli di Wizard le permettessero di
andare.
La silenziosa città era immersa in una luce dorata che
dal Golfo Libero si spandeva per le colline innevate. Attorno a lei tutto era
dorato e abbagliante. Un mondo che si sfumava in innumerevoli colori, ombre,
illusioni e giochi di luce. Si avviò in città a piedi, permettendo al suo
Pokémon esausto di riposare. Avrebbe evitato il centro medico. Non le dava
sicurezza e in più non c’era motivo per soggiornarvi. Aveva qualche spiccio ed
era in grado di pagarsi una pensione per la notte. Niente sacco a pelo o
scomodità che non avrebbero causato altro che pensieri infausti nella sua
mente. Passeggiava per le vie di quel posto sconosciuto, riprendendo le sue
vecchie abitudini e lasciando uscire Zorua e Litwick dalle sfere.
Il piccolo
Pokémon Candela le volteggiava attorno, giocando con i riflessi dell’acqua che
affiancava il lungomare della città.
Era tutto così rilassante. Si sedette su una panchina.
Non aveva mangiato nulla dal pranzo precedente, ma non aveva appetito. Sospirò,
accarezzando ritmicamente il pelo di Zorua. Dopodiché, con una calma
esasperante si rialzò, iniziando a cercarsi un alloggio per la nottata e un
posto dove mangiare.
La mattina dopo avrebbe riflettuto nuovamente sul suo
piano d’azione, ma per quella giornata poteva bastare.
Il sole di quel mattino splendeva forte su Solarea.
Rachel si svegliò, salutando Zorua e Litwick, mentre il sole debole di dicembre
baciava la sua carnagione candida.
Si alzò, e si levò il pigiama, decidendo di meritarsi una
bella doccia. Si spogliò, aprendo l’acqua, e legò i capelli sulla testa.
Un brivido le attraversò il corpo nella sua intera quanto
poca lunghezza, il freddo pungeva come tanti piccoli spilli.
Gli occhi azzurri riflettevano ansia e paura dallo
specchio, mentre fissavano i riccioli che aveva vicino al collo. Le ricordavano
l’infanzia, in qualche strano modo.
Pronunciò labbra, screpolate dal freddo, notando quanto
piccolo fosse il suo viso. Il naso, soprattutto, era davvero minuscolo.
Se avesse dovuto salvare qualcosa di quel volto erano le
sopracciglia. Perfette ali di gabbiano, e rideva a pensarci.
Poi entrò nella doccia, godendo del caldo piacere che le
scivolava sulla pelle.
Il rimorso di aver abbandonato il progetto per salvare
miliardi di persone la perseguitò per un po’, giusto il tempo di insaponarsi.
In fondo credeva nelle capacità di Zack, e sapeva che, eventualmente quella
profezia fosse risultata veritiera, lui avrebbe fatto il massimo, fino al
compimento della missione.
Sospirò. Nonostante ce l’avesse a morte con lui, doveva
ammettere che con i Pokémon era un mago.
La doccia finì, si asciugò ed uscì, rivestendosi.
Zorua era acciambellato sul cuscino, cercando di reperire
quanto più calore possibile dal letto di Rachel. Litwick invece la vide e le si
gettò addosso. Le regalò un sorriso.
Si avvicinò alla finestra, e si accorse con piacere che
la neve non scendeva.
E fu allora che le venne quella malsana idea. Doveva
lasciare Adamanta. Andare via. Magari a Sinnoh, o a Unima. Zack e Ryan
l’avrebbero persa di vista, e lei avrebbe potuto incominciare una nuova vita,
amando chi voleva, dicendo di essere chi voleva.
Doveva solo tornare a casa sua e farsi una valigia,
insomma, qualcosa di più consistente di uno zaino con quattro magliette e due
mutande buttate alla meno peggio.
Aveva bisogno di un cambio d’abiti.
“È il momento di andare” sospirò, facendo rientrare i
suoi Pokémon nella sfera, e pagando il conto, per poi mettere piede nella
piazza principale di Solarea.
Questa era a pochi metri dal porto, quattro panchine
attorno ad una statua di Timoteo, con attorno circoli per vecchietti, un bar
dalla cattiva nomea ed il circolo del libro di Solarea.
Poco distante dalla piazza c’era il porto. Lì, parecchie
navi partivano per varie mete.
Il mare era una tavola celeste, arrabbiata ed impetuosa,
e questo un po’ la frenava.
Cioè... non era molto amica del mare. Preferiva camminare
piuttosto che nuotare. O volare.
Diciamo che l’avere qualcosa sotto i piedi la calmava.
Si avvicinò al botteghino del porto, dove abitualmente
vendevano i biglietti per i traghetti e le navi. C’era un po’ di fila, molti
dovevano attraversare semplicemente il Golfo Libero ed andare dall’altra parte,
ad Edesea, altri ancora, come Rachel, abbandonare quella regione piena di
errori e distrazioni umane.
Arrivò il suo turno. Una prorompente e pettoruta ragazza
aveva l’occhio poco lucido, ed aspettava che Rachel dicesse ciò di cui avesse
bisogno.
“Voglio partire”
“Dove vuole andare?” la voce era calma, quasi dormiente.
“Lontano. Un biglietto di sola andata per il posto più
lontano che avete dove porta?”
“Groenlandia”
“Groenlandia”
Rachel spalancò gli occhi. Già aveva abbastanza freddo
così.
“Ehm... troppo lontano”
“Unima ti piace?”
“C’è di meglio, ma mi accontento”
“Quando deve partire?”
“Unima ti piace?”
“C’è di meglio, ma mi accontento”
“Quando deve partire?”
Rachel rifletté. Timea non era poi così distante, ed in
groppa a Wizard non ci avrebbe messo più di un giorno. “Domani?”
“Perfetto. Il pagamento è anticipato, ed il biglietto è
di sola andata... la MN Oceana partirà domani alle 9 del mattino al molo 43”
“Il viaggio quanto dura?”
“Quattro giorni. Unima è lontana”
“Quattro giorni. Unima è lontana”
“Immagino. Ok, grazie” Rachel pagò, e mise il biglietto
nello zaino, in un posto sicuro, dove era sicura di non poterlo perdere.
Poi sospirò. Pestava gli ultimi passi sul suolo di
Adamanta, e nonostante sapesse di dover rimanere lì, e lottare per il bene
dell’umanità e di tutte le altre creature, voleva andare via. Adamanta era
troppo piccola, l’avrebbero rintracciata subito.
Si guardò attorno, mentre capì di essere terribilmente
affamata. Entrò nel bar, sorridendo a forza al barista. In quella città tutti
sembravano essere stanchi e sfatti, come se il tempo li avesse logorati. Prese
un paio di tramezzini, accorgendosi che aveva finito ufficialmente gli ultimi spiccioli
rimasti. Non gli rimaneva null’altro che quello che aveva in quel momento.
E non valeva molto.
Mangiò subito un tramezzino, tenendone un altro per il
viaggio. A Primaluce, una volta tornata a casa, avrebbe chiesto la gentilezza a
Jacob, il ragazzo del supermercato, di lasciargli prendere delle provviste.
“Dirò che passerà Ryan a pagarle” sorrise malignamente
lei. Nonostante fosse buona di natura, spesso si sorprendeva a pensare di
rubare qualcosa che magari aveva davanti agli occhi.
Mise anche il tramezzino in borsa e cominciò ad avviarsi
lungo il corso principale di Solarea, per raggiungere velocemente Primaluce.
Sulle panchine del lungomare parecchie persone, anziani specialmente, cercavano
baci ed attenzioni da un sole poco gentile, che stava sulle sue.
Poi si fermò a guardare il mare.
Era agitato, sì, e le faceva paura. Ma diamine quanto era
bello e romantico.
Tutto andava avanti, e poi tornava indietro, mentre a
largo le onde si cullavano tra di loro, accelerando nel momento opportuno, per
poi infrangersi contro le mura dei moli del porto e contro le chiglie delle
navi.
Il vento, ricco di aria salubre, portava al naso odori
speciali, che chi viveva lì stentava a riconoscere, ormai assuefatto da quello
e dalla brezza, che le spettinava i capelli. Il giubbino le si strinse addosso,
e qualche goccia di mare le baciò il viso.
Proprio alle sue spalle c’erano antichi palazzi.
“Deve essere fantastico vivere qui...” disse tra sé e sé,
quando poi vide quelle costruzioni disintegrarsi lentamente dal basso, ed
infrangersi come bicchieri di plastica schiacciati con la mano.
Le urla della gente, tra feriti e semplici impauriti,
riuscirono per un momento a coprire il sussurro del mare, che intanto si
infrangeva sempre più violento contro le navi.
La marea cominciava ad alzarsi.
Un altro terremoto.
Pareva che Arceus, Groudon o qualunque cosa provocasse
quei terremoti la stesse perseguitando. Il suo primo impulso fu quello di
mettersi sul dorso di Zebstrika ed allontanarsi celermente da lì, facendo finta
che nulla sia successo.
Poi ragionò velocemente.
L’indomani, con la città in quelle condizioni, la MN
Oceana sarebbe potuta partire?
Sospirò, cercandola tra i moli. Non la vedeva.
“Allora partirà. Non c’è, e non avrà subito danni”
Il mare cominciava ad accorciarsi, a ritirarsi, e
parecchi Krabby e Magikarp comparvero sul fondale ricco di conchiglie e qualche
Clamperl.
Stava per mettere mano alla Poké Ball di Zebstrika,
quando poi la sua coscienza gli mise una mano sulla spalla.
Stava per abbandonare quelle povere persone in
difficoltà, e la maggior parte di loro erano tutti anziani.
Doveva aiutarli. Almeno accertarsi che non ci fosse
nessuno tra le macerie.
Sospirò, arrabbiata con sé stessa dopo essersi resa conto
di essere troppo puntigliosa su quelle cose, e corse verso le macerie.
“Pokémon! Aiutatemi!” urlò Rachel, facendo uscire
Zebstrika, Pupitar, Zorua e Litwick. Anche se non potevano fare granché, ogni
aiuto in quel momento poteva risultare essenziale per la vita di qualche povero
sventurato sotto qualche pezzo di pilastro o fila di mattoni e cemento.
Rachel si gettò a capofitto in quel caos di fumo, acqua e
mattoni, prendendo a scavare a mani nude.
Cercava di sentire le voci di aiuto di qualcuno che
cercasse soccorso, ma il mormorio del mare e quello meno nascosto della gente
impaurita tutta attorno a sé la distraeva, e cercava quindi di farsi spazio tra
le macerie a mani nude, molto lentamente.
“Così non ci riuscirai mai” la disturbò una voce
femminile.
“Almeno ci sto provando” Rachel rispose sgarbatamente,
fermandosi e girandosi.
Una ragazza magra, dal fisico atletico e dai capelli
castani, mossi, con qualche colpo di sole qua e là, sostava in piedi. Aveva in
mano un elastico per capelli, probabilmente prima che il terremoto colpisse si
stava sistemando la coda.
Indossava una tuta nera, di quelle strette per fare jogging,
scarpe bianche per il medesimo uso ed un top bianco. Con quel freddo.
Era straordinariamente bella. E forse un po’ incosciente.
“Calmati...” fece tranquilla quella, aprendo il borsello che
aveva a tracollo. Ne cacciò cinque sfere, e le lanciò.
Fuori quattro Pokémon massicci e possenti. Un Rhydon, un
Seismitoad un Exploud ed un Electivire prendevano con forza i pezzi di
calcinacci e cemento persi alla rinfusa sul lungomare della città.
“Aiuto!” sentì Rachel. Proveniva da sotto le macerie. Si
allarmò, e corse a scavare, mentre le sue mani chiedevano pietà. Anche la bella
ragazza sprezzante della temperatura la raggiunse, ed insieme presero a
scavare, e tirarono fuori un uomo ferito, con la testa rotta in vari punti ed
il naso fratturato, oltre ad altre dozzine di ossa.
Pochi minuti dopo i soccorsi stavano accorrendo con pale e
picconi, mentre ambulanze e pompieri avevano riempito la zona. Rachel sospirò,
aveva fatto il suo dovere, e fece entrare nelle sfere i suoi Pokémon.
Fece per andarsene quando una mano le strinse la spalla.
“Hey...”
Era ancora la ragazza.
“Ah... sei tu. Che c’è?”
“Volevo presentarmi... mi chiamo Milla”
“Volevo presentarmi... mi chiamo Milla”
“Milla? Mi sembra di averti già vista, sai?”
“Sono una capopalestra, infatti. Volevo ringraziarti per il tuo aiuto... questi terremoti sono terribili”
“Un momento... tu sei Milla, la capopalestra di Miracielo... che ci fai qui a Solarea?”
“Ero qui di passaggio... stavo correndo”
“Mica avrai cominciato a correre da Miracielo?!”. Non erano propriamente vicine.
“Sono una capopalestra, infatti. Volevo ringraziarti per il tuo aiuto... questi terremoti sono terribili”
“Un momento... tu sei Milla, la capopalestra di Miracielo... che ci fai qui a Solarea?”
“Ero qui di passaggio... stavo correndo”
“Mica avrai cominciato a correre da Miracielo?!”. Non erano propriamente vicine.
“No, tranquilla” sorrise lei.
Questo spiegava molte cose. Milla era una maestra della
concentrazione, e niente poteva scalfire il suo autocontrollo. Nemmeno il
freddo o la stanchezza.
“Fortuna che mi trovavo a passare qui...” sorrise la
giovane. Rachel le sorrise, chiedendosi perché la bellezza non fosse stata
equamente distribuita a tutti
“Mi sa che non abbiamo ancora finito...” la voce rude e forte
di un uomo interrusse i pensieri di Rachel.
Milla e Rachel si girarono, vedendo uomo, sulla cinquantina,
con le mani nelle tasche.
“Ah... Rupert...” Milla sembrava lo conoscesse. “Sei accorso
inutilmente. Fortunatamente ero io qui”
“No, Milla... non abbiamo finito, te lo ripeto”
Rachel fissava quell’uomo, rimanendone affascinata. Nonostante fosse di molto più grande di lei, trovava fosse davvero bello. I capelli bianchi, pettinati ed ordinati sulla testa, erano dello stesso colore della barba, ispida, sul suo volto. Una polo a stento riusciva a contenere il fisico allenato di quello, e Rachel rimase a fissare per più di dieci secondi gli ampi bicipiti di quello.
“No, Milla... non abbiamo finito, te lo ripeto”
Rachel fissava quell’uomo, rimanendone affascinata. Nonostante fosse di molto più grande di lei, trovava fosse davvero bello. I capelli bianchi, pettinati ed ordinati sulla testa, erano dello stesso colore della barba, ispida, sul suo volto. Una polo a stento riusciva a contenere il fisico allenato di quello, e Rachel rimase a fissare per più di dieci secondi gli ampi bicipiti di quello.
“Che succede, Rupert?”
“Succede che il mare si è ritirato”
“Si è ritirato... bassa marea, no?” Milla osservava la spiaggia ed i Pokémon sul bagnasciuga, ora più vasto che mai.
“Succede che il mare si è ritirato”
“Si è ritirato... bassa marea, no?” Milla osservava la spiaggia ed i Pokémon sul bagnasciuga, ora più vasto che mai.
“No. Almeno non dopo un terremoto. L’acqua si è ritirata”
“Si è ritirata?” domandò Rachel.
“Si è ritirata?” domandò Rachel.
“Si... l’epicentro del terremoto è stato individuato a pochi
chilometri dalle rive di Edesea”
“...è un maremoto?” chiese ancora, la giovane.
Milla annuì. “L’acqua si è ritirata per poi ritornare.
Solarea sarà colpita da un’onda gigantesca”
Rupert guardava il volto contrito di Rachel, quindi sorrise.
“Non ti spaventare, ragazzina... è per questo che
l’Associazione della Lega Pokémon ha voluto che i capipalestra intervenissero”
E nonostante questo la tensione continuava a salire. Non
avrebbe mai fatto in tempo ad allontanarsi da Solarea senza essere maciullata
da ciò che le onde avrebbero trascinato nella loro cavalcata.
Milla si voltò di scatto. “Eh?!”
“Si. Non ti è arrivato il messaggio?”
“Io veramente mi trovavo qui per combinazione”
Rachel stava connettendo lentamente tutte le giunture di quel discorso. “...quindi, Milla è la capopalestra di Miracielo... e tu? Anche tu sei un capopalestra?”
“Si. Non ti è arrivato il messaggio?”
“Io veramente mi trovavo qui per combinazione”
Rachel stava connettendo lentamente tutte le giunture di quel discorso. “...quindi, Milla è la capopalestra di Miracielo... e tu? Anche tu sei un capopalestra?”
Rupert la guardò, con i suoi occhi azzurri, e le sorrise,
facendola sciogliere.
“Si, angelo. Sono il capopalestra di Edesea”
“Oh... bella città” fece lei, con gli occhi a cuoricino.
“Non è il momento per le adulazioni, Rachel... dobbiamo prepararci” fece Milla.
“Oh... bella città” fece lei, con gli occhi a cuoricino.
“Non è il momento per le adulazioni, Rachel... dobbiamo prepararci” fece Milla.
“Dobbiamo?! Ma sei impazzita?!”
“Non è difficile. Hai dei Pokémon e tanta forza di volontà”
Rachel guardava Milla confusa. Quella si spiegò.
“Ti ho visto che stavi per andare via. Invece sei tornata,
ed hai fatto ciò che era giusto. Tu sei buona. Non puoi abbandonare Solarea in
questo momento”
Le parole della ragazza la toccarono nel profondo. Allora
Rachel sorrise leggermente, ed annuì. “Ok. Lo faccio”
Rupert sorrise, e le fece un piccolo applauso, cosa che lenì
di poco quel macigno che stava crescendo nel suo stomaco.
Milla si avvicinò all’uomo, e guardò il mare. In lontananza
non riuscivano ancora a scorgere nulla.
“Chi altro verrà?” chiese seria.
“Chi altro verrà?” chiese seria.
“Robbie non c’è. La sua palestra è chiusa da mesi. Rimane
Trevor. Ah, e tua sorella Stella”
“Figurati se si degnerà di presentarsi...”
“Mi sa che non fosse nemmeno qui ad Adamanta”
“Che capipalestra incoscienti... non riescono a fare un lavoro così semplice”
“Ovvero?”
“Stare seduti ed aspettare qualcuno che venga a sfidarli”
Rupert sorrise, mentre guardava Rachel che quasi tremava.
“Mi sa che non fosse nemmeno qui ad Adamanta”
“Che capipalestra incoscienti... non riescono a fare un lavoro così semplice”
“Ovvero?”
“Stare seduti ed aspettare qualcuno che venga a sfidarli”
Rupert sorrise, mentre guardava Rachel che quasi tremava.
“Ragazza... ho detto che puoi stare calma”
“Non aver paura” aggiunse Milla.
“Non aver paura” aggiunse Milla.
“Sei con noi. Non preoccuparti di nulla. Inoltre ai
capipalestra interessa di preservare il territorio di...” il telefono squillò,
interrompendo Rupert. Quello lo prese e rispose.
“Pronto...”
Milla guardava l’orizzonte sospirando. Il sole era stata improvvisamente coperto dalle nuvole, ed il vento cominciò a salire velocemente. I capelli assecondarono tutti il soffio di quello, mentre lo sguardo gli andava incontro, lottandoci.
Milla guardava l’orizzonte sospirando. Il sole era stata improvvisamente coperto dalle nuvole, ed il vento cominciò a salire velocemente. I capelli assecondarono tutti il soffio di quello, mentre lo sguardo gli andava incontro, lottandoci.
“Cosa... cos’è quello?” chiese Rachel, confusa, vedendo una
sagoma scura nel cielo avvicinarsi sempre di più.
Rupert attaccò al
telefono. “Era Trevor... dice che si trova ad Hoenn. Ha parlato con Stella,
brevemente, ed anche lei sembra essere lì”
“Uhm... siamo solo noi tre?” chiese Milla.
“Uhm... siamo solo noi tre?” chiese Milla.
“A quanto pare”
Ed intanto il vento aumentò vorticosamente, fino a che la sagoma nera nel cielo fu ben distinguibile.
Ed intanto il vento aumentò vorticosamente, fino a che la sagoma nera nel cielo fu ben distinguibile.
“È un... Pidgeot” disse Rachel, confusa.
“Oh... c’è
Kendrick” sorrise Milla.
“E chi è?”
"È uno dei Superquattro, Rachel” rispose Rupert.
Il Pidgeot sbatteva più velocemente le ali quanto più arrivava verso il terreno, alzando parecchia polvere. Il tipo aveva una maschera nera, tutt’un pezzo, ed i capelli a spazzola. Scese poi dal Pokémon dalle lunghe piume gialle con un balzo veloce.
Rachel lo fissò meglio. Era elegantissimo.
Aveva un lungo soprabito nero, caldo, ed un paio di scarpe dello stesso colore, laccate.
“Ciao Kendrick” fece Rupert.
Quello fece un cenno con la testa, quindi guardarono tutti dritti verso il mare.
Il mare si stava avvicinando.
Il Pidgeot sbatteva più velocemente le ali quanto più arrivava verso il terreno, alzando parecchia polvere. Il tipo aveva una maschera nera, tutt’un pezzo, ed i capelli a spazzola. Scese poi dal Pokémon dalle lunghe piume gialle con un balzo veloce.
Rachel lo fissò meglio. Era elegantissimo.
Aveva un lungo soprabito nero, caldo, ed un paio di scarpe dello stesso colore, laccate.
“Ciao Kendrick” fece Rupert.
Quello fece un cenno con la testa, quindi guardarono tutti dritti verso il mare.
Il mare si stava avvicinando.
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