Buonasera a tutti, ecco a voi un nuovo capitolo dell'avventura di Back to the Origins! Ricordo come sempre di visitare la pagina Pokémon Adventures ITA, dove potrete trovare le scan dell'omonimo manga! Vi ricordo anche del nostro profilo su EFP, dove man mano verrà ricostruita l'avventura. In ogni caso, stasera potrete leggere il 18° Capitolo, per cui non mi dilungo oltre e vi auguro buona lettura!
L’orologio segnava chiaramente che erano le sette del
mattino. Rachel aveva dormito quasi tutto il tempo, se si tolgono quei piccoli
istanti in cui si risvegliava e si riaddormentava.
Alla fine, il riposo quella mattina era stato quasi nullo.
Si sentiva stanca, sfibrata, e soprattutto delusa da quella situazione.
Zack l’aveva persa. Come se fosse una semplice posta in
palio di una scommessa.
E non si era degnato di combattere per riaverla.
“...no ...non è andata così”. Lei lo sapeva, e se lo
ripeteva. Zack aveva sicuramente fatto il massimo per non perderla.
Si impose di smettere di pensare al peggio riguardo Zack, e
di farsi forza.
Doveva seguire Lionell, quello che si era presentato in
quello stravagante modo
(ciaosonotuopadrepuoichiamarmipapàanchesenoncisiamomaivisti) e cercare di
fermare quella brutta situazione.
Aveva sentito che anche Kyogre si era svegliato. Non era per
niente una buona cosa.
Ora sarebbe ricominciata una battaglia di incredibile
ferocia, ad Hoenn. Sperava che non mietessero troppe vittime, quei due.
Le sembrava incredibile quanta potenza potessero sprigionare
i Pokémon.
Se questi avessero avuto dei tratti prettamente umani, come
l’ambizione e la vendetta sarebbe stata la fine.
Lo smoderato senso di potere che deriva da queste
caratteristiche, porta gli uomini ad abbeverarsi dalle peggiori acque che
esistono. Essi smettono di calcare le strade del bene e dell’altruismo, del
vivere in comunità che ha spinto l’uomo a diventare sedentario, per la
realizzazione personale, che al giorno d’oggi viene vista come obiettivo da
perseguire con ogni mezzo ed a qualsiasi costo.
Gli uomini sono essere impotenti, che più di calci e pugni
non riescono a dare.
I Pokémon invece hanno poteri straordinari. Se Groudon, per
esempio, o Kyogre, avesse voluto controllare il mondo, non avrebbe avuto
difficoltà a togliere di mezzo i suoi nemici. Eruzioni vulcaniche e terremoti,
nemici naturali degli inutili uomini, capaci solo di trastullarsi nelle comodità.
Ad un certo punto Rachel capì Arceus, e se non fosse
coinvolta lei stessa, ed i suoi cari, all’interno di quella profezia maledetta,
avrebbe lasciato fare. L’umanità aveva bisogno di una bella pulita.
Si alzò dal letto, continuando a rimuginare sulla questione
e riflettendoci capì che gli uomini che sfruttava i poteri dei Pokémon potevano
essere cattivi.
Quindi non c’era nessun vantaggio nel fatto che gli esseri
umani non avessero forze superiori, in quanto capaci di sfruttare quelle dei
propri Pokémon.
“Basta seghe mentali...”
Si spogliò, ed entrò nella doccia. L’acqua calda era
confortevole, e sembrava levarle da dosso tutta l’angoscia che si era portata
in quelle ore addosso.
Voleva Zack. Voleva lui accanto, voleva stringerlo, voleva
baciarlo ancora, e farci l’amore.
Le immagini di quella notte gli passarono davanti agli occhi
veloci come un treno in corsa. Avrebbe voluto saltarci sopra, su quel treno,
prendere il mezzo che la portasse sui binari dei ricordi, e perdersi in quel
posto dove tutto ciò che accade è già accaduto.
Sì, magari per poter cambiare qualcosa. Magari non avrebbe
lasciato combattere Zack in quella sfida, magari sarebbe andata direttamente a
Sinnoh, per catturare Dialga.
Poi si chiese come avrebbe fatto, lei, a catturare Dialga.
“Sono una semplice ragazzina...” si disse, frastornata dal
rumore dell’acqua.
Una semplice ragazzina con un potere speciale. Una semplice
ragazzina che poteva parlare con Arceus.
Ok, non era una semplice ragazzina. Ma non sarebbe mai
riuscita a catturare Dialga.
Nel suo cervello succedevano cose del genere, prima che
fosse uscita da quella doccia buia e calda, e che si infilasse un asciugamano
attorno al corpo. I capelli ancora bagnati, lo specchio di nuovo pieno di
condensa.
Casa di Alma, ricordava bene una situazione analoga. Stesso
sconforto, ma minore peso addosso.
Sentì bussare alla porta, i suoi piccoli piedi calpestarono
il pavimento della sua stanza, per poi aprire leggermente la porta, giusto per
vedere chi fosse.
“Hey... posso?”
“Ryan”
“Come stai?” chiese quello, guardando la ragazza da quel piccolo spiraglio tra la porta ed il muro.
“Come stai?” chiese quello, guardando la ragazza da quel piccolo spiraglio tra la porta ed il muro.
“Non molto bene”
“Posso fare qualcosa?”
“No. Non puoi fare molto”
“Posso fare qualcosa?”
“No. Non puoi fare molto”
“Posso entrare?”
“Sono nuda. Mi sto vestendo”
“Oh... ok. Allora mi raggiungi tu dopo?”
“Non credo di avere voglia di parlarti, Ryan”
“Sono nuda. Mi sto vestendo”
“Oh... ok. Allora mi raggiungi tu dopo?”
“Non credo di avere voglia di parlarti, Ryan”
Quello portò le mani ai fianchi ed abbassò il volto,
sospirando. “Sei ancora arrabbiata con me?!”
“Si, Ryan. Sono ancora arrabbiata con te”
“Si, Ryan. Sono ancora arrabbiata con te”
Quindi Rachel sbatté la porta, e chiuse a chiave.
Mentre Ryan si vide costretto ad andare via, lei decise di
passare un po’ di tempo con sé stessa, cercando di riuscire a capire qualcosa.
Non che avesse molte speranze di riuscirci...
Ryan tornò ad ampie falcate verso la sua stanza. La tensione
e l’ansia in lui stavano crescendo veloce, pareva quasi che un diavolo si fosse
impossessato di lui.
La rabbia saliva, la voglia di rompere tutto cresceva.
Percorreva il corridoio, quel corridoio vuoto e freddo,
illuminato dai neon bianchi, ed ogni passo rimbombava come fossero nella valle
dell’eco, forte, ritornava all’orecchio, quasi per ricordargli di non smettere
di camminare, di continuare.
I passai sempre più veloci, iniziò praticamente a correre,
arrabbiato con sé stesso e con il mondo, quando arrivò davanti ad una porta e
la spalancò.
Era la zona allenamento.
Zona allenamento che a quell’ora era naturalmente vuota.
Si levò la giacca della divisa e la maglietta, e a petto
nudo iniziò a boxare contro il sacco.
“No!” urlava, mentre colpiva freneticamente il sacco a mani
nude. Il dolore imperversava dalle sue mani alla sua schiena, lasciava tracce
di sangue sul suo avversario, che inerme incassava tutti i colpi e le
maledizioni che gli lanciava quello.
Gli occhi erano rossi e spiritati, qualche venuzza si
intravedeva qua e là attorno all’iride, mentre stringeva i denti così forte al
punto da temere che si spezzassero.
Nella sua testa c’era lo sguardo di Rachel. Il disprezzo nei
suoi occhi e tanta, ma tanta voglia di non essere in quella situazione. E
nonostante non avessero questa parentela stretta, si ripeteva di averla sempre
trattata come una sorella, e di averla amata in quanto tale.
Dopo la morte dei genitori aveva provveduto a farla
crescere, e la stava addestrando per la partenza con Zorua ed i Pokémon.
Se solo non avesse letto quella dannatissima lettera.
Se solo non avesse incontrato quello stronzo. Zackary
Recket. Il sacco aveva la sua faccia, il suo sorriso, il suo corpo, ed in quel
momento lo stava colpendo giusto in volto.
Le parole della ragazza, poi, non gli lasciavano scampo. Se
n’era innamorata, e nulla avrebbe potuto fare in modo che Zack uscisse dalla
sua vita, per riportare Rachel in quella casa ormai sgangherata per via dei
terremoti, e tornare a vivere la loro semplice e morigerata vita di orfani.
Sempre l’uno accanto all’altro.
Zackary Recket. Era stato lui.
Colpiva il sacco, ancora, e ancora ed ancora. Nulla lo
placava, nemmeno il pensiero che ora sua sorella non vagasse più in giro per la
regione, in balia di ogni pericolo.
Ora era in una stanza di quel corridoio polveroso, vuoto e
freddo, ma c’era una porta a dividerli. Una porta che Rachel non voleva aprire.
“Stronzo!”
I colpi stavano ormai facendo male, e le nocche erano
spaccate da ben cinque minuti, ma gli occhi di Ryan erano chiusi, e non avevano
intenzione di aprirsi.
“Ryan...”
Marianne era entrata lì, ancora in pigiama. I capelli ricci
erano spettinati e senza un senso compiuto. Gli occhi piccoli, le labbra gonfie
per il sonno ed i seni che prepotenti erano velati unicamente dalla camicetta
da notte.
La ragazza gli andò vicino, e gli afferrò la mano.
Immediatamente Ryan si fermò.
Quella alzò gli occhi e guardò il ragazzo, poi tornò alla
mano. Insanguinata, immobile, dolorante.
Marianne portò ancora lo sguardo agli occhi di Ryan, pieni
di rabbia omicida, mentre ansimava pesantemente per lo sforzo a freddo.
Successivamente i suoi occhi verdi furono riempiti dalla
vista del sacco insanguinato e ammaccato dalle botte del ragazzo.
Ryan e Marianne si guardarono ancora, ma stavolta gli occhi
del ragazzo erano pieni di lacrime, e tutta la sua verve sembrò essere
scomparsa, tanto che le energie lo abbandonarono e lui svenne, senza forze.
Gli occhi del ragazzo si riaprirono lentamente. Il solito
faro bianco ad accecare gli occhi del ragazzo.
“Che...” i dubbi nella testa di Ryan si moltiplicavano come
virus mentre cercava di capire dove fosse e se fosse ancora vivo. Quei fari
bianchi lo avvicinavano molto all’idea di paradiso che si era creato. Almeno,
pensò, avrebbe conosciuto Arceus.
“Ryan... ti sei svegliato, finalmente” Linda era li davanti,
sorridente. Marianne accanto a lei, il volto stanco e apprensivo, mentre
cercava di riprendersi da quel forte shock.
Il ragazzo si alzò, e passò da steso a seduto, molto
lentamente. O almeno ci provò, in quanto le forze lo avevano abbandonato.
“Dove... dove sono?” si chiese.
“Siamo in viaggio, Ryan. Siamo sul boeing privato di
Lionell” rispose Linda.
“E Rachel? Dov’è Rachel?”
“Rachel è nella stanza accanto, con Lionell. Stanno parlando”
“Io... io devo parlarle... devo scusarmi”
“Devi scusarti per cosa?” chiese Marianne, fermandolo sul letto. Le mani tastavano il petto riluttante di quello, che, senza forze, non riusciva ad opporre la resistenza necessaria all’alzarsi.
“Rachel è nella stanza accanto, con Lionell. Stanno parlando”
“Io... io devo parlarle... devo scusarmi”
“Devi scusarti per cosa?” chiese Marianne, fermandolo sul letto. Le mani tastavano il petto riluttante di quello, che, senza forze, non riusciva ad opporre la resistenza necessaria all’alzarsi.
“Sono stanco...” fece lui.
“Lo so. Dormi da sei ore” disse Linda.
Ryan la guardò. Era molto rilassata, pareva l’opposto di
Marianne in tutto e per tutto.
Indossava la divisa dell’Omega Group, che le stava davvero
aderente sui fianchi e sui seni, ed enfatizzava nel ragazzo tutti i pensieri
eticamente non corretti ma che ogni uomo dall’età della pubertà fa su di una
donna a lui gradita.
E nonostante avesse già allontanato quella donna attraente e
dallo sguardo ammiccante, non avrebbe disdegnato nel dare uno sguardo a quello
che quella stretta tuta copriva.
“Riposati. Domani saremo a Sinnoh” disse Marianne. La
premurosa Marianne. Non se n’era accorto, lui, gli teneva la mano, gliela
stringeva, quasi per fargli sentire la presenza di qualcuno accanto.
Linda guardò la mano di Ryan stretta a quella di Marianne,
ed inarcò un sopracciglio. Poi voltò le spalle ed uscì fuori da quella stanza,
sbattendo la porta.
“Ti mangia con gli occhi”
“Lo so” sorrise Ryan, dolorante e stanco per via del riposo forzato.
“Lo so” sorrise Ryan, dolorante e stanco per via del riposo forzato.
“Accanto a te però vedo una donna buona. Quella ha tutta
l’aria di volerti controllare”
Ed intanto il modo di fare della ragazza avvenute ore prima continuavano a vorticare nella testa del ragazzo. “Già...”
“Ad ogni modo ora pensiamo ad Arceus. Dobbiamo far finire questo pandemonio”
“Già”
Ed intanto il modo di fare della ragazza avvenute ore prima continuavano a vorticare nella testa del ragazzo. “Già...”
“Ad ogni modo ora pensiamo ad Arceus. Dobbiamo far finire questo pandemonio”
“Già”
“Sinnoh è bellissima”
“Già”
“La nostra meta è il Monte Corona”
“Già”
“Lì troveremo Dialga... e non rispondermi ancora in quel modo, mi stai facendo innervosire”
“Voglio andare da Rachel” fece lui, cercando di alzarsi, ma fu spinto ancora verso il lettino dalla fortissima mano d’incudine di Marianne. Pareva fosse in una pressa, e che tutti gli sforzi che facesse risultassero nulli.
“Già”
“La nostra meta è il Monte Corona”
“Già”
“Lì troveremo Dialga... e non rispondermi ancora in quel modo, mi stai facendo innervosire”
“Voglio andare da Rachel” fece lui, cercando di alzarsi, ma fu spinto ancora verso il lettino dalla fortissima mano d’incudine di Marianne. Pareva fosse in una pressa, e che tutti gli sforzi che facesse risultassero nulli.
“Devi riposare. Più tardi Rachel verrà di qua. Non
costringermi a legarti al lettino”
“In quel caso fai entrare Linda” sorrise sfrontato Ryan.
“In quel caso fai entrare Linda” sorrise sfrontato Ryan.
“Non penso ti convenga... comunque ora riposa. Io vado di là.
Per qualunque cosa chiamami ed io ci sarò”
“Grazie Marianne”
“Grazie Marianne”
Il pomeriggio passò così velocemente che il sole cadde oltre
l’orizzonte come se la gravità lo avesse attirato nelle profondità del mare.
Nonostante ciò, nella stanza di Zack e Mia, era sempre buio.
La fame ed il sonno avevano lentamente rosicchiato la
volontà del ragazzo, che ora era riverso sul pavimento, come un bicchiere
d’acqua rovesciato.
Mia accanto a lui, gli teneva la mano, impaurita, ma
sveglia. Tenere Zack accanto la rassicurava molto, ma se lui dormiva, lei non
riusciva ad emularlo. Si sentiva in dovere di badare al buio che avevano
intorno.
Come se qualcosa fosse potuto cambiare.
Purtroppo per lei, i litri di lacrime versate non servivano
a niente. Aveva sete, e la scorta d’acqua era finita.
Aveva perso la cognizione del tempo. Qualche ora prima era
abbastanza sicura fossero le quattro del pomeriggio.
Qualche passo che rimbombava nel corridoio, di tanto in
tanto, li ridestava dal loro torpore, come se fossero attaccati alla lenza,
tirati fuori e poi rilanciati più lontano.
La voglia di uscire da lì era diventata troppa.
“Mia...” disse Zack, con la voce compressa, mentre si
raddrizzava sul pavimento. Era avvitato per terra, con le gambe in una
direzione ed il torace in un’altra.
“Zack...”
“Come stai?”
“Ho sete. E sonno”
“Dormi. Tra un po’ verranno a portarci il pasto... spero”
“E se non vengono?”
“Verranno. Verranno sicuramente. Rachel non ci farà morire”
“È stata Rachel a metterci qui dentro?”
“No, non è stata lei. Tranquilla”
“Ho sete, Zack”
“Tra un po’ verranno”
“Ho sete. Ho tanta sete”
“Non pensarci”
“Ed ho sonno”
“Dormi pure. Sono qui accanto a te”
“Dobbiamo uscire da qui”
“Lo so... e lo faremo”
“Ho sete. E sonno”
“Dormi. Tra un po’ verranno a portarci il pasto... spero”
“E se non vengono?”
“Verranno. Verranno sicuramente. Rachel non ci farà morire”
“È stata Rachel a metterci qui dentro?”
“No, non è stata lei. Tranquilla”
“Ho sete, Zack”
“Tra un po’ verranno”
“Ho sete. Ho tanta sete”
“Non pensarci”
“Ed ho sonno”
“Dormi pure. Sono qui accanto a te”
“Dobbiamo uscire da qui”
“Lo so... e lo faremo”
Rachel aprì la porta della stanza dove Ryan riposava. Non
era molto grande, era l’infermeria. Non c’era nessuno, tranne che un addetto
che pareva dormire da parecchio tempo, steso su di un divanetto. Ormai la sera
era scesa, e lei aveva preso il coraggio a due mani per porlo al centro del suo
petto.
Rachel Cuordileone era ora riluttante ad avvicinarsi al
lettino di quello che un tempo disegnava con orgoglio come suo fratello, in
quei disegni senza un perché, su ogni membro della famiglia.
Sorrise, pensò che disegnasse davvero bene. Ma ora non era
importante.
Ora voleva capire come stesse Ryan.
La ragazza con le tette grosse ed i fianchi generosi era
silenziosa, pareva guardasse in cagnesco la mulatta riccia, che parlava con
Lionell in maniera entusiastica del sarcasmo utilizzato da Ryan durante la
prima conversazione dopo lo svenimento.
Per Lionell era importante che Ryan partecipasse
all’operazione, perciò non rimase nella base dell’Omega Group. Era vitale che
un allenatore del suo calibro partecipasse dalla sua parte in quel contesto.
Non sapeva chi si sarebbe trovato di fronte, e contare su
Ryan era un grosso vantaggio.
Rachel avanzava lentamente in quella cabina stretta e buia,
illuminata da qualche freddo neon bianco qua e là, lasciando in penombra il
paziente.
La ragazza si avvicinò così tanto da riuscire a vedergli il
volto. Gli occhi erano aperti, fissavano il cielo fuori dai finestrini, e le
nuvole, ora solo striature nere in lontananza, donavano un po’ di vivacità alla
tavola opaca che era la notte.
Quella notte.
A Rachel faceva sempre un po’ impressione guardare gli occhi
di Ryan. Soprattutto quando non se lo aspettava, per lei era difficile non
sobbalzare. Non era abituata agli occhi rossi.
Nessuno aveva gli occhi rossi nella vita reale. Twilight era
solo un film, ed un libro di successo.
E mentre rimuginava sulle questioni più sciocche che
riuscisse a trovare, Rachel vide la testa del ragazzo muoversi. Voltarsi verso
di lui.
Ryan sorrise dolcemente.
“Sei venuta... volevo parlarti”
“Ciao. Come stai?”
“Stanco. Ho sonno”
“Hai avuto una brutta crisi di nervi. O un esaurimento nervoso. Insomma, devi rilassarti”
Ryan sorrise. “Ci proverò”
“Riprenditi. Ero venuta a vedere come stavi”
“Sto bene, sto bene, tranquilla. Quello che volevo, te lo ripeto, era parlarti”
“Di che volevi parlarmi?”
“Mi spiace per tutta questa situazione... questa strana situazione. Ora so che tu mi vedi come un mostro, e forse ho sbagliato a non dirti tutta la verità fin dall’inizio, ma la verità è che per me, dirti che non eri mia sorella era come mentire a me stesso. Perché anche se non sei mia sorella, io ti ho sempre vista come tale, e mai finirò di farlo. Sei la persona con cui sono cresciuto, quella che conosce tutti i miei segreti, quella con cui sognavo di partire, per diventare un allenatore. E se sono rimasto a casa, dopo la morte di mamma e papà, è solo perché c’eri tu, che avevi bisogno di qualcuno accanto...” terminò con un attimo di dolcezza quello.
“Ciao. Come stai?”
“Stanco. Ho sonno”
“Hai avuto una brutta crisi di nervi. O un esaurimento nervoso. Insomma, devi rilassarti”
Ryan sorrise. “Ci proverò”
“Riprenditi. Ero venuta a vedere come stavi”
“Sto bene, sto bene, tranquilla. Quello che volevo, te lo ripeto, era parlarti”
“Di che volevi parlarmi?”
“Mi spiace per tutta questa situazione... questa strana situazione. Ora so che tu mi vedi come un mostro, e forse ho sbagliato a non dirti tutta la verità fin dall’inizio, ma la verità è che per me, dirti che non eri mia sorella era come mentire a me stesso. Perché anche se non sei mia sorella, io ti ho sempre vista come tale, e mai finirò di farlo. Sei la persona con cui sono cresciuto, quella che conosce tutti i miei segreti, quella con cui sognavo di partire, per diventare un allenatore. E se sono rimasto a casa, dopo la morte di mamma e papà, è solo perché c’eri tu, che avevi bisogno di qualcuno accanto...” terminò con un attimo di dolcezza quello.
Rachel lo fissava con gli occhi languidi.
“No, Ryan... non funziona così...”
“Rachel, mettiamo la parola fine a questi sproloqui inutili. Smettiamola davvero. Voglio solo stare bene con te e tornare a casa nostra”
“Io voglio che tu sappia che i sacrifici che tu hai fatto per me sono importanti. Voglio che tu sappia che non lo do per scontato. Mi hai praticamente cresciuta, quando mamma e papà sono andati via. Ma per me è un dolore troppo grande. Ed il sapere che Lionell è il mio vero padre non mi ha dato sicurezze”
“Come mai dici questo?”
“Perché è uno sconosciuto per me. E mi ha messo alle calcagna persone alquanto ambigue”
“Eh?!”
“Cioè... non capisco perché agiate come un’agenzia segreta quando poi alla fine siete una società privata. Ma questo è insignificante rispetto all’interrogativo principale: perché rapite le persone?”
“Io non lo so, e personalmente non mi interessa. Voglio solo che tu sappia che io e te, una volta finita questa situazione, torneremo a vivere come prima”
“Ryan... io voglio stare con Zack. Voglio viaggiare con lui, andare via. Io lo amo”
“Non sai quanto mi feriscano queste parole”
“Rachel, mettiamo la parola fine a questi sproloqui inutili. Smettiamola davvero. Voglio solo stare bene con te e tornare a casa nostra”
“Io voglio che tu sappia che i sacrifici che tu hai fatto per me sono importanti. Voglio che tu sappia che non lo do per scontato. Mi hai praticamente cresciuta, quando mamma e papà sono andati via. Ma per me è un dolore troppo grande. Ed il sapere che Lionell è il mio vero padre non mi ha dato sicurezze”
“Come mai dici questo?”
“Perché è uno sconosciuto per me. E mi ha messo alle calcagna persone alquanto ambigue”
“Eh?!”
“Cioè... non capisco perché agiate come un’agenzia segreta quando poi alla fine siete una società privata. Ma questo è insignificante rispetto all’interrogativo principale: perché rapite le persone?”
“Io non lo so, e personalmente non mi interessa. Voglio solo che tu sappia che io e te, una volta finita questa situazione, torneremo a vivere come prima”
“Ryan... io voglio stare con Zack. Voglio viaggiare con lui, andare via. Io lo amo”
“Non sai quanto mi feriscano queste parole”
“Riposa ora... credo sia meglio”
Rachel carezzò la guancia del ragazzo, sapendo che forse non
avrebbe dovuto farlo, unicamente per non dare troppo peso ad un gesto che in un
altro contesto sarebbe davvero stato un messaggio di chiarimento e
riappacificazione, e poi andò via.
Ryan sentì la porta chiudersi, e pensò alle parole di
Rachel.
Zack. Io lo amo.
Lei amava Zack.
E lui sembrava quasi un pretendente geloso.
Gli occhi rimanevano chiusi. Tanto, nel buio che cosa
avrebbero potuto vedere? L’unica cosa che manteneva Mia e Zack ancora nel mondo
reale erano i loro respiri.
Zack sentiva quello di Mia, Mia quello di Zack, ed entrambi
si facevano forza mentre la fame li attanagliava e rubava tutte le energie
necessarie a vivere.
“Mia...”
“...”
“Mia... ci sei?”
“...sì...”
“Come stai?”
“Male...”
“Mia... ci sei?”
“...sì...”
“Come stai?”
“Male...”
Zack la strinse di più al suo petto, con le poche energie
rimaste, e le baciò la testa, per tranquillizzarla. Quella posò il volto sul
braccio del ragazzo, che pochi minuti dopo si bagnò delle lacrime cristalline
di quella.
Zack le sentì, quasi come se facessero rumore, se ne accorse, pareva fossero luminose, scintillavano per quanto fossero preziose.
Zack le sentì, quasi come se facessero rumore, se ne accorse, pareva fossero luminose, scintillavano per quanto fossero preziose.
E nel buio della stanza e della sua mente l’unica cosa a cui
riusciva a pensare era che Mia non meritava nulla di quella situazione.
La sua gentilezza, la sua benevolenza, erano state mal
ripagate dal destino, che ora se n’era approfittato in malo modo, e la teneva
rinchiusa in quella stanza, stretta tra due braccia amiche, che necessitavano
due braccia amiche a loro volta.
Zack cercava di fare forza a Mia, ma in realtà era un muro
di foglie. Era tutta facciata. Voleva donare sicurezza a quella ragazza fragile
e ferita, ma se qualcuno avesse provato a buttarlo a terra si sarebbe infranto
in mille pezzi come un vecchio specchio polveroso.
Poi il cigolio di una porta, probabilmente quella del
corridoio, li fece sobbalzare.
“Si mangia...” sorrise Mia.
“Ho pregato Arceus perché succedesse”
“Zack... dobbiamo riuscire ad andare via”
“Hai ragione”
“Zack... dobbiamo riuscire ad andare via”
“Hai ragione”
Tre membri del Team Omega erano pronti a servire il pasto ai
due prigionieri.
Erano in tre, perché anche senza forze, quei due avrebbero
potuto crear danni.
E a Lionell i danni non piacevano. Meglio evitare i danni.
Quel lavoro era ben pagato, e a loro piaceva fare quello che facevano. Loro
salvavano il mondo, anche se usavano metodi poco ortodossi.
Uno di loro portava due bottiglie d’acqua. Queste erano
state in frigorifero tutta la giornata, ed anche col freddo dicembrino Mia e
Zack si sarebbero accontentati della temperatura. Questo tipo era molto magro,
lungo, naso grande, occhi piccoli, capelli rasati e sorriso arcigno.
Guardava quello che portava il vassoio con la cena dei due.
Quello era invece tutto il contrario dell’altro. Basso, tarchiato, con i
capelli lunghi alle spalle e la barba incolta, nera. Gli occhi verdi, il naso
piccolo e la fronte perennemente sudata. Davanti a loro c’era il responsabile
di quell’operazione giornaliera, ovvero il tenente Magnus. Era un armadio a
quattro ante, bandana in testa, volto granitico che filtrava ogni emozione e la
traduceva in rabbia.
Uno di quei tipi che ad incontrarlo per strada ti fa
cambiare direzione.
Camminavano, i loro stivali schioccavano all’unisono sul
pavimento traslucido della base.
“Siamo arrivati” disse il secco. Magnus bussò, poi infilò la
chiave nella serratura e lasciò che il secco ed il corto entrassero a dare
rifocillamento ai due prigionieri.
Non appena il primo entrò, quello con l’acqua, Zack,
nascosto dietro di lui, accanto alla parete, prese la sedia sulla quale era
legata Mia, e gliela sbatté in testa. Gli occhi di Mia si accesero in un lampo,
non appena videro il corto ed il tenente Magnus accendere la luce per
analizzare la situazione.
Magnus vide i due prigionieri stropicciarsi gli occhi per
via della luce, che il tenente accese tramite un telecomando che aveva in mano.
Poi c’era Arnold, il secco, per terra, con la testa aperta ed il sangue che
fuoriusciva, esanime.
“Che cazzo succede qui?!”
Zack aprì gli occhi, e maledisse il momento in cui gli avevano levato le Poké Ball. In quella situazione Growlithe gli sarebbe stato veramente d’aiuto.
Zack aprì gli occhi, e maledisse il momento in cui gli avevano levato le Poké Ball. In quella situazione Growlithe gli sarebbe stato veramente d’aiuto.
Mia sembrava spaesata, Zack si mosse lentamente, con sempre
la sedia fra le mani, andando a farle da scudo.
Quella gli toccava le braccia, un modo per capire che aveva
lui davanti, e che era protetta, al sicuro. La cosa non la rassicurava tanto,
però. Infatti Zack a stento riusciva a stare in piedi.
E siccome l’effetto spinaci \ braccio di ferro non esiste,
non avrebbe neanche potuto ingoiare un po’ di cibo, per poi sentirsi più forte.
Zack aveva sonno.
Mia era impaurita ed era stanca. E quello strano uomo alto
come due persone si avvicinava minaccioso.
Zack stringeva forte la sedia. Aveva paura. Sapeva che anche
se avesse colpito quel tizio più di una volta avrebbe solo rotto la sedia,
mentre quello lo avrebbe preso e malmenato ripetutamente.
Se non ammazzato.
Si guardò attorno. Nulla. Il nulla più assoluto. C’era solo
mia alle sue spalle, non poteva utilizzare nulla come arma ed in più c’era il
tizio corto e chiatto vicino alla porta, che avrebbe caricato a sua volta se
avesse visto che qualcosa non andava.
“Forse non avete capito la gerarchia dei ruoli... noi siamo
quelli che vi fanno mangiare. Tu hai voglia di morire” disse a Zack l’abnorme.
“Voglio vedere la luce del sole”
“La vedrai. Dalla tua tomba”
“La vedrai. Dalla tua tomba”
Il corto sorrise, mentre quello grosso si avvicinava ancora
di più. Meno di un metro pensava a dividerli, e Zack pensò che fu quello il
momento di provare a colpirlo. Si diede lo slancio con un colpo di reni,
allungò braccia e gambe, saltò, per provare a colpire con la sedia il suo avversario.
Fu un colpo molto violento. Il grosso rallentò per un
momento il suo passo lento ed inesorabile, mentre la sedia si fece in
dodicimila pezzi, quasi fosse di cristallo.
Ora c’erano cinquanta centimetri tra i due, non c’era
un’arma che potesse proteggerlo ed aveva Mia stretta alla schiena.
“Mia... allontanati”
“Zack. Che vuoi fare?”
“Non posso fare niente. Ma stai lontana da lui”
“Zack. Che vuoi fare?”
“Non posso fare niente. Ma stai lontana da lui”
Il volto di Zack pareva contrito. Probabilmente sarebbe
morto, pensò.
Poi accadde l’impensabile. Qualcosa prese a camminare per
una parete. Era un Ariados.
Un Ariados bello grosso. Il grosso lo guardò in silenzio,
indeciso sul da farsi, mentre quello, pochi secondi dopo creò velocemente una
ragnatela molto resistente tra i due ragazzi e i due ceffi.
“Che cazzo sta succedendo?!”
La voce del grosso rimbombò nella stanza vuota come se stessero parlando in un pozzo.
La voce del grosso rimbombò nella stanza vuota come se stessero parlando in un pozzo.
Ariados prese a sparare bombe viola.
“Attenzione!” urlò il corto. “È un Fangobomba!”
“Lo so! Vai Exploud!”
“Lo so! Vai Exploud!”
Un grosso Exploud fece la sua comparsa li dentro.
“Ariados! Usa Ragnatela!” urlò qualcuno.
“Ma... ma questa è la voce di Trevor!” sorrise Zack.
Ariados produsse un’altra grande ragnatela. In questo modo
si sarebbe potuto spostare molto più velocemente.
“Exploud!” urlò il grosso. “Usa Granvoce!”
“No!” urlò Mia, tappandosi le orecchie come meglio poteva. E
mentre le orecchie del corto sembravano essere state lese dal forte attacco,
mentre Zack e Mia se le proteggevano alla meno peggio, il tenente pareva non
averne bisogno. Il bello degli attacchi sonori è che difficilmente falliscono.
Ariados ricadde sul pavimento, ma poi si riprese, rimettendosi in bilico sulla
parete alle sue spalle.
Zack guardava attentamente.
D’improvviso delle liane legarono velocemente il corto, e lo
tirarono via. Quello lanciò un urlo disperato. Da quello capì che le liane
appartenessero ad un Pokémon piuttosto lontano.
“Ariados! Vai con Limitazione!”
Delle ragnatele furono sparate ad alta velocità su Exploud.
Ariados riuscì a bloccargli il braccio destro al corpo, ma l’avversario, con quello
sinistro, si liberò.
“Iper Raggio Exploud!”
Avrebbe probabilmente distrutto la parete.
Avrebbe probabilmente distrutto la parete.
“Chiudiamola” fece un’altra voce. D’improvviso entrò nella
stanza un Blaziken, che colpì con un forte Calciardente Exploud, prima che
potesse far partire l’attacco. Quello rimase a terra.
D’improvviso nella stanza entrarono Trevor e Robbie.
“Ragazzi!”
“Ariados” fece Trevor, il suo proprietario. “Usa le tue
ragnatele per bloccare sia Exploud che il suo allenatore”
“Già. Blaziken, guarda che non venga nessuno” disse invece l’altro.
“Già. Blaziken, guarda che non venga nessuno” disse invece l’altro.
“Ragazzi!” sorrise Zack.
“Chi sono?” chiese invece Mia.
“Sono Trevor, capopalestra di Plamenia e Robbie,
capopalestra di Palladia!”
Trevor sorrise, mentre il suo Ariados compieva il grosso del
lavoro. Trevor era un uomo abbastanza particolare. Un grosso paio di occhiali,
doppi, si appoggiavano sul suo naso disarmonico. Era grosso, con una grande
gobba. I capelli erano neri, lunghi fino alle spalle, mentre gli occhi, dietro
quei grossi fondi di bottiglia, si erano ridotti a due piccoli puntini.
Fisicamente era alto, e magro.
Era il re dei Pokémon Coleottero ed Erba, e almeno ad
Adamanta nessuno ne sapeva più di lui.
“Che fine ha fatto quell’altro?” domandò Zack, rivoltò
proprio a Trevor.
“Venusaur lo ha tenuto legato, poi lo ha addormentato”
“Oh. Il tuo Venusaur. Come sta?”
“Ottimamente direi. È in forma”
Zack sorrise, e guardò Mia. Era confusa. Lei fissava stranita Robbie.
“Oh. Il tuo Venusaur. Come sta?”
“Ottimamente direi. È in forma”
Zack sorrise, e guardò Mia. Era confusa. Lei fissava stranita Robbie.
Robbie era l’altro capopalestra. Probabilmente il più forte
nel gruppo dei Gym Leader.
Era un uomo di statura normale, abbastanza tonica la sua
muscolatura.
Aveva viaggiato molto ed aveva molte cicatrici sulle braccia
e sulle gambe, ma un maglioncino di lana caldo ed un jeans, quel giorno,
coprirono tutto.
I capelli castani tirati all’indietro, una piccola coda
sulla testa, ma davvero quasi inesistente. La barba incolta sul viso, castana
anche questa, gli davano un’aria davvero vissuta. Gli occhi azzurri, le labbra
carnose ed il naso normale completavano il quadro.
Robbie era un ragazzo di poche parole. Quasi di nessuna.
Quando Ariados ebbe finito, Blaziken aprì un varco nella
ragnatela con un piccolo attacco di fuoco, permettendo a Zack e Mia di uscire.
I due si mantenevano a stento in piedi.
“Ragazzi. Come state?” chiese Robbie.
“Stanchi. Abbiamo bisogno di nutrirci. E di bere”
Trevor si abbassò e prese da terra le due bottiglie d’acqua.
Le distribuì ai due, che bevvero velocemente metà del contenuto in pochi sorsi.
“Ora andiamo via”
I ragazzi recuperarono i loro Pokémon ed uscirono dalla
base. Si ritrovarono al centro di Timea, Stella era lì ad aspettarli.
“Ragazzi... meno male. Non vi ho visti tornare e mi sono
preoccupata” fece la bella. Trevor sorrise.
“Meno male, Stella. Stavolta non sapevo davvero in che modo
uscirmene da questo guaio” sospirò il Campione.
“Ci ha chiamati allarmata. Eravamo entrambi di ritorno da
Hoenn, ma la situazione lì è davvero complicata. E siccome abbiamo saputo che
qui non è migliore abbiamo deciso che ci voleva aiuto anche qui, che è casa
nostra. Quindi siamo tornati” disse Trevor.
“Appena ci ha detto che eri nei guai, e che non ti aveva
visto tornare dalla base dell’Omega Group ci siamo attivati” fece invece
Robbie.
Zack sorrise. Di solito, quando era a Timea passava sempre a
trovare Stella. Quella, non vedendolo tornare, dopo quella sceneggiata in mezzo
alla piazza, si era spaventata, pensando che forse sarebbe potuto essere
successo qualcosa.
“E Rachel dov’è? Già è finita?!” chiese stupita la bella
capopalestra.
“Rachel è in viaggio verso Sinnoh. Lei è Mia, una cara
amica. Dobbiamo raggiungerla”
“Va bene. Cerca di non finire più nei guai” lo avvertì Robbie.
“Va bene. Cerca di non finire più nei guai” lo avvertì Robbie.
“Sarò anche il Campione. Ma senza Pokémon sono un semplice
essere umano. Ragazzi, mi spiace, ma ora devo tornare velocemente ad Edesea”
“Ok. Per qualunque evenienza fai un fischio” disse Trevor.
“Cercherò di fermare questi cataclismi. Ma voi occupatevi
della regione. E salutatemi tanto Milla e Rupert”
“Sarà fatto”
“Sarà fatto”
Salirono poi su Braviary, e partirono, direzione casa di
Alma.
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