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Oggi capitolo 19. Lascio parlare lui.
Andy $
Zack era sulla schiena di Braviary, in volo, quando pensò
che avere dei Pokémon fosse una gran cosa. Era stato due giorni senza poter
usufruire dei loro servigi e si era sentito veramente un minorato.
In groppa a Braviary, invece, a metri e metri d’altitudine
ora, guardava Adamanta con i suoi occhi.
La distruzione aveva fatto parecchie vittime. La distruzione
si era portata via case, persone, sogni e voglia di andare avanti.
C’è chi lavora una vita intera per una casa. Per costruirla,
per pagarla, per abbellirla e per viverci dentro. Poi la terra trema, e sei
costretto a rimanere senza nulla.
Gli dispiaceva.
Edesea era a meno di una trentina di chilometri, il sole
stava per nascere e Mia lo stringeva forte, impaurita per l’altezza, anche se
col tempo si sarebbe abituata.
I due erano stanchi.
Dopo essere stati salvati da Robbie e Trevor, erano andati
da Stella. Avevano mangiato, bevuto, e si erano riposati il giusto.
Avevano ringraziato la ragazza per l’ospitalità, ed aveva
raccomandato loro di non mollare mai per la causa di Adamanta. Erano loro, i
capipalestra, assieme ai Superquattro ed al Campione a dover aiutare chi ne
aveva bisogno.
“Dovrò molto probabilmente partire per un’altra regione.
Sarò assente. Durante la mia assenza farete capo a Robbie. Mi raccomando” le
parole di Zack non solo stupirono e non poco il diretto interessato, ma lo
allietarono.
Si era sempre allenato, impegnato al massimo, e non avrebbe
mai pensato che qualcuno avesse riconosciuto i suoi sforzi.
Zack tagliò il nastro dei pensieri, ritrovandosi di nuovo in
groppa a Braviary. Non spiegava le ali da parecchi giorni, la voglia di volare
sprizzava da ogni piuma.
“Zack!” urlò Mia, con il vento che le colpiva il volto. Il
freddo era terrificante, ma dovevano resistere.
“Mia! Che c’è? Stai bene?” chiese l’altro, sempre ad alta
voce, mentre il rombo dell’aria circostante riempiva i loro padiglioni
auricolari.
“Manca ancora molto?!”
“Pochissimo! Meno di cinque minuti!”
“Ok! Devo andare in bagno!”
“Ok! Devo andare in bagno!”
Zack sorrise, e fece sorridere anche Mia. Poi ripiombò nella
depressione e principalmente fu per via della questione di Rachel. Nulla da
togliere a Mia, ma alle sue spalle avrebbe voluto averci la sua donna. Gli
mancavano quelle mani piccole e delicate, quella voce liscia, sottile, e quello
sguardo perso e rassegnato, ma al contempo sognatore, pronto per un viaggio
attraverso mille avventure.
Un piccolo sorriso gli tagliò il volto di lungo quando in
mente gli sovvennero alcuni passi di quella notte benedetta. Fu davvero magico.
Non si era mai sentito in questo modo. Non si era mai
sentito così vivo, e pieno di voglia di fare.
Voleva finire quella maledetta partita a poker col destino,
e, finalmente, poter riuscire a fare un tris al river.
La sfortuna era davvero sulla sua spalla, come un pirata ed
il suo pappagallo.
“Hey...non deprimerti” disse Mia, nel suo orecchio.
Zack spalancò gli occhi, mentre il sonno combatteva per chiuderli. “Hai ragione... ma è difficile”
Zack spalancò gli occhi, mentre il sonno combatteva per chiuderli. “Hai ragione... ma è difficile”
Oltre l’orizzonte un piccolo raggio di sole fece la sua
comparsa. Era giorno.
“So quanto possa essere difficile avere tutto e poi
perderlo, l’ho provato proprio nei giorni scorsi, con te. Ma non perderti
d’animo. Perché se ti abbatti tu, Adamanta non avrà speranze”
Quelle parole rimbombarono come un gong nella testa e nel
petto del ragazzo.
Si voltò un attimo, per guardarla in volto. Era sgualcita,
ed aveva bisogno di riposarsi.
Carezzò leggermente la schiena dell’aquila, il calore tra le
dita non riusciva a raggiungere il suo cuore, dato che il vento gelido lo
spazzava via.
“Hai ragione” ripetè.
L’aereo atterrò a Giubilopoli quel mattino. Era presto,
molto presto. Dall’aereo scesero tutte le reclute dell’Omega Group, parevano un
esercito.
Lionell e Rachel scesero prima di Linda, Ryan ed infine
Marianne, seguita dal dottor Stark.
Giubilopoli era una città davvero enorme. Nonostante ci
fossero una grande quantità di palazzi, il verde rimaneva tutelato. Gli alberi
erano cittadini di quel posto, e non sarebbero mai stati sfrattati. Certo, non
si poteva paragonare a Forestopoli, ad Hoenn, ma resta sottinteso che
Forestopoli è un villaggio di capanne, mentre a Giubilopoli c’erano anche
alcuni grattacieli di diversi piani. La piazza era enorme, e Rachel lasciò lì
un pezzo del suo sguardo per permettere ai suoi occhi di vederla tutta.
“Dove siamo diretti?” chiese Linda, a Lionell.
“Ci serve una base. Qualche stanza in un albergo saranno più
che sufficienti”
Quella annuì, poi guardò il volto della ragazza. La sorpresa
per Giubilopoli fu sostituita dal suo solito sguardo spento e deluso.
Quello Zack doveva proprio mancargli.
Pensava, immaginava a quei due, mentre si baciavano, si
abbracciavano, e ad un tratto tutto sparì. Voleva davvero che quella situazione
finisse. Aveva paura che qualche terremoto o cose così avessero potuto portare
dei problemi alla loro causa.
Loro dovevano salvare il mondo.
Loro dovevano diventare gli eroi, e di pivelli che si
mettevano di mezzo non ne avevano proprio bisogno. Ad ogni modo Zackary Recket
era il campione della Lega di Adamanta, ma già il fatto che avesse perso una
sfida contro Ryan non significava niente di buono.
Forse Ryan era davvero più forte di Zackary Recket.
Ryan era un allenatore preparato sia fisicamente che
mentalmente per intraprendere avventure e situazioni analoghe a quelle che
stavano affrontando.
E poi c’era anche Lionell con loro.
Il misterioso Lionell, quello che quando chiedevi un Pokémon
te lo faceva avere. Si chiedeva il motivo di cotanta generosità, ed anche se
sapeva che il commercio di Pokémon era illegale, in fondo in fondo sapeva che
lui pagava per le varie richieste delle sue reclute.
Ciò che più di ogni cosa affascinava Linda era che Lionell
avesse alcune sfere con sé, nella cintura.
Le fantasie su quali Pokémon quello potesse portare con sé
erano davvero all’ordine del giorno.
Bestie potenti, veloci, intelligenti.
Lionell sarebbe riuscito ad interloquire con Arceus, avrebbe
convinto Prima ad evocarlo e a terminare quella battaglia. Lionell doveva
assolutamente riuscirci.
Altrimenti sarebbero morti tutti.
Giubilopoli era gremita di persone, sarebbe bastato un
terremoto per permettere ad Arceus di attuare il suo piano. Anche se Sinnoh
sembrava non aver per niente ricevuto gli effetti di quella maledizione.
Non lo sapeva di per certo, ma era sicura che c’entrasse
qualcosa Regigigas e l’equilibrio della natura della regione.
Spazzò via dalla testa quei pensieri e seguì nell’Hotel
Giubilopoli tutta la truppa. Occuparono un piano intero, tutto pagato
dall’Omega Group.
“Ryan, Marianne e Linda. Voi condividerete la stanza.
Rachel, tu avrai una singola tutta per te. Mi raccomando. Fuori la tua porta ci
sarà sempre una coppia di reclute, a tua disposizione”
Lionell stabilì le stanze, dopodichè, assieme al dottor Stark e a qualche altro pezzo grosso si dileguò in una stanza.
Lionell stabilì le stanze, dopodichè, assieme al dottor Stark e a qualche altro pezzo grosso si dileguò in una stanza.
Ma prima di farlo si avvicinò a Ryan.
“Giovanotto...sai già cosa devi fare. Comincia con il Lago
Valore. Lì, ad attenderti ci sarà Azelf. Marianne e Linda ti accompagneranno”
“Va bene”
“Mi raccomando. Dobbiamo fare in fretta. Il destino del mondo è nelle tue mani adesso... senza contare che tra due giorni è Natale”
“Già...”
“Mi raccomando. Dobbiamo fare in fretta. Il destino del mondo è nelle tue mani adesso... senza contare che tra due giorni è Natale”
“Già...”
“Facciamoci questo regalo. Andate, ora”
Quando la porta si aprì, Zack e Mia si trovarono avanti una
donna assonnata. Alma aveva i capelli spettinati anche se legati, la solita
treccia, mentre la camicia da notte malcelava la perfezione delle curve di
quella.
Gli occhi aperti il minimo sindacale e le labbra gonfie di
sonno.
Anche la più bella del mondo, di primo mattino non fa una
grande impressione.
“Alma... perdonami per l’orario... ma ho bisogno di parlare
con te” fece Zack, abbassando la testa.
La donna, lo guardò meglio, avvicinandosi al suo volto, e
toccando con i mignoli gli ematomi che aveva.
“Che ti è successo?” chiese con calma quasi irreale.
“Stiamo praticamente venendo a capo dell’arcano. Ma ho bisogno
di consultarmi con te, che sei l’esperta, prima dell’atto finale”
Alma, appoggiata allo stipite della porta, annuiva, mentre
combatteva contro la gravità per mantenere aperti gli occhi.
“Entrate...” quella si voltò, e con i piedi scalzi prese a
camminare per casa sua, lasciando per sottinteso che Zack potesse entrare e
chiudere la porta proprio come se fosse a casa sua.
Il ragazzo diede una leggera spinta a Mia per farla entrare,
che esordì con un “permesso”, figlio della sua educazione, quindi il ragazzo la
seguì, chiudendo bene la porta.
Lasciò andare il suo zaino per terra, e liberò Growlithe.
Non lo vedeva da tempo, aveva bisogno delle sue attenzioni.
“Metto a fare un po’ di caffè... ne volete?”
“Si, ti ringrazio, Alma. Comunque volevo presentarti Mia,
una cara amica che sta perorando come me la nostra causa”
Alma si sorprese dell’insolito utilizzo di termini del
ragazzo, quindi con un sorriso usa e getta si presentò alla ragazza.
“La tavola di Hermann ci aveva portati a lei per errore, e
così le abbiamo detto tutto ciò che sapevamo riguardo la faccenda di Arceus”
aggiunse il ragazzo.
“In che senso, scusa?”
“Praticamente quando le abbiamo fatto mettere la mano sulla tavola, questa si è illuminata... ma perché la teneva anche Rachel tra le mani”
“Praticamente quando le abbiamo fatto mettere la mano sulla tavola, questa si è illuminata... ma perché la teneva anche Rachel tra le mani”
Alma spalancò gli occhi, mentre il verme della
consapevolezza si infilava a forza nella mela dell’illusione.
“Cioè... Rachel...”
“Esatto. È Rachel l’oracolo. A quanto abbiamo capito è una discendente di Prima, l’oracolo di Arceus al momento dell’incendio al tempio”
“Santo cielo...” Alma teneva gli occhi spalancati e si grattava una tempia con l’unghia ben curata.
“Esatto. È Rachel l’oracolo. A quanto abbiamo capito è una discendente di Prima, l’oracolo di Arceus al momento dell’incendio al tempio”
“Santo cielo...” Alma teneva gli occhi spalancati e si grattava una tempia con l’unghia ben curata.
“Hai avuto la nostra stessa reazione” le fece il ragazzo.
“A saperlo avremmo fatto davvero prima. Ed il cristallo?
Dov’è?! Non è più al tuo collo”
Mia si fece avanti, tirandolo fuori dalla sua maglietta.
“Questo non è il cristallo” disse con la solita voce dolce
la bionda. “Prima ha fatto sparire il cristallo di Arceus. In pratica il
cristallo e l’oracolo, adesso, coincidono”
“Quindi Rachel può evocare Arceus?!”
Mia e Zack annuirono contemporaneamente.
“E Rachel dov’è?!”
“Rachel è stata rapita dall’Omega Group. Ora è in viaggio per Sinnoh” disse Zack.
“Sinnoh?! E che c’entra?”
“Rachel è stata rapita dall’Omega Group. Ora è in viaggio per Sinnoh” disse Zack.
“Sinnoh?! E che c’entra?”
“A quanto ho capito il tempio ora non ha nessuna forza
spirituale. E l’Omega Group vuole fermare questa distruzione tornando indietro
nel tempo, utilizzando Dialga. Ma hanno rapito Rachel, e questa cosa non mi
piace! Io devo inseguirli, io devo salvare Rachel!”
“Probabilmente vorranno utilizzare Prima, e per non
rischiare che le vergini distruggano il cristallo, o comunque facciano in modo
da renderlo inutilizzabile, si sono cautelati ed hanno portato con loro Rachel,
che funge da cristallo”
Zack annuiva alle parole di Alma. Poteva davvero aver
ragione.
“Ma io ho paura che le succeda qualcosa. Io devo fermarli.
Devo riprendermi Rachel...”
Il tono di Zack si addolciva sempre di più, fino a quando non diventava malinconico nel pronunciare il nome della sua bella. “Io non posso perdonarmi quello che è successo. Io non posso vivere in pace con me stesso, se non la riporto qui accanto a me, e non mi godo la sua presenza. Mi mancano le sue mani, i suoi occhi. Le sue labbra”
Il tono di Zack si addolciva sempre di più, fino a quando non diventava malinconico nel pronunciare il nome della sua bella. “Io non posso perdonarmi quello che è successo. Io non posso vivere in pace con me stesso, se non la riporto qui accanto a me, e non mi godo la sua presenza. Mi mancano le sue mani, i suoi occhi. Le sue labbra”
Alma spalancò gli occhi, guardando Mia e cercando qualche
conferma sulle congetture che si era impalcata in testa. La bionda annuì.
“Devo salvare la donna che amo” fece il ragazzo, cancellando
poi ogni dubbio.
“Ti sei innamorato di lei?”
“Si. Siamo stati assieme, qualche notte fa. Io ho bisogno di lei, Alma”
Quella sorrise dolcemente, con gli occhi più chiusi che aperti, ed andò ad abbracciare il ragazzo.
“Si. Siamo stati assieme, qualche notte fa. Io ho bisogno di lei, Alma”
Quella sorrise dolcemente, con gli occhi più chiusi che aperti, ed andò ad abbracciare il ragazzo.
“La troveremo” cercò di fargli forza.
Zack annuì, chiedendosi per quale strano motivo le emozioni
non stessero impattando contro la sua voglia di rimanere con gli occhi
asciutti. Non piangeva.
Non ci riusciva.
Non che volesse, ma in una situazione del genere sapeva che
avrebbe pianto.
Ragionò meglio, e capì che avrebbe potuto piangere per
Rachel solo se si fosse rassegnato per averla persa. E lui non l’aveva persa.
La determinazione cresceva in lui, si avvicinava in velocità come una Ferrari
in rettilineo, e lui sarebbe salito al volo sul bolide per raggiungere la sua
donna.
“Dobbiamo andare a Sinnoh”
“Senza problemi, Zack. Possiamo utilizzare l’Alakazam del
rettore della facoltà. Ma sai, vero, che per catturare Dialga devi prima
riuscire ad ottenere la Rossocatena?”
“Rossocosa?!”
“Per richiamare Dialga, il Pokémon che gestisce le trame del
tempo, e Palkia, quello che giostra con lo spazio, hai bisogno dei cristalli
dei tre guardiani dei laghi”
“Spiegati meglio”
“Spiegati meglio”
Alma sospirò, e si sedette sul divano, accavallando
vertiginosamente le gambe. “A Sinnoh esistono tre laghi. Il Lago Arguzia, il
Lago Verità ed il Lago Valore. In ognuno di questi laghi vive uno dei guardiani
leggendari. Loro sono Uxie, l’onnisciente, Mesprit, l’onnipresente, ed Azelf,
l’onnipotente. Tutti e tre hanno sulla fronte un cristallo rosso, da cui il
nome della Rossocatena. Dai loro cristalli partirà una sorta di raggio,
un’interconnessione che unirà i tre guardiani, che sarà in grado di controllare
sia Dialga che Palkia. Naturalmente sarà una questione molto difficile da
affrontare...Oltre a Dialga anche Palkia si sveglierà. I due Pokémon hanno
lottato per secoli per il predominio dello spazio sul tempo e viceversa. Sono
molto potenti, e bisogna riuscire a calmarli immediatamente, prima che
Giratina, quello che controlla il caos, cerchi di fare la sua apparizione per
ristabilire le cose. Giratina non deve apparire assolutamente nella nostra
dimensione, altrimenti la sua esistenza potrebbe risultarne compromessa”
Zack ascoltava affascinato, mentre Mia si stava
letteralmente mettendo paura.
“In pratica dobbiamo catturare i tre guardiani... e poi?”
“Arrivare sulla cima della Vetta Lancia, sul Monte Corona, ed evocare Dialga e Palkia. Bisogna cercare di immobilizzare anche Palkia mentre Dialga sarà utilizzato da voi, altrimenti lo spazio prenderà il sopravvento sul tempo”
“In pratica bisogna catturare anche Palkia”
“Esatto. E tutto questo prima che Giratina avverta il pericolo o siamo fritti”
“Fantastico. Moriremo di sicuro” sospirò Mia, spostandosi un ciuffo dal volto. Zack sorrise, poi la strinse a sé nel tentativo di calmarla.
“Arrivare sulla cima della Vetta Lancia, sul Monte Corona, ed evocare Dialga e Palkia. Bisogna cercare di immobilizzare anche Palkia mentre Dialga sarà utilizzato da voi, altrimenti lo spazio prenderà il sopravvento sul tempo”
“In pratica bisogna catturare anche Palkia”
“Esatto. E tutto questo prima che Giratina avverta il pericolo o siamo fritti”
“Fantastico. Moriremo di sicuro” sospirò Mia, spostandosi un ciuffo dal volto. Zack sorrise, poi la strinse a sé nel tentativo di calmarla.
“Ci riuscirò. Devo riuscirci” Zack si caricava.
“Mi raccomando, Zack. Perché non ti fai accompagnare da
qualcuno dei capopalestra o dei Superquattro?” Alma fece preoccupata.
“Perché loro hanno il compito di stare qui. Devono aiutare
chi è in difficoltà”
“Hai ragione... mi vesto e scendiamo in facoltà. Ci serve quell’Alakazam”
“Hai ragione... mi vesto e scendiamo in facoltà. Ci serve quell’Alakazam”
Flygon volava ad alta velocità, e poco più dietro seguivano
Linda e Marianne su due Salamance. Ryan era abbassato sul suo Pokémon per
aumentare la velocità, per essere più aerodinamico, mentre il vento creava
vaste vie tra i suoi capelli.
Gli occhi semiaperti, per vedere le vaste pianure di Sinnoh
passare immobili sotto di loro, mentre qua e là dei paesini si alternavano alle
grosse creste rocciose del Monte Corona. Il sole del mattino era ormai fuori.
Erano le otto. Quella giornata sarebbe sicuramente stata piena di sorprese.
Bisognava essere veloci, concisi, precisi, e soprattutto
bisognava limitare al massimo i rischi.
Tra i tre guardiani, Azelf, quello che si stava accingendo a
catturare, era il più forte. Aveva un attacco molto alto, e, a dispetto della
stazza minuta, era un Pokémon molto ostico da affrontare. Così come Uxie e
Mesprit.
Se erano dei Pokémon leggendari un motivo ci doveva essere.
Flygon continuava la sua volata, un battito d’ali bastava
per coprire più di una decina di chilometri.
“Quella è Pratopoli” disse tra sé e sé il ragazzo. Avevano
sorvolato Cuoripoli, aveva visto un ragazzino che piangeva per esser caduto
dalla bici, ed un padre che lo rimetteva in piedi e lo stringeva.
Ora che ci pensava poteva anche non essere il padre.
Insomma, non deve per forza essere tuo padre qualcuno che ti
da amore ed affetto. Rachel ne era la dimostrazione assoluta.
La ragazza aveva vissuto senza i reali genitori, ma non
aveva mai messo in dubbio il fatto che John e Martha fossero coloro che
l’avessero messa al mondo, perché le avevano donato tutto l’amore possibile ed
immaginabile. Proprio come se Rachel fosse uscita dal ventre della madre di
Ryan.
Ryan sorrise, ricordando una scena. Rachel piccolina, quel
piccolo caschetto nero, gli occhi chiari e la frangetta davanti agli occhi, che
ogni due minuti era costretta a levarsi dal volto perché era troppo lunga.
Non avrà avuto più di tre o quattro anni, e mentre Ryan
giocava con il suo Ralts, che in seguito sarebbe divenuto Gallade, quella
parlava con Zorua.
Col senno di poi capì che probabilmente il volpino aveva
usato le sue abilità illusorie per diventare un bambino, ma Rachel, che ancora
non capiva bene quella situazione, si comportava con una naturalezza quasi
assurda.
Ryan sorrise, mentre uno stormo di Staravia attraversò
veloce il cielo di Sinnoh. Rachel da piccola era adorabile. Ricordava alla
perfezione il giorno in cui quella entrò nella loro casa, per la prima volta.
Lui era piccolo, davvero molto piccolo, probabilmente quello
fu il uso primo ricordo.
Nella sua testa c’erano le luci della cucina di casa sua.
Quelle luci gialle, calde, che in inverno ti riempivano di tutto ciò che ti
mancava. Il papà era seduto al tavolo, conti alla mano, anche i professori
dovevano pagare le tasse, e con la penna tra le labbra si lamentava circa il
fatto che non riuscisse a godersi i soldi appena guadagnati.
Lavorava come professore. Non appena poteva, Ryan coglieva
ogni insegnamento da parte del padre.
Lui era seduto accanto al papà, euforico per la promessa che
gli era stata fatta da poco, prendere il suo primo Pokémon, e sul tavolo
c’erano sparsi qui e lì automobiline e soldatini, di quelli di plastica con la
piattaforma che sembrava facessero snowboard.
Ripensandoci ora, a Ryan mancava giocarci. Gli ricordavano
momenti dolci e felici, quando i pensieri più grandi sono rappresentati dal non
voler andare a dormire.
Una vita piena di possibilità, senza doveri. Una vita da
bambino.
Ricordava alla perfezione il gioco che faceva. Aveva una
action figure di Tyranitar, alta circa venti centimetri, ovvero enorme rispetto
agli altri giocattoli sul tavolo.
Tyranitar era il mostro, ed i soldatini usavano le
automobili come skateboard per sfuggirgli ed attaccarlo.
Tyranitar non vinceva mai. Il suo soldatino preferito,
quello che teneva l’occhio vicino al mirino del fucile, sparava colpi a
ripetizione. Non si curava nemmeno del fatto che tutti i rumori che faceva
giocando, per rendere più realista la situazione, potessero infastidire il
papà.
John forse era abituato, forse in aula, quando insegnava,
era costretto a cose ben peggiori.
Ad ogni modo la sera era già scesa da tempo, e la fame si
faceva sentire.
“Papà...ma la mamma dov’è? Ho fame”
“Lo so, Ryan, non preoccuparti. Tra poco la mamma è a casa. Mi ha chiamato dieci minuti fa”
“E dov’era?”
“Lo so, Ryan, non preoccuparti. Tra poco la mamma è a casa. Mi ha chiamato dieci minuti fa”
“E dov’era?”
“A dieci minuti di auto”
“E quindi?”
“Se ce ne servono dieci, e ce ne danno dieci...?”
“E quindi?”
“Se ce ne servono dieci, e ce ne danno dieci...?”
“Dov’è la mamma?!”
“Rispondi”
“Uff... ripeti”
“Se ce ne servono dieci, e ce ne danno dieci cosa abbiamo?”
“Tutto”
“Quindi?”
“Quindi la mamma è qui?”
“Esatto” sorrise John, sorridendo per l’arguzia del figliol prodigo.
“Rispondi”
“Uff... ripeti”
“Se ce ne servono dieci, e ce ne danno dieci cosa abbiamo?”
“Tutto”
“Quindi?”
“Quindi la mamma è qui?”
“Esatto” sorrise John, sorridendo per l’arguzia del figliol prodigo.
“Ma la mamma non è qui”
“Era solo un piccolo problema di matematica, Ryan”
“Ma io ho fame”
John sorrise, e subito dopo i fari della Bmw di famiglia illuminarono brevemente il salotto, lasciato buio per non sprecare corrente.
“Era solo un piccolo problema di matematica, Ryan”
“Ma io ho fame”
John sorrise, e subito dopo i fari della Bmw di famiglia illuminarono brevemente il salotto, lasciato buio per non sprecare corrente.
Ecologisti loro.
E mentre Ryan sorrideva, levando tutto da mezzo, sapeva che
quando si doveva mangiare i giocattoli dovevano essere messi a posto, John si
avvicinò alla porta.
La aprì, il rumore dell’auto cessò, ed i fari si spensero,
facendo ripiombare, tavolino, divano e televisore di nuovo le buio più che
totale.
“Martha” la chiamò John.
Ryan cercava di vedere la sagoma della madre dietro le
spalle del padre, ma non ci riusciva. Poi John fece un passo indietro, e rimase
sgomento.
“Cosa è successo? Di chi è?”
Ryan corse a vedere. Sicuramente era un Pokèmon. Il Pokémon che suo padre gli aveva promesso quel pomeriggio era già lì. Sua mamma glielo aveva sicuramente portato. Scavalcò il papà, per vedere il volto di sua madre.
“Cosa è successo? Di chi è?”
Ryan corse a vedere. Sicuramente era un Pokèmon. Il Pokémon che suo padre gli aveva promesso quel pomeriggio era già lì. Sua mamma glielo aveva sicuramente portato. Scavalcò il papà, per vedere il volto di sua madre.
Stropicciato, come quasi sempre dopo il lavoro. Martha aveva
entrambe le braccia occupate. Da un lato un piccolo fagotto, ripieno di una
deliziosa bambina sonnecchiante. Nell’altra mano una Pokéball.
"Chi è?” chiese Ryan, curioso ma anche un po’
contrariato dal fatto di essere stato colto alla sprovvista.
“Lei è Rachel. Una bellissima bimba” rispose sorridendo
stancamente sua madre, stendendo quelle bellissime labbra che gli baciavano la
fronte ogni notte.
“E la Poké Ball?! Che c’è nella Poké Ball?”
“Questo è un amico di Rachel”
“Non può diventare anche amico mio?”
“Oh, sicuro. Ma sarà più amico di Rachel. Qui c’è uno Zorua”
“Oh...” fece quello, meravigliato. John sorrise mettendo una mano sul caschetto biondo del figlio, sapendo che non sapesse cosa fosse uno Zorua.
“Questo è un amico di Rachel”
“Non può diventare anche amico mio?”
“Oh, sicuro. Ma sarà più amico di Rachel. Qui c’è uno Zorua”
“Oh...” fece quello, meravigliato. John sorrise mettendo una mano sul caschetto biondo del figlio, sapendo che non sapesse cosa fosse uno Zorua.
“Presto anche tu avrai un Pokémon, vero? Potrai anche farlo
giocare con Zorua” ripeté il concetto la mamma.
“Ok, mamma. Ho fame”
“Ora cucino subito”
“Ora cucino subito”
I pensieri si tagliavano tra di loro, si univano, si
stracciavano, si bruciavano, lasciando un odore conosciuto, ma non
distinguibile. Rimorsi e rimpianti si susseguivano e non si raggiungevano mai,
e alla fine, Ryan si ritrovò davanti il Lago Valore.
“Grazie signor rettore” sorrise Alma, uscendo dall’ufficio
di quello col sorriso stampato sul volto.
Mia pensò che pochi uomini avrebbero potuto resistere ad un
sorriso del genere.
La sfera di Alakazam tra le mani, Alma guardò Zack e
prolungò il sorriso.
In quel momento un po’ d’ansia colse il giovane. Le mani
tremavano leggermente. Avrebbe dovuto aver a che fare con Pokémon potentissimi.
L’adrenalina cominciò a riversarsi nelle sue vene come se avessero aperto i
boccaporti. Strinse i pugni, dandosi carica. Mia lo guardava un po’ spaventata,
credendo che se quella situazione avesse messo in difficoltà Zack, che era in
assoluto l’allenatore più forte che conosceva, lei avrebbe dovuto girare con un
coltello per l’intera avventura, in modo da ammazzarsi non appena la situazione
si sarebbe fatta irreversibile.
“Ce la posso fare” disse Zack a se stesso. E bastarono
queste parole a far sorridere la bionda.
“Io sarò con te” gli disse. Zack sorrise e la guardò. “Ce la
faremo” continuò la ragazza.
Zack e Mia seguivano Alma lungo il disastratissimo corridoio
della facoltà. I terremoti non avevano risparmiato quel pezzo di storia, e
quindi macerie e pareti cadute venivano ricostruite con certosina precisione da
parte degli addetti ai lavori.
Alma camminava, quasi volava in direzione di un posto in cui
erano tranquilli di poter fare quello che volevano. La facoltà non era il posto
giusto, piena di operai che ricostruivano.
Salirono nell’auto della professoressa, ed arrivarono allo
spiazzale dove Alma aveva parlato a Zack e Rachel della leggenda di Arceus.
Scesero dalla vecchia auto, le porte cigolarono aprendosi.
“Dovrei usare un po’ d’olio” fece lei. Fuori la Poké Ball
dalle tasche ed un bell’esemplare di Alakazam si presentò davanti ai loro
occhi.
I tre rimanevano l’uno accanto all’altro, Zack tra le due
donne, in attesa che Alma prendesse il coraggio di lasciar partire il suo
pupillo.
“Beh... Alakazam. Devi teletrasportare questi due ragazzi a
Sinnoh. Cerca di farli comparire in una zona sicura” si premurò quella.
Alakazam sembrò aver capito. Giostrò un po’ con i cucchiai e
smaterializzò i due, per poi farli riapparire su di una stradina sterrata
costeggiata da erba alta ed alberi spogli.
Mia aprì gli occhi e si guardò attorno. Non vedeva
null’altro che neve. Neve fresca, ben stesa per terra, nessuno aveva camminato
lì prima di loro, non c’era alcun segno sul quel foglio bianco.
“Zack” lo chiamò lei.
“Sono qui, Mia”. Quello era alle sue spalle, mentre si
sistemava la bandana sulla testa.
“Fa molto freddo, qui...”
“Già... dobbiamo muoverci, o andremo in ipotermia” fece quello.
“Già... dobbiamo muoverci, o andremo in ipotermia” fece quello.
“Come vorrei avere qui quella candelina, ora...” sorrise
lei.
“Ce la riprenderemo”
Zack alzò il piede destro, e lo affondò nella neve bianca,
cominciando a camminare. I loro passi, nella candida neve, parevano trattini
disuniti e storti, di una linea sgualcita che linea non era mai stata.
“Dove siamo?” chiese lei, con quella voce incredibilmente
dolce che si ritrovava.
“Non lo so...dobbiamo cercare il centro abitato più vicino”
fece il ragazzo, alzando gli occhi al cielo depresso del mattino. Le nuvole
erano ancora cariche di neve, ed al primo tamponamento questa si sarebbe
riversata a mo’ di zucchero a velo su quella torta piena di guai.
Mia alzò gli occhi. “Fumo... sarà qualche comignolo, Zack”
“Hai ragione. Brava la bionda”
“Grazie” sorrise timidamente lei.
Si incamminarono verso quella direzione, attraversando il
bosco addormentato, nel quale la gran parte dei Pokémon era in letargo. Un
Glaceon si nascondeva dietro ad un cumulo di neve, mentre un Honchkrow era
appollaiato su di un ramo, in silenzio, raccolto nel calore delle sue piume.
Mia guardava la fauna tutta affascinata, mentre Zack apriva
la strada davanti a lei, come una forbice ben tagliente. Lei metteva i piedi
nelle orme formate dal ragazzo, per star sicura di non incappare in nessuna
trappola.
“In questo periodo gli Abomasnow scendono a valle, qui a
Sinnoh...” disse Zack.
“Valle? Mica hai capito dove siamo?”
“Credo di si” si girò e si fermò, per guardare la montagna
alle sue spalle. “Quello è il Monte Corona. La Vetta Lancia è orientata verso
nord da qui, e ciò vuol dire che dovremmo trovarci nei pressi di Duefoglie”
Superarono gli ultimi alberi e si trovarono di fronte ai
tetti innevati del piccolo paesino.
Ryan si guardò attorno. Il Lago Valore era un posto
attorniato da alberi, abbastanza nascosto ed isolato dal sentiero principale
che porta da Rupepoli alla zona dell’Hotel Gran Lago.
Ryan avanzò di qualche passo, Marianne e Linda lo seguirono
parecchio affascinate dalla zona. Il sole illuminava solo una parte di quel
posto, così vasto ma così nascosto.
Le rive del lago sembravano calme e tranquille. L’acqua era
immobile, trasparente. Vari Magikarp e Poliwag sguazzavano qui e lì, e ti
veniva davvero tanta voglia di immergerti in quelle acque protette.
Ah, già. Era praticamente Natale.
Al centro del lago vi era un isolotto.
“Dobbiamo circumnavigarlo” fece Linda. “Troveremo l’ingresso
per l’antro di Azelf”
Ryan e Marianne annuirono. Ryan mise in campo Feraligatr, che entrò in acqua ed attese che Ryan gli salisse sulla schiena. Si assicurò con le gambe ai fianchi, quindi aspettò che Marianne facesse altrettanto con il suo Sharpedo e Linda con il suo Kingdra.
Ryan e Marianne annuirono. Ryan mise in campo Feraligatr, che entrò in acqua ed attese che Ryan gli salisse sulla schiena. Si assicurò con le gambe ai fianchi, quindi aspettò che Marianne facesse altrettanto con il suo Sharpedo e Linda con il suo Kingdra.
“Andiamo” fece quest’ultima, ed assieme ai loro Pokémon
tagliarono la superficie liscia dell’acqua.
Ryan si sentiva un po’ in ansia. Il destino del mondo
dipendeva anche da quello che sarebbe successo quel giorno.
Non aveva mai avuto a che fare con un Pokémon leggendario.
Sinceramente credeva fosse solo un Pokémon più raro degli
altri. Ma poi pensava alla faccenda di Relicanth, rarissimo Pokémon
preistorico, che non era altro che un pesce, anche un po’ brutto.
Azelf era potente.
L’isolotto si avvicinava vorticosamente, ed intanto lui
analizzava la situazione di Zackary Recket. L’aver inibito la sua azione di
salvataggio riguardo il maremagnum della profezia di Arceus poteva sicuramente
risultare controproducente, dopotutto Zack aveva più volte dimostrato di essere
uno dei più abili con le sfere tra le mani, ma sicuramente c’era qualcosa che
andava oltre.
Mentre Feraligatr quasi scivolava sull’acqua, Ryan capì che
doveva esserci qualche situazione economica particolare. Sì, perché salvare il
mondo ti rendeva riconoscibile a chiunque, anche se sei il Signor Nessuno.
E passare da Signor Nessuno a Signor Qualcuno conviene a
tutti.
Sicuramente Lionell aveva in mente dei forti progetti a
livello economico per questa impresa, anche perché a lui non interessava la
notorietà, era già abbastanza ricco di suo.
Avrebbe espanso gli affari, il buon nome dell’Omega Group
avrebbe viaggiato in lungo ed in largo alla velocità della luce.
I Pokémon d’acqua rallentarono fino a fermarsi del tutto. I
ragazzi scesero ed immersero le caviglie nell’acqua, dopodichè fecero rientrare
nelle sfere i Pokémon e si avvicinarono all’ingresso dell’antro.
Alcune piante crescevano qua e là, qualche bacca penzolava
dagli alberi, ma uno strano rumore fuoriusciva dall’apertura della grotta, come
se un grosso e rumoroso stomaco reclamasse cibo in continuazione.
Se non avesse avuto idea delle dimensioni di Azelf,
probabilmente se lo sarebbe aspettato alto quanto uno Steelix.
“Andiamo?” chiese Ryan.
“Andiamo” risposero in coro le due.
Loro dietro, il ragazzo avanti, mossero i primi passi
all’interno della Grotta Valore. Qua e là qualche infiltrazione creava grosse
pozzanghere per terra, profanate dal fango degli stivali dei tre.
Le gocce cadevano rumorose per terra, creando un ritmo quasi
perfetto. Stalattiti e Stalagmiti si alternavano, Marianne fu in grado di
vedere un paio di queste che erano riuscite ad unirsi, a formare una colonna di
calcare.
La luce che proveniva dall’esterno si esaurì, dopo una
decina di passi era già tutto buio. I ragazzi tirarono fuori dalle loro cinture
delle grosse torce, la cui luce spaventò alcuni Zubat che veloci schizzarono
fuori.
Il corridoio dentro il quale i ragazzi camminavano si
assottigliava sempre di più, ad un certo punto raggiunsero un punto in cui le
due pareti quasi si incontravano, formando un angolo davvero stretto. Ryan
abbassò il volto, lì c’era un’apertura abbastanza ampia da permettergli di
passare. E se fosse passato lui, le due ragazze, decisamente più minute, non
avrebbero avuto problemi.
Si districarono da quell’abbraccio di roccia, e davanti
ebbero una visione meravigliosa.
Una grossa stanza era interamente illuminata da zaffiri ed
altri cristalli blu. Nonostante il loro alto numero, la visibilità non era
delle migliori. Una nebbiolina poco densa vagava stanca come un uomo appena
uscito dall’ufficio.
Penombra ovunque, e ancora il rumore delle gocce che cadeva,
a formare delle pozze di acqua limpida, filtrata dal tetto della grotta.
“Eccolo” fece Ryan, mettendo mano alla Poké Ball.
Azelf era dritto, immobile a tre metri da terra, teneva gli
occhi spalancati mentre le tre code parevano lance allungate verso il
pavimento.
“È lui” disse Marianne.
“Viene definito il Pokémon Volontà. Si dice che chiunque gli
faccia del male, dopo un po’ perda la voglia di fare, divenendo totalmente
apatico” aggiunse l’altra.
“Uhm... cercherò di non fargli del male, allora. Vai
Gallade”
Gallade scese in campo. Alla vista del Pokémon, Azelf parve
quasi esplodere.
Velocemente i cristalli si illuminarono ancora di più, il
blu fece quasi sparire la nebbiolina, ma più di ogni cosa risaltava il
cristallo che proteggevano. Il cristallo di Azelf, rosso, sulla sua testa,
pareva il sole che sorge dopo una lunga notte buia.
“Si sta preparando alla lotta” avvertì Marianne.
“Lo so. State indietro. Gallade, vai con Palla Ombra”
Gallade velocemente si piazzò al centro dell’arena,
lasciando partire una veloce sfera oscura, che colpì dritta in petto il veloce
avversario. Azelf accusò davvero molto il colpo, e ruzzolò indietro di parecchi
metri.
Il cristallo gli si illuminò ancora di più. Gli occhi
diventarono blu, e dello stesso colore era l’aura che lo avvolse.
“Divinazione...” fece Linda.
Non era molto efficace, almeno su questo era tranquillo,
Ryan. Bisognava chiudere in fretta quella lotta.
“Gallade, Nottesferza!”
Il buio scese velocemente, e quasi come se un soffio di
vento oscuro lo avesse investito, Azelf strillò di dolore.
Ryan stava cercando di utilizzare tutte mosse efficaci su
quel tipo di Pokémon.
Azelf però non si
perse d’animo, e si alzò in volo.
“Attento, Gallade”
Il piccolo Pokémon psico prese a roteare velocemente, ed il
movimento di code di quello quasi ipnotizzò il suo avversario, che colpì fu
colpito repentinamente al petto.
Gallade cadde a terra. Era un attacco Acrobazia.
“Bene... ma il fatto che fosse forte lo sapevamo già.
Gallade, usa Psicotaglio!”
Quello si rimise in piedi, e dagli avambracci fuoriuscirono
delle onde bianche, energia psichica, che Azelf schivò abilmente, quindi
utilizzò a sua volta l’attacco Palla Ombra.
“No! Devi evitarlo assolutamente! Gallade, Teletrasporto!”
Prima che l’attacco andasse a segno, Gallade sparì, e si materializzò alle spalle dell’avversario.
Prima che l’attacco andasse a segno, Gallade sparì, e si materializzò alle spalle dell’avversario.
“Ora! Usa Nottesferza!”
E stavolta non ci furono più storie. Azelf ricadde veloce
per terra, quindi Ryan lanciò la Ultra Ball e catturò il suo obiettivo.
Fuori uno.
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