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Diciassettesimo Capitolo - 17

Bentornati, amici. Anche stasera fuori un nuovo capitolo della nostra fantastica Fan Fiction sui Pokémon. Ricordo che da questa settimana, per via di vari impegni, è ufficiale che l'uscita del capitolo avvenga di martedì. State aspettando notizie per i nuovi Pokémon? Per le nuove generazioni? O per le novità riguardanti Pokémon Courage? Mettete mi piace a Pokémon Adventures ITA e seguite tutto ciò che pubblica il fantastico staff di questa pagina!
Ragazzi...seguite Laila Art....è possibile che dobbiate avere a che fare più spesso con i suoi disegni.
Sabato esce un pezzo della rubrica consigli utili.
Ed io ora vi auguro una buona lettura =)
Stay Ready
Go.

Andy $






“Rachel...”
Seduta su di un divano, le gambe strette e le mani sulle ginocchia, mentre la sconfitta le abbassava il capo. La ragazza era stranamente composta, rigida, quasi non volesse lasciar scappare nulla, come se volesse controllare tutto.
Tutto... beh. Il controllabile.
Ormai il controllo non era più nelle sue mani.
“Rachel... sono io”
Ryan le si inginocchiò davanti, carezzandole il mento con le dita. Quella stanza era davvero piccola, ed odorava di chiuso. C’era solo quel divano, ed un paio di lampadine scarne ad illuminare lo sterile ambiente.
“Tu chi?” domandò Rachel.
E fu questa domanda a far sobbalzare Ryan.
“Come io chi? Sono io, Rachel, tuo fratello”
A quella parola, la parola fratello, Rachel alzò il volto, con gli occhi in lacrime, e le labbra che cercavano di mantenere la linea del taglio dritta, non riuscendoci.
“Tu mi hai costretta a lasciar andare l’uomo che amo. Tu mi hai costretta a stare qui, quando non voglio starci. Tu mi hai costretta a vivere in un modo che non mi appartiene, e che mi fa stare male. E ammesso che esistano persone come te, non li definirei mai con il termine fratello. Inoltre non sei mio fratello... quindi non pensare di te stesso una cosa del genere”
Lo sguardo di Ryan si appesantì, ed una nota scura comparve nel rosso dei suoi occhi.
Il silenzio urlava. Tanto che quando Ryan schiuse le labbra per proferire parola, lo schiocco fu quasi assordante.
“E se io avessi agito in questo modo per dei motivi?”
“Dammi i tuoi motivi” fece quella, sterile.
“Non posso”
Rachel fu stranamente divertita da quella cosa. “Cioè... sono costretta a stare qui con te, ma non mi è dato sapere il motivo di questa cosa... giusto?”
“Beh... messa così può sembrare una cosa cattiva, la questione però...”
“È una cosa cattiva” lo interruppe l’altra.
“...la questione...” sospirò Ryan “...è che tu sei preziosa tanto per me quanto per Lionell...”
“E chi sarebbe?”
“Lionell è tuo padre, Rachel”
Fu quello il momento in cui la porta alle spalle del ragazzo si spalancò. La luce inondò la stanza, e rese difficile per la giovane riconoscere chi stava entrando. Erano più figure.
“Chiudi la porta” fece una voce profonda. Una voce strana, calda e tagliente allo stesso tempo. Di quelle che ti muovono qualcosa dentro.
La porta si chiuse, e Ryan si alzò all’in piedi. Rachel si irrigidì tutta non appena fu in grado di riconoscere i volti delle persone che aveva di fronte.
C’era la stessa bionda che stava con Ryan quando aveva battuto Zack. E poi la ragazza di colore con i capelli ricci. In più, però, c’era qualcuno che non aveva mai visto.
Era un uomo. Un bellissimo uomo, un po’ troppo in avanti con l’età per lei, con un elegante completo Valentino che gli calzava come un guanto. Il fisico, nonostante i cinquantacinque anni d’età che lei gli attribuiva, sembrava atletico.
“Rachel...”
“Immagino...” Rachel deglutì. Gli occhi di Ryan si illuminarono come quelli dei gatti al buio. “Immagino che lei sia Lionell”
Quello abbassò il capo, e serio annuì. Le labbra, che parevano scolpite nel marmo si mossero lentamente, e la lingua di quello le inumidì
“Ciao”
“Ryan dice che sei mio padre”
La ragazza si accoltellò metaforicamente dopo questa domanda. Non pensava di aver tutta questa scioltezza nel parlare con l’individuo che aveva donato alla madre il seme per metterla al mondo.
“Non mente”
“E... per quale motivo sono cresciuta con John e Martha Livingstone?”
“Lasciateci soli, per favore”
Marianne guardò Linda, ed assieme a Ryan uscirono tutti, lasciando l’uomo di mezza età e la giovane ragazza nella stanza.
“Posso accomodarmi accanto a te?”
Rachel si fece più in là, timorata da quella figura misteriosa. Sembrava un cucciolo spaventato, con gli occhi enormi e pronti a riesplodere per il pianto.
Lionell si sedette, ed accavallò la gamba destra. Sospirò, e lentamente girò la testa verso Rachel.
“Hai diciassette anni, Rachel, vero?”
“Si, signore”
“Chiamami Lionell. O papà”
“Non riuscirei a chiamarla in nessuno dei due modi. Mio padre fu John Livingstone, e nessun altro chiamerò in quel modo. E lei è di molto più grande di me, e non posso darle del tu”
“Ti do il mio permesso”
“Non si tratta di questo. Io non la conosco. Lei dice di essere mio padre, ma in realtà è un perfetto estraneo. Uno sconosciuto... mi dica, signor Lionell... è stato lei a farmi rapire?”
“Io non ti ho fatta rapire. Io ti ho fatta prelevare”
“Prelevare...uhm...” Rachel voleva ridere istericamente in faccia a quel signore, ma non poteva sapere che genere di reazione avrebbe manifestato quello.
“So che i nostri metodi possono esserti sembrati un po’ bruschi, ma la verità è che tu sei un importante tassello per la salvezza di tutti noi. Rachel, tu sei il cristallo di Arceus”
Quella spalancò gli occhi.
Maledisse tutto ciò che aveva fatto in quelle settimane di peregrinazione rivelatasi inutile per cercare quel cristallo. Il maledetto cristallo era lei.
“Sono io? Il cristallo di Arceus sono io?”
“A quanto ha scoperto tuo zio, John Livingstone, sì”
“Zio?! Momento, una cosa alla volta! Perché si riferisce a mio padre come a mio zio?”
“Perché tuo padre sono io. E John è il marito della sorella di mia moglie”
“...mi sono persa...” fece quella, asciugandosi una lacrima galeotta e fuggente.
“Martha era la sorella di tua madre. Irya”
“Irya?” chiese lei, affascinata come un bambino che vede per la prima volta il mare.
“Si. Irya. Era bellissima. E ti assomigliava tantissimo”
“E lei dov’è ora?”
“Lei purtroppo non è più con noi. Morì tanto tempo fa, quando decidemmo di darti in affidamento a John e Martha. Nonostante ti abbia amata dal primo momento che ti vidi, non sarei mai riuscito ad occuparmi di te senza di lei”
“Evidentemente non aveva abbastanza spirito di paternità, all’epoca. Ma sembra che ora le sia ricomparso” punse come un’ape, mentre la disperazione la scuoteva per le spalle, come il bullo della scuola. Al posto delle monete, Rachel perse delle lacrime.
“Non si tratta di questo. Ho preferito mandarti dai tuoi zii, che già avevano Ryan con loro. Lavoravano, e vivevano delle vite morigerate. Avrebbero potuto crescerti dignitosamente”
“E non ha pensato che una volta cresciuta io avessi avuto bisogno di sapere?” le lacrime di Rachel si annodavano tra di loro, stringendosi per mano prima di cascare nel vuoto ed infrangersi contro la copertura morbida del divano.
“Certo... io voglio tornare ad essere parte di una famiglia. Di essere parte della tua famiglia”
“Lei mi ha rapito, signor Lionell... non mi fido di lei”
“Mi spiace che tu la pensi così, ma ti ripeto che non ti ho rapito. Ti ho prelevata. Ti ho reclutata”
“Per cosa, di preciso?”
“Essendo il cristallo di Arceus...”
“...vuole fermare la distruzione...” disse, prendendosi una pausa ogni tanto tra una parola e l’altra.
“Si, Rachel”
“Ma anche Zack ed io lo stavamo facendo. E perché poi avete rapito Mia?! Che c’entra lei, poverina?”
“Mia è libera adesso. Ed è stata semplicemente un trucco che abbiamo utilizzato per farti venire qui. Sei stata incredibilmente difficile da rintracciare, piccola mia” sorrise Lionell.
Rachel guardava perplessa l’uomo, ed intanto i suoi dubbi si moltiplicavano come cellule all’interno della sua testa.
Doveva fidarsi di quest’uomo?

Zack fu portato in una stanza e malmenato pesantemente da diversi energumeni.
Aveva il labbro ed il sopracciglio spaccato, e delle vistose ecchimosi si erano create sui suoi occhi e su varie parti del torace.
Dopodichè fu preso di peso e gettato in una stanza buia.
“...fanculo...” fece, cercando senza esiti di capire dove si trovasse. Era al buio.
“Chi sei?!” chiese una voce allarmata.
“Tu chi sei?!”
“Zack?! Sei tu?!”
“Chi sei?! Come fai a conoscere il mio nome?”
“Sono Mia, Zack! Che ci fai qui?!”
“Mi hanno catturato... ed hanno preso Rachel...” la voce di Zack esprimeva rabbia, fatica e stanchezza contemporaneamente. “Non so se riusciremo a salvare la situazione, Mia”
“Finchè siamo chiusi qui, non credo”
“Non ho neanche i miei Pokémon qui... me li hanno presi”
“Che è successo?”
“Poi ti spiego... ora parliamo delle cose importanti... il cristallo... è ancora con te?”
“Quello che mi hai dato tu sì”
“Che significa? Quanti altri cristalli hai?”
“Io nessuno. Il problema è che ho scoperto tante cose... tra cui il piano dell’Omega Group ed il fatto che io non sono l’oracolo”
“Cosa?! Che cazzo stai dicendo, Mia?!”
“Rachel è il cristallo”
“Rachel?!” il tono di Zack si era alzato ulteriormente, ora sfiorava l’urlo.
“Si... è una discendente di Prima, l’oracolo”
“Quindi lei è l’oracolo, ora”
“Non lo so. Non ci ho capito molto”
“Qualcosa non quadra...” Zack tastava a tentoni il pavimento, cercando di incontrare la mano della biondina, per ricongiungersi a lei, e per condividere un po’ del suo calore. Aveva tutti i muscoli indolenziti.
“Cosa intendi?”
“Siamo saliti sul Monte Trave più di una volta, e stiamo cercando di metterci in contatto con Arceus da settimane... come mai, se davvero è l’oracolo, non ha mai ricevuto la sacra chiamata?”
“Non ne ho idea, Zack. Quello che so, però, è che quello che mi hai dato è solo un raro ninnolo, e non il cristallo”
Zack toccò il piede di Mia. “Eccoti. Sei su di una sedia”
“Sono legata”
“Oh... ti slego, poi dobbiamo cercare un modo per uscire da qui”

“Si, tranquilla, Rachel. Zack e Mia stanno bene. Sono stati portati rispettivamente ad Edesea e Plamenia, ognuno nelle proprie abitazioni”
Lionell vedeva il volto contrito della ragazza, sporco di trucco e di lacrime, mentre le labbra tremolavano ad ogni sussulto della ragazza. Il singhiozzo la stava dilaniando, e voleva tranquillizzarla.
“E... e quindi io sono il cristallo?”
“Si, Rachel. Sei il cristallo”
“E come... come devo fare per parlare con Arceus”
“Questo non lo so. E non lo sapeva nemmeno John. Purtroppo la morte lo ha strappato dal suo lavoro troppo in fretta. È per questo che ci seguirai”
“Dove?”
“Andiamo a parlare con Prima. Torneremo nell’Adamanta di mille anni fa, ed eviteremo il grande eccidio che culminerà con la decisione di Arceus di portare morte e distruzione su questa terra”
Rachel ebbe un accenno di sorriso. “Come dovremmo tornare indietro nel tempo, scusa?”
“Con Dialga”
“Dialga... non è il leggendario Pokémon di Sinnoh?”
“Esatto. Abbiamo già pronto un jet privato per Giubilopoli”
“Giubilopoli si trova a Sinnoh” concluse Rachel stupita. “Allora andrò davvero a Sinnoh con voi”
“Già”
“E perché devo venire anche io? Insomma, Prima aveva il cristallo, ai suoi tempi. Per quale motivo non potete usufruire di quello?”
“Semplicemente perché può accadere di tutto. E per cautelarci porteremo te”
“Io sono il cristallo...” si ripeteva incredula.
Lionell sorrise.
“Partiremo domattina. Marianne ti farà strada verso la tua stanza”

Zack era pieno di lividi, schiena al muro, mentre stringeva Mia, tra le sue gambe, schiena contro petto.
“Non succederà niente, stai tranquilla”
La sentiva nervosa, e la cosa gli pesava. A quanto aveva capito era stato del tutto inutile coinvolgerla. Non era l’oracolo. Ed il cristallo non serviva a niente.
“Se solo avessi i miei Pokémon qui...” ragionava Zack.
“Anche a me li hanno presi”
“Ah... hai perso Metang... ora ce l’ha Rachel. Stavamo aspettando per dartelo”
“Mi sarà caduto quando mi hanno rapita...”
Mia rabbrividì ricordando quelle cose. Davanti agli occhi il nero, il vuoto più assoluto, ed intanto la preoccupazione e l’ansia crescevano.
Come avrebbero fatto ad uscire di lì?
Zack, dal canto suo, non aveva nemmeno uno straccio d’idea. Senza Pokémon, senza un po’ di luce e con una fame pazzesca.
“Avevano detto che ci avrebbero lasciati andare” fece poi quello.
“Hai capito solo ora quanto cattiva sia questa gente?”
“Pensavo che Ryan fosse un uomo di parola... mi delude ancora. Di nuovo...”
E poi la depressione cominciò a farlo suo.
Aveva perso. Aveva perso una sfida, una sfida troppo importante, l’unica sfida che non doveva perdere.
Aveva perso la libertà, il suo amore, il calore delle mani di Rachel, il brivido di tenerla accanto.
Ora era con quel maniaco di suo fratello, o qualunque cosa egli fosse.
Alla fine si era semplicemente rivelato uno sconosciuto.
Si morse forte le labbra, già screpolate dal freddo, tanto nessuno avrebbe potuto vederlo. Una lacrima scese anche a lui, sconfortato e demotivato.
Non aveva mai perso da quando era diventato il Campione di Adamanta.
Non che non avesse mai perso in generale, anzi, ce ne volle di allenamento per sconfiggere Sandra, a Jotho. Perse almeno sei volte, prima di decidersi a cambiare strategia.
Catturò un Dragonair, che gli diede tante soddisfazioni.
La questione era però che veder perdere Lucario in quel modo gli aveva aperto qualcosa dentro, qualcosa che difficilmente sarebbe riuscito a richiudere con velocità.
Aveva sfidato Ryan, per recuperare Mia, per confermarsi l’eroe della situazione, e invece fu costretto a cedere Rachel alla parte avversa, venendo rinchiuso in una cella.
Ad un certo punto il silenzio la fece da padrone. Solo i respiri dei ragazzi, entrambi sconfortati e demoralizzati, sembravano la cassa ed il rullante di quel ritmo liscio e poco cadenzato.
Mia si accorse che qualcosa non andava. E se Zack, il sempre attivo Zack, quello con una soluzione per ogni cosa, si avviliva, beh, in quel caso sarebbe stato davvero difficile uscire da quel problema.

Ryan fremeva, Marianne non lo aveva mai visto così tanto sorridente.
I tre erano seduti nell’anticamera dell’ufficio di Lionell, mentre Linda era alla sua scrivania.
Il solito ronzio dei neon bianchi non sembrava dare fastidio. Stavolta c’era di che essere felici.
Stavolta c’era di che festeggiare.
“Siamo riusciti a prendere Rachel, finalmente” sospirò Marianne, stravaccandosi sulla sedia. Il suo volto apparve all’improvviso più rilassato, anche se i segni dello stress li aveva incisi sul volto come fossero cicatrici.
“Finalmente ho vinto” disse Ryan.
“Quel Lucario è fottutamente forte” fece ancora la ragazza di colore.
“Lo so benissimo”
“Hai avuto la meglio. Manectric è stato allenato alla perfezione”
“Anche se non l’ho allenato io...” una crepa si formò sul volto del biondo.
“Ma l’hai portato tu alla vittoria” s’intromise Linda. Ryan la guardò, con quella prepotenza attraente. Le gambe erano coperte dalla scrivania, ma aveva le braccia incrociate sotto i seni bianchi, che parevano dovessero uscire a breve dal loro posto. Il sorriso soddisfatto di chi aveva dato la giusta spinta per portare a termine quell’operazione.
“Rachel è nostra” aggiunse quella.
Ryan continuava a guardarla. Poi si girò verso Marianne, con gli occhi socchiusi. Pareva stesse vedendo un film proiettato nell’interno delle palpebre, e le tenesse aperte quel tanto per non perdersi nulla neanche nell’altro mondo.
L’altro.
Quello dove rapivano le ragazzine per scopi buoni.
“Vado a cena e poi a letto. Domani dobbiamo partire presto” fece Ryan.
Marianne riattivò il cervello e gli sorrise debolmente, per poi alzarsi. “Penso che ti seguirò”
“Io rimando qui a sbrigare alcune faccende. Aspettatevi la convocazione da parte di Lionell, dopo... sicuramente ci detterà il piano d’azione”

Rachel e Lionell avevano preso a parlare un po’ più scioltamente. Rachel si era rilassata, e stava chiedendo dei dettagli sull’operazione.
“Quindi partiremo domani?”
Lionell le sorrise. Aveva un fascino strano, con quel sorriso, e quei capelli ben pettinati. Il viso duro, ma si vedeva che quelli di Lionell erano occhi che aveva usato per tanto tempo. Gli occhiali, sobri e sottili, con la montatura trasparente, li aiutavano a mettere a fuoco gli eventi nuovi.
Chissà quanti punti nella sua vita erano stati così importanti da essere stati incisi sulla calotta cranica dalla memoria, scultrice di professione, modellatrice di verità.
Molto spesso ricordiamo quello che vogliamo, molto spesso ricordiamo male.
Ma la verità è che tendiamo a ricordare solo quello che ci piace e ci ha stupito.
Le labbra di quello, ancora incredibilmente turgide, nonostante l’età, schioccarono quando si disunirono.
“Si. Partiremo di buon mattino. Ma tranquilla, potrai continuare a dormire sull’aereo”
Rachel annuì, e nonostante quello che disse Lionell le provocò un certo divertimento non potè sentirsi libera di esprimerlo.
“E Zack sta bene?”
“Mi sembra di capire che questo Zack è importante per te”
“È la persona più importante che c’è, per me”
Lionell inarcò le sopracciglia. Poi annuì. “Te l’ho detto, ora starà dormendo, ad Edesea”
Lei annuì e poi tornò il silenzio.
In effetti la situazione era un po’ particolare. Aleggiava come smog nell’aria di quella stanza, e lo si vedeva. L’imbarazzo, s’intende.
Rachel non capiva per quale motivo quell’uomo così silenzioso gli stesse vicino dato che non le diceva niente. Ma un dubbio voleva levarselo.
“Lionell... mi può parlare della mia mamma? Che tipo era?”
“Era una donna meravigliosa. Bellissima, mi ero innamorato della sua schiena. Una notte mi sorprese, svegliandosi, mentre le guardavo le spalle, e gliele baciavo” l’uomo ricordava quell’avvenimento  con il sorriso sulle labbra. Una piccola ruga d’espressione, una crepa sul viso di quello, si formò non appena rilassò i tendini.
Si era deconcentrato ed il suo viso aveva regalato a Rachel l’impressione di quello che Lionell in effetti era: un uomo avviato verso gli ultimi atti della vita.
“E poi?”
“E poi sorrideva sempre. Stendeva quelle labbra che ancora oggi ricordo quanto belle fossero. Tu assomigli a lei alla sua età. È strano davvero, sembra di vederla, con quel giubbino di jeans, che se ne stava con il walkman a fantasticare sulla strada principale di Edesea”
“Abitavate ad Edesea?”
“Lei studiava all’università, in quel periodo. Ed io mi stavo laureando”
“Lei è laureato?”
“Si, Rachel. Sono laureato in storia antica e mitologia”
Rachel parve colpita. “Io sarei dovuta andare quest’anno all’università... ma le sole forze economiche di Ryan non bastavano a pagare la retta”
“Eh lo so... purtroppo questa è una brutta cosa. Ma al diavolo, adesso ci sono io! Studierai e ti laureerai se vuoi”
Rachel si sorprese del futile tentativo di sembrare un buon padre dopo un assenteismo pressoché totale dai suoi ricordi.
Stette in silenzio, lasciando sedimentare quelle parole, rimbalzare sul fondale della sua mente e posarsi poi leggermente su di essa.
“Come è morta di preciso, mia madre?”
Lionell sospirò ed abbassò la testa.
Rachel si sentì padrona di riprendere la parola. “Mi scusi se le rievoco brutti pensieri, ma io ho bisogno di sapere. Ho vissuto nella menzogna fino ad ora”
“Beh... tua madre Irya aveva una brutta malattia, che la rese cagionevole di salute. Era sempre debole, gracilina, e lo sforzo del parto le diede il colpo di grazia. Collassarono alcuni organi interni per lo sforzo, e morì... senza neanche aver visto cosa avesse dato alla luce”
“Oh...”
“Non parliamone più. Ti va?”
“Decisamente”
“Bene. Hai Pokémon con te, vero?”
Rachel annuì.
“Posso vederli?”
“Beh, ho un Zebstrika ed un Pupitar piuttosto impressionabili. La stanza è piccola e non è il caso di liberarli qui. Ed anche Carracosta... sa, non lo conosco bene, me l’ha prestato un... amico. Però posso presentarle Zorua, il mio amico di sempre”
Un lampo si accese negli occhi di Lionell, dopo un sorriso. “Ma certo. Adoro quel Pokémon”
“Zorua, ti presento una persona”
Rachel mise mano al cinturone e prese la ball di Zorua, quella dietro a tutte. Quello comparve sul pavimento, davanti a loro.
Dagli occhi di Zorua la situazione era un po’ particolare. Ogni volta che usciva dalla sfera vedeva quello strano bagliore rosso, che poi diventava una luce bianca, che quasi ti accecava.
Lui chiudeva gli occhi.
Quando succedeva voleva dire che stava per vedere la luce.
Che stava per vedere Rachel, la sua amica.
Lentamente la luce bianca andava svanendo, e lui se ne accorse subito. Aprì gli occhi lentamente, col timore di rimanere accecato.
Non rimase accecato.
Gli occhi erano aperti, e finalmente lui era fuori. Guardava tutto ciò che c’era attorno, ma la prima cosa di cui si rese conto fu il fatto di avere un pavimento freddo sotto i cuscinetti delle zampe.
Il divano, il posto dove adorava addormentarsi.
E lì c’era Rachel. Ma aveva qualcosa che non andava, era scossa, lo sentiva a pelle.
Lui aveva un sesto senso per quelle cose.
Salì sul divano con un saltò, mentre due voci familiari scambiavano parole.
Si chiese come facessero. Quando diventava un bambino provava una difficoltà abnorme nel parlare, sembrava quasi che gli scoppiassero i polmoni.
Si sistemò sulle gambe di Rachel, magari si sarebbe sentita meglio avendolo vicino.
Poi alzò gli occhi, per vedere l’interlocutore della ragazza.

Era lui.

Zorua prese a ringhiare, con sorpresa per i presenti.
“Zorua!” lo rimproverò Rachel.
Lionell spalancò gli occhi. Vari processi mentali si annodarono alla testa come liane all’albero, per poi arrivare ad una conclusione.
Zorua ricordava tutto.
“Mi spiace, signore... cattivo, Zorua! Rientra!”
Zorua scomparve, lasciando di nuovo da soli i due.
“Mi spiace, davvero tanto” aggiunse ancora lei.
“Tranquilla, non mi conosceva, può succedere”
Toc toc, ed entrambi si girarono verso la porta. “Avanti” disse il più anziano tra i due.
Un uomo basso, con la barba lunga castana, e con i capelli pettinati dello stesso colore si presentò ai due. Indossava un camice, a Rachel parve subito uno scienziato pazzo.
Lionell si sorprese di vederlo. “Che succede, Stark?”
“Bluruvia non esiste più. Kyogre si è svegliato”
“Oh...” Lionell si alzò in piedi 
Quella notizia scioccò Rachel, che fece altrettanto. “Kyogre? Quel Kyogre?”
“Si, tesoro. Rimani qui, potresti perderti. Tra un po’ una recluta di porterà nella tua stanza. Riposa bene che domani ci aspetta un lungo viaggio”
“Ok”
“A domani”

Ryan e Marianne erano seduti al tavolo della mensa.
Quella roba, stranamente, era buona. Lionell si premurava di sottoporre alle sue reclute, ma più in generale a chiunque lavorasse per lui, il meglio.
Non voleva rivolte inutili.
I due, l’uno di fronte all’altro in quella stanza ricolma di gente ed illuminata da grossi lampadari che emettevano luce bianca, mangiavano il loro rancio, parlottando del più e del meno.
“Linda ti si è attaccata addosso come una mosca cavallina” disse sorridente Marianne. Masticava lentamente, assaporando il cibo con gusto.
Adorava mangiare, non lo faceva mai troppo spesso. Masticava, ed un ciuffo di quei capelli che tanto sembravano molle di un materasso si presentò cordiale davanti al suo sguardo.
Non era il caso in quel momento, lo riportò su con la mano, e quello si arpionò in un altro ciuffo.
“Meglio così. Da quando c’è lei abbiamo raggiunto buoni risultati”
Ryan mangiava velocemente, l’unica cosa che gli interessava era la doccia di fine serata. Forse sarebbe passato da Rachel, a parlarle. Forse.
“Io non credo sia stato tutto merito suo. Forse fare colpo su di lei ti ha spinto a fare di più”
“Non volevo fare colpo su di lei”
“Bugiardo”
“Non è vero”
“È vero invece”
“Lasciamo perdere... comunque, se lo vuoi sapere, e scommetto che non è così ma io te lo dirò lo stesso, Lionell favorisce i rapporti sentimentali tra colleghi”
“E perché mai?” chiese incuriosito l’altro.
“Perché la famiglia è il nemico naturale della professione, queste le sue parole. E se la tua famiglia fa parte della tua professione, si aggira un importante ostacolo”
“Tu credi sia così?”
“Io non lo so di per certo. Ma forse crea meno problemi da ambo le parti. Insomma, lavorando assieme, due persone sanno entrambe cosa fa l’altro, e le liti in questo senso diminuiscono”
“Io andrei a lavorare solo per sentire la mancanza di mia moglie. Perché poi tornerei a casa e la ritroverei”
Marianne rimase stupita da quelle parole. Non lo pensava così profondo.
La cena passò velocemente, almeno per Ryan. Marianne continuava a gustarsi il suo cibo.
Lui si alzò educatamente, la salutò e se ne andò in stanza.
La doccia, il momento più felice della sua giornata. Perché significava che anticipava un altro grande momento della giornata, ovvero il sonno.
Ryan era un pelandrone, adorava dormire, ma era il classico tipo che se aveva qualcosa da fare lo prendeva a cuore e lao faceva.
Uscì da quella doccia pulito e felice. Sul fondo di quella tutta la rabbia e la cattiveria dei giorni precedenti. Rachel era davvero in quell’edificio, non aveva più senso ora immaginarla lì.
Asciugamano attorno alla vita, uscì fuori, Gallade era nella sfera, quel giorno non lo aveva liberato se non per gli allenamenti. In fondo meritava un po’ di riposo anche lui.
La porta era socchiusa.
Ryan, che stava preparandosi per la notte, si bloccò d’improvviso.
La sua porta non era stata chiusa. Qualcuno era in stanza.
“Hey, ti ci vuole molto?”
Linda. Linda era sul letto, e lui non l’aveva vista.
“Linda! Ho letteralmente ingoiato le tonsille quando ho visto la porta aperta”
“Scusami. Non era chiusa a chiave, e così sono entrata”
“Bene...”
Linda guardava la schiena del ragazzo mentre prendeva una maglietta nera e la infilava su quelle spalle larghe, piena di muscoli.
“Sei qui per la convocazione?” chiese Ryan.
“No. Volevo solo dirti che sono felice di aver trovato tua sorella”
“Ah. Ok, grazie. Sono felice anche io”
I due temporeggiarono, mentre una nuova tensione riempiva l’aria. 
Fu la bionda a spezzarla.
“Bé... ti lascio al tuo risposo, allora. Ricordati che la sveglia domani è alle cinque.”
Si congedò da Ryan, uscendo dalla porta e facendogli un cenno con la mano, senza voltarsi a guardarlo.

Zack e Mia erano rimasti per un paio d’ore in quella posizione. Non sapevano neppure che ora fosse. Ma avevano fame.
Tanta fame.
“Mia...”
“...”
“Mia”
“...hh...”
“Mia! Mia, non cedere, Mia!”
“Zack...” la voce funerea, stanca, assonnata.
“Come stai?”
“Sto bene... sto bene. Ho fame”
“Anche io. Mi spiace”
“Forse non avrei dovuto seguirti”
“Se avessi saputo che ti saresti cacciato in questo guaio non avrei mai fatto in modo che ci seguissi. Inutilmente, peraltro”
“Ho voglia di un bagno”
“Ed io di un cheeseburger, come la mettiamo?”
Mia sorrise, e Zack la sentì. Entrambi deboli, entrambi stremati e demotivati.
“Usciremo da qui?” fece poi lei.
“Io spero di sì”
Dei passi presero a rimbombare nel corridoio. I ragazzi si irrigidirono, e Mia strinse il braccio di Zack, impaurita.
Zack si alzò in piedi, facendosi avanti a lei, nascosta dietro le sue caviglie, troppo stanca e denutrita per alzarsi.
I passi diventarono sempre più forti, fin quando la flebile luce al di sotto del taglio della porta fu coperta da due piedi. Poi quattro. Sei.
Sei piedi, tre persone. O forse no, forse qualcuno era su di una gamba sola.
Se Zack avesse detto a Mia una cosa del genere probabilmente quella avrebbe trovato la forza per prenderlo a morsi dietro ai polpacci, e rise per questi deliri che la fame gli regalava già confezionati con carta da regalo rossa e nastrino dorato. In fondo il Natale era vicino.
Una chiave entrò nella serratura della porta, e Mia strinse Zack, impaurita.
Sembrò quasi eterno quell’istante, in cui la chiave faceva scattare il meccanismo della serratura, e permetteva alle rotelle di girare ed al piolo che bloccava la porta di ritirarsi dentro.
La maniglia si abbassò, e la luce inondò la stanza.
Tre figure erano in piedi.
Tre figure ombrate erano in piedi.
“Chi siete?” chiese Zack, con la mano a protezione degli occhi sensibili.
“Rancio” rispose una voce grossa. Posarono per terra due vassoi ed una bottiglia d’acqua.
“Aspettate... per favore” fece Mia, quando vide che quelli si girarono per andarsene.
Due completarono l’azione. Uno si fermò, e pareva guardarla, anche se agli occhi della ragazza era solo un’ombra.
“Che vuoi?”
“Puoi accenderci una luce? Ti prego. Ho paura”
Quando le lacrime di Mia sembrarono turbare il respiro della bella, Zack deglutì un boccone tanto amaro quanto lungo, parve affogarsi con i suoi stessi rimorsi. Era stato lui a metterla in quel guaio.
La figura misteriosa si voltò e poi chiuse di nuovo la porta a chiave.
Al buio di nuovo.
Mia continuava a piangere, stavolta con più intensità, e Zack non potè fare a meno di accovacciarsi davanti a lei, e stringerla tra le braccia.
Mia era lì, e piangeva, mentre nella sua testa c’era Rachel. Pregava Arceus che stesse bene e che non le fosse successo nulla.
Poi la luce si accese.
Sia Zack che Mia strinsero forte gli occhi, stuprati dalla luminosità del neon bianco accesosi. Lentamente Zack vide il volto di Mia, sfatto e distrutto, cimitero delle fossette che le si creavano sul viso quando rideva, il trucco sciolto agli occhi a testimoniarlo.
Non era ridere, che voleva Mia. Voleva respirare l’aria aperta.
Quando Mia riaprì gli occhi fu in grado di vedere Zack sorridere. “Hai visto?” le disse. “Hanno acceso la luce”
Mia annuì leggermente, ancora scossa. Zack la strinse ancora, poi si alzò ed andò a prendere il cibo e l’acqua.
Mangiarono famelicamente, e decisero di non sprecare l’acqua, non sapendo se ci fosse stato un altro rancio.
Quella stanza non conteneva aperture, come finestre o condotti per la ventilazione. Lì si entrava dalla porta. Da quella porta chiusa a chiave.
Da quella porta da cui sarebbero dovuti uscire.
Tutto ciò che avevano erano un vassoio, la sedia, l’acqua, sonno, fame, sete e paura.

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