Un saluto a tutti quanti! Finalmente è
fuori questa piccola shipping. Ce ne saranno altre, e saranno raccolte
interamente anche su EFP. Se volete passate e fate una recensione.
Martedì uscirà il
prossimo capitolo, quindi state attentissimi a tutto.
A presto!
Lightouse.
AlexandrianShipping.
Andy Black.
Cambia tutto.
La speranza cambia tutto.
Quando ormai credeva di non riuscire più a
fare a meno del mare, lei decise di voler smettere.
Chiusa in quel faro da praticamente tutta la
sua vita, Jasmine credeva di essere Rapunzel, ed aspettava qualcuno in grado di
raggiungerla, di capire il suo dolore.
Quel faro, quel mare di fronte, così
immenso, così ingiusto.
Gli aveva portato via quello che un tempo
era la sua unica ragione di vita. Ma di tanto in tanto la sua luce illuminava
un piccolo puntino di cielo.
Jasmine era davanti a quel vetro, il faro
era acceso, illuminando il mare notturno, allertando i pescherecci forzuti e
spauriti che gli scogli non sentivano ragioni.
Sola, lì sopra, con la sola compagnia di
Ampharos, con i suoi ricordi, e con la carica di Capopalestra di Olivinopoli
che gravava sulla sua testa come la lama di una ghigliottina.
Le notti d’estate le regalavano una brezza
di pietà a liberala dal calore possessivo d’agosto, e mentre tutto s’illuminava
all’improvviso, il suo viso si rifletté nella finestrella che aveva di fronte.
Gli occhi enormi, le lacrime ad ornarli
come orecchini di perle, che si scioglievano, rigandole le guance con sottili e
calde linee d’acqua salata, che bruciava come un marchio a fuoco.
Si sentiva in trappola, lì sopra. Si
sciolse i capelli, perché aveva i codini da tutta la giornata, e le faceva male
la cute. Si massaggiò la testa, e decise che era arrivato il momento di uscire
fuori da lì.
Il corpo esile, magro, sottile e delicato,
si mosse leggiadro fino alla porta. Il pomello però pareva essere
incandescente, e lei non aveva il coraggio di poggiare le sue piccole mani su
quel pezzo d’ottone.
Si girò, piangendo ancora di più, impotente
ancora di più.
Non poteva abbandonare il faro.
Non riusciva ad abbandonare quel maledetto
faro. Olivinopoli la teneva prigioniera nella testa, e lei aveva bisogno di una
chiave per quella cella senza sbarre.
“Ampharos…” pianse lei, girandosi verso il
suo Pokémon. Quello allungò le mani, andando a toccarla.
“Perché è andato via?”
La voce di Ampharos cercava di rincuorarla,
ma non riusciva a farla sentire nient’altro che colpevole.
Quel ragazzo era andato via, e lei non
aveva fatto niente per fermarlo. Era entrato nel suo letto, ed era fuggito via,
come un ladro, ed aveva portato con sé la luce del suo sorriso.
Quel faro ora era più buio.
E quando è l’amore a premere, ci si sente
male, perché perdere quello che riteniamo essere giusto per noi è
un’ingiustizia, una cosa che non ci meritiamo e che forse non ci meriteremo
mai.
Le bastava vederlo.
Le bastava toccarlo.
Voleva baciarlo, abbracciarlo, parlargli
ancora una volta.
Voleva fare l’amore con lui.
Ancora una volta.
Sinnoh era lontana, e lei lo sapeva. E
benché le costasse una grande fetta d’orgoglio, sapeva anche che non era
entrato nel suo letto, ma nel suo cuore. E non era fuggito via.
Era stato rapito.
Dagli impegni, dalle responsabilità. Dal
lavoro.
“Il lavoro…” sospirò quella.
Era giunto il momento di terminare quella
lunga ed astiosa attesa. Lui sarebbe dovuto essere lì, subito, immediatamente,
e lei avrebbe fatto di tutto per portarlo.
E se non fosse uscita lei da quella porta,
sarebbe stato lui ad entrarci.
Isterica, si allontanò da Ampharos, e si
avvicinò alla finestra, spalancandola. Lunghi riccioli di brezza baciarono la
sua pelle candida, smuovendogli i capelli che aveva sul collo e appiattendole
la veste su quelle curve ancora incredibilmente acerbe.
“Scusatemi!” urlò, quanto più forte poteva,
ancora con le lacrime agli occhi. Ormai era in crisi, e l’unica cosa che
sarebbe riuscita a darle la speranza era fare quello che andava fatto.
A fanculo le responsabilità, a fanculo i
pescherecci, a fanculo tutti.
Per la prima volta nella vita, lei contava
più degli altri. Afferrò la sedia pieghevole di ferro, la chiuse, e cominciò a
percuotere il corpo macchina della torre, che risuonò con un tonfo freddo e
metallico.
“Spegniti!” urlava ancora, caricando ancora
un colpo con la sedia e sbattendola nuovamente.
“Dannazione, spegniti! Spegniti!”
Ampharos urlava, intimorito, impaurito da
quei rumori e dall’improvvisa follia razionale della sua Allenatrice.
Ancora tre colpi, e poi con un rumore secco
l’enorme riflettore rotante si spense, bloccando il proprio moto. Di colpo in
mare si sentì la sirena di una nave risuonare nel buio delle onde.
“Scusatemi…” sussurrò ancora, camminando in
quella densa aria scura, fino a perdere coscienza sul letto, dove si
addormentò.
Il sole fu il primo a darle il buongiorno.
Aprì gli occhi, e fu giusto il tempo di rendersi conto di ciò che stava per
accadere, che un grande sorriso prese possesso di quel piccolo volto.
“Perché hai rotto il faro?” chiese Corrado,
serio, con la sigaretta tra le dita. Jasmine non rispose subito, volle prima
bearsi di quella visione, quindi sospirò.
“Non sono stata io…”
Corrado sorrise leggermente, e prese un
tiro dalla sigaretta. Jasmine lo scrutava, in ogni minimo particolare, temendo
ci fosse un cambiamento in lui.
E invece era sempre uguale. I soliti
capelli spettinati, biondi, con quelle basette più lunghe del normale. Gli
occhi azzurri, piccoli, stanchi, ridotti a due fessure. Fissavano Ampharos,
acciambellato in un angolo, mentre dormiva.
“E chi è stato?”
“Non lo so. Sono andata a dormire, e
funzionava ancora”
“Qualcuno dice che ti ha sentita urlare”
“Non è vero” si rattristì lei. “Perché sei
qui?” chiese poi, con voce dolce.
Lui doveva resistere all’impulso di baciare
quelle belle labbra, che tanto gli mancavano, e sorrise, sapendo quanto male
mentisse lei.
“Sai perché sono qui. Devo riparare il
faro”
“Già… Devi”
Lui annuì.
“Non andare via troppo presto, però.
Andiamo a prendere un gelato”. Il sorriso di Jasmine lo conquistò e lo catturò.
Non riuscì più a frenare la voglia, e lentamente poggiò un bacio delicato sulle
sue labbra.
“Non andrò via troppo presto”
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