GracefulShipping
Il
piccolo Samuel soleva correre il più in fretta possibile verso la
scogliera quando c’era il tramonto. Adorava vedere il sole rosa che
lasciava il cielo e si immergeva nel mare.
Vedeva i colori, le varie sfumature, la luce ed il profumo. Mare e cielo, una sola ed unica realtà, divisa da una linea, la casa del sole.
Poi tutto finì, ed andò a casa. Giocò un po', mangiò, e poi si preparò per andare a dormire, quindi chiamò suo padre.
“Papà! È l’ora della favola!”. La voce pura e cristallina del bambino riecheggiò tra le pareti della vecchia casa sul mare, dagli intonachi bianchi ed il tetto rosso.
Samuel sentì un sospiro, quindi la televisione che si spegneva, ed i passi lunghi e pesanti del suo papà, che entrò nella sua piccola stanzetta.
“Samuel”
“Papà... È l’ora della storia”
“Ok” sorrise quello, poi prese un libro da una mensola, afferrò una sedia e l’avvicinò al letto, quindi si sedette.
“C’era un volta...”
C’era una volta una sirena. Questa era bellissima, possedeva lunghi capelli color lilla, che si adagiavano delicatamente sul suo corpo, magro e bello.
Essendo una sirena, al posto delle gambe aveva un’enorme pinna dello stesso colore dei capelli.
Le piaceva nuotare, e lei passava le giornate ad esplorare l’oceano, cercando qualcuno che le assomigliasse.
E vagò, vagò ed ancora vagò, fino a che non arrivò alla fine del mare. Un enorme muro si stagliava sul fondale, e saliva in alto.
Lei, curiosa, decise di volerlo seguire, per vedere dove questo andasse.
E fu così che sinuosamente la sua pinna si mosse prima a destra e poi a sinistra. I capelli si appiattirono sul suo corpo, sulle spalle, sui seni scoperti, sulle braccia, fino a quando non si accorse che il muro continuava anche oltre la superficie del mare.
La sua testa fuoriuscì per un attimo dall’acqua, e guardò velocemente il muro. Continuava a salire su, sempre più su, fino al paradiso.
Ma lei era una sirena, e fuori dall’acqua non poteva respirare. Quindi tornò velocemente giù, dove la temperatura era più fresca e dove avrebbe potuto saggiare acqua ricca d’ossigeno.
TNuotava tra i Corsola ed i Luvdisc, rapita dall’immensa voglia di sapere cosa ci fosse oltre quel muro enorme, che si estendeva in larghezza per migliaia e migliaia di chilometri.
Era stranissimo. Il mare era così immenso e a lei non bastava.
Quindi decise di salire di nuovo sopra, cercando di studiare la situazione.
Contemporaneamente, un angelo dai capelli azzurri volava a centinaia di chilometri orari, mentre il sole ed il vento baciavano le ali e la pelle.
Lui era un adone. Volava, teneva le mani lungo i fianchi ed i piedi ben uniti, mentre le sue ali bianche si muovevano freneticamente in maniera armoniosa ed elegante. Il suo viso era rilassato, le labbra belle morbide, gli occhi aperti, ed i capelli verdi come l’acqua della distesa che sovrastava e che tanto gli faceva paura.
Volava lungo il cielo infinito, superando stormi di Pidove a gran velocità, quando un enorme muro in lontananza lo costrinse a fermarsi.
Era immenso, altissimo, e probabilmente non avrebbe potuto fare niente per oltrepassarlo, né dall’alto né di lato.
Forse avrebbe potuto farlo da sotto, pensò, ma poi si ricordò del fatto che lui l’acqua non la potesse toccare. Era un peccato, perché al di sotto di quella tela blu non sapeva cosa ci fosse. Lui voleva sapere, la curiosità che lo spingeva a viaggiare e a volare lontano non gli dava pace.
E fu allora che si avvicinò lentamente alla base del muro.
Il mare era cristallino, e rabbioso si scagliava contro quella parete nera, costruita in spessi e duri mattoni. Le sue ali sbattevano, facendo vibrare la superficie del mare.
E fu allora che la vide.
Un paio di occhi color lilla risaltarono luminosi nel mare azzurro.
Abbassò ancora un po’ la quota, quindi si abbassò con la testa, fino ad arrivare a pochi centimetri dai suoi occhi.
“Ciao” fece lui, salutandola con la mano.
Quegli occhi color lilla appartenevano ad una donna. Lei sorrise, e lo salutò con la mano.
“Sei un angelo anche tu?” domandò ingenuo quello.
Lei fece segno di no, fissandolo negli occhi, pietre preziose su un viso diafano.
“Io sono Adriano” fece.
Lei sorrise, e scandì con le labbra la parola “ALICE” molto lentamente.
Lui ne rimase folgorato. Era così diversa da ogni altra cosa avesse mai visto da farlo spingere oltre ogni suo limite. Si avvicinò ancora di più allo scrigno liquido e lo fece anche lei, quindi i due si scambiarono un bacio, e tutto s’illuminò, di una luce così forte che li costrinse a chiudere gli occhi, e a stringerli forte.
Fu solo quando li riaprirono che si accorsero della magia.
Adriano era diventato un tritone; all’inizio si spaventò, tutta quell’acqua gli avrebbe appesantito le ali. Ma poi guardò meglio, e vide che le ali non c’erano più. In compenso aveva una grossa pinna al posto delle gambe, che gli consentiva di nuotare più velocemente, verde acqua, proprio come i suoi capelli ed i suoi occhi.
Allora la felicità lo assalì, aveva superato il suo limite, e quella lunga distesa azzurra ora era casa sua.
Tutto grazie a quel bacio, tutto grazie ad Alice. Doveva trovarla. Doveva ringraziarla di avergli regalato la chiave per il suo mondo.
Non sapeva dove si trovasse, era al centro del mare, dove la luce azzurra è più chiara se guardi sopra ed è più scura se guardi sotto.
Fu così che il tritone prese a nuotare, dapprima lentamente, poi più velocemente, fino a gareggiare con i Gyarados. Parlava con tutte le creature del mare, parlava con i Luvdisc ed i Corsola, con gli Sharpedo ed i Seaking, parlò anche con i Tentacruel ed i Crawdaunt, ma a chiunque chiedesse Alice era sparita. Nessuno aveva visto la sirena dai lunghi capelli viola.
Lui imperterrito cercava, e nuotò per i sette mari, finchè non si ritrovò davanti un grande muro, quel grande muro.
Diceva a sé che la cosa non fosse possibile, lui doveva oltrepassare quel muro, lui doveva trovare Alice, doveva dirle quello che provava e ringraziarla.
Ma il muro era sconfinato. Allora provò a salire a galla, ma la temperatura era troppo alta, e la sua pelle cominciò a seccarsi. Inoltre provò ad uscire, ma si rese conto di non riuscire più a respirare come quando le ali uscivano dalla sua schiena. Si rassegnò, e quindi tornò nelle profondità marine, dove si addormentò, sconfortato per aver fallito la ricerca della donna del quale si era innamorato.
Alice invece era diventata un angelo. Bella, i capelli viola ora non erano più bagnati, ma lo stesso coprivano i suoi seni. E della pinna non c’era traccia. Ora aveva due gambe, con tanto di piccoli piedi, eleganti ed affusolati.
La cosa che però più le fece specie erano le due ali piumate e bianche che uscivano dalla sua schiena.
Si trovava nel cielo, e riposava su di una nuvola. Si alzò, ed automaticamente aprì le ali. Sorrise, ora poteva volare, aveva abbandonato le oscurità del mare e le sue sfumature di blu. Adesso era in grado di vedere il mondo dall’alto verso il basso. Si lanciò dalla nuvola, ed il vento e lo spostamento d’aria baciarono le sue guance. La temperatura si abbassò rapidamente, non era abituata a quel freddo. I capelli proiettati verso l’alto, a lasciare scoperti i seni e le nudità, ma poco le interessava.
Doveva solo trovare Adriano, l’angelo che l’aveva salvata dal mare, che l’aveva liberata dalla schiavitù delle onde monotone per regalarle il paio d’ali che indossava e l’ebbrezza di volare.
Planò nel cielo, vedendo il mare sotto di lei.
Era strano, ma sapeva che non doveva toccarlo.
Sapeva che avrebbe fatto un danno. Le sue ali non avrebbero retto al peso dell’acqua.
Tuttavia non le interessava il mare. Adriano era un angelo, e quindi si trovava nel cielo.
Volò per giorni, settimane, mesi, cercando Adriano in ogni angolo di cielo, dietro ogni nuvola, protetto da ogni nebbia, ma niente. Neanche i Pidove sapevano dove si trovasse, e fu allora che vide il grande muro davanti a lei.
Doveva superarlo, ma era troppo esteso, non ci sarebbe riuscita.
Pianse, Alice, capendo che non avrebbe mai più rivisto Adriano, quando scorse la sua figura dormiente sul fondale del mare.
“Adriano!” lo chiamava lei, ma quello non si svegliava. Rimase per giorni a chiamarlo, senza mai toccare l’acqua, quando alla fine si rassegnò. Adriano non si sarebbe svegliato, e lei non avrebbe potuto dimostrargli il suo amore.
Era un angelo perduto.
Fu così che Alice cominciò a volare, ininterrottamente, mentre le sue lacrime cadevano come gocce di pioggia nel mare salato, fino a quando non incontrò una creatura meravigliosa.
“Chi sei?” chiese Alice.
La creatura inclinò il capo, quindi emise il suo verso. “Io sono Cresselia, e regalo i sogni. Qual è il tuo sogno?”
“Il mio sogno è poter incontrare Adriano dove né io e né lui staremo mai male”
Il canto di Cresselia era armonioso. Si interruppe poco prima di parlare. “E sia” fece. “Ma prima che il tuo desiderio si avveri, tu dovrai andare a dormire. Solo così il tuo sogno diverrà realtà”
Alice ringraziò e volò su, sempre più su, fino a raggiungere una nuvoletta comoda e confortevole. Vi si adagiò sopra, piegando le ali, ed abbandonandosi al sonno.
Il giorno dopo Alice si svegliò. Era sicurissima di esser tornata una sirena, e invece al posto della pinna c’erano ancora le gambe. Voltò la testa, appoggiata su di un morbido guanciale, e vi vide Adriano. Anche lui però non aveva la pinna.
Alice sorrise, Adriano era lì, ed erano entrambi diventati degli angeli. Ma non avevano le ali.
Quindi capirono che Cresselia aveva donato loro il sogno di vivere la vita assieme a costo di rinunciare al mare ed al cielo. Tuttavia nei loro cuori rimase sempre radicata la loro indole, che li spingeva uno sui fondali marini ed una nella parte più alta del cielo, oltre le nuvole. E vissero per sempre felici e contenti
Samuel oramai dormiva, il suo papà dubitava che avesse mai ascoltato quella storia fino alla fine.
Poggiò il libro sulla mensola e spense le luci di quella casa dagli intonachi bianchi ed il tetto rosso, augurando la buonanotte a tutti quanti.
Vedeva i colori, le varie sfumature, la luce ed il profumo. Mare e cielo, una sola ed unica realtà, divisa da una linea, la casa del sole.
Poi tutto finì, ed andò a casa. Giocò un po', mangiò, e poi si preparò per andare a dormire, quindi chiamò suo padre.
“Papà! È l’ora della favola!”. La voce pura e cristallina del bambino riecheggiò tra le pareti della vecchia casa sul mare, dagli intonachi bianchi ed il tetto rosso.
Samuel sentì un sospiro, quindi la televisione che si spegneva, ed i passi lunghi e pesanti del suo papà, che entrò nella sua piccola stanzetta.
“Samuel”
“Papà... È l’ora della storia”
“Ok” sorrise quello, poi prese un libro da una mensola, afferrò una sedia e l’avvicinò al letto, quindi si sedette.
“C’era un volta...”
C’era una volta una sirena. Questa era bellissima, possedeva lunghi capelli color lilla, che si adagiavano delicatamente sul suo corpo, magro e bello.
Essendo una sirena, al posto delle gambe aveva un’enorme pinna dello stesso colore dei capelli.
Le piaceva nuotare, e lei passava le giornate ad esplorare l’oceano, cercando qualcuno che le assomigliasse.
E vagò, vagò ed ancora vagò, fino a che non arrivò alla fine del mare. Un enorme muro si stagliava sul fondale, e saliva in alto.
Lei, curiosa, decise di volerlo seguire, per vedere dove questo andasse.
E fu così che sinuosamente la sua pinna si mosse prima a destra e poi a sinistra. I capelli si appiattirono sul suo corpo, sulle spalle, sui seni scoperti, sulle braccia, fino a quando non si accorse che il muro continuava anche oltre la superficie del mare.
La sua testa fuoriuscì per un attimo dall’acqua, e guardò velocemente il muro. Continuava a salire su, sempre più su, fino al paradiso.
Ma lei era una sirena, e fuori dall’acqua non poteva respirare. Quindi tornò velocemente giù, dove la temperatura era più fresca e dove avrebbe potuto saggiare acqua ricca d’ossigeno.
TNuotava tra i Corsola ed i Luvdisc, rapita dall’immensa voglia di sapere cosa ci fosse oltre quel muro enorme, che si estendeva in larghezza per migliaia e migliaia di chilometri.
Era stranissimo. Il mare era così immenso e a lei non bastava.
Quindi decise di salire di nuovo sopra, cercando di studiare la situazione.
Contemporaneamente, un angelo dai capelli azzurri volava a centinaia di chilometri orari, mentre il sole ed il vento baciavano le ali e la pelle.
Lui era un adone. Volava, teneva le mani lungo i fianchi ed i piedi ben uniti, mentre le sue ali bianche si muovevano freneticamente in maniera armoniosa ed elegante. Il suo viso era rilassato, le labbra belle morbide, gli occhi aperti, ed i capelli verdi come l’acqua della distesa che sovrastava e che tanto gli faceva paura.
Volava lungo il cielo infinito, superando stormi di Pidove a gran velocità, quando un enorme muro in lontananza lo costrinse a fermarsi.
Era immenso, altissimo, e probabilmente non avrebbe potuto fare niente per oltrepassarlo, né dall’alto né di lato.
Forse avrebbe potuto farlo da sotto, pensò, ma poi si ricordò del fatto che lui l’acqua non la potesse toccare. Era un peccato, perché al di sotto di quella tela blu non sapeva cosa ci fosse. Lui voleva sapere, la curiosità che lo spingeva a viaggiare e a volare lontano non gli dava pace.
E fu allora che si avvicinò lentamente alla base del muro.
Il mare era cristallino, e rabbioso si scagliava contro quella parete nera, costruita in spessi e duri mattoni. Le sue ali sbattevano, facendo vibrare la superficie del mare.
E fu allora che la vide.
Un paio di occhi color lilla risaltarono luminosi nel mare azzurro.
Abbassò ancora un po’ la quota, quindi si abbassò con la testa, fino ad arrivare a pochi centimetri dai suoi occhi.
“Ciao” fece lui, salutandola con la mano.
Quegli occhi color lilla appartenevano ad una donna. Lei sorrise, e lo salutò con la mano.
“Sei un angelo anche tu?” domandò ingenuo quello.
Lei fece segno di no, fissandolo negli occhi, pietre preziose su un viso diafano.
“Io sono Adriano” fece.
Lei sorrise, e scandì con le labbra la parola “ALICE” molto lentamente.
Lui ne rimase folgorato. Era così diversa da ogni altra cosa avesse mai visto da farlo spingere oltre ogni suo limite. Si avvicinò ancora di più allo scrigno liquido e lo fece anche lei, quindi i due si scambiarono un bacio, e tutto s’illuminò, di una luce così forte che li costrinse a chiudere gli occhi, e a stringerli forte.
Fu solo quando li riaprirono che si accorsero della magia.
Adriano era diventato un tritone; all’inizio si spaventò, tutta quell’acqua gli avrebbe appesantito le ali. Ma poi guardò meglio, e vide che le ali non c’erano più. In compenso aveva una grossa pinna al posto delle gambe, che gli consentiva di nuotare più velocemente, verde acqua, proprio come i suoi capelli ed i suoi occhi.
Allora la felicità lo assalì, aveva superato il suo limite, e quella lunga distesa azzurra ora era casa sua.
Tutto grazie a quel bacio, tutto grazie ad Alice. Doveva trovarla. Doveva ringraziarla di avergli regalato la chiave per il suo mondo.
Non sapeva dove si trovasse, era al centro del mare, dove la luce azzurra è più chiara se guardi sopra ed è più scura se guardi sotto.
Fu così che il tritone prese a nuotare, dapprima lentamente, poi più velocemente, fino a gareggiare con i Gyarados. Parlava con tutte le creature del mare, parlava con i Luvdisc ed i Corsola, con gli Sharpedo ed i Seaking, parlò anche con i Tentacruel ed i Crawdaunt, ma a chiunque chiedesse Alice era sparita. Nessuno aveva visto la sirena dai lunghi capelli viola.
Lui imperterrito cercava, e nuotò per i sette mari, finchè non si ritrovò davanti un grande muro, quel grande muro.
Diceva a sé che la cosa non fosse possibile, lui doveva oltrepassare quel muro, lui doveva trovare Alice, doveva dirle quello che provava e ringraziarla.
Ma il muro era sconfinato. Allora provò a salire a galla, ma la temperatura era troppo alta, e la sua pelle cominciò a seccarsi. Inoltre provò ad uscire, ma si rese conto di non riuscire più a respirare come quando le ali uscivano dalla sua schiena. Si rassegnò, e quindi tornò nelle profondità marine, dove si addormentò, sconfortato per aver fallito la ricerca della donna del quale si era innamorato.
Alice invece era diventata un angelo. Bella, i capelli viola ora non erano più bagnati, ma lo stesso coprivano i suoi seni. E della pinna non c’era traccia. Ora aveva due gambe, con tanto di piccoli piedi, eleganti ed affusolati.
La cosa che però più le fece specie erano le due ali piumate e bianche che uscivano dalla sua schiena.
Si trovava nel cielo, e riposava su di una nuvola. Si alzò, ed automaticamente aprì le ali. Sorrise, ora poteva volare, aveva abbandonato le oscurità del mare e le sue sfumature di blu. Adesso era in grado di vedere il mondo dall’alto verso il basso. Si lanciò dalla nuvola, ed il vento e lo spostamento d’aria baciarono le sue guance. La temperatura si abbassò rapidamente, non era abituata a quel freddo. I capelli proiettati verso l’alto, a lasciare scoperti i seni e le nudità, ma poco le interessava.
Doveva solo trovare Adriano, l’angelo che l’aveva salvata dal mare, che l’aveva liberata dalla schiavitù delle onde monotone per regalarle il paio d’ali che indossava e l’ebbrezza di volare.
Planò nel cielo, vedendo il mare sotto di lei.
Era strano, ma sapeva che non doveva toccarlo.
Sapeva che avrebbe fatto un danno. Le sue ali non avrebbero retto al peso dell’acqua.
Tuttavia non le interessava il mare. Adriano era un angelo, e quindi si trovava nel cielo.
Volò per giorni, settimane, mesi, cercando Adriano in ogni angolo di cielo, dietro ogni nuvola, protetto da ogni nebbia, ma niente. Neanche i Pidove sapevano dove si trovasse, e fu allora che vide il grande muro davanti a lei.
Doveva superarlo, ma era troppo esteso, non ci sarebbe riuscita.
Pianse, Alice, capendo che non avrebbe mai più rivisto Adriano, quando scorse la sua figura dormiente sul fondale del mare.
“Adriano!” lo chiamava lei, ma quello non si svegliava. Rimase per giorni a chiamarlo, senza mai toccare l’acqua, quando alla fine si rassegnò. Adriano non si sarebbe svegliato, e lei non avrebbe potuto dimostrargli il suo amore.
Era un angelo perduto.
Fu così che Alice cominciò a volare, ininterrottamente, mentre le sue lacrime cadevano come gocce di pioggia nel mare salato, fino a quando non incontrò una creatura meravigliosa.
“Chi sei?” chiese Alice.
La creatura inclinò il capo, quindi emise il suo verso. “Io sono Cresselia, e regalo i sogni. Qual è il tuo sogno?”
“Il mio sogno è poter incontrare Adriano dove né io e né lui staremo mai male”
Il canto di Cresselia era armonioso. Si interruppe poco prima di parlare. “E sia” fece. “Ma prima che il tuo desiderio si avveri, tu dovrai andare a dormire. Solo così il tuo sogno diverrà realtà”
Alice ringraziò e volò su, sempre più su, fino a raggiungere una nuvoletta comoda e confortevole. Vi si adagiò sopra, piegando le ali, ed abbandonandosi al sonno.
Il giorno dopo Alice si svegliò. Era sicurissima di esser tornata una sirena, e invece al posto della pinna c’erano ancora le gambe. Voltò la testa, appoggiata su di un morbido guanciale, e vi vide Adriano. Anche lui però non aveva la pinna.
Alice sorrise, Adriano era lì, ed erano entrambi diventati degli angeli. Ma non avevano le ali.
Quindi capirono che Cresselia aveva donato loro il sogno di vivere la vita assieme a costo di rinunciare al mare ed al cielo. Tuttavia nei loro cuori rimase sempre radicata la loro indole, che li spingeva uno sui fondali marini ed una nella parte più alta del cielo, oltre le nuvole. E vissero per sempre felici e contenti
Samuel oramai dormiva, il suo papà dubitava che avesse mai ascoltato quella storia fino alla fine.
Poggiò il libro sulla mensola e spense le luci di quella casa dagli intonachi bianchi ed il tetto rosso, augurando la buonanotte a tutti quanti.
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