Fuori dopo un po' di tempo un racconto
scritto da Rachel Aori. Le auguro il meglio, ha passato momenti
difficili. Questo brano vede come protagonisti Agatha e Yellow.
EpochShipping
Un tempo si era lanciata verso l’amore ad occhi chiusi, bruciando come una stella cadente.
Fu solo nel mezzo del volo che si accorse di ciò che la circondava. Niente luci, niente stelle, niente era connesso.
C’era solo lei. In caduta libera.
Aprì piano gli occhi, sentendo il sole carezzarle la pelle, ormai scavata dalle rughe che le segnavano il volto.
Per la prima volta dopo tanto tempo sentiva il peso degli anni sulla sua schiena. Sedeva su una roccia, il bastone a sostenerle il busto, mentre con lo sguardo fissava avanti a sé.
Guardava quella ragazza, così giovane, così innocente, con quei lunghi capelli biondi.
Anche i suoi capelli era stati biondi, prima che gli anni glieli colorassero d’argento.
La ragazza si allenava, cercando di combinare gli attacchi dei suoi Pokémon, evolutisi appena un paio di mesi prima, contro Lance.
Avrebbe dovuto odiarla.
Avrebbe dovuto vendicare la caduta dei Super4, ma non appena le posava gli occhi addosso, quel coraggio improvvisamente le mancava.
L’aveva vista parlare con quel ragazzo, Red, che lei stessa con Lorelei aveva progettato di abbattere.
L’aveva vista fingersi uomo pur di mantenere quel’amicizia che sicuramente le stava stretta, e l’aveva vista soffrire per questo.
Era bionda, era innocente ed era vittima di un amore segreto che la divorava da dentro.
Agatha vedeva così tanto se stessa in quella bambina da sentire il proprio respiro spezzarsi.
Agatha aveva amato, aveva amato come solo le comete amano, bruciando, distruggendosi a poco a poco, lanciate nella loro folle corsa nel cosmo.
Ma poi, la bruciante passione che l’aveva travolta si era trasformata nell’odio cocente. In quell’odio, in quell’invidia che l’aveva fatta impazzire man mano che Oak creava una famiglia attorno a sé. Famiglia in cui non c’era spazio per lei.
Ed ora guardava la bambina, piena dell’innocenza che aveva avuto anche lei.
“Non credergli piccola, non affidarti a lui così”
Lo pensava, ma voleva urlarglielo. Erano ormai giorni che la osservava, che vegliava su di lei da lontano, iniziando a provare simpatia per lei, per i suoi attacchi un po’ impacciati, per le strategie ingenue ed il sorriso felice ogni volta che riusciva a portarle a termine.
Agatha aveva vegliato, aveva scacciato alcuni Pokémon che avevano puntato la ragazza, l’aveva aiutata a recuperare il suo cappello quando il vento glielo portava via. Aveva fatto tutto questo di nascosto, senza sapere cosa dire.
Perché, non poteva negarlo a se stessa, Agatha a quella bambina stava iniziando ad affezionarsi.
Forse in fondo temeva solo l’ennesimo rifiuto. Sapeva, aveva accettato, che nessuno è obbligato a ricambiare i sentimenti altrui, ma quanto faceva male quel rifiuto.
Perché per lei quella era un’espiazione per ciò che aveva fatto.
E per ciò che non aveva saputo fare.
Non aveva saputo avvicinarsi di nuovo a lui, guardarlo negli occhi e dirgli, per la prima e unica volta
“Ti amo, ti amo come non potrò mai amare di nuovo, con tutta me stessa e con tutto il mio essere. Voglio stare al tuo fianco, Oak, ora e per sempre. Accettami ti prego.”
Avrebbe fatto l’impossibile per fargli capire quanto doloroso fosse, e sei lui l’avesse rifiutata, rifiutata con la delicatezza che quell’incedibile studioso possedeva, avrebbe fatto meno male dell’odio che l’aveva corrosa per tutti quegli anni.
Se ora avesse saputo aiutare lei, se avesse potuto aiutarla a proteggere la purezza del suo cuore, allora forse il suo errore non sarebbe stato vano, sarebbe stata esperienza da tramandare, situazioni da raccontare e di cui qualcuno avrebbe potuto far tesoro.
Il sole stava tramontando, la piccola si ritirava nella sua casa, liberando la via del ritorno anche all’anziana. Il sole le aveva scaldato le ossa, ora la donna camminava con la schiena dritta, mentre Gengar le si muoveva agile al fianco, libero di muoversi ora che la sua parte del giorno era sorta. Sarebbe stata una sosta breve, l’indomani la bambina sarebbe stata di nuovo lì e Agatha avrebbe avuto di nuovo l’occasione di osservarla, conoscere quella fanciulla che di sicuro avrebbe brillato più di lei.
Fu solo nel mezzo del volo che si accorse di ciò che la circondava. Niente luci, niente stelle, niente era connesso.
C’era solo lei. In caduta libera.
Aprì piano gli occhi, sentendo il sole carezzarle la pelle, ormai scavata dalle rughe che le segnavano il volto.
Per la prima volta dopo tanto tempo sentiva il peso degli anni sulla sua schiena. Sedeva su una roccia, il bastone a sostenerle il busto, mentre con lo sguardo fissava avanti a sé.
Guardava quella ragazza, così giovane, così innocente, con quei lunghi capelli biondi.
Anche i suoi capelli era stati biondi, prima che gli anni glieli colorassero d’argento.
La ragazza si allenava, cercando di combinare gli attacchi dei suoi Pokémon, evolutisi appena un paio di mesi prima, contro Lance.
Avrebbe dovuto odiarla.
Avrebbe dovuto vendicare la caduta dei Super4, ma non appena le posava gli occhi addosso, quel coraggio improvvisamente le mancava.
L’aveva vista parlare con quel ragazzo, Red, che lei stessa con Lorelei aveva progettato di abbattere.
L’aveva vista fingersi uomo pur di mantenere quel’amicizia che sicuramente le stava stretta, e l’aveva vista soffrire per questo.
Era bionda, era innocente ed era vittima di un amore segreto che la divorava da dentro.
Agatha vedeva così tanto se stessa in quella bambina da sentire il proprio respiro spezzarsi.
Agatha aveva amato, aveva amato come solo le comete amano, bruciando, distruggendosi a poco a poco, lanciate nella loro folle corsa nel cosmo.
Ma poi, la bruciante passione che l’aveva travolta si era trasformata nell’odio cocente. In quell’odio, in quell’invidia che l’aveva fatta impazzire man mano che Oak creava una famiglia attorno a sé. Famiglia in cui non c’era spazio per lei.
Ed ora guardava la bambina, piena dell’innocenza che aveva avuto anche lei.
“Non credergli piccola, non affidarti a lui così”
Lo pensava, ma voleva urlarglielo. Erano ormai giorni che la osservava, che vegliava su di lei da lontano, iniziando a provare simpatia per lei, per i suoi attacchi un po’ impacciati, per le strategie ingenue ed il sorriso felice ogni volta che riusciva a portarle a termine.
Agatha aveva vegliato, aveva scacciato alcuni Pokémon che avevano puntato la ragazza, l’aveva aiutata a recuperare il suo cappello quando il vento glielo portava via. Aveva fatto tutto questo di nascosto, senza sapere cosa dire.
Perché, non poteva negarlo a se stessa, Agatha a quella bambina stava iniziando ad affezionarsi.
Forse in fondo temeva solo l’ennesimo rifiuto. Sapeva, aveva accettato, che nessuno è obbligato a ricambiare i sentimenti altrui, ma quanto faceva male quel rifiuto.
Perché per lei quella era un’espiazione per ciò che aveva fatto.
E per ciò che non aveva saputo fare.
Non aveva saputo avvicinarsi di nuovo a lui, guardarlo negli occhi e dirgli, per la prima e unica volta
“Ti amo, ti amo come non potrò mai amare di nuovo, con tutta me stessa e con tutto il mio essere. Voglio stare al tuo fianco, Oak, ora e per sempre. Accettami ti prego.”
Avrebbe fatto l’impossibile per fargli capire quanto doloroso fosse, e sei lui l’avesse rifiutata, rifiutata con la delicatezza che quell’incedibile studioso possedeva, avrebbe fatto meno male dell’odio che l’aveva corrosa per tutti quegli anni.
Se ora avesse saputo aiutare lei, se avesse potuto aiutarla a proteggere la purezza del suo cuore, allora forse il suo errore non sarebbe stato vano, sarebbe stata esperienza da tramandare, situazioni da raccontare e di cui qualcuno avrebbe potuto far tesoro.
Il sole stava tramontando, la piccola si ritirava nella sua casa, liberando la via del ritorno anche all’anziana. Il sole le aveva scaldato le ossa, ora la donna camminava con la schiena dritta, mentre Gengar le si muoveva agile al fianco, libero di muoversi ora che la sua parte del giorno era sorta. Sarebbe stata una sosta breve, l’indomani la bambina sarebbe stata di nuovo lì e Agatha avrebbe avuto di nuovo l’occasione di osservarla, conoscere quella fanciulla che di sicuro avrebbe brillato più di lei.
Rachel
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