Prayers pt. 1
Ceneride era semideserta.
E non solo perché la gente ancora doveva svegliarsi. D’altronde era la Vigilia di Natale e non tutti lavoravano. I bambini erano ancora nelle loro case, ignari di tutta la situazione, ancora nei loro letti. Solo Ted Winckler, sette anni e lentiggini sul naso, era affacciato alla finestra, con aria sbalordita.
Tante persone dalle divise nere e con in petto una emme rossa giravano con aria arcigna per le strade dell’isola.
Erano ovunque.
Giravano con accanto grossi e potenti Pokémon, vari Houndoom, Arcanine e Magmar, ma anche altri Pokémon. C’era grande movimento nella zona centrale dell’isola, vicino la Grotta dei Tempi. Lì, la maggior parte di quegli individui si era disposta come a formare una grande barriera nera, per non far passare nessuno.
Forse era stanco. Sì, forse era soltanto il sonno che alle sette di mattina era ancora tanto, di fatti vide Pokémon e persone volare, atterrando proprio davanti la Palestra di Adriano.
Si rimise sotto le coperte e si riaddormentò.
“Sono là!” urlò Gold, fissando uomini in nero che sostavano mastodontici davanti l’ingresso della palestra.
A tre metri dal suolo, il moro saltò dal Metagross di Silver, piazzando un diretto destro sulla mascella di quello a sinistra.
Metagross atterrò pesantemente, lasciando solchi profondi sotto i suoi arti metallici e Silver atterrò elegantemente, mano alla cintura e Pokéball in mano.
“Dov’è Andy?” domandò il fulvo con calma, fissando negli occhi l’avversario che Gold ancora doveva abbattere.
“Rispondi!” urlò quest’ultimo, massaggiandosi le nocche.
La Recluta indietreggiò lentamente, aprendo la porta della Palestra e sparendovi all’interno.
Gold guardò Silver ed annuì, vedendo poi atterrare tutti gli altri a pochi metri da loro.
“Dividiamoci!” urlò Fiammetta, spostando una ciocca dei suoi lunghi capelli dal volto.
Proprio in quel momento una grossa scossa di terremoto ridestò gli animi dei ragazzi; alle 7:49 del 24 dicembre la terra tremò, in maniera esagerata.
“Questo è Groudon!” esclamò Crystal, fissando Martino Alice con grinta.
“Ed è nella Grotta dei tempi. Dividiamoci! Dobbiamo cercare di liberare la palestra, probabilmente lo stanno utilizzando come quartier generale. Silver e Gold, questo sta a voi...” disse Alice, che avrebbe osservato la situazione dall’alto, per poi intervenire prontamente in caso di necessità.
E poi un’altra potente scossa smosse le fondamenta dell’isola. Improvvisamente il cielo s’annuvolò e la pioggia prese a scendere rabbiosa. L’acqua del lago sul quale Ceneride si specchiava cominciò ad incrinarsi, e subito quaranta Gyarados infuriati fecero la propria comparsa.
Erano selvatici, alti come torri, iracondi ed aggressivi.
“Dannazione...” sospirò Fiammetta, che di quei Pokémon aveva sempre avuto paura. S’avvicinò inconsciamente a Rocco, prendendole il braccio, facendo aderire il suo corpo a quello del Campione.
“Martino! Marina! Questi sono per voi!” urlò Adriano, voltandosi rapidamente. “Intanto io, Fiammetta e Rocco ci recheremo nella Grotta dei Tempi. Buona fortuna, ragazzi!”.
Gold guardò Crystal annuire e sorridergli, poi abbassò lo sguardo e si voltò, seguendo Silver nella palestra, sbattendo la porta.
I due Ranger erano rimasti davanti ai grandi Gyarados.
“Sono più di quaranta...” diceva Martino, totalmente immobile, mentre la pioggia li bagnava dall’alto, inesorabile. Il ragazzo abbassò gli occhialoni e non si perse d’animo, mentre un grosso tuono cadde dal cielo, disperdendosi oltre la corona delle pendici vulcaniche.
“Dobbiamo... Dobbiamo. Dobbiamo?” chiese poi a sua sorella.
“Che razza di domanda è?! Certo che dobbiamo! Forza un po’!” fece Marina, abbassando a sua volta gli occhialoni e chiamando Staraptor con un fischio.
“Giro io. Tu distraili in volo” fece al fratello.
“Marina. Stai attenta a tutto”.
“Cazzo, vai!” urlò, spingendo il fratello. “Pichu, resta con me!”.
Martino salì sul Pokémon Volante e partì verso il cielo; gocce congelate s’infrangevano sul suo viso, baciavano la sua pelle e bagnavano i suoi capelli. Il ragazzo stringeva le braccia attorno al collo di Staraptor, carezzando le morbide piume corvine del Pokémon, sospirando.
S’avvio verso il lago, dove gli enormi Gyarados stavano ruggendo e sparando colonne d’acqua in aria, che ricadevano giù assieme alla pioggia, imbastardite.
“Ecco...” sospirò Martino, annuendo.
“Dobbiamo cominciare col catturarne uno! In questo modo potrò avvicinarmi di più!” urlò sua sorella. Pichu salì sulla sua spalla e lei cominciò a carezzare lo Styler.
“Ce la faremo, Pichu. Sicuramente ce la faremo” sorrise audacemente. Vedeva Martino fare slalom tra quegli enormi esseri marini; con quegli occhialini abbassati pareva un aviatore. Intanto bombe d’acqua e tentativi di abbattimento venivano effettuati dai Gyarados infuriati, sfiorando per pochi metri l’agilissimo Staraptor. Martino vedeva raggiungersi rapidamente da attacchi di ogni tipo. Era a quindici metri dalla superficie del lago; cadere da lì significava morire.
“Staraptor, dobbiamo isolare lentamente un esemplare, e catturarlo” disse il castano, piegando sulla sinistra per evitare che uno dei Gyarados lo colpisse con l’Ira di Drago.
Poi, più distante, un esemplare più piccolo sembrava isolato. Più piccolo significava meno di quindici metri, ma rimaneva lo stesso un palazzo di sette piani.
“Staraptor, attacchiamolo da lontano!” fece, concentrato. Abbassò lentamente lo sguardo, vedendo un attacco Idropompa diretto verso di lui.
“Porca puttana, Staraptor!” fece quello, virando verso destra. Accelerò velocemente e poi vide il Pokémon utilizzare Eterelama. L’attacco prese di sorpresa il Gyarados, che tentennò qualche secondo, il tempo giusto per permettere a Martino di utilizzare il suo Styler.
Lo Styler girò sei volte attorno al frastornato Gyarados, almeno prima che l’acquisizione fosse completata.
“Ecco fatto! Raggiungi Marina sulla sponda del lago!”.
Silver e Gold si chiusero la porta alle spalle e subito misero mano alle Pokéball. Blaziken per Gold, Grovyle per Silver, avanzavano tutti e quattro con l’orecchio lungo, guardandosi attorno.
L’interno della palestra era stato devastato, con intere pareti demolite e pavimenti sfondati.
Qualche tubatura doveva essere stata distrutta, difatti l’acqua era stata riversata sul pavimento e si era congelata a contatto con il sistema di raffreddamento delle mattonelle, il sistema originario di raggiungimento del Capopalestra creato da Adriano.
“Attento...” sussurrò Silver, vedendo crepe enormi nel pavimento. “Giù c’è un altro piano, e adesso dobbiamo indagare su cosa stia succedendo qui. Andrò di sotto e tu controllerai qui”.
Gold annuì e vide i suoi occhi di ghiaccio sparire dietro il sipario delle palpebre. Subito dopo Silver saltò giù.
Fu invece Gold ad avanzare lentamente. Non era sicuro di camminare su quel pavimento, gli pareva di attraversare un ponte fatto di fogli di carta bagnati. Poggiò piano il piede sul pavimento sporco di fanghiglia, data dalla polvere di cemento e dall’acqua delle tubazioni, e vi stabilizzò il peso.
“Uff... Un altro passo. Almeno fino alla piazzola...” diceva, senza rendersene conto, quando il soffitto sulla sua testa crollò, dando spazio ad una grossa lingua di fuoco.
Un uomo, una statua, alta e massiccia e dalle grandi leve era apparso. Capelli neri, lunghi, ricci, cappuccio nero sulla testa ed un grande esemplare di Infernape davanti a lui.
“E tu chi saresti?!” esclamò Gold, indietreggiando lentamente.
Quello sorrise, mostrando quei denti bianchi e splendenti. Possedeva una muscolatura davvero sviluppata, rendendolo ancora più grosso di quello che non fosse già. La sua mascella era imponente, le sue braccia belle doppie, le sue mani parevano giganti-
“Io sono Ottavio. Sono un Magmatenente”.
“Un altro?! Non c’erano soltanto quei due modelli?!”.
Ottavio rise, schernendo Gold e facendolo irritare. “Già. Ma non hanno la mia sostanza...”.
“Infatti. Qui sembrano essere tutti bellissimi; tu invece sei un... obbrobrio? Cioè... Guardati!”.
Ottavio guardò fisso il suo avversario, affondandolo con i suoi occhi neri.
“Sei sempre così dispersivo?”.
Gold inarcò un sopracciglio. “Non capisco a cosa tu ti riferisca, Hulk”.
“Non sei in grado di fissare dritto il tuo obiettivo. Ma io sì! Vai, Infernape, colpisci!”.
Ottavio puntò il dito contro Gold, che saltò un paio di volte indietro, non curandosi del pavimento fradicio e pericolante.
“Blaziken!” urlò quello, vedendo il suo Pokémon saltare balzare velocemente avanti.
Infernape era partito con il pugno destro tirato indietro, pronto a colpire. La sua chioma si librava velocemente verso le sue spalle.
Blaziken invece lo intercettò velocemente in avanti.
“Calciardente!” urlò Gold, con grinta.
Il Pokémon di Fiammetta era rapido, e fece partire un calcio infuocato in direzione del volto dell’avversario, che però era ancor più rapido.
Si svincolò dall’attacco, abbassandosi rapidamente.
“Infernape, vai con Zuffa!”.
“No!” urlò Gold, vedendo il proprio Pokémon esposto, nel tentativo di recuperare la posizione dopo il calcio sferrato ai danni dell’avversario.
Fu così che Infernape ebbe la porta spalancata per colpire con molteplici pugni e calci, dati in maniera disordinata, il proprio avversario. Blaziken ricadde per terra, crollando nel pavimento franato.
“No! Blaziken!” urlò Gold, fissando la crepa nel pavimento allargarsi. Ottavio rideva, spostando una delle ciocche ricce e corvine dal suo volto.
“Tu non sei adatto a quello che vuoi fare. Il tuo posto è in mezzo ai fighetti figli di papà”.
Gold rise amaramente. “Magari potessi definirmi figlio di papà. Io non so chi è mio padre”.
“Non crederai di volermi fare pena?”.
Gold scosse la testa. “No. Non ho bisogno di farti pena. Però... Beh, se ho mantenuto la testa alta fino ad ora con una tale cicatrice nel cuore, non sarai di certo tu a farmela abbassare”.
Silver camminava nei sotterranei della Palestra di Adriano, con l’acqua fino ai polpacci e la visibilità ridotta. I neon che erano attaccati al muro davano luce sporca ad intermittenza, lasciando parecchio spazio tra un’interferenza e l’altra, rimanendo spesso spenti.
Gold lo sfotteva, chiamandolo Il Ninja per le sue qualità sensoriali: l’udito sensibile, unito all’acuta vista che aveva ed al rapido sistema di ragionamento e reazione che possedeva, lo rendevano un ottimo combattente. Inoltre era agile, senza contare che aveva dei Pokémon fortissimi.
Silver avanzava, segnando in un taccuino tutti i particolari che poteva raccogliere. Sentiva gocciolare sulla sua sinistra, riconducendo la cosa ad una perdita. Sentiva i suoi passi avanzare, trascinati all’interno dell’acqua, sentiva anche quelli di Grovyle che gli era qualche passo indietro, e poi vedeva una rampa di scale ghiacciata a venti metri da lui: doveva raggiungerla e proseguire, nel tentativo di trovare Rodolfo.
I neon illuminarono tutto per brevi istanti, per poi far sprofondare tutto nuovamente nel buio più che totale.
“Un po’ più avanti potremmo finalmente uscire da questo lago, Grovyle” disse al suo Pokémon, che rispose con un cenno che Silver non poté vedere ma che percepì.
E poi si sentì una grossa esplosione al piano di sopra, che fece sospirare il fulvo. “Che diamine... Gold i guai se li cerca proprio...”.
I neon illuminarono di nuovo tutto, e stavolta per un secondo in più, che gli consentì di guardare oltre la scala: del fumo di condensa si alzava da una tubazione, ma non riuscì a capire da dove provenisse perché le luci si spensero nuovamente.
“No!” sentì urlare dal piano di sopra, quindi Silver si bloccò.
“Sta succedendo qualcosa a Gold...” sussurrò tra sé e sé, quando poi una grossa crepa nel soffitto lasciò cadere detriti di cemento ed acqua grigia, assieme al corpo malconcio di Blaziken.
Le luci si accesero nuovamente, vedendo il corpo di Blaziken totalmente sommerso d’acqua.
“No! Grovyle, dobbiamo aiutarlo!” fece Silver, voltandosi improvvisamente e sparendo poi nel buio, circostante, attorno al fascio di luce che proveniva dal foro nel soffitto.
Grovyle si gettò a capofitto sul Pokémon, sollevandolo. Era un tantino malconcio.
Silver lo guardò e subito prese una Ricarica Totale dal suo zaino, usandola sul Pokémon Vampe, quindi allungò l’udito, sentendo le parole di Gold.
“Magari potessi definirmi figlio di papà. Io non so chi è mio padre” diceva quello.
Silver abbassò lo sguardo, comprendendo i sentimenti che in quel momento attraversavano il corpo del suo compagno di sventura. Pure lui aveva vissuto per tanti anni con la consapevolezza di essere un orfano, senza sapere chi fossero i genitori che l’avevano messo al mondo. Aveva passato la sua infanzia in un orfanotrofio, e poi era stato prelevato da Maschera di Ghiaccio. Aveva legato con Blue, l’essere più materno che avesse a disposizione, era stato addestrato a rubare, a lottare.
Ad uccidere.
Per un uomo che non aveva mai nemmeno visto in faccia.
Silver era fuggito, ed in quel momento, con l’acqua fino alle ginocchia e gli occhi bassi, ricordò perfettamente il momento in cui incrociò lo sguardo di Gold per la prima volta.
Anche lui, come tutti gli altri del resto, lo avevano definito sbagliato.
Silver era stato frainteso nelle sue intenzioni ma a lui non interessava. Il suo obiettivo era un altro, e lo dimostrò col tempo, quando, contro Lugia, aveva unito i propri intenti con Gold.
Lo odiava in quel momento, lo avrebbe ammazzato. Rubava sguardi e parole a Crystal, e questo gli provocava un dolore nello stomaco, un fastidio, un bruciore unico.
“... se ho mantenuto la testa alta fino ad ora con una tale cicatrice nel cuore, non sarai di certo tu a farmela abbassare”. Sentì ancora Gold parlare con il proprio avversario, mentre Blaziken si stava rimettendo in sesto. Nonostante il fastidio che in quel momento provava per Gold, non avrebbe mai potuto cancellare l’affetto che provava nei suoi confronti. Così differenti, così simili.
Silver vide per la prima volta suo padre quando aveva tredici anni, e fino a quel momento lo aveva reputato il suo peggior nemico.
Lo aveva visto in faccia, odiato, mandato a fanculo e tuttavia quando scoprì di essere suo figlio rimase impietrito.
Aveva fatto di tutto, suo padre, Giovanni, per cercarlo.
Per poterlo riabbracciare.
Silver non sapeva se Gold avrebbe scoperto mai chi fosse realmente suo padre, e se lo immaginava sognatore, a pensarlo Campione di qualche Lega lontana, magari nei ghiacci perenni, rinchiuso nel suo cappotto nero e lungo, con gli occhi dorati ed il suo stesso carisma.
Non sarai di certo tu a farmela abbassare, la testa.
Quelle parole risuonavano nella scatola cranica di Silver come se due persone con la stessa voce di Gold gliele urlassero forte, uno a destra ed un altro a sinistra.
Gold era determinato, e nonostante ciò non si era chiuso in se stesso.
Era una testa di cazzo e su quello nessuno avrebbe potuto obiettare, ma il suo sorriso sfrontato ed i suoi occhi bene aperti non erano altro che parte di una maschera.
Proprio come quella che era costretto ad indossare Silver da bambino.
Nascondere il suo volto dietro una maschera di felicità, celare il dolore dietro un sorriso.
Bisogna essere forti per questo.
Riempire le proprie mancanze con le relazioni umane.
Bisogna saper reagire per fare queste cose.
Silver si era appena reso conto del fatto che Gold lottasse da molto più tempo di lui, e che necessitasse davvero di qualcuno accanto.
“Vai, Blaziken. Aiuta Gold”.
“Invece la testa te la staccherò a forza! La potenza del Team Magma è incommensurabile. Espanderemo la terra, creeremo nuovi habitat per umani e Pokémon ed abbatteremo chiunque si opporrà a noi!” urlava Ottavio, stringendo i pugni.
“Ma non riesci a capire che un mondo senza mare equivale alla morte?! Ci arrivo anche io che sono una zappetta!”.
Il Magmatenente sorrise e puntò il dito contro il suo avversario.
“Il tuo tentativo di fermare il Team Magma finisce qui. Infernape, usa Lanciafiamme su di lui!”.
Gold spalancò gli occhi e vide gli occhi di Ottavio illuminati da fiamme e brama assassina.
Infernape saltò davanti a lui e spalancò le fauci; un paio di zanne lunghe ed acuminate lasciarono spazio ad un’incandescente onda di fuoco, direzionata verso l’oro degli occhi del Breeder.
Addio mondo crudele.
“Vai Blaziken. Aiuta Gold” sentì, e poi vide una figura alta e forte stagliarsi contro le fiamme, allargando braccia e gambe, ruggendo con vigore.
Gold cercò di proteggere il torace ed il viso con le braccia, voltandosi dall’altra parte, sapendo che ormai la sua vita era finita: sarebbe morto, avrebbe lasciato sua madre da sola nella sua grande casa senza permetterle più di telefonargli arrabbiata perché non si facesse mai vedere dalle sue parti; le avrebbe lasciato l’incombenza pratica di dover raggiungere il cimitero più vicino e lasciargli fiori colorati, crisantemi odorosi, sotto l’ombra del cipresso.
La sua fantasia vagò, almeno prima di vedere quell’ombra crocifiggersi al suo posto.
Le fiamme sparirono qualche bollente secondo dopo, l’aria ritornò della normale temperatura e la figura che si era erta a difesa dell’Allenatore fu ricondotta proprio al suo Blaziken.
“Hey... Sei tu” sorrise Gold, totalmente incolume. Il corpo di Blaziken era rimasto diritto, totalmente indifferente alla forza del fuoco che era stata scagliata da Infernape.
Il giovane dagli occhi d’oro si rimise in piedi lentamente, quasi più incredulo di Ottavio. Questi, di fatti, già pregustava la vittoria.
“Il tuo Blaziken non è ancora fuori combattimento...” ringhiò lui, stringendo i pugni ed arretrando di qualche passo.
Marina vide arrivare un grande Gyarados.
Certo, non era tra i più grandi che in quel momento imperversavano nello specchio d’acqua scura ma era comunque qualcosa da cui partire.
“Scusami, Gyarados... Puoi abbassarti, così posso salire?” chiese, sentendo ruggire il Pokémon Atroce durante la sua manovra di abbassamento. Marina salì su quel palazzo con le branchie, seguita a ruota da Pichu Ukulele, mentre la pioggia aveva tinto l’aria attorno di un bianco fumoso; la superficie del lago sembrava esser colpita da milioni di bombe, almeno distante dai Gyarados, dove altrimenti pareva fosse un maremoto a distribuire quelle acque nere e profonde. Il cielo era sparito dietro strati e strati di nuvole ed il sole probabilmente era nascosto lì dietro, da qualche parte.
Alzò gli occhi per un attimo, quelle due gemme color nocciola, così vivide che sembravano pulsare, guardando suo fratello Martino schivare un grosso attacco Idropompa, che colpì in volto proprio uno dei Gyarados più vicini a Marina. Quello perse l’equilibrio, tentennando per la potenza del colpo.
“È l’occasione! Vai Styler!”.
Furono uno, due, tre, quattro giri, poi un quinto e ancora un sesto, e lo Styler confermò come la cattura fosse avvenuta.
“Ottimo! Fuori un altro! Proseguiamo! Non abbiamo tempo da perdere!”.
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