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Levyan - Aquiloni 01 - Cartucce e Poké Ball + PRW 01

'giorno ragazzi e ragazze, spero davvero tanto che abbiate avuto il tempo per assimilare tutte le novità che il Team di Courage ha proposto in questi giorni. Anche perché, anche oggi, vogliamo dare spazio agli altri autori (che non siano Andy Black e Rachel Aori, per inciso), e quindi Levyan torna con il suo secondo pezzo per il blog, che ho particolarmente apprezzato.
Fa parte della sua raccolta, Aquiloni, definita da lui come "il suo modo di vedere la vita" ma sicuramente ne parlerà lui in maniera un tantino più dettagliata sulla nuovissima pagina Facebook del nostro collettivo, che si chiama appunto Pokémon Courage e che dovrete stuprare di like per aiutarci a crescere e a condividere sempre maggiori storie =)
In ogni caso oggi voglio presentare anche un'altra novità. Una novità molto, molto, molto brava con la matita. Lei è la terza nostra mangaka (ne manca una quarta ma a tempo debito ne parleremo), si chiama RachyChan ed è l'autrice di Pokémon Reverse World, che potrete leggere sulla sua pagina Facebook oppure scaricare direttamente da qui. Noi della famiglia Courage, la sosterremo.
A martedì, con il prossimo capitolo di HC. Vi anticipo soltanto che Groudon e Kyogre cominceranno il proprio scontro. Ed Adriano...








Cartucce e Poké Ball

L’aria era rarefatta. Calda e torrida.
L’insistente e pedante rintocco delle suole degli anfibi militari che cozzavano contro il pavimento del dormitorio risuonava nella testa del tenente Surge come il suono di un pianoforte stonato. Egli sostava in piedi sulla soglia della baracca e davanti a lui una delle sue squadre stava ultimando i preparativi. La caserma era in subbuglio e ogni soldato nascondeva la tensione e la paura sotto una falsa espressione determinata.
– Tenente! Qualche problema?
Surge si voltò.
– Va tutto bene? La vedo deconcentrata... – chiese il colonnello Fire dietro di lui.
Il biondo lo fissò per un momento con un’espressione spaesata stampata sul volto. I suoi occhi erano persi nel vuoto, le sue mani tremavano febbrilmente, sulle sue tempie scorrevano fiumi in piena di gocce di sudore.
– Sono... – balbettò insicuro.
Per un attimo fissò inebetito la figura del colonnello. Il fisico statuario, i capelli neri e gli occhi rossi luminosi che esprimevano tanta determinazione quanta serietà. Ardenti, quegli occhi. Come lo spirito da guerriero che ardeva in quell’uomo instancabile e sempre attivo.
– ...sono a posto. – Disse scuotendo la testa. – sono a posto.
– Bene! Abbiamo bisogno di lei per questa battaglia, si mostri positivo e vincente, deve infondere il suo spirito anche alle reclute! – disse quello abbozzando un sorriso e chiudendo la conversazione con una pacca sulla spalla.
Il colonnello Fire girò i tacchi e si avviò. Surge rimase solo al suo posto con la sensazione della mano di quell’uomo che ancora batteva sulle sue spalle, con il destino di una guerra che gravava anche sulle sue spalle.

Pochi minuti dopo, Surge si trovava già sull’US6–U1. Le ruote del veicolo sobbalzavano ad ogni buca, il rumore dell’armamentario imbracciato dai soldati cozzare tra loro o con le pareti del soffocante cassettone del camion cadenzava l’ansia di tutti riducendola ad un rumore effimero e fastidioso.
E per chi lo ha constatato, tutto ciò che è fastidioso e inesistente allo stesso tempo diviene la tortura peggiore.
Un’ora di viaggio. Nell’aria iniziavano a librarsi gli scoppi delle granate che appesantivano l’etere come decorazioni di glassa sulla superficie di una torta dietetica alla soia.
– Siamo quasi al fronte... – avvisò il guidatore.
L’ansia colava dal soffitto come umidità. Surge era seduto sul secondo posto alla destra del volante, in mano aveva la sua fidata Smith & Wesson M1917. La sicura era impostata, la sua mano stringeva l’impugnatura in una posizione di riposo che di riposo aveva pochissimo.
I nervi di Surge erano tesi, i suoi muscoli incordati e le sue ossa calcificate nella loro posizione.
Stava andando incontro alla guerra, incontro alla guerra.
Aveva sempre dato a tutti l’impressione di essere un duro, uno che non si sarebbe mai tirato indietro. Un capobranco.
Non si sarebbe mai tirato indietro, effettivamente questo era vero, ma almeno a se stesso poteva confessare di avere paura, di star provando terrore. Di non voler scendere da quel veicolo.
No. Questo no.
Doveva salvare Kanto, lui guidava la sua squadra, lui portava la speranza nel cuore degli abitanti della regione, nel cuore degli uomini che da tanto tempo aspettavano i “rinforzi americani”. Lui era i “rinforzi americani”.
Avrebbe combattuto.
– Ci siamo quasi! – annunciò il militare che era al volante.
Surge comprese, doveva dare coraggio alla sua squadra. Prima di iniziare a parlare scrutò uno per uno i membri di quella piccola unità che componeva, insieme a molte altre, il plotone da lui capitanato. I loro occhi erano come i suoi, le loro mani tremavano come le sue, la loro paura era la stessa sua, tant’è che lui stesso si stava chiedendo chi davvero fosse al comando.
– Tenente Surge... – sussurrò uno dei soldati tremolando.
Il ragazzo era attorno ai venticinque, capelli castani e occhi castani. Stritolava l’impugnatura del fucile con ansia proprio come faceva Surge.
– Roland, non sarà mica nervoso! – esclamò in uno spasmo di coraggio latente.
– No, tenente io... volevo chiederle se deve darci qualche dritta prima di scendere sul fronte... – disse quasi terrorizzato dall’ardore del suo sovrapposto.
Surge fu colto impreparato. Non era mai stato in mezzo al campo di battaglia, sotto i colpi, chiuso nella trincea.
– Un solo consiglio. – disse poi trovando qualcosa nel suo baule delle idee. – Non farti vincere dalla paura, gli avversari sono umani, proprio come te. – prese ad improvvisare. – Hanno un cuore e un fegato, hanno una famiglia e una casa. Proprio come te. Tu hai una famiglia, Roland? – chiese come per cambiare discorso.
Il ragazzo rispose insicuro.
– Ho una moglie che è incinta di quattro mesi...
– Beh, ti faccio i miei più sentiti auguri, ma quello che volevo dirti è che se ascolterai i miei consigli, potrai rivederla e riabbracciarla. Non avere mai paura, il coraggio è quello che porta avanti la nostra grande e orgogliosa nazione... – concluse.
– Gr... grazie, signore... – balbettò quello.
– Possiamo scendere, ricordate le mie indicazioni. – fece il tenente Surge fuggitivo mentre scendeva dall’autocarro.
La squadra lo seguì.

La terza battaglia per la libertà di Kanto stava per iniziare.

Imbraccia il fucile, il metallo è freddo, senti il suo brivido percorrerti. Sai che puoi addirittura uccidere un uomo con quell’arma. Ti rendi conto? Togliere la vita ad una persona, non è una cosa da niente.
Stringi l’impugnatura, guardati attorno.
I colpi fischiano attorno a te. I proiettili ti sfiorano. Sei ad un passo da nemico. Anzi, il nemico è ad un passo da te.
Anche lui ha paura come te. Anche lui non vorrebbe essere qui come te.
È l’ultima battaglia e stai vincendo.
Stai vincendo.
Ardente della fiamma del suo spirito combattente, Surge si gettò dietro due rocce. Con il fucile centrava ogni suo bersaglio, nessuno lo aveva mai visto così grintoso. Grinta proveniente tutta dal suo nervosismo.
Stava lottando da ore. I ranghi nemici si erano decimati e l’esercito di Kanto, aiutato da quello americano, stava vincendo.
Poco distante da lui c’era il colonnello Fire, stava riprendendo fiato dietro un albero. In mano stringeva il fucile proprio come lui, ma sulla sua mimetica e sul suo elmetto comparivano i simboli d’onore indicanti il suo grado. Gli occhi vermigli brillavano. Ma lui stava fermo.
– Tenente Surge! – lo chiamò. – Attento!
Surge, istintivamente, si piegò in due. Cozzò contro la roccia, proprio in corrispondenza di dove era la sua testa pochi attimi prima, un osso. Lì per lì, il tenente non comprese. Poi vide poco lontano, ai piedi di un albero, uno strano animale. Era marroncino e dalle sembianze rettiliane, come una specie di dinosauro, aveva un grosso teschio in testa che indossava come fosse una maschera. Non aveva mai visto nulla di simile.
– Che diavolo sei?! – esclamò spaventato.
– Stanno usando altre armi, si tratta di delle creature che qui chiamano Pokémon, tenente. – lo illuminò il colonnello Fire esclamando da lontano. – Sono pericolosi e molto potenti, l’esercito di Kanto ha preferito non usare loro per combattere perché la reputano un’azione disumana.
Surge annuì.
– Che devo fare? Lo ammazzo?
Il colonnello fece spallucce. Gesto menefreghista che perdeva ogni sembianza di superficialità unito alla sua espressione seria e addolorata.
Surge allora si voltò di nuovo verso la creatura. Era scomparsa. Per un momento tutto si era fermato e le lancette degli orologi erano cadute a terra. Surge riprese fiato.
Altri colpi, altro sangue, altre morti. La guerra continuava.
Ad un certo punto, dietro le linee nemiche vide comparire piccole e grosse sagome che si diressero verso il nemico.
Uno stormo di grossi uccelli di color giallo–arancio passò sopra le loro teste e scese in picchiata sui soldati. Avevano la pellaccia dura e le lunghe creste sulle loro teste tutte mosse. Attaccavano a colpi di artigli o di becco qualsiasi cosa che capitasse loro a tiro. Nessuno di loro riusciva più a sparare.
Alcune unità nemiche si infiltrarono tra le linee dell’esercito americano e fecero razzia di decine di soldati.
Surge combatteva con il calcio del fucile con uno di quegli uccelli e in lontananza vedeva che anche il colonnello Fire era perseguitato da uno di essi.
Non aveva mai combattuto in questo modo, non si era mai preparato a ciò, come poteva reagire?
Proiettili su proiettili, finalmente un colpo prese l’uccello nel punto tra collo e ali uccidendolo, ma non un colpo suo. Qualcuno aveva sparato da lontano.
Anche Surge fu liberato da quella furia pennuta.
Imbracciava il fucile in direzione dei due il soldato Roland. Il ragazzo aveva liberato tenente e colonnello da quegli uccelli.
– Roland! – esclamò Surge felice. Il ragazzo sorrideva soddisfatto.
Subito la sua espressione gioviale si tramutò in una smorfia isterica e preoccupata.
– Roland... – anche Surge si incupì. – ...sei troppo espost...
Niente da fare. Un proiettile sfondò la cassa toracica del soldato facendolo cadere. La chiazza di sangue macchiò l’erba e gli occhi di Roland si spensero quasi subito.
Surge rimase con gli occhi sbarrati, non si mosse.
Roland, il ragazzo, era morto. Aveva osato, si era esposto pur di salvare il suo tenente, aveva avuto troppo coraggio. Era stato uno sciocco, ma qualcuno lo aveva spronato a non avere paura. Lui.
Surge strinse i pugni e sbatté il calcio del fucile contro la roccia.
– Roland! – esclamò.
Subito si accostò al bordo della roccia che lo proteggeva, prese a colpire, gli avversari cadevano uno dopo l’altro, i suoi proiettili stavano sterminando lo squadrone nemico.
Notò qualcosa: una sfera rossa e bianca alla cintura di ogni soldato. Qualcuno la prendeva e la lanciava, questa si apriva e ne uscivano fuori, accompagnati da un fascio di luce, dei mostri tutti differenti. I nemici raddoppiavano, chi trovava le sfere dei compagni caduti le lanciava insieme alla propria. Il fronte avversario si stava ripopolando.
– Che cazzo... – Surge era ancora in preda alla sua furia.
Si certo, erano strani e anche insoliti, ma questi mostri morivano se colpiti da un proiettile. Surge prese a sparare anche a loro.
Proseguì con quest’andatura per alcuni minuti. Ad un certo punto udì un ruggito, si voltò. Era comparso alle sue spalle un grosso lucertolone arancione con le ali e una fiamma che ardeva sulla punta della sua coda. Ruggiva forte e raggiungeva quasi i due metri, si era presentato davanti a lui e minacciava di farlo fuori con le sue fauci. Anzi no. Nella bocca di quel rettile si formò una sfera di fuoco che divenne sempre più grande.
Surge, in preda al panico, sparò un colpo.
“Click!” Caricatore esaurito.
Il dragone si faceva sempre più prossimo quando...
Surge rimase esterrefatto. Una scossa elettrica, una specie di fulmine controllato si diresse verso il Pokémon arrostendolo all’istante. Che cosa era successo?
Un topo, un topo di quasi un metro, arancione e con una lunga coda che terminava con la forma di un fulmine era arrivato accanto a lui. Aveva lanciato lui quella scossa elettrica.
Surge lo fissò per un attimo senza osare alcuna mossa. Quello emise il suo verso quindi si voltò verso l’uomo sorridendo.
I loro occhi si incontrarono, avevano la stessa grinta in corpo. Lo stesso sguardo.
– Che cosa sei? – sussurrò Surge.
Come se nulla fosse, il Pokémon prese a bersagliare con le sue potenti scosse elettriche i volatili gialli che passavano sopra le loro teste abbattendone uno dopo l’altro.
– Ottimo, continua a colpire! – il Tenente si sporse di nuovo dal suo nascondiglio e, ricaricato il fucile, riprese a sparare.

Le ore passarono veloci. L’esercito americano, nonostante il sostegno che i nemici avevano da parte di quelle creature, riprese a vincere.
Gli avversari cominciarono a vacillare nell’insicurezza. Surge sparava a raffica e guidava con la sua combattività tutto lo squadrone. Aveva ritrovato il coraggio. Finalmente, i primi prigionieri. Nessuna uccisione, i nemici si davano per vinti.
– È l’ultima battaglia tenente! – esclamò il colonnello in un misto di felicità e calma. – E stiamo...
Surge si voltò allertato dallo spavento del colonnello. Un grosso Pokémon molto somigliante ad un rinoceronte bipede dalla corazza grigia lo stava caricando. Era immenso, Surge rimase paralizzato nella sua posizione. Il Pokémon che lanciava fulmini che lo stava aiutando lanciò una potente scossa contro quell’enorme bestia. Nemmeno un graffio. Il fulmine sembra non averlo colpito.
– Tenente!
Eroicamente, il colonnello Fire si gettò su Surge facendolo rotolare di lato. Il grosso corno del Pokémon rinoceronte mancò il biondo ma affondò nello stomaco del suo superiore. Fire fu scagliato lontano con Surge che seguì il suo percorso con gli occhi. Cadde a terra esanime e riversò dalla sua ferita una copiosa quantità di sangue tossendo un paio di volte.
– Colonnello Fire! – esclamò Surge.
Il Pokémon rinoceronte riprese l’equilibrio, voltandosi, lanciò un’occhiata furente al biondo.  Ruggì e si avventò contro di lui.
Surge per un istante vide la morte in volto, la bestia stava per colpirlo. Per fortuna aveva appena ricaricato. In uno spasmo premette il grilletto dell’arma che aveva in mano e una raffica di colpi si abbatté sul Pokémon segnando una linea che andava dal ventre alla fronte. Solo i proiettili che centrarono l’occhio e l’addome lo danneggiarono.
Il Pokémon si gettò all’indietro quasi travolgendo un albero. Dalle sue ferite iniziarono a sgorgare copiosi fiotti di sangue. Ansimò in preda a dei goffi spasmi per alcuni attimi e poi si spense. La creatura era morta.
Surge per un inesistente numero di secondi rimase a contemplare il suo lavoro. Ma poi un pensiero fece violentemente breccia nel vetro cristallino del suo sollievo. Il colonnello Fire.
Il biondo mollò il fucile, tutto si era fermato. Corse febbrile verso il corpo immobile dell’uomo che distava pochi metri dall’immenso Pokémon.
La mimetica del colonnello era tutta inzaccherata di sangue e in corrispondenza della ferita era completamente stracciata.
– Colonnello, colonnello! – Surge raggiunse l’uomo e lo scosse delicatamente con una mano. – Colonnello Fire! – esclamava spasmodicamente.
Nessuna risposta.
Il volto sporco e sudato del soldato era spento e bianchissimo. Non dava segni di vita.
– Noooo! – gridò Surge realizzando finalmente l’accaduto. Gridò a occhi chiusi, senza voler guardare ancora il corpo del suo amico, mentore e compagno.
Tolse l’elmetto e abbassò la testa sul corpo del colonnello. In quel momento l’ultimo colpo risuonò nell’aria.
Una grezza pallottola di piombo, una lercia invenzione della ferocia e dell’avidità umana, nata sporca, incontrò per ultima quell’immenso e nobile mare invisibile che era l’atmosfera, nata pura, sferzando il suo viscido trucco intriso di morte conferitogli dalla guerra appena conclusa.
Era tutto finito. Kanto era salva. Aveva pagato il suo prezzo.

– Signora... – le parole uscivano dalla bocca del tenente Surge come ricci di castagne che provano a passare nella canna di un fucile. Ricci di castagna dall’accento americano che provano a passare nella canna di un fucile. – Suo marito, il colonnello Fire... – niente, non riusciva ad andare avanti.
Il clima settembrino alleggeriva gli animi. Non era un settembre troppo caldo, nemmeno un settembre troppo freddo. Solo, un settembre.
La donna con indosso un grembiule da cucina che sostava sulla soglia appoggiata allo stipite della porta lo fissava con occhi persi.
Sicuramente aveva compreso, ma non voleva mettere bocca. Magari le cose potevano ancora cambiare.
– Ha perso la vita sul campo di battaglia. – Sospirò il biondo tutto d’un fiato ed evitando lo sguardo della donna.
La mora chiuse gli occhi, due lacrime solcarono le sue guance lentamente. Altrettanto lentamente giunsero i primi singhiozzi soffocati.
– È stato un eroe... sono, e forse siamo, vivi grazie a lui.
Come se l’effimerità di quelle parole potesse attutire in qualche modo il dolore di una perdita tanto grave.
Perché c’era la guerra?
Per soddisfare stupide voglie di potere di ricchi e avidi capi di stato che si divertono a veder morire per loro soldati che credono di offrire la propria vita alla patria per poi fingersi sconvolti e rattristati da una tragedia che loro stessi hanno causato?
Bella cosa!
Il tenente Fire, sposato, padre di un figlio, era nato a Biancavilla, piccolo paesino della regione di Kanto. Era cresciuto lì. Ecco come faceva a conoscere i Pokémon. Aveva studiato negli Stati Uniti e aveva frequentato l’accademia militare lì. Aveva fatto carriera ed era salito sino al grado di colonnello. Lui stesso aveva addestrato Surge, lui stesso gli aveva insegnato tutti i suoi trucchi e le sue strategie, lui stesso aveva visto in quel ragazzo il talento di un vero guerriero.
In seguito era tornato a Biancavilla, dove si era sposato e si era fatto una famiglia.
E poi la chiamata. Fire aveva combattuto con l’esercito americano, ma non aveva lottato come alleato, bensì come nativo del posto.
Un eroe. Non vi era altro termine per definirlo.
Surge trovò il coraggio di riaprire gli occhi.
La donna stava riversando il suo dolore sul grembiule che calmo e pacato ascoltava i suoi singhiozzi e asciugava le sue lacrime.
Dietro di lei, Surge vide qualcuno.
Il suo voltò mutò. La compassione lo prese e la sorpresa si impossessò dei suoi occhi.
Un ragazzino. Avrà avuto più o meno tre anni. E aveva gli stessi, medesimi, identici occhi del colonnello Fire.

Mi hanno spiegato che cosa è successo. Molti hanno perso la vita, soprattutto figure importanti come Capipalestra e Superquattro. In seguito, i loro posti sono stati riempiti da ragazzi giovani, persino della mia età. Sabrina, Erika, Misty, Brock. Tutti venuti dopo.
Mi hanno detto che il tenente Surge stesso ha fondato una palestra.
Tutto è tornato alla normalità. Ora.

Sono sulla cima del Monte Argento e da qui ho quasi la completa vista di Kanto. Fantastica, è davvero fantastica. Come i Pokémon che la abitano.
Me ne sono reso conto solo ora.

Noi ridiamo, scherziamo, ci divertiamo e maturiamo in questo mondo.
Noi lo consideriamo un paradiso e lo arricchiamo e decoriamo con le nostre idee e facciamo maturare in esso i nostri sogni.
Ma se ciò ci è concesso, è solo perché qualcuno, prima di noi, si è sacrificato per la sua pace, ha lottato con le unghie e con i denti perché in esso regnasse l’armonia.
Non dimentichiamo ciò che è stato.
Non lasciamo scappare il ricordo delle gesta di molte persone venute prima di noi.
Vorrei dirti tutto questo, vorrei raccontarti molte cose, vorrei parlarti di come se n’è andato mio padre e di come è andata la battaglia. Solo così puoi capire a fondo quanto sia bello questo mondo.
Questa è la storia della nostra terra ed io vorrei raccontartela, ma posso concederti solo alcuni puntini sospensivi.
Rosso

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