'giorno ragazzi e ragazze, spero davvero tanto che abbiate avuto il tempo per assimilare tutte le novità che il Team di Courage ha proposto in questi giorni. Anche perché, anche oggi, vogliamo dare spazio agli altri autori (che non siano Andy Black e Rachel Aori, per inciso), e quindi Levyan torna con il suo secondo pezzo per il blog, che ho particolarmente apprezzato.
Fa parte della sua raccolta, Aquiloni, definita da lui come "il suo modo di vedere la vita" ma sicuramente ne parlerà lui in maniera un tantino più dettagliata sulla nuovissima pagina Facebook del nostro collettivo, che si chiama appunto Pokémon Courage e che dovrete stuprare di like per aiutarci a crescere e a condividere sempre maggiori storie =)
In ogni caso oggi voglio presentare anche un'altra novità. Una novità molto, molto, molto brava con la matita. Lei è la terza nostra mangaka (ne manca una quarta ma a tempo debito ne parleremo), si chiama RachyChan ed è l'autrice di Pokémon Reverse World, che potrete leggere sulla sua pagina Facebook oppure scaricare direttamente da qui. Noi della famiglia Courage, la sosterremo.
A martedì, con il prossimo capitolo di HC. Vi anticipo soltanto che Groudon e Kyogre cominceranno il proprio scontro. Ed Adriano...
Fa parte della sua raccolta, Aquiloni, definita da lui come "il suo modo di vedere la vita" ma sicuramente ne parlerà lui in maniera un tantino più dettagliata sulla nuovissima pagina Facebook del nostro collettivo, che si chiama appunto Pokémon Courage e che dovrete stuprare di like per aiutarci a crescere e a condividere sempre maggiori storie =)
In ogni caso oggi voglio presentare anche un'altra novità. Una novità molto, molto, molto brava con la matita. Lei è la terza nostra mangaka (ne manca una quarta ma a tempo debito ne parleremo), si chiama RachyChan ed è l'autrice di Pokémon Reverse World, che potrete leggere sulla sua pagina Facebook oppure scaricare direttamente da qui. Noi della famiglia Courage, la sosterremo.
A martedì, con il prossimo capitolo di HC. Vi anticipo soltanto che Groudon e Kyogre cominceranno il proprio scontro. Ed Adriano...
Cartucce e
Poké Ball
L’aria era rarefatta. Calda e torrida.
L’insistente e pedante rintocco delle suole degli anfibi militari che
cozzavano contro il pavimento del dormitorio risuonava nella testa del tenente
Surge come il suono di un pianoforte stonato. Egli sostava in piedi sulla
soglia della baracca e davanti a lui una delle sue squadre stava ultimando i
preparativi. La caserma era in subbuglio e ogni soldato nascondeva la tensione
e la paura sotto una falsa espressione determinata.
– Tenente! Qualche problema?
Surge si voltò.
– Va tutto bene? La vedo deconcentrata... – chiese il colonnello Fire
dietro di lui.
Il biondo lo fissò per un momento con un’espressione spaesata stampata
sul volto. I suoi occhi erano persi nel vuoto, le sue mani tremavano febbrilmente,
sulle sue tempie scorrevano fiumi in piena di gocce di sudore.
– Sono... – balbettò insicuro.
Per un attimo fissò inebetito la figura del colonnello. Il fisico
statuario, i capelli neri e gli occhi rossi luminosi che esprimevano tanta
determinazione quanta serietà. Ardenti, quegli occhi. Come lo spirito da
guerriero che ardeva in quell’uomo instancabile e sempre attivo.
– ...sono a posto. – Disse scuotendo la testa. – sono a posto.
– Bene! Abbiamo bisogno di lei per questa battaglia, si mostri positivo
e vincente, deve infondere il suo spirito anche alle reclute! – disse quello
abbozzando un sorriso e chiudendo la conversazione con una pacca sulla spalla.
Il colonnello Fire girò i tacchi e si avviò. Surge rimase solo al suo
posto con la sensazione della mano di quell’uomo che ancora batteva sulle sue
spalle, con il destino di una guerra che gravava anche sulle sue spalle.
Pochi minuti dopo, Surge si trovava già sull’US6–U1. Le ruote del
veicolo sobbalzavano ad ogni buca, il rumore dell’armamentario imbracciato dai
soldati cozzare tra loro o con le pareti del soffocante cassettone del camion
cadenzava l’ansia di tutti riducendola ad un rumore effimero e fastidioso.
E per chi lo ha constatato, tutto ciò che è fastidioso e inesistente
allo stesso tempo diviene la tortura peggiore.
Un’ora di viaggio. Nell’aria iniziavano a librarsi gli scoppi delle
granate che appesantivano l’etere come decorazioni di glassa sulla superficie
di una torta dietetica alla soia.
– Siamo quasi al fronte... – avvisò il guidatore.
L’ansia colava dal soffitto come umidità. Surge era seduto sul secondo
posto alla destra del volante, in mano aveva la sua fidata Smith & Wesson
M1917. La sicura era impostata, la sua mano stringeva l’impugnatura in una
posizione di riposo che di riposo aveva pochissimo.
I nervi di Surge erano tesi, i suoi muscoli incordati e le sue ossa
calcificate nella loro posizione.
Stava andando incontro alla guerra, incontro alla guerra.
Aveva sempre dato a tutti l’impressione di essere un duro, uno che non
si sarebbe mai tirato indietro. Un capobranco.
Non si sarebbe mai tirato indietro, effettivamente questo era vero, ma
almeno a se stesso poteva confessare di avere paura, di star provando terrore.
Di non voler scendere da quel veicolo.
No. Questo no.
Doveva salvare Kanto, lui guidava la sua squadra, lui portava la
speranza nel cuore degli abitanti della regione, nel cuore degli uomini che da
tanto tempo aspettavano i “rinforzi americani”. Lui era i “rinforzi americani”.
Avrebbe combattuto.
– Ci siamo quasi! – annunciò il militare che era al volante.
Surge comprese, doveva dare coraggio alla sua squadra. Prima di iniziare
a parlare scrutò uno per uno i membri di quella piccola unità che componeva,
insieme a molte altre, il plotone da lui capitanato. I loro occhi erano come i
suoi, le loro mani tremavano come le sue, la loro paura era la stessa sua,
tant’è che lui stesso si stava chiedendo chi davvero fosse al comando.
– Tenente Surge... – sussurrò uno dei soldati tremolando.
Il ragazzo era attorno ai venticinque, capelli castani e occhi castani.
Stritolava l’impugnatura del fucile con ansia proprio come faceva Surge.
– Roland, non sarà mica nervoso! – esclamò in uno spasmo di coraggio
latente.
– No, tenente io... volevo chiederle se deve darci qualche dritta prima
di scendere sul fronte... – disse quasi terrorizzato dall’ardore del suo
sovrapposto.
Surge fu colto impreparato. Non era mai stato in mezzo al campo di
battaglia, sotto i colpi, chiuso nella trincea.
– Un solo consiglio. – disse poi trovando qualcosa nel suo baule delle
idee. – Non farti vincere dalla paura, gli avversari sono umani, proprio come
te. – prese ad improvvisare. – Hanno un cuore e un fegato, hanno una famiglia e
una casa. Proprio come te. Tu hai una famiglia, Roland? – chiese come per
cambiare discorso.
Il ragazzo rispose insicuro.
– Ho una moglie che è incinta di quattro mesi...
– Beh, ti faccio i miei più sentiti auguri, ma quello che volevo dirti è
che se ascolterai i miei consigli, potrai rivederla e riabbracciarla. Non avere
mai paura, il coraggio è quello che porta avanti la nostra grande e orgogliosa
nazione... – concluse.
– Gr... grazie, signore... – balbettò quello.
– Possiamo scendere, ricordate le mie indicazioni. – fece il tenente
Surge fuggitivo mentre scendeva dall’autocarro.
La squadra lo seguì.
La terza battaglia per la libertà di Kanto stava per iniziare.
Imbraccia il fucile, il metallo è freddo, senti il suo brivido
percorrerti. Sai che puoi addirittura uccidere un uomo con quell’arma. Ti rendi
conto? Togliere la vita ad una persona, non è una cosa da niente.
Stringi l’impugnatura, guardati attorno.
I colpi fischiano attorno a te. I proiettili ti sfiorano. Sei ad un
passo da nemico. Anzi, il nemico è ad un passo da te.
Anche lui ha paura come te. Anche lui non vorrebbe essere qui come te.
È l’ultima battaglia e stai vincendo.
Stai vincendo.
Ardente della fiamma del suo spirito combattente, Surge si gettò dietro
due rocce. Con il fucile centrava ogni suo bersaglio, nessuno lo aveva mai
visto così grintoso. Grinta proveniente tutta dal suo nervosismo.
Stava lottando da ore. I ranghi nemici si erano decimati e l’esercito di
Kanto, aiutato da quello americano, stava vincendo.
Poco distante da lui c’era il colonnello Fire, stava riprendendo fiato
dietro un albero. In mano stringeva il fucile proprio come lui, ma sulla sua
mimetica e sul suo elmetto comparivano i simboli d’onore indicanti il suo
grado. Gli occhi vermigli brillavano. Ma lui stava fermo.
– Tenente Surge! – lo chiamò. – Attento!
Surge, istintivamente, si piegò in due. Cozzò contro la roccia, proprio
in corrispondenza di dove era la sua testa pochi attimi prima, un osso. Lì per
lì, il tenente non comprese. Poi vide poco lontano, ai piedi di un albero, uno
strano animale. Era marroncino e dalle sembianze rettiliane, come una specie di
dinosauro, aveva un grosso teschio in testa che indossava come fosse una
maschera. Non aveva mai visto nulla di simile.
– Che diavolo sei?! – esclamò spaventato.
– Stanno usando altre armi, si tratta di delle creature che qui chiamano
Pokémon, tenente. – lo illuminò il colonnello Fire esclamando da lontano. –
Sono pericolosi e molto potenti, l’esercito di Kanto ha preferito non usare
loro per combattere perché la reputano un’azione disumana.
Surge annuì.
– Che devo fare? Lo ammazzo?
Il colonnello fece spallucce. Gesto menefreghista che perdeva ogni
sembianza di superficialità unito alla sua espressione seria e addolorata.
Surge allora si voltò di nuovo verso la creatura. Era scomparsa. Per un
momento tutto si era fermato e le lancette degli orologi erano cadute a terra.
Surge riprese fiato.
Altri colpi, altro sangue, altre morti. La guerra continuava.
Ad un certo punto, dietro le linee nemiche vide comparire piccole e
grosse sagome che si diressero verso il nemico.
Uno stormo di grossi uccelli di color giallo–arancio passò sopra le loro
teste e scese in picchiata sui soldati. Avevano la pellaccia dura e le lunghe
creste sulle loro teste tutte mosse. Attaccavano a colpi di artigli o di becco
qualsiasi cosa che capitasse loro a tiro. Nessuno di loro riusciva più a
sparare.
Alcune unità nemiche si infiltrarono tra le linee dell’esercito
americano e fecero razzia di decine di soldati.
Surge combatteva con il calcio del fucile con uno di quegli uccelli e in
lontananza vedeva che anche il colonnello Fire era perseguitato da uno di essi.
Non aveva mai combattuto in questo modo, non si era mai preparato a ciò,
come poteva reagire?
Proiettili su proiettili, finalmente un colpo prese l’uccello nel punto
tra collo e ali uccidendolo, ma non un colpo suo. Qualcuno aveva sparato da
lontano.
Anche Surge fu liberato da quella furia pennuta.
Imbracciava il fucile in direzione dei due il soldato Roland. Il ragazzo
aveva liberato tenente e colonnello da quegli uccelli.
– Roland! – esclamò Surge felice. Il ragazzo sorrideva soddisfatto.
Subito la sua espressione gioviale si tramutò in una smorfia isterica e
preoccupata.
– Roland... – anche Surge si incupì. – ...sei troppo espost...
Niente da fare. Un proiettile sfondò la cassa toracica del soldato facendolo
cadere. La chiazza di sangue macchiò l’erba e gli occhi di Roland si spensero
quasi subito.
Surge rimase con gli occhi sbarrati, non si mosse.
Roland, il ragazzo, era morto. Aveva osato, si era esposto pur di
salvare il suo tenente, aveva avuto troppo coraggio. Era stato uno sciocco, ma qualcuno
lo aveva spronato a non avere paura. Lui.
Surge strinse i pugni e sbatté il calcio del fucile contro la roccia.
– Roland! – esclamò.
Subito si accostò al bordo della roccia che lo proteggeva, prese a
colpire, gli avversari cadevano uno dopo l’altro, i suoi proiettili stavano
sterminando lo squadrone nemico.
Notò qualcosa: una sfera rossa e bianca alla cintura di ogni soldato.
Qualcuno la prendeva e la lanciava, questa si apriva e ne uscivano fuori,
accompagnati da un fascio di luce, dei mostri tutti differenti. I nemici
raddoppiavano, chi trovava le sfere dei compagni caduti le lanciava insieme
alla propria. Il fronte avversario si stava ripopolando.
– Che cazzo... – Surge era ancora in preda alla sua furia.
Si certo, erano strani e anche insoliti, ma questi mostri morivano se
colpiti da un proiettile. Surge prese a sparare anche a loro.
Proseguì con quest’andatura per alcuni minuti. Ad un certo punto udì un
ruggito, si voltò. Era comparso alle sue spalle un grosso lucertolone arancione
con le ali e una fiamma che ardeva sulla punta della sua coda. Ruggiva forte e
raggiungeva quasi i due metri, si era presentato davanti a lui e minacciava di
farlo fuori con le sue fauci. Anzi no. Nella bocca di quel rettile si formò una
sfera di fuoco che divenne sempre più grande.
Surge, in preda al panico, sparò un colpo.
“Click!” Caricatore esaurito.
Il dragone si faceva sempre più prossimo quando...
Surge rimase esterrefatto. Una scossa elettrica, una specie di fulmine
controllato si diresse verso il Pokémon arrostendolo all’istante. Che cosa era
successo?
Un topo, un topo di quasi un metro, arancione e con una lunga coda che
terminava con la forma di un fulmine era arrivato accanto a lui. Aveva lanciato
lui quella scossa elettrica.
Surge lo fissò per un attimo senza osare alcuna mossa. Quello emise il
suo verso quindi si voltò verso l’uomo sorridendo.
I loro occhi si incontrarono, avevano la stessa grinta in corpo. Lo
stesso sguardo.
– Che cosa sei? – sussurrò Surge.
Come se nulla fosse, il Pokémon prese a bersagliare con le sue potenti
scosse elettriche i volatili gialli che passavano sopra le loro teste
abbattendone uno dopo l’altro.
– Ottimo, continua a colpire! – il Tenente si sporse di nuovo dal suo nascondiglio
e, ricaricato il fucile, riprese a sparare.
Le ore passarono veloci. L’esercito americano, nonostante il sostegno
che i nemici avevano da parte di quelle creature, riprese a vincere.
Gli avversari cominciarono a vacillare nell’insicurezza. Surge sparava a
raffica e guidava con la sua combattività tutto lo squadrone. Aveva ritrovato
il coraggio. Finalmente, i primi prigionieri. Nessuna uccisione, i nemici si
davano per vinti.
– È l’ultima battaglia tenente! – esclamò il colonnello in un misto di
felicità e calma. – E stiamo...
Surge si voltò allertato dallo spavento del colonnello. Un grosso
Pokémon molto somigliante ad un rinoceronte bipede dalla corazza grigia lo
stava caricando. Era immenso, Surge rimase paralizzato nella sua posizione. Il
Pokémon che lanciava fulmini che lo stava aiutando lanciò una potente scossa
contro quell’enorme bestia. Nemmeno un graffio. Il fulmine sembra non averlo
colpito.
– Tenente!
Eroicamente, il colonnello Fire si gettò su Surge facendolo rotolare di
lato. Il grosso corno del Pokémon rinoceronte mancò il biondo ma affondò nello
stomaco del suo superiore. Fire fu scagliato lontano con Surge che seguì il suo
percorso con gli occhi. Cadde a terra esanime e riversò dalla sua ferita una
copiosa quantità di sangue tossendo un paio di volte.
– Colonnello Fire! – esclamò Surge.
Il Pokémon rinoceronte riprese l’equilibrio, voltandosi, lanciò
un’occhiata furente al biondo. Ruggì e
si avventò contro di lui.
Surge per un istante vide la morte in volto, la bestia stava per colpirlo.
Per fortuna aveva appena ricaricato. In uno spasmo premette il grilletto
dell’arma che aveva in mano e una raffica di colpi si abbatté sul Pokémon
segnando una linea che andava dal ventre alla fronte. Solo i proiettili che
centrarono l’occhio e l’addome lo danneggiarono.
Il Pokémon si gettò all’indietro quasi travolgendo un albero. Dalle sue
ferite iniziarono a sgorgare copiosi fiotti di sangue. Ansimò in preda a dei
goffi spasmi per alcuni attimi e poi si spense. La creatura era morta.
Surge per un inesistente numero di secondi rimase a contemplare il suo
lavoro. Ma poi un pensiero fece violentemente breccia nel vetro cristallino del
suo sollievo. Il colonnello Fire.
Il biondo mollò il fucile, tutto si era fermato. Corse febbrile verso il
corpo immobile dell’uomo che distava pochi metri dall’immenso Pokémon.
La mimetica del colonnello era tutta inzaccherata di sangue e in
corrispondenza della ferita era completamente stracciata.
– Colonnello, colonnello! – Surge raggiunse l’uomo e lo scosse delicatamente
con una mano. – Colonnello Fire! – esclamava spasmodicamente.
Nessuna risposta.
Il volto sporco e sudato del soldato era spento e bianchissimo. Non dava
segni di vita.
– Noooo! – gridò Surge realizzando finalmente l’accaduto. Gridò a occhi
chiusi, senza voler guardare ancora il corpo del suo amico, mentore e compagno.
Tolse l’elmetto e abbassò la testa sul corpo del colonnello. In quel
momento l’ultimo colpo risuonò nell’aria.
Una grezza pallottola di piombo, una lercia invenzione della ferocia e
dell’avidità umana, nata sporca, incontrò per ultima quell’immenso e nobile
mare invisibile che era l’atmosfera, nata pura, sferzando il suo viscido trucco
intriso di morte conferitogli dalla guerra appena conclusa.
Era tutto finito. Kanto era salva. Aveva pagato il suo prezzo.
– Signora... – le parole uscivano dalla bocca del tenente Surge come
ricci di castagne che provano a passare nella canna di un fucile. Ricci di
castagna dall’accento americano che provano a passare nella canna di un fucile.
– Suo marito, il colonnello Fire... – niente, non riusciva ad andare avanti.
Il clima settembrino alleggeriva gli animi. Non era un settembre troppo
caldo, nemmeno un settembre troppo freddo. Solo, un settembre.
La donna con indosso un grembiule da cucina che sostava sulla soglia
appoggiata allo stipite della porta lo fissava con occhi persi.
Sicuramente aveva compreso, ma non voleva mettere bocca. Magari le cose
potevano ancora cambiare.
– Ha perso la vita sul campo di battaglia. – Sospirò il biondo tutto
d’un fiato ed evitando lo sguardo della donna.
La mora chiuse gli occhi, due lacrime solcarono le sue guance
lentamente. Altrettanto lentamente giunsero i primi singhiozzi soffocati.
– È stato un eroe... sono, e forse siamo, vivi grazie a lui.
Come se l’effimerità di quelle parole potesse attutire in qualche modo
il dolore di una perdita tanto grave.
Perché c’era la guerra?
Per soddisfare stupide voglie di potere di ricchi e avidi capi di stato
che si divertono a veder morire per loro soldati che credono di offrire la
propria vita alla patria per poi fingersi sconvolti e rattristati da una
tragedia che loro stessi hanno causato?
Bella cosa!
Il tenente Fire, sposato, padre di un figlio, era nato a Biancavilla,
piccolo paesino della regione di Kanto. Era cresciuto lì. Ecco come faceva a
conoscere i Pokémon. Aveva studiato negli Stati Uniti e aveva frequentato
l’accademia militare lì. Aveva fatto carriera ed era salito sino al grado di
colonnello. Lui stesso aveva addestrato Surge, lui stesso gli aveva insegnato
tutti i suoi trucchi e le sue strategie, lui stesso aveva visto in quel ragazzo
il talento di un vero guerriero.
In seguito era tornato a Biancavilla, dove si era sposato e si era fatto
una famiglia.
E poi la chiamata. Fire aveva combattuto con l’esercito americano, ma
non aveva lottato come alleato, bensì come nativo del posto.
Un eroe. Non vi era altro termine per definirlo.
Surge trovò il coraggio di riaprire gli occhi.
La donna stava riversando il suo dolore sul grembiule che calmo e pacato
ascoltava i suoi singhiozzi e asciugava le sue lacrime.
Dietro di lei, Surge vide qualcuno.
Il suo voltò mutò. La compassione lo prese e la sorpresa si impossessò
dei suoi occhi.
Un ragazzino. Avrà avuto più o meno tre anni. E aveva gli stessi, medesimi,
identici occhi del colonnello Fire.
Mi hanno spiegato che cosa è successo. Molti hanno
perso la vita, soprattutto figure importanti come Capipalestra e Superquattro.
In seguito, i loro posti sono stati riempiti da ragazzi giovani, persino della
mia età. Sabrina, Erika, Misty, Brock. Tutti venuti dopo.
Mi hanno detto che il tenente Surge stesso ha
fondato una palestra.
Tutto è tornato alla normalità. Ora.
Sono sulla cima del Monte Argento e da qui ho quasi
la completa vista di Kanto. Fantastica, è davvero fantastica. Come i Pokémon
che la abitano.
Me ne sono reso conto solo ora.
Noi ridiamo, scherziamo, ci divertiamo e maturiamo
in questo mondo.
Noi lo consideriamo un paradiso e lo arricchiamo e
decoriamo con le nostre idee e facciamo maturare in esso i nostri sogni.
Ma se ciò ci è concesso, è solo perché qualcuno,
prima di noi, si è sacrificato per la sua pace, ha lottato con le unghie e con
i denti perché in esso regnasse l’armonia.
Non dimentichiamo ciò che è stato.
Non lasciamo scappare il ricordo delle gesta di
molte persone venute prima di noi.
Vorrei dirti tutto questo, vorrei raccontarti molte
cose, vorrei parlarti di come se n’è andato mio padre e di come è andata la
battaglia. Solo così puoi capire a fondo quanto sia bello questo mondo.
Questa è la storia della nostra terra ed io vorrei
raccontartela, ma posso concederti solo alcuni puntini sospensivi.
Rosso
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