Salve a tutti gente. Megacapitolo oggi, molto lungo e pieno di avvenimenti. Spero che vi piaccia. Calcolando tutto, il countdown per la fine della storia segna adesso -3. Quindi, ancora tre capitoli (più epilogo, probabilmente) e saluterò questa storia, che mi ha dato molte soddisfazioni.
Ma non è il momento per parlarne. È invece il momento di dire (anzi, di ricordare) che dopodomani esce il secondo capitolo dell'Interactive Story di Gold a Sinnoh! Chissà cosa gli capiterà *leggere con voce da speaker del Kinder Sorpresa*. E poi boh, sabato dovrebbe (se Anubi vuole) (mi piacciono le parentesi) uscire il quinto capitolo della storia di Cyber Witch, quella sui tipi fata.
Pokémon Courage non vi abbandona, nemmeno in estate!
Volavano l’uno accanto all’altro, Martino e Marina, silenziosi e concentrati.
Il mare vedeva due correnti, una calda ed una più fredda, che si scontravano giusto sotto di loro, creando una linea di schiuma.
“Densità diverse...” disse Martino, su Staraptor. “Non si mischiano... Guarda, una è più chiara ed una più scura...”.
“Già... Che cosa incredibile” rispose disinteressata sua sorella. Carezzava il folto piumaggio di Togebo, mentre s’allontanavano da Ceneride.
“Quel Pokémon aveva un piede nella fossa. L’hai salvato...”.
“Già. Avrei potuto fare di meglio. Magari avrei potuto evitare che Gold non stramazzasse al suolo...”.
“Non è colpa tua. Christine era un osso duro e...”.
“Lo so benissimo...”.
“E allora che vuoi? Non fare così?”.
Marina si voltò, col sorriso amaro in volto. “Non puoi capire...”.
Quello abbassò lo sguardo verso il suo Pokémon, mentre sospirava. Sperava, sognava che quella storia finisse il più presto possibile. Avrebbe tanto voluto abbandonare quella regione disastrata, dove tutto gli ricordava le difficoltà ed i fallimenti che aveva vissuto assieme ai suoi compagni di missione, fino a quel momento.
Probabilmente avrebbe richiesto a Raimondo l’opportunità di farsi un bel mese nel Residence Aqua, in totale solitudine. Ne aveva bisogno, per ricaricare le batterie, per ritornare più forte, più motivato e concentrato.
Sì, il suo era un lavoro che stressava. Avere a che fare con la morte tutti i giorni era pesante, specialmente quando il suo intervento poteva salvare la vita di qualcuno; un minimo errore significava perdere tutto.
Martino, come anche gli altri Ranger, dovevano rimanere concentrati, e vedere sua sorella così profondamente turbata.
Per lui, che era cresciuto così a contatto con lei e che aveva vissuto la sofferenza di quella, era difficile doverla vedere con lo sguardo perso, intento a vagare tra le nuvole ed i pensieri.
Mentre tutto attorno a lui esplodeva, mentre il potere infinito di quei due Pokémon imperversava, lui doveva stare calmo e tranquillo, assicurandosi che anche sua sorella stesse serena.
Ma la cosa non poteva funzionare se lei era così tesa.
La guardò, con ancora le lacrima appuntate alle lunghe ciglia, nonostante la maschera per il volo scesa e poggiata sulle guance.
“Hey...” disse poi, combattendo contro quel demone che s’era impossessato del suo corpo in quel momento, iniettando negatività come non mai.
Quella era così assorta tra i suoi pensieri da non esser riuscita a sentire la voce del fratello. Lui la richiamò.
“Mari...”.
Quella si voltò lentamente, in faccia i segni della stanchezza. “Marti”
“Comunque mi spiace per la discussione che abbiamo avuto prima. Se tu credi che possa farti star bene, lotta per averlo”.
Quella batté due volte le palpebre e poi tornò a guardare dritto. “Se Pat riuscirà a farlo stare meglio ci proverò...”.
“Tu sei una guerriera. Hai passato tante brutte cose, anche per via di Gold e...”.
“Non è stata propriamente colpa di Gold, Martino, e lo sappiamo entrambi”.
“Doveva rimanerti vicino, invece di fare l’eroe!” urlò, scontrandosi poi con lo sguardo liquido della sorella. “Ok, scusami, lasciamo perdere. È che mi preoccupo per te...”.
“Non voglio che tu lo faccia. Non te l’ho chiesto”.
Martino sorrise. “Non lo faccio perché me l’ha chiesto qualcuno. Tu sei la mia famiglia e non voglio vederti ancora ricoperta di sangue...”.
Attimo di silenzio.
“Faceva schifo, vero?” domandò lei, sorridendo leggermente e provocando le risa del fratello.
“Non ci ho pensato, a dire il vero. M’interessava che tu non morissi”.
“E se non moriremo adesso, contro Rayquaza, non lo faremo più...”
“Già. Dobbiamo stare attenti...”.
Marina abbassò gli occhi e intanto la Torre dei Cieli diventò un’ombra all’orizzonte.
“Forza” fece Martino. Ci siamo quasi”.
Il cuore di Marina batteva forte, forse anche troppo, sotto quella cicatrice che deturpava il suo petto. L’isolotto sul quale s’ergeva la grande torre era battuto da acque tranquille, forse perché circondato da ampi e duri scogli neri. Sulla sommità della torre, molto, molto in alto, nuvole nere giravano intorno all’occhio del ciclone, che fissava attento tutto ciò che sovrastava.
La Torre imperava sulla terraferma, altissima ed austera.
“Ha un’aria davvero sinistra” fece Marina, toccandosi il petto, disturbata. Togekiss rientrò nella sfera e Martino le si avvicinò.
“Che hai?” domandò.
“Niente. Un po’ d’ansia, credo... d’altronde Rayquaza non sarà semplice da catturare...”.
“Dobbiamo riuscire ad acquisire quanti più Pokémon possibili... Per indebolire Rayquaza e potenziare le opzioni di Styler...”.
“Credo dovremmo utilizzare la nostra arma segreta, con un Pokémon di questa portata...”.
“Vedremo...”.
I due s’avviarono verso l’ingresso dell’altissimo edificio, salendo una scalinata in pietra assai malmessa, erosa dal tempo e dalla salsedine. La porta, in pietra anch’essa, cigolò sugli enormi cardini una volta che Martino vi poggiò la mano sopra.
Essa si aprì, rivelando sull’uscio la presenza di una figura.
“Chi siete?” domandò con voce di donna, quella. Non era assai alta e non potevano vederle il volto, in quanto vestita con una lunga tunica marrone con cappuccio.
“E questa chi diamine è?!” esclamò Martino, guardando sua sorella.
“Ehm... Siamo due Pokémon Ranger. Siamo venuti per Rayquaza...” rispose invece Marina, vedendo la donna ghignare sotto il suo cappuccio.
“Nessuno è autorizzato a vedere il grande Pokémon drago” tuonò sicura quella.
“Veniamo qui per fermare Groudon e Kyogre! Non siamo Allenatori e non ci interessa catturare il Pokémon. Una volta finita questa faccenda, libereremo il Pokémon e tornerà qui, se vorrà...”.
Il silenzio s’appropriò della situazione, lasciando soltanto il mare ed il lamentio del vento ad essere uditi.
“Sto leggendo i vostri cuori...” disse quella, sempre celata dai suoi abiti. “In te...” continuò, indicando Marina. “... in te vedo la voglia di correre ed un grande vuoto. In te vedo l’apertura al perdono. Tu hai un cuore puro” fece. Poi si voltò verso Martino.
“Ma tu... Tu sei combattuto. Il tuo cuore è sporco, nonostante il tuo animo sia chiaramente candido come la neve”.
Martino abbassò lo sguardo, poi sua sorella lo guardò.
“Ma che diamine stai passando?!”.
“Nulla. Ma siamo leggermente di fretta, dobbiamo andare”.
Il guardiano della Torre era immobile, schierato a barriera davanti a loro.
“Saranno buoni, i tuoi intenti?”.
“Sono qui per salvare questa dannatissima regione da due folli! Certo che i miei intenti sono buoni!”.
“Allora passate pure” disse la donna misteriosa, facendosi da parte. I Ranger entrarono e si guardarono attorno, mentre la porta si richiuse cigolando sinistramente, sbattendo con forza sul proprio assetto pochi secondi dopo.
Tutt’intorno sembrava esser morto e decaduto; protagonista di quel posto era l’ampia scalinata in marmo, di cui molti scalini parevano esser duramente lesionati e spaccati, se non mancanti.
“Facciamo attenzione...” disse Martino, accendendo una torcia, strumento facente parte del kit che portava sempre con sé. Banette e Claydol spaventati s’apprestavano a fuggire dal fascio di luce che il Ranger puntava contro le assi di legno malmesse delle pareti e dei pavimenti.
“Che brutto posto...” sospirò Marina. Prese a salire lentamente le scale, timorosa che ogni suo passo potesse determinare la fine dei suoi giorni.
“Attenta” ripeté suo fratello, anticipandola in ogni mossa.
“Ho capito, devo stare attenta” sospirò infastidita quella.
“E stai pronta con lo Styler, che c’è bisogno di acquisire Pokémon...”
E così camminarono lungo la spirale di scalini della Torre dei Cieli, acquisendo un paio di Altaria, un Claydol ed un Banette. Martino stava per lanciare lo Styler anche contro un bell’esemplare di Absol, ma non era riuscito nell’intento di acquisire il Pokémon.
Si voltava, il ragazzo, di tanto in tanto, intento a guardare il volto di sua sorella. Sembrava abbastanza tranquilla, nonostante continuasse a massaggiarsi stomaco e petto.
Teneva molto a lei, e stare in quella pericolosissima situazione aumentava l’ansia che quello provava, intingendolo la sua anima in una paura cieca.
Lui poteva lottare per lui, per la sua stessa misera e povera vita; non gli interessava più di tanto quello che gli sarebbe accaduto.
Invece Marina aveva già avuto la sua dose di dolore e nulla avrebbe dovuto farle ancora del male. Sentiva ancora nel naso l’odore del suo sangue, e la sensazione di sporco che provava quando, prima di lavarsi mani e faccia, i suoi vestiti ne erano interamente. Ricordava la scena, in ospedale.
Batteva nervosamente il piede per terra, Martino, nervoso, per ogni ticchettio che l’orologio a parete emetteva.
Aspettò che sua madre e suo padre fossero arrivati, li liquidò con un semplice “questo è il suo sangue, la stanno operando”, mostrando i vestiti, ed andò a casa, a levarsi di dosso quegli stracci e a farsi una doccia.
E rifletté, rifletté tanto.
Come poteva una semplice uscita serale rivelarsi così fatale? Cosa era successo al ristorante di fronte casa?
Fu proprio questa curiosità a portarlo verso il locale. Già da lontano si potevano vedere orde di gente a fare muro, a coprire la visuale. Poco più in alto, si addensava del fumo nero, che poi si librava verso il cielo. Si fece largo a spallate verso il centro nevralgico, spintonando persone lamentose ma meno nervose di lui che, appena vedevano il sangue sui suoi vestiti, ammutolivano ed aprivano strada.
Bande a righe bianche e rosse delimitavano l’area tutt’intorno al ristorante “Tarantino” di chiara matrice italiana. Le aspettative sull’italiano si bloccavano al nome, perché il menù non aveva molte pretese. Inoltre il proprietario, tal Michele Tarantino, un vero italiano proveniente dalla Puglia, non sembrava un tipo affidabile. Le vetrate del locale erano state distrutte totalmente e la porta sfondata.
Un ragazzo stava seduto con una coperta attorno alle spalle, mentre un agente della polizia lo interrogava.
“Machamp... tre Machamp ed un Darmanitan...” diceva.
“È stato un attacco di Pokémon? Erano imbizzarriti?” chiedeva l’agente.
“N-no... è stato un Allenatore a comandare loro di distruggere tutto...”.
Martino aveva effettivamente gettato un occhio nel locale, totalmente distrutto e devastato dal fuoco.
“Infine... ha dato ordine al Darmanitan di bruciare tutto...”.
“Sono questioni particolari, che da noi si verificano poco spesso. Tarantino è un esponente mafioso e questo era un avvertimento; probabilmente non aveva adempiuto ai propri doveri... Brutta storia” concluse l’agente, chiudendo il blocchetto degli appunti.
“Marina era qui... con quel ragazzo di Johto...” sospirò Martino, dopo aver visto il poliziotto allontanarsi.
“Gold, si chiamava. Si chiamava Gold” ricordò.
Attese, ed attese anche tanto, e vide l’uomo con la coperta sulle spalle, incredibilmente incolume, lasciare la zona del ristorante ed avviarsi verso casa.
Martino lo rincorse. “Hey!” urlava. “Scusi!”.
Quello si voltò, impressionato dalla mise del ragazzo, sempre sporco di sangue. “Sì?”.
“Chiedo scusa. C’era una ragazza, dentro il locale. Mia sorella, Marina”.
“Ehm...”. Quello pareva confuso.
“Sì, so che è difficile ricordare o altro, ma faccia uno sforzo. Adesso Marina è in fin di vita, e voglio sapere come sono andate le cose. Cerchi di riportare alla mente, la prego...”.
L’uomo sospirò. “Almeno dimmi qualcosa che possa aiutarmi”.
“Aveva... aveva un vestito bianco... Era con un ragazzo”.
“C’erano due ragazze col vestito bianco. Entrambe erano assieme ad un ragazzo”.
“Marina era... È. Marina è castana ed ha gli occhi color nocciola. E la voce squillante. Lei è molto magra, minuta. Il suo vestitino è stato bruciacchiato dalle fiamme ed una grossa scheggia di vetro le ha trafitto il torace” disse Martino, abbassando addolorato il volto.
“Ah!” esclamò lui. “Quella ragazzina! Certo, certo! Era con un ragazzo dagli occhi d’oro”.
“Un ragazzo... un ragazzo dagli occhi d’oro?”.
“Sì. Urlava parecchio”.
“Urlava?!” esclamò accorato il castano.
“Non urlava contro la ragazza. Aveva proprio un tono alto di voce. Sembrava stessero passando una bella serata...”.
“E poi?! Perché non l’ha protetta?!” urlò poi, prendendo l’uomo per le spalle.
Quello s’impressionò spingendo il ragazzo via e sbraitando parole con un senso compiuto, senza che Martino le comprendesse pienamente.
E poi Marina si riprese, lentamente. Il rapporto con suo fratello andò sempre a stringersi, sempre di più, fino a diventare l’uno indispensabile per l’altro.
Migliaia di avventure condivise somatizzate in un sorriso stentato. Avevano salito migliaia di scale, le gambe facevano male ma non mancavano ancora tanti piani alla cima ed il senso del dovere che provavano entrambi li spingeva a dare sempre di più.
“Quando arriveremo?” domandò Martino, tra sé e sé, seguito da Claydol. Quel Pokémon lo inquietava e non poco.
“Non lo so, Marti... ma non manca ancora molto” gli rispose, alzando la testa e guardando la tromba delle scale che lentamente s’assottigliava.
L’ottantacinquesimo piano era stato finalmente raggiunto. Era parecchio disastrato, con il crollo di un’ampia parte della parete. Ampie travi di legno erano cadute dalla volta del soffitto, parecchio sopra, incastrandosi tra la parete ed il pavimento.
Calcinacci e pezzi di muro crollati dall’alto avevano sfondato il pavimento di legno, altri ancora si erano accumulati sulla destra del corridoio. Banette pareva inquieto, passandovi accanto.
“Che ha?” domandò Marina, fissandolo.
Banette ondeggiava attorno al mucchio di calcinacci, ed intanto i due Ranger s’avvicinarono.
“Qui è morto qualcuno...” le rispose. Si piegò sulle ginocchia accanto ad un cappello bianco , ormai ingiallito dal tempo e lo alzò. Intagliato nel legno vi era inciso qualcosa:
EMILY WHITE, COMPAGNA MIA. TUO, ZACK.
I volti dei ragazzi si portarono automaticamente verso il basso. Poi lentamente ripresero il cammino, fino a raggiungere la porta che portava sul tetto della torre. Era uguale in tutto e per tutto a quella che avevano attraversato all’ingresso. Marina la spinse, e proprio come quella sotto a tutto cigolò, aprendosi con lentezza; una piccola vela di luce invase il buio dell’ultimo piano, disturbando e non poco Claydol.
Uscirono fuori, ed il vento e la pioggia battevano potenti sul soffitto della torre.
Martino aveva gli occhi alzati verso l’alto, e l’ombra enorme proiettata sul pavimento confermava lo stupore che il Ranger provava. “Porca di quella...”.
Marina lo imitava. “Dillo...”.
“Puttana. Porca di quella...”.
“Puttana...” sospirò la ragazza.
Rayquaza fissava con gli occhi spalancati e sanguinari gli avventori. Altaria s’alzò in volo, rimanendo vicino a Marina.
“È veramente enorme. Cioè, grande. Credo sia il Pokémon più epico che abbia mai visto...” diceva Martino, che ormai non batteva le palpebre da quasi mezzo minuto.
Ed a ragione, peraltro. L’enorme Pokémon Drago pareva galleggiare su se stesso, muovendo con grazia (innaturale per la sua mole) la parte posteriore del suo corpo. Il cielo s’oscurava ancor di più alle sue spalle, il vento s’alzava, i tuoni riempivano le loro orecchie mentre flash improvvisi venivano creati dai fulmini, luminosi e potenti. Fili d’energia s’allargavano dal suo corpo, muovendosi come sott’acqua. E poi le braccia, piccole, corte rispetto al lungo corpo serpentiforme, si muovevano verso di loro; Marina guardava le mani artigliate di quello e dopo fu rapita dagli occhi rossi del Pokémon. Ai lati della testa vi erano due enormi zanne, verdi come lui. Il suo corpo s’illuminava in determinati punti, pulsavano i suoi centri d’energia, battevano come un cuore.
Magniloquente.
Quello prese a ruggire, ed intanto il vento spazzava la superficie del tetto ed i fulmini illuminavano lo sfondo nero. Marina fece inconsapevolmente qualche passo indietro, sempre affiancata da Altaria, a cui si era aggiunto Staraptor. Il cuore pareva esploderle nel petto, non aveva mai avuto così tanta paura.
Martino invece sentì l’adrenalina correre veloce nel sangue; era quello il momento in cui doveva agire.
“Forza!” urlò, e Banette e Claydol lo seguirono subito. Calcolò rapidamente una strategia, il Ranger, e capì che doveva cominciare con un’offensiva leggera, per testare la difesa del Pokémon e la sua aggressività, anche se aveva l’impressione di non dover scherzare con il fuoco.
“Pichu!” urlò quindi, vedendo il piccolo topino giallo alzarsi con un balzo verso l’alto e lasciar partire una grande scossa, proprio dalle nuvole grigie su nel cielo, che colpì in pieno Rayquaza.
Pichu era ben allenato, ma la potenza del suo attacco non scalfì minimamente la coriacea resistenza del dragone color smeraldo.
Si liberò dell’energia elettrica che lo avvolgeva con un semplice ruggito, e dopo dal cielo fece cadere sfere d’energia, fendenti di luce che s’abbattevano velocemente su tutto.
“Che diamine è?!” urlava Marina, arretrando verso l’interno.
“Comete!” urlava suo fratello, facendo slalom tra le colonne di luce che cadevano per terra.
“Fermalo!”.
“Tu dammi una mano, baldracca!” urlò tra i denti quello.
“Subito!” esclamò la ragazza. “Altaria, aiutaci!”.
Il Pokémon con le ali di cotone s’alzò in volo e lasciò partire un forte Dragobolide, che colpì in pieno volto il gigante verde.
“L’hai preso!” esultò Martino, lasciando partire lo Styler.
Uno, due, tre giri, ma un abile colpo di coda del Pokémon mandò alle ortiche il tentativo d’acquisizione.
Martino urlò, vedendo il suo Styler danneggiarsi.
“Non possiamo permettere che Rayquaza si liberi di nuovo!” fece Martino, controllando lo stato di salute del suo apparecchio di cattura. “Lo distruggerà con un altro attacco del genere”.
“Procediamo con doppia cattura, allora” rispose sua sorella. Marina lanciò lo Styler, vedendo poi suo fratello mandare in avanti Claydol.
“Forza!”.
Il Pokémon Terra – Psico lanciò un grande attacco Psicoraggio contro l’avversario, che non parve subire tanto il colpo, ma che permise a Marina d’effettuare ben sedici giri di Styler.
Purtroppo si rese conto del fatto che fossero soltanto la punta dell’iceberg: Rayquaza avrebbe necessitato di centinaia, forse migliaia di giri di Styler.
“Parti!” urlò poi la ragazza, intimando il fratello di lasciar andare il suo Styler ed unirsi al processo di cattura; in quel modo avrebbero attutito i danni alle proprie macchine d’acquisizione.
“Certo! Vai!”.
I giri erano rapidamente arrivati a cinquanta, l’icona di cattura velocemente si riempiva, ma arrivati ai settanta giri ancora stentava a raggiungere il quarto di riempimento.
Claydol finì con l’attacco, lasciando il Pokémon Stratosfera libero di contrattaccare.
“È già Megaevoluto, Marina, attenta!” urlò il ragazzo.
“Vuol dire che conosce Ascesa del Drago...”.
I due si guardarono, e poi Rayquaza prese ad urlare con furia e rabbia incontrollata, lasciando partire dalla bocca fiamme viola e verdi, che si abbatterono sul già tormentato e devastato tetto della torre; questo cedette in diversi punti, minando alla stabilità del pavimento e creando crateri enormi.
“Dovremmo... O no?” domandò la ragazza cercando di mettersi al riparo dagli attacchi di Rayquaza.
“Beh, non so, Marina. Ascesa del Drago è una mossa potentissima che costringerebbe Rayquaza ad utilizzare un sacco d’energia... Ma anche quest’Oltraggio non scherza...”.
“Se usasse Ascesa del Drago sarebbe molto più semplice catturarlo!”.
“Ma i nostri Styler non riuscirebbero a sopportare un attacco del genere... E rischieremmo di certo di morire...”.
Marina sentiva il fiato corto e l’ansia che le spingeva nel petto una negatività mai provata. Il cuore batteva forte, troppo e questa cosa le sembrava insolita.
“Dobbiamo rischiare!”
“C’è ancora Banette! Non andare di fretta!”.
Marina sbuffò e si mise ad elaborare una strategia. “Rompe l’anello di cattura dello Styler con la coda, nel tentativo di colpirci. Se entrassimo nel cerchio di cattura non attaccherebbe l’anello e saremmo più liberi di catturarlo”.
“Attenta alla seconda ondata dell’attacco Oltraggio!” urlò quello, vedendo poi Rayquaza lasciar cadere bombe d’energia a ripetizione, come a liberarsi della cattiveria di cui era colmo il suo animo.
Molti di questi attacchi fecero altri fossi sul pavimento, facendo crollare interamente il soffitto della Torre dei Cieli.
“Cazzo!” urlò poi Martino, saltando velocemente su Staraptor ed afferrando al volo Pichu, correndo a salvare Marina che intanto precipitava nella tromba delle scale della torre.
Martino scese in picchiata, appiattendosi quanto più potesse per avvicinarsi a quella.
“Più forte!” urlava al suo Pokémon.
Ma poi sua sorella fece qualcosa che lo sconvolse: mise la mano nella borsa, con la paura negli occhi, ed afferrò la sfera di Togebo, su cui si ritrovò qualche secondo dopo, terminando di fatto la discesa verso la morte.
Staraptor frenò improvvisamente ed intanto Marina respirava ad ampi polmoni, sconvolta.
“Stai bene?!” gli urlò nuovamente suo fratello.
Quella prese qualche secondo prima di rispondere. “Sì. Sì, credo di sì. Dobbiamo tornare sopra...”.
E così si misero a risalire velocemente per la tromba delle scale, evitando pezzi di tetto e calcinacci che crollavano dal soffitto. Rayquaza li fissava inviperito e li attaccò nuovamente, con un forte Lanciafiamme.
“Destra” urlò poi Marina a Togebo, che flesse leggermente l’ala per ritrovarsi qualche metro accanto alla colonna di fuoco. Continuavano a salire, calore costante ed insopportabile, quel fuoco scintillava ed illuminava tutt’intorno, spaventando i Pokémon che si nascondevano sui vari piani.
“Sali!” urlava dall’altra parte Martino, che intanto raggiunse sua sorella.
“Lancia lo Styler!” fece lei. “Io controllerò Banette e Togebo...”.
“Come un’Allenatrice...”.
Giunsero finalmente all’esterno, ancora sporchi di polvere e cemento, un po’ di sangue sul volto e qualche graffio a cui non pensavano; Rayquaza aveva ormai smesso di attaccare, vedendo i due Styler partire da destra e sinistra.
“Andrò io all’interno!” fece Martino. “Vai Banette!” urlò poi, e l’ultimo Pokémon che avevano acquisito lì si gettò.
“Fuocofatuo!” urlò Marina. Martino si voltò compiaciuto e sorrise
vedendo il Pokémon lanciare quell’ostinata fiamma blu che, per quanto Rayquaza si fosse dimenato, l’avrebbe sempre raggiunto.
E così fu. L’urlo di Rayquaza fu terribile, e scottato decise di prendersela contro il primo individuo su di uno Staraptor che avrebbe incontrato.
Un colpo di coda ben piazzato ebbe l’effetto di destabilizzare Staraptor, che però si rimise in piedi, stabile, mentre lo Styler di Marina ancora girava attorno a Rayquaza.
“Trenta!” urlava lei.
Martino alzò la quota, arrivando verso le braccia del Pokémon; una zampata fu evitata magistralmente.
“Quaranta!”.
“Fa’ presto!” urlava Martino, evitando un secondo attacco.
“Pare facile!”.
“Questo qui sta perdendo la pazienza!”
“Cinquanta! Sto facendo più in fretta che posso, ma è difficile!”
“Se fossimo in due...” provò a parlare Martino.
“Zitto e sta’ lì a prendere le mazzate!”.
Martino volteggiò, salendo verso l’alto. La pioggia continuava a battere radente e Rayquaza attaccò con un nuovo Lanciafiamme il suo avversario, stavolta molto vicino all’obiettivo.
“Parli... parli facile, tu!” urlava quello.
“Settanta! Forza un po’ e non lamentarti. Se vuoi facciamo a cambio!”.
“Tu zitta e cucina!” disse, e Pichu si permise un nuovo attacco Fulmine, cercando d’interrompere la linea offensiva dell’enorme dragone.
“Non serve a nulla l’elettricità!” urlava Marina, mentre vedeva i numeri di volteggi dello Styler salire a settantasei. Il cuore ancora bruciava ed il fiato diventava sempre più corto; ne aveva avuto abbastanza della pioggia.
“Che diamine! Hai fatto?!” urlava Martino, quando poi un movimento della lunga coda del Pokémon interruppe l’anello di cattura, facendo saltare l’acquisizione.
Marina urlò per via del danneggiamento dello Styler.
“S’è rotto?!” domandò preoccupato Martino, scendendo in picchiata e passando sotto il Pokémon per poi salire alle sue spalle.
“No... Ma hai ragione... due colpi di fila di questo Pokémon e lo Styler si può pure buttare... Temo che da sola non ce la farò. Dovremo acquisirlo assieme!” gli urlò infine.
Martino sbuffò, con Rayquaza che si girò e spalancò le fauci, lanciando l’ennesimo Lanciafiamme che si perse nel vento e nella pioggia.
“Beh!” fece quello. “Come vedi sono un po’ impegnato!”.
Martino era davanti e Rayquaza era dietro di lui, ad inseguirlo, molto più veloce di Staraptor.
“Tra poco vi colpirà!”.
“Tranquilla...” sussurrò il Ranger, scendendo rapidamente in picchiata e facendo andare a vuoto l’attacco del dragone verde.
Marina lo raggiunse e cercò nei suoi occhi una soluzione a quel dilemma. Erano in due e non erano abbastanza.
“Forse dovremmo...” Marina affannava, stanca, con la mano sul petto. “Ma che diamine mi prende?!”.
“Hai paura, Mari, ed è normale. Ma non demordere! Sarà nos...”
I due spalancarono gli occhi.
“Che...” Martino vedeva Rayquaza illuminarsi di verde, allargando le esili ed ossute braccia verso l’esterno; i fili d’energia che pendevano dal suo corpo s’irrigidirono e si posero in posizione verticale non appena Rayquaza prese a salire in alto, verso la Stratosfera, dove generalmente soleva passare il suo tempo.
“Dove cazzo va?!” esclamò il ragazzo.
“Ascesa del Drago!” urlò Marina, stringendo l’impugnatura dello Styler.
Martino si voltò, col volto terrorizzato, tentennando per un attimo. “Dobbiamo... no?”.
“Evochiamoli!”.
Martino prese lo Styler e sospirò, quindi cominciò a tracciare un grafema, proprio come Marina.
“Latios!” urlò lui.
“Latias!” disse invece sua sorella, e pochi secondi dopo apparvero i due Pokémon Eoni, volteggiando nel cielo roboante.
I due Ranger saltarono sui Pokémon che si avvicinarono tra di loro repentini.
“Che facciamo ora?” urlava lei, mentre Latias rimaneva bloccata sulla stessa quota.
“Ora siamo molto più rapidi di Rayquaza!”.
“Sta arrivando!” Marina puntò il dito verso l’alto, dove una luce verde viaggiava a velocità folle.
“Non penso che riusciremo ad evitare il colpo!” urlò Marina, muovendosi in avanti, impanicata; anche Latias sembrava irrequieta.
“Tranquilla! Riusciremo a... Marina! Non muoverti così!”.
Invece lo fece. Rayquaza la vide, puntandola, snobbando Martino su Latios e dirigendo verso di lei l’Ascesa del Drago.
“Marina!” urlò Martino, dirigendosi veloce verso di lei, ma Latias era veloce quasi quanto Latios e si muoveva velocemente verso nord. “Fermati!”.
Rayquaza ruggì un’ultima, fortissima volta, ed un raggio di luce smeraldina si diresse lampante verso la Ranger.
“No!” gridò Martino, con le lacrime agli occhi.
E forse fu Latias a rendersi conto per prima del fatto che il colpo che avrebbe subito di lì a poco non sarebbe stato parecchio semplice da evitare.
E ancora forse, fu proprio Latias a voler proteggere Marina, schermandola dal grosso attacco ed Rayquaza. Ma lei si girò, guardando le ali di Latias chiudersi prima della grande esplosione.
Ed il suo cuore parve scoppiare, ed i suoi occhi si spalancarono, prima di chiudersi lentamente.
Latias si schianto su di una piccola parte di pavimento che era resistita al precedente colpo subito.
“Marina!” urlava Martino, piangendo, raggiungendo sua sorella in sella a Latios. Il dolore che provava in quel momento era così tangibile, così reale che riusciva a vederlo davanti agli occhi, mentre sanguinava accanto a sua sorella.
“Marina...” disse, saltando velocemente da Latios e raccogliendo il fragile corpo leggero della castana. Le lacrime scendevano rapide sulle guance di Martino, sui solchi già scavati dalla pioggia nella polvere e nel sangue che gli ricoprivano il volto.
La mano destra della ragazza era stretta sul petto, le unghie corte a stringere il gilet, proprio sul cuore.
Respirava, forse. Forse non era tardi. Doveva salvarla assolutamente, Hoenn sarebbe potuta anche crollare a picco, in quel momento. Poi alzò gli occhi, Rayquaza ansimava vistosamente, piegato su se stesso.
Doveva catturarlo; poggiò Marina su Latios e vi salì, quindi, ancora in preda al pianto, lanciò lo Styler.
Dieci giri del cursore.
Venti.
Quaranta.
I respiri si susseguivano tutti anonimi, incapaci di donare sollievo alle membra del castano.
Sessanta.
Ottanta giri.
Centodieci.
La pioggia lo bersagliava con furore quasi omicida, come se ognuna di quelle piccole gocce fosse in realtà una punizione del cielo, per lui, per sua sorella, per le loro piccole vite.
Centocinquanta.
Duecento.
Trecento.
Il tempo ormai passava, Rayquaza cercava con debolezza di intercettare la linea dello Styler con la coda, conscio del fatto che fosse quella luce il vero nemico, ma Martino spostava il cursore in modo da allargare l’anello d’acquisizione.
Dopo quattrocentoventisette giri di Styler, il bracciale aveva segnato che la cattura fosse stata effettuata.
Martino piangeva copiosamente, correndo poi da sua sorella e prendendola in braccio, stringendo il bacino ossuto tra le mani e poggiando la testa di quella dietro al suo collo. Corse poi verso il Pokémon Drago e vi salì sopra.
La stringeva, la tirava a sé, mentre il Pokémon Stratosfera spariva oltre le nuvole.
Ma non è il momento per parlarne. È invece il momento di dire (anzi, di ricordare) che dopodomani esce il secondo capitolo dell'Interactive Story di Gold a Sinnoh! Chissà cosa gli capiterà *leggere con voce da speaker del Kinder Sorpresa*. E poi boh, sabato dovrebbe (se Anubi vuole) (mi piacciono le parentesi) uscire il quinto capitolo della storia di Cyber Witch, quella sui tipi fata.
Pokémon Courage non vi abbandona, nemmeno in estate!
Mia Sorella
Volavano l’uno accanto all’altro, Martino e Marina, silenziosi e concentrati.
Il mare vedeva due correnti, una calda ed una più fredda, che si scontravano giusto sotto di loro, creando una linea di schiuma.
“Densità diverse...” disse Martino, su Staraptor. “Non si mischiano... Guarda, una è più chiara ed una più scura...”.
“Già... Che cosa incredibile” rispose disinteressata sua sorella. Carezzava il folto piumaggio di Togebo, mentre s’allontanavano da Ceneride.
“Quel Pokémon aveva un piede nella fossa. L’hai salvato...”.
“Già. Avrei potuto fare di meglio. Magari avrei potuto evitare che Gold non stramazzasse al suolo...”.
“Non è colpa tua. Christine era un osso duro e...”.
“Lo so benissimo...”.
“E allora che vuoi? Non fare così?”.
Marina si voltò, col sorriso amaro in volto. “Non puoi capire...”.
Quello abbassò lo sguardo verso il suo Pokémon, mentre sospirava. Sperava, sognava che quella storia finisse il più presto possibile. Avrebbe tanto voluto abbandonare quella regione disastrata, dove tutto gli ricordava le difficoltà ed i fallimenti che aveva vissuto assieme ai suoi compagni di missione, fino a quel momento.
Probabilmente avrebbe richiesto a Raimondo l’opportunità di farsi un bel mese nel Residence Aqua, in totale solitudine. Ne aveva bisogno, per ricaricare le batterie, per ritornare più forte, più motivato e concentrato.
Sì, il suo era un lavoro che stressava. Avere a che fare con la morte tutti i giorni era pesante, specialmente quando il suo intervento poteva salvare la vita di qualcuno; un minimo errore significava perdere tutto.
Martino, come anche gli altri Ranger, dovevano rimanere concentrati, e vedere sua sorella così profondamente turbata.
Per lui, che era cresciuto così a contatto con lei e che aveva vissuto la sofferenza di quella, era difficile doverla vedere con lo sguardo perso, intento a vagare tra le nuvole ed i pensieri.
Mentre tutto attorno a lui esplodeva, mentre il potere infinito di quei due Pokémon imperversava, lui doveva stare calmo e tranquillo, assicurandosi che anche sua sorella stesse serena.
Ma la cosa non poteva funzionare se lei era così tesa.
La guardò, con ancora le lacrima appuntate alle lunghe ciglia, nonostante la maschera per il volo scesa e poggiata sulle guance.
“Hey...” disse poi, combattendo contro quel demone che s’era impossessato del suo corpo in quel momento, iniettando negatività come non mai.
Quella era così assorta tra i suoi pensieri da non esser riuscita a sentire la voce del fratello. Lui la richiamò.
“Mari...”.
Quella si voltò lentamente, in faccia i segni della stanchezza. “Marti”
“Comunque mi spiace per la discussione che abbiamo avuto prima. Se tu credi che possa farti star bene, lotta per averlo”.
Quella batté due volte le palpebre e poi tornò a guardare dritto. “Se Pat riuscirà a farlo stare meglio ci proverò...”.
“Tu sei una guerriera. Hai passato tante brutte cose, anche per via di Gold e...”.
“Non è stata propriamente colpa di Gold, Martino, e lo sappiamo entrambi”.
“Doveva rimanerti vicino, invece di fare l’eroe!” urlò, scontrandosi poi con lo sguardo liquido della sorella. “Ok, scusami, lasciamo perdere. È che mi preoccupo per te...”.
“Non voglio che tu lo faccia. Non te l’ho chiesto”.
Martino sorrise. “Non lo faccio perché me l’ha chiesto qualcuno. Tu sei la mia famiglia e non voglio vederti ancora ricoperta di sangue...”.
Attimo di silenzio.
“Faceva schifo, vero?” domandò lei, sorridendo leggermente e provocando le risa del fratello.
“Non ci ho pensato, a dire il vero. M’interessava che tu non morissi”.
“E se non moriremo adesso, contro Rayquaza, non lo faremo più...”
“Già. Dobbiamo stare attenti...”.
Marina abbassò gli occhi e intanto la Torre dei Cieli diventò un’ombra all’orizzonte.
“Forza” fece Martino. Ci siamo quasi”.
Il cuore di Marina batteva forte, forse anche troppo, sotto quella cicatrice che deturpava il suo petto. L’isolotto sul quale s’ergeva la grande torre era battuto da acque tranquille, forse perché circondato da ampi e duri scogli neri. Sulla sommità della torre, molto, molto in alto, nuvole nere giravano intorno all’occhio del ciclone, che fissava attento tutto ciò che sovrastava.
La Torre imperava sulla terraferma, altissima ed austera.
“Ha un’aria davvero sinistra” fece Marina, toccandosi il petto, disturbata. Togekiss rientrò nella sfera e Martino le si avvicinò.
“Che hai?” domandò.
“Niente. Un po’ d’ansia, credo... d’altronde Rayquaza non sarà semplice da catturare...”.
“Dobbiamo riuscire ad acquisire quanti più Pokémon possibili... Per indebolire Rayquaza e potenziare le opzioni di Styler...”.
“Credo dovremmo utilizzare la nostra arma segreta, con un Pokémon di questa portata...”.
“Vedremo...”.
I due s’avviarono verso l’ingresso dell’altissimo edificio, salendo una scalinata in pietra assai malmessa, erosa dal tempo e dalla salsedine. La porta, in pietra anch’essa, cigolò sugli enormi cardini una volta che Martino vi poggiò la mano sopra.
Essa si aprì, rivelando sull’uscio la presenza di una figura.
“Chi siete?” domandò con voce di donna, quella. Non era assai alta e non potevano vederle il volto, in quanto vestita con una lunga tunica marrone con cappuccio.
“E questa chi diamine è?!” esclamò Martino, guardando sua sorella.
“Ehm... Siamo due Pokémon Ranger. Siamo venuti per Rayquaza...” rispose invece Marina, vedendo la donna ghignare sotto il suo cappuccio.
“Nessuno è autorizzato a vedere il grande Pokémon drago” tuonò sicura quella.
“Veniamo qui per fermare Groudon e Kyogre! Non siamo Allenatori e non ci interessa catturare il Pokémon. Una volta finita questa faccenda, libereremo il Pokémon e tornerà qui, se vorrà...”.
Il silenzio s’appropriò della situazione, lasciando soltanto il mare ed il lamentio del vento ad essere uditi.
“Sto leggendo i vostri cuori...” disse quella, sempre celata dai suoi abiti. “In te...” continuò, indicando Marina. “... in te vedo la voglia di correre ed un grande vuoto. In te vedo l’apertura al perdono. Tu hai un cuore puro” fece. Poi si voltò verso Martino.
“Ma tu... Tu sei combattuto. Il tuo cuore è sporco, nonostante il tuo animo sia chiaramente candido come la neve”.
Martino abbassò lo sguardo, poi sua sorella lo guardò.
“Ma che diamine stai passando?!”.
“Nulla. Ma siamo leggermente di fretta, dobbiamo andare”.
Il guardiano della Torre era immobile, schierato a barriera davanti a loro.
“Saranno buoni, i tuoi intenti?”.
“Sono qui per salvare questa dannatissima regione da due folli! Certo che i miei intenti sono buoni!”.
“Allora passate pure” disse la donna misteriosa, facendosi da parte. I Ranger entrarono e si guardarono attorno, mentre la porta si richiuse cigolando sinistramente, sbattendo con forza sul proprio assetto pochi secondi dopo.
Tutt’intorno sembrava esser morto e decaduto; protagonista di quel posto era l’ampia scalinata in marmo, di cui molti scalini parevano esser duramente lesionati e spaccati, se non mancanti.
“Facciamo attenzione...” disse Martino, accendendo una torcia, strumento facente parte del kit che portava sempre con sé. Banette e Claydol spaventati s’apprestavano a fuggire dal fascio di luce che il Ranger puntava contro le assi di legno malmesse delle pareti e dei pavimenti.
“Che brutto posto...” sospirò Marina. Prese a salire lentamente le scale, timorosa che ogni suo passo potesse determinare la fine dei suoi giorni.
“Attenta” ripeté suo fratello, anticipandola in ogni mossa.
“Ho capito, devo stare attenta” sospirò infastidita quella.
“E stai pronta con lo Styler, che c’è bisogno di acquisire Pokémon...”
E così camminarono lungo la spirale di scalini della Torre dei Cieli, acquisendo un paio di Altaria, un Claydol ed un Banette. Martino stava per lanciare lo Styler anche contro un bell’esemplare di Absol, ma non era riuscito nell’intento di acquisire il Pokémon.
Si voltava, il ragazzo, di tanto in tanto, intento a guardare il volto di sua sorella. Sembrava abbastanza tranquilla, nonostante continuasse a massaggiarsi stomaco e petto.
Teneva molto a lei, e stare in quella pericolosissima situazione aumentava l’ansia che quello provava, intingendolo la sua anima in una paura cieca.
Lui poteva lottare per lui, per la sua stessa misera e povera vita; non gli interessava più di tanto quello che gli sarebbe accaduto.
Invece Marina aveva già avuto la sua dose di dolore e nulla avrebbe dovuto farle ancora del male. Sentiva ancora nel naso l’odore del suo sangue, e la sensazione di sporco che provava quando, prima di lavarsi mani e faccia, i suoi vestiti ne erano interamente. Ricordava la scena, in ospedale.
Batteva nervosamente il piede per terra, Martino, nervoso, per ogni ticchettio che l’orologio a parete emetteva.
Aspettò che sua madre e suo padre fossero arrivati, li liquidò con un semplice “questo è il suo sangue, la stanno operando”, mostrando i vestiti, ed andò a casa, a levarsi di dosso quegli stracci e a farsi una doccia.
E rifletté, rifletté tanto.
Come poteva una semplice uscita serale rivelarsi così fatale? Cosa era successo al ristorante di fronte casa?
Fu proprio questa curiosità a portarlo verso il locale. Già da lontano si potevano vedere orde di gente a fare muro, a coprire la visuale. Poco più in alto, si addensava del fumo nero, che poi si librava verso il cielo. Si fece largo a spallate verso il centro nevralgico, spintonando persone lamentose ma meno nervose di lui che, appena vedevano il sangue sui suoi vestiti, ammutolivano ed aprivano strada.
Bande a righe bianche e rosse delimitavano l’area tutt’intorno al ristorante “Tarantino” di chiara matrice italiana. Le aspettative sull’italiano si bloccavano al nome, perché il menù non aveva molte pretese. Inoltre il proprietario, tal Michele Tarantino, un vero italiano proveniente dalla Puglia, non sembrava un tipo affidabile. Le vetrate del locale erano state distrutte totalmente e la porta sfondata.
Un ragazzo stava seduto con una coperta attorno alle spalle, mentre un agente della polizia lo interrogava.
“Machamp... tre Machamp ed un Darmanitan...” diceva.
“È stato un attacco di Pokémon? Erano imbizzarriti?” chiedeva l’agente.
“N-no... è stato un Allenatore a comandare loro di distruggere tutto...”.
Martino aveva effettivamente gettato un occhio nel locale, totalmente distrutto e devastato dal fuoco.
“Infine... ha dato ordine al Darmanitan di bruciare tutto...”.
“Sono questioni particolari, che da noi si verificano poco spesso. Tarantino è un esponente mafioso e questo era un avvertimento; probabilmente non aveva adempiuto ai propri doveri... Brutta storia” concluse l’agente, chiudendo il blocchetto degli appunti.
“Marina era qui... con quel ragazzo di Johto...” sospirò Martino, dopo aver visto il poliziotto allontanarsi.
“Gold, si chiamava. Si chiamava Gold” ricordò.
Attese, ed attese anche tanto, e vide l’uomo con la coperta sulle spalle, incredibilmente incolume, lasciare la zona del ristorante ed avviarsi verso casa.
Martino lo rincorse. “Hey!” urlava. “Scusi!”.
Quello si voltò, impressionato dalla mise del ragazzo, sempre sporco di sangue. “Sì?”.
“Chiedo scusa. C’era una ragazza, dentro il locale. Mia sorella, Marina”.
“Ehm...”. Quello pareva confuso.
“Sì, so che è difficile ricordare o altro, ma faccia uno sforzo. Adesso Marina è in fin di vita, e voglio sapere come sono andate le cose. Cerchi di riportare alla mente, la prego...”.
L’uomo sospirò. “Almeno dimmi qualcosa che possa aiutarmi”.
“Aveva... aveva un vestito bianco... Era con un ragazzo”.
“C’erano due ragazze col vestito bianco. Entrambe erano assieme ad un ragazzo”.
“Marina era... È. Marina è castana ed ha gli occhi color nocciola. E la voce squillante. Lei è molto magra, minuta. Il suo vestitino è stato bruciacchiato dalle fiamme ed una grossa scheggia di vetro le ha trafitto il torace” disse Martino, abbassando addolorato il volto.
“Ah!” esclamò lui. “Quella ragazzina! Certo, certo! Era con un ragazzo dagli occhi d’oro”.
“Un ragazzo... un ragazzo dagli occhi d’oro?”.
“Sì. Urlava parecchio”.
“Urlava?!” esclamò accorato il castano.
“Non urlava contro la ragazza. Aveva proprio un tono alto di voce. Sembrava stessero passando una bella serata...”.
“E poi?! Perché non l’ha protetta?!” urlò poi, prendendo l’uomo per le spalle.
Quello s’impressionò spingendo il ragazzo via e sbraitando parole con un senso compiuto, senza che Martino le comprendesse pienamente.
E poi Marina si riprese, lentamente. Il rapporto con suo fratello andò sempre a stringersi, sempre di più, fino a diventare l’uno indispensabile per l’altro.
Migliaia di avventure condivise somatizzate in un sorriso stentato. Avevano salito migliaia di scale, le gambe facevano male ma non mancavano ancora tanti piani alla cima ed il senso del dovere che provavano entrambi li spingeva a dare sempre di più.
“Quando arriveremo?” domandò Martino, tra sé e sé, seguito da Claydol. Quel Pokémon lo inquietava e non poco.
“Non lo so, Marti... ma non manca ancora molto” gli rispose, alzando la testa e guardando la tromba delle scale che lentamente s’assottigliava.
L’ottantacinquesimo piano era stato finalmente raggiunto. Era parecchio disastrato, con il crollo di un’ampia parte della parete. Ampie travi di legno erano cadute dalla volta del soffitto, parecchio sopra, incastrandosi tra la parete ed il pavimento.
Calcinacci e pezzi di muro crollati dall’alto avevano sfondato il pavimento di legno, altri ancora si erano accumulati sulla destra del corridoio. Banette pareva inquieto, passandovi accanto.
“Che ha?” domandò Marina, fissandolo.
Banette ondeggiava attorno al mucchio di calcinacci, ed intanto i due Ranger s’avvicinarono.
“Qui è morto qualcuno...” le rispose. Si piegò sulle ginocchia accanto ad un cappello bianco , ormai ingiallito dal tempo e lo alzò. Intagliato nel legno vi era inciso qualcosa:
EMILY WHITE, COMPAGNA MIA. TUO, ZACK.
I volti dei ragazzi si portarono automaticamente verso il basso. Poi lentamente ripresero il cammino, fino a raggiungere la porta che portava sul tetto della torre. Era uguale in tutto e per tutto a quella che avevano attraversato all’ingresso. Marina la spinse, e proprio come quella sotto a tutto cigolò, aprendosi con lentezza; una piccola vela di luce invase il buio dell’ultimo piano, disturbando e non poco Claydol.
Uscirono fuori, ed il vento e la pioggia battevano potenti sul soffitto della torre.
Martino aveva gli occhi alzati verso l’alto, e l’ombra enorme proiettata sul pavimento confermava lo stupore che il Ranger provava. “Porca di quella...”.
Marina lo imitava. “Dillo...”.
“Puttana. Porca di quella...”.
“Puttana...” sospirò la ragazza.
Rayquaza fissava con gli occhi spalancati e sanguinari gli avventori. Altaria s’alzò in volo, rimanendo vicino a Marina.
“È veramente enorme. Cioè, grande. Credo sia il Pokémon più epico che abbia mai visto...” diceva Martino, che ormai non batteva le palpebre da quasi mezzo minuto.
Ed a ragione, peraltro. L’enorme Pokémon Drago pareva galleggiare su se stesso, muovendo con grazia (innaturale per la sua mole) la parte posteriore del suo corpo. Il cielo s’oscurava ancor di più alle sue spalle, il vento s’alzava, i tuoni riempivano le loro orecchie mentre flash improvvisi venivano creati dai fulmini, luminosi e potenti. Fili d’energia s’allargavano dal suo corpo, muovendosi come sott’acqua. E poi le braccia, piccole, corte rispetto al lungo corpo serpentiforme, si muovevano verso di loro; Marina guardava le mani artigliate di quello e dopo fu rapita dagli occhi rossi del Pokémon. Ai lati della testa vi erano due enormi zanne, verdi come lui. Il suo corpo s’illuminava in determinati punti, pulsavano i suoi centri d’energia, battevano come un cuore.
Magniloquente.
Quello prese a ruggire, ed intanto il vento spazzava la superficie del tetto ed i fulmini illuminavano lo sfondo nero. Marina fece inconsapevolmente qualche passo indietro, sempre affiancata da Altaria, a cui si era aggiunto Staraptor. Il cuore pareva esploderle nel petto, non aveva mai avuto così tanta paura.
Martino invece sentì l’adrenalina correre veloce nel sangue; era quello il momento in cui doveva agire.
“Forza!” urlò, e Banette e Claydol lo seguirono subito. Calcolò rapidamente una strategia, il Ranger, e capì che doveva cominciare con un’offensiva leggera, per testare la difesa del Pokémon e la sua aggressività, anche se aveva l’impressione di non dover scherzare con il fuoco.
“Pichu!” urlò quindi, vedendo il piccolo topino giallo alzarsi con un balzo verso l’alto e lasciar partire una grande scossa, proprio dalle nuvole grigie su nel cielo, che colpì in pieno Rayquaza.
Pichu era ben allenato, ma la potenza del suo attacco non scalfì minimamente la coriacea resistenza del dragone color smeraldo.
Si liberò dell’energia elettrica che lo avvolgeva con un semplice ruggito, e dopo dal cielo fece cadere sfere d’energia, fendenti di luce che s’abbattevano velocemente su tutto.
“Che diamine è?!” urlava Marina, arretrando verso l’interno.
“Comete!” urlava suo fratello, facendo slalom tra le colonne di luce che cadevano per terra.
“Fermalo!”.
“Tu dammi una mano, baldracca!” urlò tra i denti quello.
“Subito!” esclamò la ragazza. “Altaria, aiutaci!”.
Il Pokémon con le ali di cotone s’alzò in volo e lasciò partire un forte Dragobolide, che colpì in pieno volto il gigante verde.
“L’hai preso!” esultò Martino, lasciando partire lo Styler.
Uno, due, tre giri, ma un abile colpo di coda del Pokémon mandò alle ortiche il tentativo d’acquisizione.
Martino urlò, vedendo il suo Styler danneggiarsi.
“Non possiamo permettere che Rayquaza si liberi di nuovo!” fece Martino, controllando lo stato di salute del suo apparecchio di cattura. “Lo distruggerà con un altro attacco del genere”.
“Procediamo con doppia cattura, allora” rispose sua sorella. Marina lanciò lo Styler, vedendo poi suo fratello mandare in avanti Claydol.
“Forza!”.
Il Pokémon Terra – Psico lanciò un grande attacco Psicoraggio contro l’avversario, che non parve subire tanto il colpo, ma che permise a Marina d’effettuare ben sedici giri di Styler.
Purtroppo si rese conto del fatto che fossero soltanto la punta dell’iceberg: Rayquaza avrebbe necessitato di centinaia, forse migliaia di giri di Styler.
“Parti!” urlò poi la ragazza, intimando il fratello di lasciar andare il suo Styler ed unirsi al processo di cattura; in quel modo avrebbero attutito i danni alle proprie macchine d’acquisizione.
“Certo! Vai!”.
I giri erano rapidamente arrivati a cinquanta, l’icona di cattura velocemente si riempiva, ma arrivati ai settanta giri ancora stentava a raggiungere il quarto di riempimento.
Claydol finì con l’attacco, lasciando il Pokémon Stratosfera libero di contrattaccare.
“È già Megaevoluto, Marina, attenta!” urlò il ragazzo.
“Vuol dire che conosce Ascesa del Drago...”.
I due si guardarono, e poi Rayquaza prese ad urlare con furia e rabbia incontrollata, lasciando partire dalla bocca fiamme viola e verdi, che si abbatterono sul già tormentato e devastato tetto della torre; questo cedette in diversi punti, minando alla stabilità del pavimento e creando crateri enormi.
“Dovremmo... O no?” domandò la ragazza cercando di mettersi al riparo dagli attacchi di Rayquaza.
“Beh, non so, Marina. Ascesa del Drago è una mossa potentissima che costringerebbe Rayquaza ad utilizzare un sacco d’energia... Ma anche quest’Oltraggio non scherza...”.
“Se usasse Ascesa del Drago sarebbe molto più semplice catturarlo!”.
“Ma i nostri Styler non riuscirebbero a sopportare un attacco del genere... E rischieremmo di certo di morire...”.
Marina sentiva il fiato corto e l’ansia che le spingeva nel petto una negatività mai provata. Il cuore batteva forte, troppo e questa cosa le sembrava insolita.
“Dobbiamo rischiare!”
“C’è ancora Banette! Non andare di fretta!”.
Marina sbuffò e si mise ad elaborare una strategia. “Rompe l’anello di cattura dello Styler con la coda, nel tentativo di colpirci. Se entrassimo nel cerchio di cattura non attaccherebbe l’anello e saremmo più liberi di catturarlo”.
“Attenta alla seconda ondata dell’attacco Oltraggio!” urlò quello, vedendo poi Rayquaza lasciar cadere bombe d’energia a ripetizione, come a liberarsi della cattiveria di cui era colmo il suo animo.
Molti di questi attacchi fecero altri fossi sul pavimento, facendo crollare interamente il soffitto della Torre dei Cieli.
“Cazzo!” urlò poi Martino, saltando velocemente su Staraptor ed afferrando al volo Pichu, correndo a salvare Marina che intanto precipitava nella tromba delle scale della torre.
Martino scese in picchiata, appiattendosi quanto più potesse per avvicinarsi a quella.
“Più forte!” urlava al suo Pokémon.
Ma poi sua sorella fece qualcosa che lo sconvolse: mise la mano nella borsa, con la paura negli occhi, ed afferrò la sfera di Togebo, su cui si ritrovò qualche secondo dopo, terminando di fatto la discesa verso la morte.
Staraptor frenò improvvisamente ed intanto Marina respirava ad ampi polmoni, sconvolta.
“Stai bene?!” gli urlò nuovamente suo fratello.
Quella prese qualche secondo prima di rispondere. “Sì. Sì, credo di sì. Dobbiamo tornare sopra...”.
E così si misero a risalire velocemente per la tromba delle scale, evitando pezzi di tetto e calcinacci che crollavano dal soffitto. Rayquaza li fissava inviperito e li attaccò nuovamente, con un forte Lanciafiamme.
“Destra” urlò poi Marina a Togebo, che flesse leggermente l’ala per ritrovarsi qualche metro accanto alla colonna di fuoco. Continuavano a salire, calore costante ed insopportabile, quel fuoco scintillava ed illuminava tutt’intorno, spaventando i Pokémon che si nascondevano sui vari piani.
“Sali!” urlava dall’altra parte Martino, che intanto raggiunse sua sorella.
“Lancia lo Styler!” fece lei. “Io controllerò Banette e Togebo...”.
“Come un’Allenatrice...”.
Giunsero finalmente all’esterno, ancora sporchi di polvere e cemento, un po’ di sangue sul volto e qualche graffio a cui non pensavano; Rayquaza aveva ormai smesso di attaccare, vedendo i due Styler partire da destra e sinistra.
“Andrò io all’interno!” fece Martino. “Vai Banette!” urlò poi, e l’ultimo Pokémon che avevano acquisito lì si gettò.
“Fuocofatuo!” urlò Marina. Martino si voltò compiaciuto e sorrise
vedendo il Pokémon lanciare quell’ostinata fiamma blu che, per quanto Rayquaza si fosse dimenato, l’avrebbe sempre raggiunto.
E così fu. L’urlo di Rayquaza fu terribile, e scottato decise di prendersela contro il primo individuo su di uno Staraptor che avrebbe incontrato.
Un colpo di coda ben piazzato ebbe l’effetto di destabilizzare Staraptor, che però si rimise in piedi, stabile, mentre lo Styler di Marina ancora girava attorno a Rayquaza.
“Trenta!” urlava lei.
Martino alzò la quota, arrivando verso le braccia del Pokémon; una zampata fu evitata magistralmente.
“Quaranta!”.
“Fa’ presto!” urlava Martino, evitando un secondo attacco.
“Pare facile!”.
“Questo qui sta perdendo la pazienza!”
“Cinquanta! Sto facendo più in fretta che posso, ma è difficile!”
“Se fossimo in due...” provò a parlare Martino.
“Zitto e sta’ lì a prendere le mazzate!”.
Martino volteggiò, salendo verso l’alto. La pioggia continuava a battere radente e Rayquaza attaccò con un nuovo Lanciafiamme il suo avversario, stavolta molto vicino all’obiettivo.
“Parli... parli facile, tu!” urlava quello.
“Settanta! Forza un po’ e non lamentarti. Se vuoi facciamo a cambio!”.
“Tu zitta e cucina!” disse, e Pichu si permise un nuovo attacco Fulmine, cercando d’interrompere la linea offensiva dell’enorme dragone.
“Non serve a nulla l’elettricità!” urlava Marina, mentre vedeva i numeri di volteggi dello Styler salire a settantasei. Il cuore ancora bruciava ed il fiato diventava sempre più corto; ne aveva avuto abbastanza della pioggia.
“Che diamine! Hai fatto?!” urlava Martino, quando poi un movimento della lunga coda del Pokémon interruppe l’anello di cattura, facendo saltare l’acquisizione.
Marina urlò per via del danneggiamento dello Styler.
“S’è rotto?!” domandò preoccupato Martino, scendendo in picchiata e passando sotto il Pokémon per poi salire alle sue spalle.
“No... Ma hai ragione... due colpi di fila di questo Pokémon e lo Styler si può pure buttare... Temo che da sola non ce la farò. Dovremo acquisirlo assieme!” gli urlò infine.
Martino sbuffò, con Rayquaza che si girò e spalancò le fauci, lanciando l’ennesimo Lanciafiamme che si perse nel vento e nella pioggia.
“Beh!” fece quello. “Come vedi sono un po’ impegnato!”.
Martino era davanti e Rayquaza era dietro di lui, ad inseguirlo, molto più veloce di Staraptor.
“Tra poco vi colpirà!”.
“Tranquilla...” sussurrò il Ranger, scendendo rapidamente in picchiata e facendo andare a vuoto l’attacco del dragone verde.
Marina lo raggiunse e cercò nei suoi occhi una soluzione a quel dilemma. Erano in due e non erano abbastanza.
“Forse dovremmo...” Marina affannava, stanca, con la mano sul petto. “Ma che diamine mi prende?!”.
“Hai paura, Mari, ed è normale. Ma non demordere! Sarà nos...”
I due spalancarono gli occhi.
“Che...” Martino vedeva Rayquaza illuminarsi di verde, allargando le esili ed ossute braccia verso l’esterno; i fili d’energia che pendevano dal suo corpo s’irrigidirono e si posero in posizione verticale non appena Rayquaza prese a salire in alto, verso la Stratosfera, dove generalmente soleva passare il suo tempo.
“Dove cazzo va?!” esclamò il ragazzo.
“Ascesa del Drago!” urlò Marina, stringendo l’impugnatura dello Styler.
Martino si voltò, col volto terrorizzato, tentennando per un attimo. “Dobbiamo... no?”.
“Evochiamoli!”.
Martino prese lo Styler e sospirò, quindi cominciò a tracciare un grafema, proprio come Marina.
“Latios!” urlò lui.
“Latias!” disse invece sua sorella, e pochi secondi dopo apparvero i due Pokémon Eoni, volteggiando nel cielo roboante.
I due Ranger saltarono sui Pokémon che si avvicinarono tra di loro repentini.
“Che facciamo ora?” urlava lei, mentre Latias rimaneva bloccata sulla stessa quota.
“Ora siamo molto più rapidi di Rayquaza!”.
“Sta arrivando!” Marina puntò il dito verso l’alto, dove una luce verde viaggiava a velocità folle.
“Non penso che riusciremo ad evitare il colpo!” urlò Marina, muovendosi in avanti, impanicata; anche Latias sembrava irrequieta.
“Tranquilla! Riusciremo a... Marina! Non muoverti così!”.
Invece lo fece. Rayquaza la vide, puntandola, snobbando Martino su Latios e dirigendo verso di lei l’Ascesa del Drago.
“Marina!” urlò Martino, dirigendosi veloce verso di lei, ma Latias era veloce quasi quanto Latios e si muoveva velocemente verso nord. “Fermati!”.
Rayquaza ruggì un’ultima, fortissima volta, ed un raggio di luce smeraldina si diresse lampante verso la Ranger.
“No!” gridò Martino, con le lacrime agli occhi.
E forse fu Latias a rendersi conto per prima del fatto che il colpo che avrebbe subito di lì a poco non sarebbe stato parecchio semplice da evitare.
E ancora forse, fu proprio Latias a voler proteggere Marina, schermandola dal grosso attacco ed Rayquaza. Ma lei si girò, guardando le ali di Latias chiudersi prima della grande esplosione.
Ed il suo cuore parve scoppiare, ed i suoi occhi si spalancarono, prima di chiudersi lentamente.
Latias si schianto su di una piccola parte di pavimento che era resistita al precedente colpo subito.
“Marina!” urlava Martino, piangendo, raggiungendo sua sorella in sella a Latios. Il dolore che provava in quel momento era così tangibile, così reale che riusciva a vederlo davanti agli occhi, mentre sanguinava accanto a sua sorella.
“Marina...” disse, saltando velocemente da Latios e raccogliendo il fragile corpo leggero della castana. Le lacrime scendevano rapide sulle guance di Martino, sui solchi già scavati dalla pioggia nella polvere e nel sangue che gli ricoprivano il volto.
La mano destra della ragazza era stretta sul petto, le unghie corte a stringere il gilet, proprio sul cuore.
Respirava, forse. Forse non era tardi. Doveva salvarla assolutamente, Hoenn sarebbe potuta anche crollare a picco, in quel momento. Poi alzò gli occhi, Rayquaza ansimava vistosamente, piegato su se stesso.
Doveva catturarlo; poggiò Marina su Latios e vi salì, quindi, ancora in preda al pianto, lanciò lo Styler.
Dieci giri del cursore.
Venti.
Quaranta.
I respiri si susseguivano tutti anonimi, incapaci di donare sollievo alle membra del castano.
Sessanta.
Ottanta giri.
Centodieci.
La pioggia lo bersagliava con furore quasi omicida, come se ognuna di quelle piccole gocce fosse in realtà una punizione del cielo, per lui, per sua sorella, per le loro piccole vite.
Centocinquanta.
Duecento.
Trecento.
Il tempo ormai passava, Rayquaza cercava con debolezza di intercettare la linea dello Styler con la coda, conscio del fatto che fosse quella luce il vero nemico, ma Martino spostava il cursore in modo da allargare l’anello d’acquisizione.
Dopo quattrocentoventisette giri di Styler, il bracciale aveva segnato che la cattura fosse stata effettuata.
Martino piangeva copiosamente, correndo poi da sua sorella e prendendola in braccio, stringendo il bacino ossuto tra le mani e poggiando la testa di quella dietro al suo collo. Corse poi verso il Pokémon Drago e vi salì sopra.
La stringeva, la tirava a sé, mentre il Pokémon Stratosfera spariva oltre le nuvole.
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